venerdì 6 luglio 2012

I giganti di Vallombrosa

Il loro silenzio crea solennità intorno e non ha limiti. In esso si può entrare e lo si può condividere ascoltandolo, paradossalmente. Entro quella specie di abbraccio verde e fresco si trova ristoro, senza dovere null'altro che il proprio rispetto e un minimo di civiltà per non lasciare, come scia del nostro passaggio, rifiuti inadatti ad essere riciclati, come molte cose materiali create dall'uomo lo sono. Ma è  nella naturalezza stessa di un percorso fatto con cuore che, a qualsiasi livello si parli o si intenda, ciò che è riciclabile è ciò che si può far vivere nuovamente; nella stessa forma ma con più energia di prima oppure in una forma differente. Anche i pensieri possono essere trasformati o rinvigoriti. E ciò che ci portiamo sempre dietro sono le cose che pensiamo o proviamo, compresi gli "scarti", costituiti da tutto ciò che non accettiamo e che, pungendoci, inducono irritazione o rabbia o disarmonia in genere. Il silenzio di un bosco secolare sa dissolvere ciò che non ci serve davvero per far fluire nel modo corretto l'energia vitale in noi, e sa fare questo come la terra sa dissolvere e riciclare le scorie biodegradabili. Serve tempo, come per molte altre cose ne serve, ma un solo giorno tra questi giganti immobili dona qualcosa di speciale. Solo il vento tra le altissime fronde, se c'è, crea un lieve mormorio che culla e non distrae. Non ci sono domande ma ci sono risposte. Quando siamo lì, il gigante che abbiamo accanto scioglie i nostri nodi immateriali con la stessa abilità di una madre premurosa che spazzola i sottilissimi capelli della figlia o del figlio. Con estrema dolcezza, senza che noi ce ne possiamo rendere conto immediatamente. Rinfrancante sosta nel cuore della saggezza che il più delle volte evitiamo perché troppo impegnativa. I polmoni accolgono aria più fine, pulita, verde ed è sciocco non credere che questo influisca su tutto il nostro essere. La pace materiale raggiunge e tocca anche quella spirituale. E questa risorsa c'è, basta curarla e proteggerla un po' di più, con maggiore attenzione fin dove si può. Nel respiro si lega l'essenza di ognuno di questi giganti che trovano la strada del cuore. La loro immobilità inganna l'occhio che non crede al loro passo portentoso ma loro muovono il tempo sapendolo lasciar scorrere. Ogni gigante è consapevole di poter fare solo una cosa, che sceglie di fare impeccabilmente accettandola: stare. Esistere per rammentare a chi riesce ad ascoltare che la saggezza umana discende da quella della Terra, non solo dai pensieri che l'essere umano riesce a concepire senza di essa. Ogni groviglio che produciamo che crea solo disagio o impedimento avrebbe bisogno, qualche volta, della pace reale che un albero sa regalare. Un dono prezioso con il quale ritorniamo in città ma che svanisce poco dopo se non lo ricordiamo attivamente. E' la lotta più dura, questa, ricordare senza poter attingere materialmente e spesso alla fonte originale della forza pulita che emana dal bosco. In città si vive in apnea di pace e di verde. Ma se il cuore dei giganti si lega al nostro, non importa di quale bosco un albero faccia parte, porteremo un po' di pace anche dove il bosco non arriva. Dove l'uomo ha deciso di non farlo arrivare. E se la barriera fisica fa stare meglio chi ha paura o chi non vuole beghe, il confine interiore tra l'anima o il cuore umani e l'essenza del bosco si confonde poiché tutti desideriamo stare bene e in pace anche se non lo dimostriamo spesso. Sappiamo gestire un bosco magnificamente, tecnologicamente parlando, ma siamo assai incapaci di gestire la sua presenza dentro di noi, per ciò che dà, per come lo dà. Il comodo alibi della suggestione, chiamato in causa quando non si vuole ammettere l'evoluzione dell'ascolto interiore, fatto di silenziose sensazioni che risuonano nelle parti consapevoli di noi che comunicano con il punto del cuore che attiva dolcezza e fluidità, perde molto del valore che gli attribuiamo se il risultato concreto va al di là di ciò che crediamo. Una constatazione di qualcosa, in genere, dovrebbe mettere al riparo da qualsiasi scetticismo. E ai piedi di questi giganti oggi ne ho avuto riconferma. Conosco dunque il loro valore, la loro cura indiscriminata nei confronti di coloro che passano di là, e posso fidarmi. Ogni volta che ne avrò bisogno so che loro saranno lì anche per me, senza criticare nulla dei miei errori, delle mie stupide credenze, dei miei vizi o delle mie presunte virtù. Ci saranno per lenire con il balsamo del silenzio ogni dolore che porto con me per insegnarmi a ricordare le mie capacità che scorrono lente come linfa in profondità. Loro, i giganti, sono gli abeti bianchi che formano parte del bosco di Vallombrosa in Toscana.

