giovedì 30 giugno 2011

Nel silenzio della notte

La forza del giorno è nel suo movimento. Con il sole ogni azione quotidiana acquista vigore, è naturale e giusto che sia così. Poi c'è la notte, con il suo silenzio, la notte naturale, non quella artificiale che violenta la sua pace con luci artificiali. Quando il sole brilla altrove e in questo emisfero scende la lentezza che dona riposo. In questo profumo notturno, scuro, il corpo adegua lo scorrere del sangue al passo più lento che ripara gli strappi dovuti agli sforzi vissuti durante il giorno. Se non soffrite di insonnia, ma neppure siete troppo stanchi da crollare dal sonno, potete ascoltare la notte e ciò che ha da offrire. Questa volta mi manterrò al di qua della metafora il più possibile per lasciare alla sola manifestazione naturale tutta la "parola". Infatti, la metafora, vorrebbe vedere nella notte un sinonimo tridimensionale del buio dell'anima, di un cammino difficile perché nell'oscurità procedere è difficile, mentre la notte, semplicemente, è un brano del giorno che permette di ritrovare la pace, secondo me. La notte è obbligatoria, esiste in dotazione su questo pianeta, fa parte della vita. Se la rifuggi stordendoti di luci innaturali e spilli alcolici, credendo che questo contenga la porzione di ralax necessario alle regolari funzioni del corpo, ti sbagli, la biologia insegna la necessità dell'alternarsi veglia/sonno. Gli occhi hanno voglia di buio per raccontare al fisico che è arrivato il tempo per lasciare la tensione dell'azione e l'ansia da prestazione in disparte per un po', per ricaricarsi. Quando è notte fonda e tutto il resto del mondo tace e sei sveglio e in armonia con questo essere svegli (è necessario questo requisito poiché cercare di dormire e girarsi e rigirarsi nel letto crea tensione doppia) puoi espanderti senza limiti. Come un gioco che si potrebbe fare da bambini, basta immaginare di avere occhi e mani grandi quanto un palazzo intero o come una piazza, o come un parcheggio, o come un paese, una città, una regione, uno stato, fino ad essere estesi come la circonferenza del pianeta che viaggia nello spazio e sempre vede, dalla parte della notte, miliardi di stelle. Così facevo da bambina, e qualche volta ancora adesso, quando mi sentivo addosso il peso e la presenza delle mura di una casa piccola o di giorni cuciti troppo stretti. Ma la notte, quando profuma di silenzio, e l'aria stessa cambia, senza più la vibrazione impercettibile dei rumori che il nostro orecchio non distingue, ma che giungono lo stesso a far vibrare il delicato tessuto cerebrale, sprigiona tutto il suo fascino. E' così leggera ed elegante perché riesce ad ospitare il riposo dell'essere umano, avendone cura, anche se egli, forse, non se ne accorge, e sa anche ospitare i suoi sogni. E nessuno sa, come la notte, di quanto bisogno abbia, l'Uomo, dei sogni. Non mi meraviglierei se qualche volta trovassi la Notte intenta a rattoppare qualche sogno umano, così fragile, che si è sciupato, durante i combattimenti giornalieri. La Notte ha un fluido speciale che lenisce le ferite, che sa anche tenere incollati insieme frammenti di sogni, se necessario, e che, con il suo buio perfetto insieme al silenzio profondo, porta in superficie il desiderio di pace. Specialmente quando il tormento che circola sotto pelle non riesce a sboccare da nessun poro e il sole di ogni giorno cerca di ricacciarlo giù, facendolo tacere. La notte allora offre protezione entro il suo ampio mantello di velluto morbidissimo e sottile, ti canta una dolcissima melodia per cercare di farti addormentare perché vorrebbe, con tutto il suo cuore quasi materno, farti sognare o farti rimettere a posto i pezzi di quello che ti porti dietro, siano essi frammenti di sogni o della tua stessa vita. Sto scrivendo, adesso, mentre ascolto la notte che scivola insieme alle mie dita sulla tastiera, fuori tutto tace e c'è il buio che piace a me, quello fatto di silenzio, di aria diversa, di sogni umani affidati alle stelle che, dentro al nostro cuore di bambini, non smettiamo mai di amare. Buona Notte.

lunedì 27 giugno 2011

Mio padre

Un ragazzaccio classe 1936. Che ora non è più qui. Nato il 27 giugno, oggi avrebbe avuto 75 anni, ma non riesco a immaginarmelo vecchio. Si dice che la solitudine in certi casi non faccia bene perché i ricordi potrebbero prendere il sopravvento, potrebbero assalirti come le onde con l'alta marea e tu potresti rischiare di affogare. Potresti non saper distinguere più il mare dalle lacrime, e se in mare l'istinto di sopravvivenza ti farebbe nuotare, in mezzo alle lacrime potresti scegliere di affogare. Non avrei voluto inciampare nel ricordo di quando ero bambina e lui mi accompagnava al maneggio. Non ho saputo fermare le dita dal comporre il nome della scuola di equitazione che frequentavo sulla tastiera del mio mac. Internet non ha colpa per la mia incursione indietro nel tempo. Oggi quel luogo è completamente cambiato, si è ampliato, è moderno e prestigioso. I miei ricordi sono più semplici, pieni di sabbia, odore di cavalli, pazienza di lui che mi aspettava placidamente facendo le parole crociate. Ricordo me stessa concentrata su quello che stavo vivendo, non pensavo a lui, mi curavo solo di crescere scoprendo nuove emozioni. Il mio autista... se guardo indietro e vedo tutte le cose che sono cambiate, mi sembra che il tempo sia incalcolabile eppure è stato brevissimo, impietoso. Mi riprometto sempre di non lasciarmi scivolare troppo all'indietro, ma nella mia natura c'è qualche pennellata nostalgica più del dovuto che mi porta a indugiare nei ricordi. Stranamente, io che cerco di riconoscere la preziosità del presente stando il più possibile in esso, mi commuovo non appena sento muoversi il tempo e mi fermo a fissare la scia che lascia al suo passaggio. Non so se c'è una valida cura per questa patologia, e la solitudine, come dicevo, non aiuta, semmai amplifica i cerchi concentrici che le gocce di ricordi creano, cadendo dal passato nella pozza del presente.
Di lui si potrebbero dire mille cose, buone e cattive, come per i più che hanno camminato su questa Terra. Io l'ho visto da figlia, non l'ho visto bene da pari a pari, quando se n'è andato ero appena adulta e come al solito badavo a riempirmi la mente di parole leggendo, leggendo, leggendo, mentre il tempo passava. Non si passa mai abbastanza tempo con le persone care, si pensa sempre di averne tanto a disposizione, come se la dispensa non dovesse estinguersi. Ma la dispensa si estingue e non te lo manda a dire. Un giorno magari hai una fugace intuizione che il tempo rimanente è davvero poco, ma non ci badi, perché dici, tra te e te: "figurati se è vero che sono capace di sentire certe cose", così continui ignaro, adesso appena un po' più volontariamente, invece che per reale incoscienza, ma fa lo stesso, non te ne curi. Poi arriva il giorno decretato per l'addio definitivo e ti trova impreparato, solo che questo esame non ha un secondo appello. Quindi non sono riuscita a salutarti come avrei voluto, e ogni volta che ci penso metto un punto sulla mia lista personale delle cose che non voglio che si ripetano, se posso evitarle. Combatto, padre mio, ogni giorno per sconfiggere l'ingombrante e goffa presenza di un ego che mi fa badare più a me che al resto del mondo, e tutto ciò che vivo, che imparo e che poi dico, anche qui tra queste righe virtuali, è il frutto della scuola che mi sono imposta per rimediare alle mie mancanze. Qualche volta mi viene facile più di altre, perché in me scorrono il tuo sangue e la tua disciplina, la tua forza e la tua intelligenza fatta del saper imparare anche senza avere insegnanti accanto. Tu, autodidatta di quasi tutto, lettore dalla memoria incredibile, tu che sapevi a memoria i nomi delle strade non solo della tua città, e che io invece cerco sempre di imparare senza grandi risultati, tu che sapevi dipingere in modo strepitoso e mi hai lasciato in dono una mano capace quanto la tua, tu che fumavi e quando ti dicevano che faceva male tu gli rispondevi "di qualcosa si deve pure morire, mica si può essere perfetti!" e sorridevi mentre lo dicevi, con serenità, perché eri fortemente consapevole che "siamo tutti provvisori su questa Terra" così come mi hai insegnato, anche se ciò che ti ha portato via è stato altro. Tu che amavi la fotografia e ti divertivi a scattarci le foto nei momenti meno opportuni, o ti piaceva, come piace a me, scattare istantanee senza far mettere in posa le persone, perché siano naturali, perché i ricordi lo sono, non sono pose del presente, i ricordi sono attimi rubati al flusso ininterrotto di un qualcosa incomprensibile e più grande di noi. Tu che ti alzavi presto la mattina e andavi a fare una passeggiata quando ancora il mondo dormiva, e poi andavi a lavorare e portavi a casa lo stipendio che ha nutrito anche me per tutta la vita. Sono cresciuta bene, padre mio, se da dove sei riesci a vederlo, e forse sono un po' matta come te se qualche volta credo di poterti parlare. Il tempo è stato, posso solo sottolinearlo a parole, perché niente lo modificherà. Tu e le tue battute, tu e i tuoi discorsi lunghi ribattezzati "giuseppiche" quando ricordavi il tempo di guerra e tutta la tua vita. E io ascoltavo a metà, perdonami per questo... Se ti avessi ascoltato totalmente conserverei di te più ricordi. Tu e il tuo tempo di essere protagonista per il gran finale tragico... Tu e i tuoi occhi grigio-azzurri che hanno dato ai miei la luce verde. Tu che non avevi paura di cavalcare la vita né le vite in essa, tu che hai lasciato me con il tuo cognome in una città dove nessun altro lo porta. Mi hai lasciata sola... Eppure va bene così, lo so, anche se oggi cerco di galleggiare alla meglio tra queste onde salate delle quali non riesco a distinguere la provenienza... Non ti preoccupare so nuotare anche se mi lascio andare un po' alla corrente. Tu che sapevi intuire le cose prima che accadessero e avevi buon fiuto per le occasioni, tu che preferivi pane e formaggio a qualsiasi altra cosa se non c'era nulla di pronto da mangiare, tu che, dice la mamma, non sapevi cucinare anche se per un periodo, da giovane, hai vissuto da solo. Tu che sei nato in un luogo dal quale sei andato via come profugo, tu che hai vissuto in montagna per un tempo che ti ha insegnato a camminare e correre in salita o in discesa con agilità. Tu che facevi e dicevi tante cose che io non ho saputo, né forse saprò mai davvero, a meno che non mi faccia aiutare dalla memoria delle mamma. Tu, strano ragazzaccio ribelle e controcorrente, operaio e impiegato per amore della famiglia anche se il tuo animo era quello di un artista e sognatore. Ti ringrazio per  aver rinunciato alle tue grandi aspirazioni, per averle trasformate e ridimensionate con amore e saggezza per me e per la mamma, rimanendo artista e sognatore nel tuo studio in cantina, in compagnia della radio, dei tuoi attrezzi, dei tuoi pennelli e matite. Tre colpi battuti sul pavimento ti chiamavano su per pranzo o cena o per rispondere al telefono - non c'erano ancora i cellulari- (chissà se ti sarebbero piaciuti i cellulari, a te che lavoravi nella telefonia... non ci giurerei, dato che tu preferivi parlare faccia a faccia e poco volentieri tramite cornetta telefonica) e laggiù tu creavi modelli di navi, con legni sottilissimi e pregiati, o intagliavi il legno con la maestria di un ricamatore, non di un intagliatore. Tu autodidatta preciso fino a spaccare il millimetro hai lasciato progetti nelle scatole che sono ancora lì... E non sai quanto vorrei avere un po' di pace in più dentro, un po' di tempo senza pensieri, un po' di spazio senza pensieri, per imparare a calcare le tue orme da intagliatore. Chissà se un giorno mi riuscirà. E' una promessa...

