venerdì 12 ottobre 2012

Saltare gli ostacoli

Ancora un ricordo della scuola di equitazione. E non solo. I cavalli mi sono sempre piaciuti fin da piccolissima. Ho imparato a disegnare cavalli ancor prima di imparare a scrivere il mio nome. Il feeling che avevo con questi animali mi portò all'età di 9 anni alla scuola di equitazione. Oltre a montare e smontare con eleganza volteggiando sulla sella (io non ero proprio magrissima) ci insegnavano a saltare gli ostacoli. Stare al passo, trottare e infine galoppare andando da qualche parte o girando in tondo non è così emozionante come saltare gli ostacoli. Ma si deve imparare a farlo bene per non danneggiare né noi stessi né il cavallo che ci porta con sé. E non è facile perché si deve vincere ogni volta la paura. Non basta sentire l'adrenalina scorrere per sentirsi capaci di saltare l'ostacolo più o meno alto che abbiamo davanti. La sensazione di euforia da sola rende avventati. Certo, si può anche non avere alcuna paura mai, ma se un giorno accade di sentire un filo di incertezza, anche il cavallo la sentirà e saltare l'ostacolo potrebbe diventare pericoloso. Se guardo indietro non sono sicura di individuare il punto dove è iniziato l'insegnamento che porto con me. Non ricordo bene se prima di affrontare il primo ostacolo nel maneggio avevo già dentro il concetto che un ostacolo è meglio affrontarlo e saltarlo piuttosto che aggirarlo o se questo pensiero è nato dopo aver saltato la prima volta assieme al cavallo. Il concetto che si lega a tutto ciò però è più importante del ricordare questo particolare. L'importante è sentire che la cosa è giusta, che spesso non è come la si vorrebbe o come la si concepisce ma è qualcosa che va un po' oltre il nostro stesso giudizio perché la cosa giusta vive al di là di noi. E se si sa ascoltare lo si sente. Il nostro insegnante di equitazione ci insegnava come affrontare gli ostacoli iniziando dalle barriere a terra. Il cavallo è un animale generoso e ci porta dove lo guidiamo ma non sempre ama dirigersi verso degli ostacoli così quando siamo in sella dobbiamo ascoltare non soltanto noi stessi ma anche l'animale che ci porta in groppa. Ebbene, noi potremmo non avere paura di andare oltre ma lui potrebbe averne così dobbiamo imparare a capire la sua reazione e di conseguenza infondergli la nostra sicurezza se in quel momento il cavallo non ne ha troppa. Sono stata disarcionata davanti ad un ostacolo con il risultato di saltare io da sola rimanendo il cavallo piantato prima dell'ostacolo. Un bel volo, per fortuna senza conseguenze. Riprovandoci subito ho condotto il cavallo con più sicurezza verso l'ostacolo, a maggiore velocità ma senza esagerare, facendogli sentire il più possibile il contatto con le gambe e poggiando le mani sul suo collo come per dirgli "siamo insieme, non aver paura e vai perché tu ce la puoi fare a saltare e io senza di te non potrei mai farlo". Ogni cavallo che ho montato aveva una sua personalità, qualcuno aveva più paura di qualcun altro nel saltare ma tutti mi portavano dove io li guidavo. E non ci sono sempre stati giorni nei quali non avevo paura di saltare. Sapevo però che ogni mia incertezza si trasformava in potenziale pericolo e se si cade malamente da cavallo ci si fa male. Rischiare per il gusto di rischiare è estremamente stupido e può non esserci tempo per pentirsi o redimersi. Prudenza e attenzione sono parte integrante dell'equipaggiamento di un buon cavaliere, specialmente quando si affrontano gli ostacoli. Riuscire a saltare bene regala un'emozione unica perché non è fatta soltanto dalla conoscenza della tecnica, che è parte della soddisfazione in se stessi, ma anche da qualcosa che si muove più nel profondo. E' come la conquista di una libertà, di una piccola vittoria personale. Saltare un ostacolo è la vittoria dell'averlo affrontato, è la memoria di tutto ciò che si è fatto per prepararsi a guardarlo dritto davanti a noi e la sua conquista. Saltare un ostacolo è guardare indietro a ciò che si è fatto, poter vedere quanto era alto e sentirsi capaci di spostare il margine dei propri limiti. Capire dunque che il confine dei propri limiti non è davvero fisso a meno che non lo si creda tale. E se non ci si prova non lo si saprà mai così come scegliere di non affrontare l'ostacolo non ci mostra le vere capacità. Inciampare e cadere mentre si va verso l'ostacolo, reale o metaforico che sia, non ci rende dei perdenti. Se la perdita sta in qualcosa è nell'occasione che avevamo di metterci alla prova qualora vi si rinunciasse, fatta salva la decisione di rinunciare che deriva dalla saggezza e dal buon senso. Uno dei "segreti" per affrontare un ostacolo da saltare è crederci, pur nella sua banalità. Credere in qualcosa, credere che sia possibile, concedendogli credito e potere di suggerirci a sua volta la strada o il metodo, crea una sorta di corridoio mentale che serve a non vacillare troppo nel momento del salto, della prova, della decisione, della scelta. Il binario che si crea dentro di noi avrà il potere di emanare la forza affinché il salto si compia nel migliore dei modi. Su questo binario l'azione procede di pari passo con il pensiero. Un po' come se, mentre stai saltando, con la tua mente fossi già al di là dell'ostacolo pur rimanendo presente e testimone di ogni più piccolo movimento che ti sta conducendo verso e oltre l'ostacolo stesso. Questo calore di convinzione ferma senza paura è ciò che il cavallo sente per nutrire la sua fiducia nel cavaliere. Questo è solo il mio pensiero, in realtà non so cosa sente un cavallo ma mi è stato utile pensare così quando saltavo. E mi è utile ancora adesso quando nel percorso della vita trovo ostacoli di varia altezza, con la differenza che la fiducia che in questo caso devo agganciare e nutrire non è altri che la mia.