domenica 1 luglio 2012

Quando vuoi cogliere un fiore

Qualche giorno fa sono stata in campagna e in mezzo al verde, sulle pendici della collina, c'erano tantissime ginestre fiorite e profumate. Un guizzo veloce del pensiero mi ha fatto desiderare di cogliere qualche ramo fiorito per portarlo con me a casa in città. Poi mi sono soffermata a pensare che sarebbe stato bello solo per me. Spesso capita di agire così, pensando solo a ciò che è bello per noi, dimenticando che ogni azione che non coinvolge solo noi stessi ha delle implicazioni che il più delle volte non riusciamo a vedere o sentire. Quando hai in mano quel fiore che volevi perché bello, colorato, profumato, che ti mette gioia, tu hai qualcosa ma la pianta dalla quale lo hai colto non lo ha più con sé. I fiori sono ciò che permette alla pianta di continuare a riprodursi, non sono solo qualcosa di piacevole da vedere, pronto per l'essere umano che passa di là. Quello che mi ha fatto pensare è stato il mio stesso non pensare. E come sia incredibilmente facile mettere da parte i buoni propositi quando ci si entusiasma per qualcosa, quando si innesca il volere qualcosa. A volte avere ciò che si desidera è possibile e non danneggia nulla e nessuno ma qualche altra volta non è così. E questo vale anche per altre cose della vita, non solo per i fiori. E' l'atteggiamento che è universale, al di là del dove lo applichiamo. E' il prendere senza dare in cambio. E' fare il proprio interesse senza curarsi delle conseguenze. E' pensare solo a noi stessi senza mettere in conto di pensare contemporaneamente anche a ciò su cui interveniamo. Tutto questo non è forse la descrizione di ciò che accade spesso nella vita quotidiana? E se voler cogliere un fiore ne rappresentasse lo specchio non avremmo forse una risposta in più alle varie domande di chi ricerca saggezza?

Dimenticare o ricordare?

L'atto più facile è rispondere che si ricordano le cose belle, è naturale che sia così, e che si dimentica con altrettanta naturalezza qualsiasi cosa brutta o che ci fa stare male. Questo se non si insiste sui pensieri che accompagnano i sentimenti che proviamo. E' altrettanto vero che spesso si riesce a dimenticare qualcosa di positivo magari perché lo si dà per scontato o che si ricordi ciò che fa stare male proprio perché non riteniamo giusto farlo scivolare via. Ma la domanda vera, quella che impone di riflettere bene per riuscire ad intendere la risposta, si presenta quando l'evento che ci coinvolge non è di natura superficiale. Tali eventi sono quasi sempre sconvolgenti perché sanno rivoltarci senza che ci sia possibile controllarli. E quasi mai sono cose belle. Il dolore che proviamo profondamente per una ferita nel cuore, qualsiasi sia il punto di origine del dardo scoccato che ci ha raggiunti, può richiedere di fare questa domanda, soprattutto se la mente rimane sveglia quando il cuore è ferito. Una mente sveglia in questo caso non significa brillante ma solo attiva e stimolata a tale attività dal turbinio dei sentimenti che si provano. Non è facile placare una mente che risuona del dolore provato da tutto il resto del nostro essere. Penso ai sensi di colpa che vengono a galla, a ragione o insensatamente, quando qualcuno non è più con noi. I sensi di colpa permangono con maggiore facilità in coloro che usano molto la mente perché nel continuo ripassare l'evento alla ricerca di un perché che plachi il tutto ancora sconvolto, la radice del sentirsi in qualche modo responsabili scende in profondità. Ecco che dimenticare potrebbe salvare dall'impazzire dal dolore e per qualcuno è la scelta migliore. Magari questo stratagemma cosciente o inconscio che sia placa finché non si ristabilisce l'equilibrio che permette di gestire il ricordo dell'accaduto. Attuabile se si ha cura di evitare tutti quei piccoli promemoria che si potrebbero incontrare lungo il cammino scelto. Ecco perché c'è chi sceglie di cambiare vita anche spostandosi in qualche altro luogo. Si fa per prendere le distanze dal punto dolente, talvolta dimenticando che la ferita ce la portiamo dentro. E se si è consapevoli di questo fatto spostarsi perde i suoi colori di nuova libertà per assumere l'aspetto di ciò che è in realtà, solo una fuga, utile forse, ma pur sempre una fuga. A chi vede questo non basta dimenticare, serve qualcosa di più, serve trovare l'equilibrio mentre si cammina nel dolore. C'è brutalità in questo abito di consapevolezza ma se non si riesce a chiudere gli occhi, se non si riesce a far scivolare via tutto con facilità, allora ricordare è l'unica scelta. Parlo di scelta comunque, anche se sembra un passaggio obbligato dall'incapacità di fare il contrario, cioè dimenticare in qualche modo, perché rimanere svegli pur nel dolore fornisce abbastanza energia al potere decisionale. La mente attiva e ragionante si muove incessantemente alla ricerca di quegli appigli necessari per recuperare la posizione di stabilità dell'animo sconvolto. Però più vedi più è difficile trovare tali appigli perché i collegamenti che rimandano al ricordo sono innumerevoli. Non è un percorso facile scegliere di ricordare perché comunque, come in ogni cosa, non è tutto male o tutto bene, dal momento che ci saranno sempre dei particolari da salvare in mezzo alle cose brutte o particolari da dimenticare in mezzo alle cose belle. Immagino le risate di qualcuno più pragmatico che leggendo questo potrebbe dire che sono un mucchio di cavolate per filosofi e che le cose si possono ben risolvere da sé, basta lasciarle scorrere senza badarci troppo. Vero anche questo ma non essendo tutti uguali qualcuno che si interroga potrebbe esserci. Se dimenticare è la strada intuitivamente più facile da imboccare, ricordare insegna a confrontarsi costantemente con ciò che si prova, insegna a rivedere i propri punti di vista per valutare, ogni volta che se ne presenta l'occasione, la loro validità relativamente al nostro passo nella vita. Pur tuttavia ricordare come dimenticare è solo uno dei possibili percorsi da scegliere e quello che preferiamo dipende da cosa vogliamo ottenere e l'uno o l'altro ci raccontano chi siamo. Se è più importante stare bene in assoluto allora la scelta migliore, al cospetto di un dolore è tentare di dimenticare, ma se è più importante amare ogni cosa vissuta, per tutto ciò che insegna o ha insegnato nonostante tutto, allora ricordare è la strada più adatta anche se fa dannare ad ogni passo.