foto di R.B.Between
           






                                   




                                  Mio padre
                   Pola, 27 giugno 1936 - Firenze, 27 marzo 2000

foto di R.B.Between

Depeche Mode - Precious

domenica 26 giugno 2011

Tornare sui propri passi 2

Il giorno che ho scritto il post "Tornare sui propri passi" stavo pensando al giudizio che viene dato a coloro che scelgono di tornare sui propri passi, e a ciò che pensano di loro stessi quelli che compiono tale movimento, ponendo l'accento sulla versione che vede protagonisti i casi nei quali, tirando le debite somme, è meglio riuscire a tornare sui propri passi piuttosto che no. Non consideravo casi nei quali è invece saggio andare avanti con decisione e senza debolezze, ma questo è ancora un'altra cosa sulla quale discutere. Tutto, comunque, era solo uno dei tanti possibili punti di vista. Al di là della mia precedente osservazione mi trovo oggi a cercare di guardare questo atto con gli occhi di chi, vicino a qualcuno che ha preso una decisione che allontana, vorrebbe che la persona in questione ci ripensasse. Non conosco la persona che vorrebbe che la sua lei tornasse sui propri passi né perché, non so nessuno dei motivi che hanno spinto lui a cercare di sapere se in verità è possibile che lei possa scegliere di tornare sui suoi passi. Nè so se è lei che chiede questo a chiunque le possa rispondere per fare chiarezza in sé. Questo però mi ha toccato dentro, mi ha fatto scivolare via dalle dita tutte le mie elucubrazioni tanto da rendermi le mani vuote e in cerca di una nuova comprensione della cosa. Quindi se fosse il caso di una coppia direi questo: se due sono le persone coinvolte e soltanto una cambia il passo è inevitabile che uno dei due soffra più dell'altro. Chi dei due non lo so, se chi resta e si interroga sul perché è andata così o se chi se ne va con la sua scelta nel bagaglio. Se chi resta è fermo la distanza aumenta tra i due che prima camminavano insieme, e chi va procede. Chi resta fermo ha talvolta i piedi intrappolati nel dolore per il distacco e non riesce a muoversi e allora grida a chi è andato più in là, lo chiama, vorrebbe con tutto se stesso che l'altro si voltasse e potesse tornare indietro, per cancellare la distanza apparentemente infinita che li ha separati. Per ogni mossa c'è un perché come su di una scacchiera. Ciascuno nutre i suoi perché ma non è detto che tutte le risposte siano soddisfacenti. Restano poco più che parole per spiegarsi e chiarirsi, il resto lo fa il tempo che scorrendo tramuta lentamente i pensieri e le coscienze, facendo maturare. Se invece fosse il caso di una persona in cerca di se stessa tra le righe di parole nell'immenso mare del web direi questo: sconosciuta anima passata di qua, se desiderassi la risposta che non riesci a mettere insieme, avendo cercato un po' ovunque intorno a te, non ti arrendere innanzi tutto. Se il tuo cuore ti suggerisce il passo che volge indietro per uno qualsiasi dei tuoi mille motivi, ascoltalo. Il cuore custodisce buona parte della saggezza che abbiamo in dotazione e ci nascono semi di equilibrio che non fanno pentire di averli piantati nella terra con fiducia. Se ti domandi se puoi tornare indietro sui tuoi passi perché hai cambiato idea non aver paura a farlo, torna e basta. Anche se talvolta tornare implica cospargersi il capo di cenere per chiedere perdono, e non so se questo è il tuo caso, non ti preoccupare, vai e basta. Se hai commesso un errore cerca in te la forza per riparare e accetta l'altrui volontà che potrebbe non permetterti di essere perdonata, o accettata di nuovo con il peso delle tue scelte da portare. Potresti trovare la porta chiusa e quindi, anche se sei riuscita a tornare indietro sui tuoi passi, se hai cambiato idea perché hai capito qualcosa in più, potresti adesso dover imparare a convivere con la conseguenza della tua prima mossa. Se sei leale e sincera con te stessa non avrai comunque reso vano il tuo tornare indietro. Credilo possibile a rendilo possibile se ci credi. Specialmente in amore.

Tatuaggio

Ogni segno indelebile su di noi è in qualche modo un tatuaggio. Come per molte cose, certi segni scegliamo noi stessi di metterli o lasciarli sulla nostra pelle e altre volte, anche se non li vorremmo, restano lì. Un tatuaggio è fatto di inchiostro, nero nella maggior parte dei casi, come a sottolineare questa caratteristica di permanere e segnare. Un tatuaggio distingue gli uni dagli altri, se tutti si sentissero appiattiti  da somiglianze troppo paradossalmente uguali, così non contano volti anonimi e nomi comuni, contano i segni che abbiamo scelto di incidere su di noi. E la distinzione nasce dalla scelta, perché la vita si dice che non la puoi scegliere, la devi prendere così com'è. Dunque, se rimani inglobato in una forma di pensiero, che ti toglie potere decisionale sulle cose che hai intorno e ti senti privato della tua libertà di autodeterminarti, gridi la tua libertà di scegliere segnando te stesso, anche con un tatuaggio. Ma tutto questo è vero solo nella parte in cui riesci a riconoscerti, se il modello che il segno rappresenta ti soddisfa pienamente, altrimenti sono solo parole e speculazione con esse, in un giorno più malinconico di altri. Una volta ho chiesto ad un amico tatuato perché si fosse fatto tatuare, lui mi rispose che l'aveva fatto principalmente per motivi estetici, poi per segnare eventi importanti, commemorazioni. Quindi ogni segno è come una memoria in più, un valore aggiunto alla manifestazione della propria esistenza. Perché, a meno che poi non cambi idea, un tatuaggio, il tuo segno particolare, rimane per sempre, sempre lì, per  ricordarti quel qualcosa che hai deciso di non dimenticare. E l'hai messa lì, sulla tua pelle, perché sai che un giorno potresti non fidarti più della memoria che hai in dotazione nel corpo, nelle mente. Anche se sono sicura che la memoria del cuore è cosa a se stante e lei non perde mai nemmeno un colpo. Il tuo tatuaggio è il tuo promemoria, regolarmente fatto di inchiostro, come un appunto su di un foglio di carta, ma la differenza è sostanziale, o forse non così tanto... La carta è abbastanza sottile, ve ne sono diversi tipi e grammature, così come la pelle umana, chi ce l'ha sottile e quasi trasparente come una velina, o chi ce l'ha robusta e resistente alle intemperie di qualsiasi tipo. Il foglio di carta lo puoi portare con te finché ti serve, la pelle è sempre con te, fino alla fine della tua strada.  Eppure la pelle ha qualcosa in più mentre si presta a fare da post-it permanente, la pelle è viva perché tu lo sei insieme alla tua volontà di ricordare, anzi di non dimenticare. Se vuoi che il tuo tatuaggio viva con te devi essere vivo anche tu, e ogni segno insegna a non dare per scontate le cose. Ogni scelta insegna la stessa cosa, poiché tu l'hai concepita la sua impronta verrà sempre un po' con te. Una scelta è un tatuaggio all'avanguardia che non ha bisogno di aghi per iniettare la sua traccia. Ma il rischio che qualcosa vada storto se non si usano strumenti pulitissimi è quasi lo stesso. Avete mai provato a compiere una scelta importante senza esserne convinti pressoché totalmente? Meglio dunque attendere di aver ripulito gli strumenti del pensiero che operano insieme al Primario del Reparto della Volontà. Vi confesso una cosa, non so bene nemmeno io perché in qualsiasi cosa debba gettare radici profonde, perché ho una voglia incredibile di vedere oltre ogni barriera, perché voglio cercare un motivo che non sia banale e che spieghi le cose dando un significato a tutto, come fossi l'ago che inietta sotto pelle l'inchiostro destinato a permanere. Forse davvero un tatuaggio è solo un tatuaggio, bello da vedere, da mostrare, e non una speculazione filosofica che mi rende pesante e vischiosa nella dissertazione. Ma non sono convinta di questo. Mi resta sempre il pensiero che tutti da qualche parte nascondiamo tesori incredibili e non mi arrendo a capire perché debbano rimanere lì, talvolta nascosti anche a se stessi. Se conosci il tuo tesoro, com'è fatto e quanto vale, e sai che chi ti sta vicino non lo comprenderebbe, allora va bene, mi trovate d'accordo sul mantenere segreta la mappa che porta fin là, ma se non fosse così attingere da quel tesoro arricchisce e moltiplica la ricchezza del quotidiano. La mappa è tatuata insieme alle tracce del cuore che pulsa, non è difficile seguirla.
Il mio tatuaggio ha l'inchiostro trasparente, forse perché la mia pelle incredibilmente sottile non sopporterebbe un segno nero, eppure la sua essenza in certi momenti assume quel colore. Qualcuno chiama questi tipi di tatuaggi cicatrici.

sabato 25 giugno 2011

Lucas Del Camper

Un incontro in un locale per una festa di compleanno non basta per conoscere qualcuno, e nemmeno le parole che raccontano una persona sono sufficienti per questo scopo. Sarebbe necessaria la frequentazione per arrivare a capire chi è la persona che hai incontrato. Eppure, qualche volta, la vita concede di saltare le solite modalità di lettura dell'altrui esistenza, dell'altrui essenza. La mia personale conoscenza di Lucas Del Camper discende dalle sue stesse parole affidate alla carta, incise in essa, tra le pagine del libro che lui stesso ha pubblicato. Luca è un guerriero che manda avanti i suoi passi nonostante tutto, sempre con lo sguardo a livello dell'orizzonte, perché così facendo può vedere tutto, in alto, in basso, a destra e a sinistra con la visione periferica dei suoi occhi colmi della forza del suo animo. Non mi è mai sembrato che guardasse indietro se non per fugaci momenti, giusto per il tempo necessario ad equilibrare il tutto poiché l'andare avanti ha bisogno ogni tanto di ricordare ciò che è stato. Luca, se piange, non lo fa lasciando cadere le lacrime addosso ai suoi abiti o su se stesso, manda le lacrime fuori, gli mette ali speciali perché anche loro abbiano un significato dal momento che sono scivolate via dalla sua anima. Luca ha viaggiato non solo sulla superficie del pianeta, ha lasciato tracce anche nel mondo di dentro che pochi accettano di esplorare. Lui sa scalare le rocce di ciò che nascondono le debolezze umane a mani nude senza ferirsi, e non ha avuto timore di sporcarsi scendendo in profondità in grotte e cunicoli maleodoranti abbandonati dalle solite coscienze superficiali. Lui ha occhi vivi e brillanti che scrutano senza pietà ma con l'eleganza del passo di un felino né affamato né sazio. Lucas Del Camper è una vita tra tante vite ma è se stesso senza timore né ipocrisie. Ascoltate.