mercoledì 10 ottobre 2012

Una strana empirica legge di compensazione

Attingo dalla mia esperienza vissuta per soffermarmi su ciò che è accaduto nella mia vita in alcuni periodi. Strana perché mi fa pensare, non riesco a darla per scontata ma sono ancora in fase di riflessione per capire se ha un senso e non soltanto per me. Empirica perché nasce dall'esperienza concreta. Legge perché si ripete con le stesse modalità e non avendo altri vocaboli a disposizione che ne rendessero altrettanto bene l'idea ho scelto di usare tale parola.
Se la vita è come un lungo cammino diciamo che qualche volta può capitare di soffermarsi per un po' e in tale attesa si può trovare il tempo di guardare e misurare in qualche modo tutte le vicende che sono avvenute. Mi immagino pensatore solitario seduto su di una roccia in quota che manda il suo sguardo tutto intorno. Il panorama è più o meno vasto a seconda di quanto cammino si è fatto ma seduti lì si ha modo di valutare meglio le varie distanze coperte nell'andare. Si possono anche vedere particolari che durante il cammino non avevamo visto, è naturale che sia così e sottolinea il fatto che talvolta è necessario soffermarsi per dare un'occhiata indietro, per riassumere ciò che ci appartiene fin lì dove siamo arrivati. Ad un osservatore che ama la sintesi non sfuggirà la semplice natura di fondo delle cose, quella fatta dall'avere e dal mancare, dal dare e dal ricevere, dal positivo e dal negativo, oggettivamente parlando, al di là del proprio parere. In tutta questa amalgama l'equilibrio ha la sua ragione d'essere attraverso quella che io chiamo legge di compensazione, che si manifesta con più o meno uguali quantità di avere e mancare, applicabili ad ogni cosa che possa venire in mente e a tutto ciò che la realtà provvede a mostrare anche senza il nostro consenso. Seduta sulla mia roccia guardo attentamente rovistando nel vissuto e mio malgrado devo constatare che accadimenti positivi sono stati accompagnati da accadimenti meno piacevoli da vivere. La mia legge di compensazione per ristabilire l'equilibrio. Ricordo momenti brevi di distensione gioiosa legati a notizie o cose accadute positive seguiti da sciabolate del destino, passatemi l'espressione, che hanno ridimensionato tale stato d'animo ricco di entusiasmo. Il reiterarsi di tale strana modalità, all'inizio non mi ha dato fastidio, mi ha insegnato a prendere la vita come viene non giudicando le cose come frutto di colpe o punizioni divine nelle quali non credo, vedevo la vita come scuola e percorso. In seguito, forse per la fatica di affrontare alcuni passaggi, mi son trovata guardinga cercando di fiutare l'aria come un segugio ogni volta che mi capitava qualcosa di buono, cercavo di riconoscere l'odore del prossimo colpo. Mi sono ritrovata a metterlo costantemente in conto pur desiderando vivamente di sbagliarmi e di venire contraddetta dagli eventi successivi. La legge di compensazione si è sempre presentata, più o meno puntuale all'appuntamento.
Quando la vita propone delle sfumature così e sei abbastanza sveglio da notarle ma soprattutto ti girano interiormente perché non lo trovi giusto, l'anima ribelle, anche se ce la mette tutta per mostrare il coraggio per combattere e prenderla con filosofia senza sentirsi vittima, vacilla sotto la spinta della paura di ciò che ha imparato ad aspettarsi. Diventa una specie di riflesso condizionato che ti impedisce di goderti la felicità che incontri. Mia storia recente l'ennesimo ripetersi di questa coppia di buono e cattivo sul percorso. Il mio attuale buono è solo una promessa che non ha ancora concretezze ma sa di positivo mentre il cattivo è una concretezza da considerare, possibilmente senza spaventarsi. Sono in equilibrio e devo operare su me stessa il suo mantenimento per capi stabili legati a pensieri positivi e serenità da ricercare costantemente  dentro di me, in modo autonomo, poiché non si può sempre contare sugli altri. Gli altri dànno ciò che possono e non possiamo pretendere che sia diverso, la serenità sta nell'accettare quello che si riceve comprendendo che ciascuno ci ha dato ciò che ci poteva dare.
Entro questa compensazione c'è ancora la vita che dobbiamo vivere con il monito e l'insegnamento di non lasciarsi andare né al polo positivo né a quello negativo, giacché l'equilibrio rammenta che sta in mezzo ai due estremi in ogni caso. Oggi, dunque, anche se vedo che luce e buio camminano ancora insieme cerco di rimanere stabile e di sorridere anche quando mi verrebbe da piangere. Non avevo torto, all'inizio, quando vedevo che tutto è solo un percorso, il segreto per proseguirlo è non soffermarsi a giudicare come si presenta, ma solo andare con passo calmo, cuore puro e sguardo sereno, tutto ciò che deriva dall'avere fiducia, non propriamente fede.