CENTO NOTTI DI PLASTICA TRASPARENTE
Per ogni parola scritta
almeno mille mi sono sfuggite via
scivolate tra le dita ed i pensieri
perse tra i fogli
nelle lunghe notti di solitudine
lontano da tutti
e tutti lontano da me
ed io
avrei solo voluto saper scrivere meglio
saper vivere meglio
saper capire meglio
me stesso per primo
ma anche i silenzi
e adesso che comprendo tutto

 mi sento perso

in un tempo
che non afferro più
in un mondo in affitto
che non mi appartiene
e forse per la prima volta

mi sento solo

in mezzo a migliaia di persone
che non scambiano niente con me
nessuna parola
nessuna emozione
nessuna consolazione
nessun abbraccio
niente calore o lacrime
o pugni o sputi
o amore o vita
o rabbia o gocce
ma solo placida
mortale
indifferenza
ed io mi sento trasparente
come cento notti di plastica

invisibile come l'ombra avvolta di luce
impalpabile come l'odore dei tulipani appena recisi
inadatto come un sogno dietro le sbarre di un motel ad ore
insofferente come lo sono i girasoli con l'oscurità
insolente come un ubriaco molesto sbattuto fuori da un bar
irrecuperabile come il relitto di un biplano sul fondo dell'oceano
ma

irripetibile


e adesso che comprendo le cose
 vedo il mio piccolo universo
che scompare
pezzo dopo pezzo
e a me tocca guardare

sanguinare

e sopravvivere

ancora un po'.
Lucas Del Camper
"Fogli Sporchi"


Quando conosci la solitudine vera, quella fatta di isolamento perché la vita ti ha offerto sul suo piatto da portata l'esperienza del vuoto intorno, magari per metterti alla prova, per vedere se hai gli attributi per riempire questo vuoto in qualche modo, se sai trasformarti in un estroso osservatore e interprete del tuo stesso dramma, puoi mostrare al mondo la bellezza del tuo fiore. I suoi petali multicolore proteggono il centro dove tutto viene archiviato come nella memoria del mondo, come la tua, che attinge ad essa, e rimanda onde che hanno imparato a conoscere pieni e vuoti, e li hanno montati per donare al resto degli spettatori un assaggio della fonte che ha nutrito la pianta che ha fatto sbocciare il fiore. E questo sei tu, in mezzo alle tue parole, appeso ai rami robusti della voglia di non arrendersi. Ascoltate ancora.

L'ARCOBALENO
La magia
di un arcobaleno

non sta
solo
nei colori
ma nel fatto
che per esistere
ha bisogno di nascere
in

due

luoghi

diversi

e

distanti

fra loro.
Lucas Del Camper
"Fogli Sporchi"


SETTE COLORI SULLA FACCIA DELLA MORTE
Non  mi troverà piegato in due
come una vecchia maglia
stropicciata,
tarlata,
ruvida,
e questa sarà
 per Lei la vera sorpresa.

La Morte mi troverà vivo
niente ninna nanna
sulle ginocchia degli Dèi
e per farla impazzire
dopo
mi scomporrò
nei sette colori dell'arcobaleno
e apparirò
irriverente e blasfemo
in gocce di luce
dopo ogni sbornia di temporale
nello scrigno degli gnomi.

Lo sberleffo perfetto
da parte di un Bastardo come me.

Indaco inafferrabile
per la seconda volta.
Lucas Del Camper
"Fogli Sporchi"


LE PAROLE
Le parole hanno il potere.

Le parole hanno causato rivoluzioni,
illuminato o distrutto
la mente di uomini,
provocato guerra
e sancito la pace, 
messo e tolto catene,
hanno danzato su papiri immortali,
hanno scoperchiato i tetti dell'anima,
come cavallette sulla piantagione delle certezze
e insinuato dubbi laceranti sugli ignoti enigmi.

Le parole,
piccoli insignificanti segni
 che compongono il nulla o l'assoluto
cattedrali imperfette del pensiero umano
ponti a campata unica di eterna meraviglia,
carnefici di vite spezzate
dalla bramosia e dalla superbia, 
vittime di stupro da parte di recipienti umani vuoti.

Le parole hanno il potere.

Non si riesce ad ingabbiarle,
se non per poco tempo,
perché scivolano fuori.
Comunque.
Riempiono il cuore o lo lacerano per sempre,
aprono porte chiuse e squassano torri,
ti avvolgono e ti stringono come un amante,
ti lasciano solo in mezzo alla battaglia.

E tutte le volte che questo prodigio si compie
i piccioni non smettono neppure per un attimo
di imbrattare di escrementi le statue dei guerrieri.
Lucas Del Camper
"Fogli Sporchi"

SONO UN FOTTUTO EGOISTA
Io parlo di me, di quello che ho visto e vissuto
e non pretendo comprensione, o pacche sulla spalla.
Scrivo per me.
Sono un fottuto egoista.
Prendete ciò che vi piace e buttate tutto il resto,
non cercate significati che non ho voluto dare
che siate d'accordo o no con quello che avete letto
io rimarrò comunque lo stesso.
E probabilmente anche voi.

Ma se qualche parola vi farà sbandare per un attimo
vorrà dire che anche in voi alberga un po' di sano squilibrio.

E allora cosa state aspettando?
Uscite anche voi per strada e prendete a pugni la vita,
abbracciatela e fateci l'amore insieme,
ubriacatela e vomitateci sopra,
consolatela e fatela ridere,
attraversatela,
non fatevela scivolare addosso,
prendetela per la mano e stringetela forte
fino a farla sanguinare,
fino a farla gridare,
fino a farla impazzire, 
fino a farla finire,
prima
che sia lei
a fare lo stesso
con voi.

I pappagalli e le rane
trepidano nell'attesa
vicino allo stagno dei prodigi.
Lucas Del Camper
"Fogli Sporchi"

DOVE LE STRADE NON HANNO NOME
Domandarsi perché
commettiamo l'errore
di tornare 
a frugare
nei luoghi
che ci hanno dato brividi
strade
città
mari
finestre
stanze
che non potranno essere
più
la stessa cosa
gli attimi irripetibili
sono tali
perché
vivono
e muoiono
del medesimo
martirio
nell'arena
della nostra
esistenza.

Accendo lo stereo
metto un cd degli U2
scelgo la traccia 8:
Where the streets have no name.

Il titolo perfetto
per ricordarsi
di dimenticare.
Lucas Del Camper
"Fogli Sporchi"






venerdì 24 giugno 2011

Watermark...Enya

Adattarsi come l'acqua

Quale migliore elemento naturale riesce a suggerire il concetto di adattamento? L'acqua è fluida  a temperatura ambiente. H2O la sua formula che comprende due atomi di idrogeno e uno di ossigeno per ogni molecola. Tra di loro le molecole di acqua sono legate le une alle altre da un tipo di legame che viene detto "ponte idrogeno", un'interazione elettrostatica. Quando l'acqua è allo stato liquido le molecole così legate scorrono le une sulle altre e noi possiamo osservare la sua fluidità caratteristica. Quando passa allo stato solido, divenendo ghiaccio, la struttura è mantenuta grazie a questi particolari legami che organizzano nello spazio le molecole di H2O.

Acqua che sgorga da una sorgente tra le fenditure di una roccia in alta quota, o che zampilla silenziosa da una polla sorgiva in mezzo ad un prato, acqua che nasce illusoriamente secondo il nostro punto di osservazione ma che in realtà non ha mai smesso di scorrere e riciclare se stessa nei millenni. Lei scorre dovunque sia possibile farlo in modo consistente oppure invisibilmente. Mare, lago, fiume, ruscello, rivolo, goccia di pioggia che scende e si rimescola, protagonista di ogni lacrima umana, accompagnatrice del sangue in veste di plasma, turgore di cellule, essenza vitale, e poi ancora vapore che si solleva e si addensa e forma nubi, che formano pioggia che fanno bere la terra e gli esseri viventi, che la immagazzinano in loro per altre funzioni vitali e altre lacrime umane. L'acqua non ha bisogno di uno spazio determinato dalla geometria regolare, ogni curva vale ogni spigolo, purché ci sia, perché l'acqua non perdona se si accumula senza poter fluire. Una sola molecola non spaventa nessuno ma miliardi insieme danno vita al mostro la cui potenza distruttiva è enorme. L'acqua permette lo scorrimento perché essa stessa sa scorrere. L'Uomo invece qualche volta si inceppa e smette di scorrere, le cause possono essere molteplici. Un Uomo che non scorre più potrebbe essere soltanto invecchiato oppure potrebbe aver pensato che è più saggio fermarsi per un po' a riflettere. Ma se l'Uomo decide di tornare a studiare presso la scuola della Natura, che non salti mai la lezione della professoressa Acqua, mi raccomando. Lei racconta storie incredibili per riattivare la capacità perduta di essere fluidi a sufficienza per adattarsi a ciò che c'è d'intorno. Lei raccomanda di tenere cari i momenti nei quali si hanno dei contrattempi, giusto come base di allenamento per adattamenti più importanti, invece di imprecare (se fosse questo il vostro caso) perché così potrete vedere bene parte del fondo di voi stessi. Se lì ci trovate sbuffi e noia o rabbia lei raccomanda di pulire questi componenti sciogliendoli con la pazienza anche se si dovessero rivelare poco solubili. La pazienza è composta da un'alta percentuale di fluidità che ha imparato dall'acqua quando essa scorre placida per secoli in alvei immensi o quando risiede nel mare, levigando rocce che arrivano a dimenticare tutti gli spigoli taglienti che le componevano. Se oggi non va come avete voluto siate lievi ed eleganti come un fiocco di neve, e riarrangiate i vostri piani come se quello che state per fare fosse ciò che avevate in mente fin dall'inizio. Il presente ve lo concede, se attingete dal pozzo della saggezza con il secchio magico la fluidità per non cedere alla rabbia per contrarietà. In fondo è solo l'abitudine dell'ego ad esser sempre più o meno soddisfatto quello che fa sbraitare, non credo siate veramente voi. Il cuore per esempio non si lascia mai abbattere dalla contrarietà, né vive i contrattempi in malo modo perché semplicemente ama, ed è questo il suo segreto adattamento in seno alla fluidità. Quindi la lezione della professoressa Acqua non richiede plichi consistenti di scartoffie da leggere, serve solo osservare, ascoltare, e lasciare che la sintonia con lei faccia il resto.

Comprendersi

Credo che comprendersi sia una delle attività umane più difficili da svolgere. Servono applicazione costante, predisposizione e buona volontà. Non è solo ascolto dell'altro. La comprensione coinvolge anche, secondo me, qualcos'altro, che spesso sfugge all'individuazione. Se ascolti soltanto e lasci che le parole ricevute si fermino nella testa capisci il linguaggio, lo elabori perché anche tu lo conosci, e se ti è stata fatta una domanda rispondi, a meno che la domanda non coinvolga sfere di sentimenti profondi. In questo caso dobbiamo scegliere se farli parlare o se farli tacere. Ma la vera comprensione è una sinergia tra le capacità che abbiamo di capire avendo ascoltato e di aver capito le parti silenziose di noi che sanno ugualmente esprimersi ma non a parole. Comprendersi è come avere a disposizione filamenti coscienti che conoscono e ricordano ciò che c'è nel proprio profondo e si illuminano nel momento in cui si incontrano con i filamenti, binari di informazioni dette e non dette, dell'altro interlocutore. Comprendersi è una sorta di abbraccio invisibile tra consapevolezze custodite in ciascuna delle persone coinvolte nel dialogo. E' di più che soltanto ascoltarsi interpretando il linguaggio vocale, pur ricco di significati. Comprendersi va anche oltre il tempo, perché potresti riflettere sull'argomento o le ragioni esposte dall'altra persona portando con te questa riflessione. La riflessione genera pensiero che come un sacco raccoglie e accumula la predisposizione alla comprensione. Se lo si vuole, naturalmente. Nulla accade nell'ambito della comprensione se non c'è almeno un'alta percentuale di volontà all'ascolto o alla comprensione stessa. Si dice infatti che "non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire". Volontà. Solo volontà. Eppure la comprensione in virtù di se stessa comprende, accoglie, permette chiarimenti come schiarimenti nel cielo nuvoloso che vede diradarsi le nubi per far intravedere il cielo azzurro al di là di esse. Comprendersi vale in ogni senso lo si voglia interpretare, vale per se stessi e per due o più di due. Comprendere è non fermarsi alla superficie, è non accontentarsi di usare le cime della catena montuosa per pensare di ricostruirla nei minimi dettagli dando per scontati alcuni particolari anfratti.
Quando si dice di aver compreso un concetto, se ponete orecchio, riuscirete a sentire che esso è andato giù, ben dentro, come un seme che sta nella terra in attesa del momento di germogliare. Se si è compreso davvero la sensazione è un leggero cambiamento interiore, come se dei pezzi dai margini irregolari si fossero sistemati in modo da combaciare gli uni con gli altri, mentre prima non era così. La comprensione altrui, come quella di se stessi, è la stessa cosa; forse c'è un sapore in più, di fondo, che accompagna l'atto del comprendersi, è l'espandersi quanto basta, in modo naturale senza forzature, per immedesimarsi nel punto di vista da analizzare. Ma senza dolcezza la comprensione si restringe, così come accade se non si è disposti al perdono. Nel viaggio della comprensione, se manca nel bagaglio a mano qualche dose di perdono, si accentuano le barriere che pensiamo di non essere disposti ad oltrepassare. La comprensione è un movimento lento d'espansione che aggancia ogni luminosità possibile che desidera manifestarsi così com'è, senza finzioni, per essere condivisa. Ognuno può, in qualsiasi istante, mettere anche un solo piede su questa strada, giusto per sperimentare com'è, cosa si prova a stare bene con se stessi, perché la comprensione è anche questo. Dove c'è una schiarita nel cielo c'è più luminosità a disposizione per vedere meglio o bene qualcosa di importante. Mai dovrebbe mancare la voglia di ricercare la comprensione, in primis per se stessi, per essere puliti e leali tanto da proporsi agli altri con la forza di questa sincerità acquisita. R.B.Between

giovedì 23 giugno 2011

Quando un uomo ama

Io sono una donna per cui non saprò mai bene fino in fondo cosa prova un uomo che ama. Posso soltanto allungarmi con la mia immaginazione fin nei pressi del suo cuore, tendere l'orecchio e ascoltare. Oppure posso osservare e leggere le sue parole specialmente se questi è un poeta o uno scrittore. Mi ha sempre affascinato la forza del sentimento di un uomo, laddove il contrasto tra la mascolinità e la dolcezza crea un punto del tutto particolare. Per una donna è quasi scontata la dolcezza poiché ci si aspetta dal suo essere questa capacità. Da un uomo no. Da un uomo ci si aspetta che sia forte e che sappia sostenere tra le sue braccia la persona che ha scelto di amare. Ci si aspetta che incarni sempre al meglio tutte le sue qualità maschili di vigore, che non mostri i suoi sentimenti con tono cedevole, che si sappia sostenere da solo. Stereotipi. Soltanto stereotipi, così come sono quelli per i quali ci si aspetta che una donna sia più debole, o sentimentale, o bisognosa di cure e delicatezza. Ho osservato spesso uomini e donne alle prese con il loro essere se stessi talvolta interpretando i ruoli assegnati loro dall'immaginario comune, talvolta volendo uscire da questi ruoli per poter volare con le ali ricevute in dono dalla vita. Posso dire che certe donne nascondono anime d'acciaio in corpi minuti e apparentemente delicati, certe altre sanno essere spietate ben più di quello che ci si potrebbe immaginare far parte dell'uomo più crudele forte del suo potere fisico, e uomini alti e possenti gestire cuori pronti al sacrificio di se stessi per l'alto grado di altruismo che contengono, e uomini che se amano lo fanno per il resto dei loro giorni sempre conservando nello sguardo la luce che esce direttamente dal loro cuore. Ho sempre pensato che ogni essere umano fosse un caso assolutamente a se stante perché credo che ciascuno sia una sfumatura preziosa della conoscenza globale e, per questo, necessariamente differente dall'uno all'altro. Non importa che ci siano milioni di persone che hanno lo stesso nome o cognome, fa fede la luce specifica del cuore di ciascuno, per me. Questo è ciò che credo ci renda unici e bellissimi per come siamo, per le potenzialità che nascondiamo, anche tra cumuli altissimi di difetti e mancanze di conoscenze. Tutti non possiamo sapere tutto.
Eppure un uomo che ama è sempre uno splendore, osservarlo mi insegna ad addolcire quella parte di me troppo "da combattente". Prendo ad esempio un uomo che ama per la sua estrema dolcezza, che non lo rende un debole, no, semmai è vero il contrario, lo rende forte della capacità di espandersi anche dove solitamente non ci si aspetta che vada. Ecco perché è una sorpresa vedere un uomo che ama, seppure dall'alba dei tempi egli sia in grado di essere così. Un uomo che ti mostra il suo cuore nudo, o nudo lui stesso nella sua anima, che non vuole nasconderti nulla perché sei riuscita a scalare le sue montagne più impervie e ti accetta, e si accetta nel ruolo di innamorato, è un dono prezioso per ogni donna.
Oggi ho letto una poesia scritta da un uomo che molto ha vissuto e con le sue parole sa trasporre sulla carta le emozioni in modo da comunicare vividamente tutto il suo trascorso. Avere a fianco un uomo che ti sa dire, in qualche modo, ciò che c'è dentro il suo cuore è speciale perché, quando passerà il tempo e qualcosa inevitabilmente cambierà, ci saranno ancora quelle parole che avranno fissato l'attimo imbevendolo del sentimento con la sua specifica pulsazione. A mia volta ho scritto questa specie di pensiero poetico:

Essere riamati,
con le parole che mescolano nel profondo
tutti i suoi colori,
il giusto impasto,
la fluidità
perché non si secchino
una volta giunte in superficie,
quando vengono poste lì
sulla tela immacolata dell'attesa.
Dolcezza insperata
accorgersi
che qualcuno pensando a te
tesse fili invisibili
con le scintille
del suo cuore
e ti dona il suo manufatto
unico e meraviglioso.
Rita Buccini Between


Poi penso che non tutti gli uomini che amano sanno o possono essere poeti, ma ciò che conservano nel loro cuore è un calore che scioglierebbe anche una roccia. Potrebbero, questi uomini che amano, non avere carta e penna a disposizione ma solo le loro mani e il loro amore. Allora spero che questi uomini non si vergognino di essere semplicemente loro stessi e tendano la loro mano e la posino su quella dell'amata. Non importano ricchezze terrene di alcun tipo in questo caso, viaggiate leggeri, solo con l'amore che vi ricopre e vi tiene al caldo e protetti. Un abbraccio è più che sufficiente come sostituto universale di qualsiasi parola. Siete uomini che amano, questo è il vostro più grande potere, perché sgorga dal centro di voi. Con amore. R.B.Between

"Il peso del mondo"

Metafora per cercare di raccogliere nello stesso punto tante cose, tanti sentimenti innescati da altrettanti avvenimenti o situazioni, o soltanto nati dalla voglia di ribellarsi e dire ciò che ti passa per la testa, e giù oltre, ma non ti è concesso farlo. E quando lo senti, tutto questo peso, come se ogni cellula se ne facesse carico, cercando di distribuire quel che sembra quasi importabile, sei inconsciamente pronto a cedere un po' di quel peso a qualcuno che si trova accanto a te. Eppure ti trattieni, perché anche se la Fortuna ti ha messo vicino qualcuno, di questo qualcuno non conosci le reali forze, né se ha la capacità per sopportare parte del peso e poi, in fondo, sai che non vuoi gravare su nessuno. Qualche volta però devi ammettere che se c'è qualcuno accanto a te, anche se stai portando da solo quello che concepisci come peso del mondo, ti senti più forte, più capace, alleggerito, nonostante il tuo non voler gravare, pendere o spostare il tuo baricentro verso l'altro. Questo può la magia dell'essere insieme.

mercoledì 22 giugno 2011

Spiccare il volo

Oggi ho fatto un particolarissimo incontro con una giovane vita in difficoltà. Un piccolo di rondine, un nidiaceo, caduto dal nido mentre stava imparando a volare. E' caduto nel mio giardino, la stanchezza o forse la voglia di volare prima del tempo lo hanno portato da me. O meglio io ero lì ed ho potuto vederlo e soccorrerlo. Mi sono documentata su cosa fare in questi casi nel sito web della LIPU. Per questa sera rimarrà in una scatola sul terrazzo, fa abbastanza caldo e starà protetto. Prima di ciò però ha tentato ancora di volare, dopo che gli ho dato da mangiare. Ci siamo guardati negli occhi, anche se non ho assolutamente idea di cosa veda una rondine guardando un essere umano, e ho visto una specie di integrità e fierezza tipici di un essere vivente che è pienamente se stesso e desidera continuare il suo percorso. E' pur vero che, per un attimo, mentre usava la mia mano come trampolino di lancio, si è voltato verso di me e, se fosse stato un essere umano, avrei giurato che mi stesse chiedendo di non farlo cadere mentre provava a volare. Con le zampe si teneva saldamente alle mie dita e aspettava di avere abbastanza forza per riprovare a spiccare il volo di nuovo. E' stata un'emozione, ed un onore, assistere ai suoi tentativi per librarsi in aria e iniziare a vivere autonomamente. Ogni volta che cadeva, anche se non so se ho fatto bene, l'ho raccolto e gli ho permesso di riprovare. Per oggi però si vede che non era tempo di volare, quindi solo tempo di riposare fino alle luci di domani. Se lasciassi che tutto questo fosse solo un evento senza significato avrei rinunciato ad imparare una cosa in più, rinuncerei all'incontro con una consapevolezza. Osservare i tentativi di volo di un essere per il quale il volo è la vita, e constatare che anch'esso si rende conto di dover aspettare domani per riprovare, anche se il suo è istinto e non pensiero cosciente, mi suggerisce di ricordare sempre quanto sia importante fare le cose nel tempo giusto, senza sforzarsi né forzare. Quando è tempo lo si riconosce sempre anche se si crede che non sia così. Si anticipa sempre per paura di essere in ritardo o per immensa voglia, o impazienza. Si ritarda per paura di agire, per pigrizia o per incapacità a darsi un ritmo efficace che tenga conto anche dei tempi altrui. In fondo si ritarda o si è in anticipo solo rispetto a qualcosa, un appuntamento solitamente. Ma i tempi personali di maturazione sono meravigliosamente irriguardosi e si manifestano solo nel loro esatto momento. Questo offre la vita da comprendere.

foto di R.B.Between


foto di R.B.Between

martedì 21 giugno 2011

Paura di soffrire per amore

Ogni volta che si sceglie, e dunque si accetta, di amare rimaniamo esposti alla sofferenza, che poterebbe esserci così come potrebbe non esserci. Camminiamo per il mondo, ci incontriamo, impattiamo gli uni con gli altri, ci sfioriamo, siamo un brulicare di cuori in perenne ricerca di qualcosa. Se ci cerchiamo forse inconsciamente sappiamo che abbiamo bisogno, prima o poi, di una presenza a fianco, diciamo che per la maggior parte delle persone è così. Per qualcuno la ricerca del compagno per la vita è un fluido scorrere del tutto, e la percezione della paura della sofferenza da coinvolgimento emotivo non interferisce con l'accettazione del procedere su quella strada. Si lascia che le cose accadano perché si riconosce che il tempo a nostra disposizione per stare bene è in fondo assai limitato. La vita stessa lo è e se ce ne rendiamo conto potremmo riuscire ad apprezzare meglio il presente. Quando accetti di metterti in gioco negli eventi che la vita ti mette davanti ti esponi, esci dal guscio che normalmente ti protegge e ti mette al riparo da possibili catastrofi. Dire no è una forma di protezione di se stessi. E dire no o dire sì all'amore ha lo stesso grado di difficoltà di decisione. In teoria, saggiamente, dire sì permette lo scorrere della vita, mentre dire no ti trattiene nel luogo conosciuto e ti lascia stare a tu per tu con tutti i residui di paura che nel tempo si sono accumulati nella tana. Prendere posizione vestendosi di no ha ragioni solitamente più profonde di quel che vogliamo credere. Facile scegliere di essere spensierati e single per giustificarsi di volersi godere la vita in libertà. Ma cos'è questa libertà? E' forse non avere orari stabiliti dalla routine quotidiana, o muoversi senza rendere conto a nessuno dei propri spostamenti? Magari mangiare come e quanto si vuole e gestirsi il tempo della giornata limitatamente alla giornata stessa? Gratificarsi ogni minuto? Cos'è questa libertà? Assenza di legami che ti fa credere di poter fare tutto ciò che si vuole in ogni momento? E se si desidera tanto questa forma di libertà, non è forse perché da qualche parte in noi siamo sempre stati obbligati a fare qualcosa nel modo deciso da altri, senza appello alcuno, senza aver mai potuto decidere o scegliere? Se hai passato la vita senza mai esserti messo alla prova nel badare completamente a te stesso ti ritrovi con questo grido silenzioso, profondo e gigantesco che ti fa fuggire dalle costrizioni che credi esistano nella vita di coppia, credendo che un "legame" sia talmente reale fin quasi a pensare che si stia materializzando una fune tra te e l'altra persona. E' solo un pensiero la cui forma condiziona il potere decisionale, e il cuore potrebbe a sua volta gridare come e quanto vuole ma ti trova sordo alle sue argomentazioni. E questa è una possibile causa del dire no in amore per la paura di soffrire nel non vedere riconosciuta la libertà della quale abbiamo vitale bisogno per respirare bene. C'è poi il no in amore che scaturisce dal ricordo di una sofferenza precedente. Il terreno in questo caso è delicatissimo e fragile se i passi che intendono percorrerlo non mostrano capacità di attenzione e cautela. Dico no perché potrebbe ricapitare e sento che non ho la forza di passarci di nuovo. Ti chiudi allora nella tua tana per leccarti le ferite ancora aperte e vivi nell'angoscia che possa capitare ancora e ancora. Hai subito uno shock e la mente ti ripete che mai più, per sopravvivere, dovrai accettare di percorrere quella strada. Il cuore pulsa ancora per la sofferenza e sanguina perché la ferita è profonda. Qualcuno dice che serva solo il tempo per guarire ma io aggiungerei un altro ingrediente, metterei la ricerca della consapevolezza dell'imparare a convivere con le ferite inferte. E' inevitabile il fiume di domande che ci facciamo dopo aver sofferto in amore, il perché è un'eco che non riesce a estinguersi e rimbomba dentro cercando pace, cercando di placare il dolore mentre invece lo alimenta. Sensi di colpa, usi e abusi inappropriati, cattiverie riversate sull'altro per soddisfare il proprio ego, cecità dell'animo umano e insensibilità, bugie, mancanze, errori gravi, sono tutti fendenti affilati che toccano quella parte di noi che dovrebbe al contrario essere mantenuta con il massimo della cura. I colpi, quando siamo coinvolti, vanno a finire inevitabilmente tutti lì, nei pressi del cuore. E si soffre. Tanto. Inneschi le lacrime per provare a sciacquare le ferite e giuri a te stesso di non lasciarti coinvolgere più. La prossima volta pensi che sia il colpo di grazia e che se succede di nuovo il fendente potrebbe anche ucciderti. A ragione scegli il rifugio, nella tua tana se non altro ci sei solo tu, perché per ora ogni stimolazione esterna ti distrae dal provare a riprenderti. Desiderio di conservazione che pesca con le sue radici nella tua stessa voglia di vivere. Se non la sentissi fortemente questa voglia di vivere nemmeno ti preoccuperesti di proteggerti. E tanto più ti proteggi e ti nascondi o gridi no alla seconda occasione quanto più sei radicato nella vita. E una persona tanto radicata nella vita è in realtà più forte di quanto pensa, anche se percepisce di se stessa fragilità. E' proprio qui, in questo punto cruciale del comprendere, che serve prendere una decisione. Se è qui che si riesce a svegliarsi abbastanza da comprendere che la ferita risiede nel passato, e che ce la siamo portata dietro aperta solo perché non ci si dava pace, e si ascoltava la sofferenza costantemente come nel punto di un disco inceppato, allora possiamo muovere un passo verso la trasformazione. Si potrebbe anche assistere alla magia di un no che diventa sì, potrebbe accadere.
In ultimo c'è il dire sì, quando il cuore riesce a comunicare chiaramente il suo essere, e la decisione nasce dalla comprensione che cose belle perdute non tornano più. Che occasioni per essere felici quando il cuore è colmo di amore per qualcuno ce ne sono poche e tutte inesorabilmente transitorie. Ecco perché scegliere di dire sì è anche combattere contro il tempo che pone sempre meno occasioni. Illudersi di essere immortali fa commettere più errori di quel che si vorrebbe e soprattutto non ci permette di apprezzare il presente, né di viverlo. A ciascuno quindi la propria riflessione, la propria scelta in base alle proprie inclinazioni, al momento vissuto, alla propensione verso un no o verso un sì, monosillabi dall'alto potere determinante, pensando comunque che le conseguenze delle scelte compiute, anche se implicano accettazione di responsabilità, sono solo passi sulla strada della vita.

domenica 19 giugno 2011

Crescere

Ho cercato i sinonimi di questa parola che sono: allungarsi, alzarsi, maturare, svilupparsi, progredire e migliorare. Credo che il significato sia abbastanza chiaro anche attraverso i suoi sinonimi. Ma queste sono soltanto definizioni perché nello specifico, nella vita, trovarsi nel periodo del crescere -non della crescita ma del crescere- è vivere un momento complesso. Crescere lo si può fare ad ogni età, perché la reale crescita di un individuo si accompagna allo sviluppo del suo mondo interiore. Il corpo invece cresce e si sviluppa fino ad un certo numero di anni, dopo si mantiene stabile e poi declina, così come insegna la biologia. Ma quello che abbiamo dentro, costruito con pensieri, sensazioni, sentimenti e conoscenza non segue lo stesso iter biologico del corpo. In ogni momento della vita si può decidere di iniziare un nuovo apprendimento purché ne siamo interessati. E' questione di volontà principalmente. Se la memoria e la testa sono abbastanza sveglie allora perché no? 
Crescere dunque è anche saper ampliare l'orizzonte che ci vede protagonisti. Credo che sia innegabile la miglioria apportata dal riuscire a spostare il proprio sguardo da "soltanto se stessi" a "se stessi e il resto del mondo". E' un'aggiunta importante e dipende solo dal punto dove posiamo la nostra attenzione. Ulteriore conferma di progresso personale è sicuramente diventare genitori perché includiamo un nuovo essere vivente nel nostro campo visivo e nel nostro raggio di azioni. Madri e padri consapevoli mettono  il figlio avanti a loro quando pensano alle necessità. Se l'ego concentrato su se stesso riesce a cedere parte della sua attenzione all'altro ne scaturisce una crescita personale, si matura. Si impara a crescere cedendo spazio a chi sta accanto, dando una mano e condividendo tempo e cibo avendo ascoltato il proprio cuore profondo. Questa visuale più ampia di ciò che ci circonda insegna a diventare "adulti" se con questo termine si intendono persone che comprendono i bisogni altrui con la stessa intensità che usano per la comprensione di quelli propri. Crescere è spesso difficile perché tendiamo ad essere arroccati nel proprio ego e se pensiamo che "siamo così", come constatiamo di essere, ed in virtù di questo pensiamo che non c'è possibilità di cambiarsi, di modificarsi per migliorare, comprendendo cose in più, saremo condannati a rimanere dove siamo, smettendo di crescere. Ma questa "condanna" siamo noi stessi a infliggercela credendo di non potersi smuovere dalla posizione presa. Io credo invece che sia sempre possibile mutare qualcosa di noi e che non sia mai troppo tardi per cominciare. In fondo crescere è anche questo, riconoscere che le possibilità ci sono e coglierle per proseguire, limando la paura di commettere possibili errori nel muovere il passo. La vita stessa offre crescita e sviluppo, sta a noi saperla raccogliere al momento opportuno, o quando ci sentiamo pronti, ma non ci sentiremo mai pronti se non lavoriamo su noi stessi.  

venerdì 17 giugno 2011

Paura di sbagliare

Se hai paura di sbagliare non ti muovi più. E' una realtà. Normalmente questa paura non la senti, ma affiora nei momenti nei quali percepisci che la faccenda sta diventando seria, quando senti che c'è in gioco molto di più della solita superficie che solitamente mostri agli altri, o a te stesso. Ti prende un brivido che ti raggela il passo e non solo rallenti e ti fermi al tuo stop imposto, diventi tu stesso lo stop. Eppure ti arrovelli alla ricerca della soluzione perché dici, tra te e te, che non è possibile essere così paurosi nei confronti dell'andare. Come la paura di compiere un passo, la paura di sbagliare ti mette un freno e ti parcheggia in qualche luogo di te. Luogo che adesso sei comunque costretto ad osservare per capire dove ti trovi, per orientarti e, magari, ripartire. La paura di sbagliare ce l'abbiamo in dotazione da sempre, e non ne siamo mai immuni totalmente, nemmeno le persone più coraggiose possono dire di non averne mai provata, anche se forse per loro questa paura si chiama prudenza ed è in questa veste che la paura di sbagliare si potrebbe rendere un po' utile. Comunque sia, fa parte dell'essere umani sbagliare. Come si può pensare di affrontare una vita intera senza mai scivolare da qualche parte? E' pur vero, però, che la paura di sbagliare, quella profonda, nasce con la consapevolezza di quello che stiamo affrontando, o stiamo per affrontare. E più addentro vanno le radici di questa consapevolezza maggiore è la mole di domande che vengono generate dai dubbi sulle proprie capacità. E se sbaglio? Se mi muovo in questo modo e poi sbaglio? Eppure se sapessimo sempre come muoverci nel mondo saremmo perfetti e non servirebbe la vita per dimostrare il nostro valore, o per imparare quello che non si sa, o per scoprire punti di forza o di debolezza che ci compongono. Sbagliare va messo in conto sempre, secondo me, come promemoria per evitare di farlo. Però, se capitasse di sbagliare, di non sentirsi "all'altezza" della situazione che si è venuta a creare, si dovrebbe provare a tamponare la ferita all'animo e all'amor proprio cercando di essere costruttivi, invece che distruttivi nei confronti di se stessi. Se uno dei motivi dell'aver paura di sbagliare pone le sue radici nel sentirsi incapaci, o impotenti, qualcuno potrebbe scegliere di agire a priori fermando se stesso. Se non mi muovo sicuramente non sbaglio. Logico, no? C'è anche chi dice che la paura sia un qualcosa che sprona invece di fermare, credo che tutto dipenda dal carattere di ciascuno. Chi ama le sfide, specialmente con se stesso, troverà stimolante misurarsi con la propria paura e ne farà un punto d'onore riuscire a sconfiggerla o, quantomeno, a piegarla alla propria volontà combattente. Chi invece si blocca lì, soggiogato dalla paura di sbagliare, rischia di rimanere prigioniero delle proprie lacrime. E se il solo motivo di tutta questa paura fosse che semplicemente non sappiamo come fare le cose? Se vi riesce, provate a guardare appena un po' sotto la superficie della paura di sbagliare. Cosa vedete? Io vedo una mancanza di conoscenza sul come si fa. Non molto altro che valga la pena di considerare, seppure questa pietanza un contorno vario lo abbia, costituito da peculiari ingredienti personali a seconda dei casi. Ma, in genere, dico, la vera ragione, trovate plausibile che sia solo una mancanza del sapere come fare le cose? E dunque se così fosse, almeno in primo luogo, non avrebbe tutto ciò diritto ad un tentativo di soluzione? Non basterebbe provare a pensare di iniziare ad imparare tutte quelle cose che non si sanno e che sono necessarie per affrontare la questione che ci spaventa tanto? Qualsiasi cosa si faccia, che si prenda in mano, metaforicamente o realmente, richiede il nostro controllo per mandarla avanti. Credo, in ultimo, che una delle più grandi paure di sbagliare la provino i genitori perché nessuno sa cosa riserva il futuro. Allevare un figlio, insegnargli la vita, insegnargli a vivere e camminare con le proprie gambe espone a migliaia di errori possibili ma, se un genitore si lasciasse spaventare da questo, l'umanità non esisterebbe più da molto tempo. Un genitore rappresenta l'essenza di colui che va avanti, nonostante la paura di sbagliare, perché comprende che fermarsi è molto peggio del continuare ad andare avanti pur sapendo che potrà -anzi quasi sicuramente qualche volta accadrà- sbagliare. Combattere questa paura di sbagliare ha bisogno di un atto di coraggio e di volontà, ma soprattutto di dolcezza. Chiunque sia spaventato ha un incredibile bisogno di comprensione, di pazienza, di dolcezza, di tutto ciò che possa fargli capire di non essere solo con questa paura, innanzi tutto, e poi resta il credere. E credere in qualcuno è esserci sempre per l'altro, e rammentargli ciò che in quel momento non vede bene di se stesso. Dunque comprensione nei confronti di chi sta attraversando un periodo di cammino nel dubbio, e ricerca di conoscenza per chi sta provando il dubbio, così la convivenza con la paura di sbagliare, che può sorgere in ogni momento, migliora e sicuramente, se si accetta di andare avanti pur muovendosi cautamente in ragione di questa paura, si ottiene la vittoria più grande. Si è creduto un po' di più in noi stessi e nelle nostre capacità, qualsiasi esse siano.

giovedì 16 giugno 2011

Luna rossa. Eclissi totale

Archiviare un ricordo nella memoria richiede attenzione per i particolari che lo compongono. Questa sera c'è stata l'eclissi totale di Luna, ma non c'è stato solo questo, è esistito molto di più. L'arco di tempo poggia una delle sue estremità nell'inizio della serata, quando il Sole si è da poco nascosto dietro l'orizzonte, come sempre. L'altra estremità poggia nella notte inoltrata, fino al momento in cui la Luna è tornata a splendere piena e brillante come goccia di Sole riflessa. Su questo arco di tempo si dipanano storie e momenti irripetibili, emozioni, che si affacciano da esso e lo trasformano in un ponte sul quale hanno camminato vite e si sono mescolate conoscenze. Che sia permesso chiamare questa una serata magica, per poterla ricordare meglio, in modo non banale, poiché tutto è stata tranne che banale. Ecco che la memoria ha però bisogno di appigli particolari e consistenti per rendere questo ricordo sempre ben vivo. Lo scenario è la campagna, colline all'orizzonte, iniziale foschia di transizione tra il giorno e la notte, come quando accade che un passaggio non possa essere netto, semplicemente perché l'evento che sta per esistere ha bisogno di dolcezza. Bassa all'orizzonte, e quasi invisibile, inizia il suo percorso lei, la Luna, vestita di lieve rossore. E noi seduti sul muro ad osservare il suo cammino. Noi, tutti lì per lei, noi vite differenti, nomi e volti in attesa. C'è stato un attimo nel quale ho visto la realtà di questa serata, di questo evento. La Luna si tingeva di rosso in calda trasparenza e, inconsapevolmente, ha fatto un piccolo miracolo, ci ha portati lì. Non importava a nessuno chi fosse il vicino, non eravamo al cospetto della Luna per giudicare chi avevamo accanto, anzi, si sono strette amicizie, perché no? E' stato come se quella luce particolare fosse riuscita a livellare le differenze di ciascuno di noi, cosa che noi umani non sappiamo fare altrettanto bene. C'è da imparare qualcosa anche da questa Luna rossa... Il risultato è stato che eravamo tutti lì, campionario di umanità, forme diverse tra loro, abitudini riposte per un ora da qualche parte, eravamo solo volti con sorrisi e predisposizione verso l'altro, piuttosto che verso noi stessi come al solito. Sensazioni. Solo sensazioni. Luci di cuori sedute nei propri corpi attirate lì dal magnetismo della Luna che si veste di rosso. Nessuna differenza a parte la forma. Noi spettatori abbiamo applaudito, ne sono sicura, con quella parte interna di noi che solitamente si nasconde un po', all'ombra della quotidianità  con la sua solita routine, e abbiamo lasciato che la parte più delicata esultasse e poi si addolcisse sfiorata dal riverbero caldo dell'insolito colore della Luna. Ho visto persone sconosciute tra loro parlare come se si conoscessero da sempre. Ho visto apertura e non chiusura. Ho ascoltato confidenze. Ho sorriso insieme ad altri sorrisi e non mi sono chiesta chi fosse la persona accanto, non importava affatto saperlo. La Luna rossa ci ha sorriso a sua volta da lassù, ci ha ringraziato -l'avete sentita anche voi?- per esser stati col naso all'insù a seguire il suo percorso nel cielo. Il dono che ci ha fatto è la consapevolezza dell'uguaglianza di ciò che abbiamo dentro, perché la forma esteriore è relativa, mentre quello che abbiamo dentro sono gocce di luce che sanno ricordare l'indirizzo del meraviglioso, che sanno ricordare come si superano gli ostacoli, che non si curano dei confini che impongono all'Uomo la distinzione in base all'apparenza, sono gocce di luce che sanno di somigliare un po' anche alla pace della Luna nel momento di questa sua speciale eclissi. Armonia da simpatia, coro di voci che, trasformate in pensieri, si sono riunite lassù sulla superficie lunare, scherzando e giocando senza badare al tempo umano. Per un attimo siamo stati tutto questo mentre eravamo seduti, liberi spettatori, sul parapetto di pietra del ponte, arco di tempo, costruito per l'occasione in questa notte speciale.
Dedicato a Davide, Eleonora, Chiara, Lorenzo, Pietro e tutti coloro che erano lì con noi e altrove.

Ecco due immagini scattate da Davide

By Davide Rasna Gucci

By Davide Rasna Gucci

martedì 14 giugno 2011

Queen - Ride The Wild Wind (Lyrics)

Quando spunta un fiore

Più o meno tre anni fa trovai abbandonata, vicino ad un cassonetto, una pianta da appartamento, in cattivo stato, ma era ancora viva. Sofferente ma viva. La portai a casa con la speranza che almeno avrei provato a farla stare meglio. Non sono un giardiniere esperto, però ci provo, e chiedo perdono a tutte quelle piante che testimoniano talvolta il mio essere maldestra nei loro confronti. Comunque quel giorno la pianta venne a casa con me, dove le cambiai il vaso, le misi della terra nuova, le portai acqua, e aspettai. La trovai in tarda primavera, era abbastanza caldo anche di notte per lasciarla fuori a respirare, e a prendere tutta la luce che poteva di giorno, tenendola ovviamente lontana dai raggi diretti del sole che l'avrebbero bruciata. Ci mise tanto ad adattarsi ma non si seccò. Rimase piccola, con le foglie poco sviluppate per almeno un anno. Autunno e inverno trascorsi in casa, vicino ad una finestra. Poi di nuovo fuori con il caldo, sul terrazzo. E così via. Quest'inverno le ho cambiato stanza, per sfruttare il fatto che lì c'era più luce. Ho trovato un concime già diluito in modo ottimale per non bruciarle le radici e ho continuato ad aspettare. Qualche giorno fa è spuntato un fiore bianco. E' stata una gioia vederlo, forse anche per il fatto che non era una cosa scontata che potesse accadere. E' stata una di quelle cose che riescono a conquistarti il cuore e a farti sorridere con tutta te stessa. Puoi dire soltanto che è bello, perché qualsiasi altra parola ti fa perdere, alla ricerca della definizione adatta che difficilmente troverai. Ti arrendi così all'evidenza di un sentimento indefinibile, grande, speciale, molto simile a ciò che si prova  quando la persona che ami ti sorride.

domenica 12 giugno 2011

E' finito l'anno scolastico

In questi giorni, per molti ragazzi, si è concluso l'anno scolastico. Me ne sono accorta vedendoli in giro per le strade della città, e vedendo le tracce lasciate dopo il loro passaggio. Devo essere sincera, non mi ricordo molto bene come concludevamo noi ragazzi l'anno scolastico quando non era tempo di esami. Forse qualcuno festeggiava, come festeggiano oggi, a poco più di vent'anni di distanza, usando gavettoni d'acqua, uova e farina o tuffandosi nelle fontane. Il fatto di non ricordarmi certi particolari mi fa sorgere un dubbio, dov'ero allora? Dico, dov'ero con la testa a quel tempo? Forse ero un po' tra le nuvole, chissà, ricordo però che anche se ero una ragazzina schiva, e non mi piaceva la confusione, il tono di giubilo per la fine dell'anno scolastico mi sembrava diverso. Posso parlare per me, per ciò che di quei giorni è conservato nella memoria. Ricordo che era un gran sollievo per me, perché la scuola mi piaceva così così, non lo studio, o leggere in sé, bensì il luogo e il fatto di essere obbligata a starci metà della giornata, seduta, invece di poter fare altro. Guizzi di anima ribelle. Finita la scuola a giugno ero già con la testa alle vacanze, al fatto che al tempo delle elementari e delle medie, si poteva andare al mare con i nonni, almeno per un mese. Quando si cresce poi le cose cambiano e anche le vacanze si adeguano. Ma restando al tempo della prima adolescenza, a quell'età sui dodici, tredici anni, età che mi è sembrata appartenere ai ragazzi che ho visto lanciarsi uova e farina lungo una delle vie principali della città, in centro e, per quanto mi riguarda, mi sembra, se faccio un confronto, che ci sia tanta differenza. Non so bene con cosa si divertano i ragazzi di oggi e se si rendono conto di alcune cose, o se per loro, per molti di loro, poche sono rimaste le cose importanti per le quali mostrare rispetto. Non lo so, eppure, mi resta una sensazione non così facile da definire, a metà tra il dispiacere per la constatazione odierna del disprezzo per certe cose e la nostalgia di un tempo apparentemente più tranquillo, che mi ha vista ragazzina. Finita la scuola tutta la mia gioia era per la prospettiva di libertà, per tutte quelle cose da fare, per il sole, per le passeggiate, per stare a giocare a palla con gli amici nel giardino pubblico, varie ed eventuali, ma non mi veniva in mente di andare a festeggiare come hanno fatto oggi. Giusto, i tempi cambiano, così come le persone e si dice che ciascuno abbia il diritto esprimersi come desidera. Vero, sono la prima a sostenere questa teoria, ma non mi riesce di chiudere gli occhi su tutto, c'è qualcosa che me li fa mantenere aperti e mi insinua il tarlo della critica, anche se è sempre raccomandabile farsi gli affari propri. Dunque portate pazienza, mi cambio d'abito per l'occasione, e parlo perché la constatazione di quel che vedo mi fa parlare. Ammetto che ancora non ho trovato la posizione del confine tra il farmi gli affari miei e l'aprir bocca in certe occasioni.
Non ho mai sofferto la fame né la soffro, sono fortunata, nella norma, eppure uova acqua e farina li associo al cibo e vederli sparsi sull'asfalto mi fa tristezza, forse perché non lo comprendo. Il primo pensiero che mi viene non è un sorriso, come mi verrebbe alle labbra fino ad illuminare gli occhi se stessi vedendo ragazzi che stanno insieme magari chiacchierando o ridendo o giocando in un altro modo, come dire, più soft, ecco. Uova e farina per terra mi fanno pensare alla fatica, al lavoro di altri che dovranno pulire. E non mi riesce di non vedere spreco. Chiamatemi vecchia sciocca che non capisce nulla, se vi fa stare meglio, ma il dato di fatto resta. E lo sporco per le strade non è, in primo luogo, una mancanza di decoro, secondo me, ma solo una mancanza di rispetto. Forse riuscirei a comprendere questo modo di festeggiare solo se, chi lo mette in azione, poi si rimboccasse le maniche e pulisse, dimostrando così che avere un anno in più alle spalle significa anche maturità sufficiente per assumersi la responsabilità dei gesti che si compiono.

Castello di carte

Chissà quante volte, avendo in mano un mazzo di carte da gioco, vi sarà poi venuta voglia, oltre a giocarci, di usarle per costruire un castello, mettendole in equilibrio le une sulle altre. Probabile. Quando ero bambina lo facevo perché mi piaceva la sfida con me stessa per arrivare a fare almeno quattro strati. Più in alto non mi riusciva arrivare. Ricordo bene che il mazzo delle carte dei miei nonni era particolarmente adatto allo scopo perché la superficie non era liscia ed erano lievemente incurvate per l'uso. Era divertente e non mi stancavo di ricominciare sempre da capo se scivolava tutto distruggendo la costruzione. Forse non mi stancavo proprio perché ero una bambina, perché stavo giocando e non avevo fretta di andare a fare altro, sapevo godermi il mio presente, anche se non me ne rendevo conto, e mai avrei potuto dire che stavo facendo proprio una cosa del genere. Ero concentrata sulla volontà di andare avanti per raggiungere la meta, ossia la posa delle ultime due carte con la giusta inclinazione per non far cadere tutto il resto sotto. Costruire un castello di carte è un meraviglioso esercizio di pazienza, di concentrazione, di attenzione ai particolari, servono colpo d'occhio e ispirazione per posizionare nel modo corretto le carte, si sviluppa la volontà ferrea di non desistere se il lavoro si sgretola sotto agli occhi, si coltiva la voglia di arrivare alla meta, e qui non si può assolutamente barare poiché il risultato sarà frutto solo ed esclusivamente della propria abilità senza altro aiuto esterno. Tutto questo, se lo si sa osservare anche solo per un istante, insegna a non arrendersi alle difficoltà. Un castello di carte è l'essenza delle fragilità eppure rappresenta anche l'equilibrio e ci mette di fronte a noi stessi in caso di sconfitta. Un castello di carte distrutto, specialmente se costruito con molti strati, ci racconta come possiamo essere al cospetto del vedere la nostra fatica e il nostro impegno resi vani dall'evento catastrofico. E sostanzialmente tre sono gli inneschi possibili per la distruzione di un castello di carte, noi stessi volontariamente, noi stessi involontariamente, e a rappresentare l'evento esterno chiamerei il vento in causa. Come potrebbe accadere anche per ciò che abbiamo costruito nella vita. Trovo quasi sorprendente il parallelo possibile poiché molte delle cose che facciamo o abbiamo fatto poi riusciamo anche a distruggerle, e con meno tempo ed energia di quelli impiegati per costruire queste stesse cose. Il vento della vita qualcuno lo chiama destino e qualche volta soffia e rade al suolo qualcosa che abbiamo messo su con tanta fatica e impegno, per non parlare di quando soffia in direzione degli affetti... Altre volte mettiamo, noi stessi, mano nella distruzione di ciò che abbiamo costruito, vuoi perché riteniamo che sia venuto il momento di cambiare gioco, vuoi perché siamo stupidi o distratti. Se ci si pensa bene la somiglianza è incredibile. Solo l'errore nell'inclinazione perfetta delle carte che si sostengono a vicenda è l'innesco involontario, ma non è stupidità, quella è più facile incontrarla nella vita quotidiana, quando si mette avanti l'orgoglio nelle faccende più delicate invece di ricordarsi delle cose davvero importanti, delle cose che hanno le loro radici in profondità, nei sentimenti, per esempio. In fondo, anche se un castello di carte è solo un gioco, un passatempo, un semplice castello di carte, appunto, un grazie glielo devo, perché mi ha sempre permesso di ricordare il concetto, e a materializzarlo abbastanza da comprenderlo come un dato di fatto piuttosto che una semplice teoria, che ogni cosa che costruiamo, o pensiamo di voler costruire, richiede uno sforzo immenso in termini di energia, di tempo, di forza fisica e di denaro qualora ne servisse per realizzare un dato progetto, richiede attenzione ai particolari per eseguirlo al meglio, sviluppa il senso di responsabilità, che normalmente si accompagna quando si desidera realizzare qualcosa, e non meno importante richiede amore. Eppure basta un niente per azzerare tutto. E quando sei lì, in mezzo alle macerie, puoi scegliere tra due strade. Puoi arrabbiarti, o disperarti oppure puoi ripensare a come ti senti al cospetto della caduta del tuo castello di carte, puoi attingervi la forza di ricominciare tutto da capo, e non perché gli eventi della vita sono un gioco, ma perché se affronti le cose con la forza del non arrenderti volendo il pensiero positivo dentro di te, riesci a rimetterti in piedi per migliorare la prestazione. Ricominciare, ogni volta che serve, ti porta a non sbagliare più grossolanamente mentre procedi verso la meta o verso il tuo sogno.

giovedì 9 giugno 2011

Ancora sull'importanza di avere accanto qualcuno che ti ama

"Chiudi gli occhi e porgi le mani. Ci sono io che te le tengo nelle mie. Senti il calore che passa tra di noi? Il cuore alimenta questo calore e ci fa passare attraverso miriadi di sensazioni, e potrebbe non bastare una vita intera per decifrarle. Da me a te e da te a me come un interscambio che ci nutre. Ti sostengo, non aver paura di cadere se ti appoggi un po' di più. Se serve mi faccio carico del tuo intero peso, che sai bene non essere mai eccessivo per me. E se mi vedessi faticare non ti preoccupare, ci adatteremo ad un nuovo passo, magari più lento, ma andremo ancora avanti lo stesso. So che tu non ti arrenderai se io sarò con te e io non mi arrenderò se tu deciderai di non farlo, ma se servisse ci metterei qualcosa di più, non mi arrenderei comunque per poterti dare parte della mia forza. Veglieremo ciascuno sui passi dell'altro finché sarà necessario. Se ti sorgerà un dubbio, ti prego, cerca di ricordarti che io sono qui accanto a te per condividerlo, per trovare una risposta, una soluzione. Ti sostengo e ti proteggo mentre tengo le tue mani nelle mie, mani dove tu raccogli tutto il tuo mondo, dove tieni a volte il tuo cuore. Siamo umani e ci incontriamo sul suolo di questo pianeta come viandanti in uno spazio infinito, ecco perché trovarsi e amarsi è importante, specialmente nei momenti peggiori. Se sappiamo che ci siamo reciprocamente non avremo confini e gli ostacoli avranno vita dura mentre li attraverseremo. Se la forza di come ci si sente quando si ama e si è amati potesse trasformarsi in luce, nascerebbe una stella. Forse non sconfiggeremmo la morte ma sicuramente potremmo vincere molte battaglie. Apri dunque gli occhi e guarda adesso ciò che scorre tra di noi, da mano a mano, da me a te, da te a me." Pensiero dedicato a tutti coloro che sentono e vivono la forza dell'amore. Rita

Una delle canzoni d'amore, una poesia, tra le più belle che siano state scritte, secondo me, è "A te" di Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti

L'importanza di avere accanto qualcuno che ti ama nel momento del bisogno

Nella mia vita ho vissuto un momento del bisogno nel quale sono stata protagonista e uno nel quale sono stata colei che stava accanto. Solo che nel percorso che mi vedeva bisognosa ho allontanato chiunque perché volevo affrontare da sola la cosa, o meglio non accettavo l'aiuto altrui così, se ho ricevuto affetto, non me ne sono accorta. Cerco nella memoria, oggi che il pensiero si sofferma su questo argomento, ma non riesco a ricordare il calore di nessun abbraccio dato anche se lo rifiutavo, solo pochissimi mi hanno sostenuta pur senza abbracciarmi. Già... gli altri rispettano sempre il tuo volere per non farti pressioni né violenza... Eppure mi sarebbe piaciuto che qualcuno avesse saputo andare oltre la mia barriera. Allora era un pensiero di fondo non troppo chiaro, altrimenti avrei accettato che mi si avvicinasse qualcuno, mentre oggi so che, se capitasse di nuovo un momento del bisogno, vorrei che qualcuno andasse oltre, e che chi mi fosse vicino non si facesse spaventare dalla mia personalità. Brontolo, ma in fondo so bene che ciò che può dare ciascuno è prezioso proprio perché non si conforma alle mie sciocche idee sul come si fanno le cose. Alcune abitudini non sono facili da domare e trasformare, servono solo tempo e pazienza, propria e altrui. Forse l'amore porta con sé una dose consistente di questo tipo di pazienza, quella che ti sa far andare oltre i musi lunghi, i silenzi, l'essere scontrosi, l'arrabbiarsi per delle sciocchezze facendo di un moscerino un aeroplano. Se stai male può accadere di macchiare tutto con la tua sofferenza e se diventi intrattabile sputi fuoco e sentenze che poco hanno a che fare con la gentilezza. Il dolore inquina le acque superficiali, ma non quelle profonde, se il cuore viene nutrito con dosi massicce d'amore. Ecco perché è importante avere accanto qualcuno che sappia capire il momento che stiamo attraversando. Chi ho avuto accanto mi ha semplicemente lasciata stare nei miei silenzi e nella mia battaglia. Ero abbastanza forte per farlo, ma credo di aver perduto molto in termini di contatto umano.  Avrei imparato ad essere ben più capace di come sono adesso in veste di persona che sta accanto a chi ha bisogno. Ma in questa veste, comunque, ho cercato di comprendere ogni volta l'importanza del calore umano e di applicarlo in tutti i momenti più difficili, per cercare di non muovermi come un elefante in una cristalleria. E le volte che avrei dovuto saper essere sensibile non lo sono stata... Ogni giorno metto nei miei passi la volontà di essere attenta ai bisogni altrui forse per cercare di affrancarmi dagli errori passati, e le ferite inferte agli altri, seppure date senza volere, bruciano ancora anche me. Fa parte della vita imparare con le cose che la vita stessa ti mette a disposizione per questo scopo, se è così che vogliamo vederla. Forse è perché hai sbagliato, o non ti sei sentito capace, che comprendi l'importanza della presenza di qualcuno che ti ama accanto, e non solo nel momento del bisogno.

martedì 7 giugno 2011

Confusione

Ci sono giorni nei quali pensare chiaramente non è facile, se non impossibile. E la cosa peggiore, in tutto questo, è non riuscire a capirne il motivo. La mancanza di un perché rende tutto maggiormente confuso. Non basterebbe la metafora con la nebbia per descrivere la deriva dei pensieri, il loro galleggiare senza meta né apparente memoria di origine. E questa è la confusione totale. Quella di entità minore è quasi sempre generata dallo stress quotidiano laddove, cercare di stare al passo con i mille impegni presi, o con le faccende da sbrigare, o il farsi travolgere dalle preoccupazioni per il giorno a seguire, rende tutto più intricato. La sensazione, anche inconscia, è la volontà di mettersi il prima possibile alla ricerca del bandolo della matassa. E spesso in questi casi il bandolo della matassa gioca a nascondino, si beffa della disperazione che inizia a farsi consistente. Vorresti ridere ma ti senti una stupida, così lasci le cose come stanno, è meno impegnativo. Si dice che sia raccomandabile, in caso di confusione, smettere di pensare a qualsiasi cosa poiché potrebbe uscire distorta da ogni tentativo di comprensione che stiamo cercando di applicargli. Ma qualche volta non si può. Ed è qui che la battaglia si fa più dura, perché hai la spiacevole sensazione che tutto ti sfugga di mano, quella mano che nella mente cerca di tenere ben saldi tutti i fili dei pensieri. Dunque, com'era? prima questo e poi quello, o no? Hmm, forse no, eppure credevo si facesse così. Credevo che bastasse credere di esserne capace, ma non mi pare che sia così. Non ho ottenuto alcun risultato... E ti demoralizzi per l'insuccesso. Sei talmente abituato a vincere su tante cose che sbagliare non rientra nei piani, né lo avevi messo in conto perché, anche se si dice che sbagliare sia umano, tu certe volte ti senti diverso dall'essere semplicemente umano. E' facile ingannarsi su questo quando si è abituati a pensare di essere sempre capaci o all'altezza. Poi magari accade qualcosa e ti senti come se ti avessero abbandonato in mezzo ad un deserto, con nulla di utile accanto a te. Sei solo e smarrito e, se cerchi di camminare, non sai in quale direzione stai andando e, cosa peggiore, il vento solleva mulinelli di sabbia che ti infastidiscono, ti distraggono l'attenzione che prima sapevi focalizzare alla perfezione su tutte le tue cose, quelle che ti erano familiari. La confusione è la tua unica compagnia in quel momento. Il bozzolo che ti avvolgeva, costruito con la sovrapposizione di tutti i pensieri e di tutte le certezze fin lì acquisite, si sfalda e tu puoi soltanto ammettere di essere "sconvolto". Ti senti sconvolto perché in realtà hai anche paura. La confusione profonda, come quella che prelude talvolta un grande cambiamento interiore, porta con sé la sensazione della paura, perché ci si affaccia sull'ignoto. E questo richiama alla mente il fatto che siamo soltanto umani, esposti a mille debolezze, timori fondati e non, desideri e ossessioni, che il più delle volte cerchiamo di nascondere per vergogna. Non sta bene mostrarsi "deboli" con la summa delle cose che ci caratterizzano, specialmente se i lati negativi sono maggiori dei positivi. La perfezione è da preferire! Ma la perfezione è come stare su di una vetta impervia, spesso in compagnia di rocce taglienti o appuntite che regolano ogni tua singola posizione lassù. Credi di poter avere maggiore libertà di movimento se gli altri pensano di te che sei il migliore eppure non è così, anzi è vero il contrario proprio perché sei in balìa dei giudizi altrui. Scendere dalla vetta in un modo qualsiasi che non sia volontario innesca confusione. Semplicemente perché ti vengono a mancare gli appigli conosciuti, i riferimenti che usavi per definire te stesso in quel luogo o in quella posizione. Molti sono i motivi per i quali si entra in confusione. Ci si entra, è vero, perché è come un luogo dove i riferimenti o non ci sono più o sono mescolati tra loro. E' un luogo in cui l'anima, o in qualsiasi modo siate abituati o vogliate chiamare ciò sta dentro ciascuno, si deve adattare ad una nuova forma, ad una nuova posizione. E questo succede ogni volta che qualcosa cambia o crea ciò che ci fa sentire in confusione. Sia le cose belle che quelle meno facili da affrontare hanno questo potere su di noi quando impattano sul nostro modo di essere o sul nostro essere stesso. Quando accade di incontrarsi a tu per tu con la Confusione si seguano dunque alcune regole. Primo, se l'avete riconosciuta cercate di essere ugualmente cortesi con lei porgendole la mano, invece di indispettirvi per la sua scomoda venuta. Secondo, cercate di sostenere il suo sguardo penetrante, che avrà certamente il potere di generarvi strabismo tale da confondervi la vista, che sarà il primo avamposto che la Confusione vorrà colpire per vincere la sua sfida. Terzo, trovate dentro di voi un unico pensiero, che provenga dal distretto della volontà, che sia forte della pazienza di non cedere al disagio, e con esso fatevi scudo finché lei, la Confusione, comprenderà di non potervi sottomettere e se saprete aspettare ancora un po' senza  cantar vittoria, vedrete che si diraderà come la nebbia alla quale si assimila metaforicamente. E quando vedrete un pallido raggio di luce catturatelo e tenetelo in voi come una cosa preziosa, perché quasi sicuramente porterà con sé anche un po' d'amore e di chiarezza. R.B.Between