venerdì 30 dicembre 2011

Legami. Se ami davvero non smetti di amare mai

C'è chi pensa che un legame sia un vincolo, esponendo così il concetto di legame ad un sotto pensiero di fastidio derivante dal significato di vincolo. Vincolo, infatti, significa anche limitazione od obbligo a qualcosa. La parola legame, invece, esprime solo un dato oggettivo, cioè due cose collegate tra di loro. Nulla di più, a meno che non si tenda ad andare oltre, attribuendo un significato aggiuntivo, e ciò che si aggiunge può essere frutto del nostro pensiero, della nostra esperienza, del nostro fraintendimento, del nostro desiderio, o di qualsiasi altra componente mentale che non si sappia fermare al solo scarno significato di base. I legami tra le persone esistono anche se qualcuno, talvolta, non ne sopporta l'idea. Ci sono schieramenti che vedono persone favorevoli ai legami, e li ritengono speciali e pieni di calore umano o solo necessari, qualsiasi sia lo scopo alla base di tale pensiero, contrapposte a coloro che li ritengono catene dalle quali fuggire. Io mi metto nella categoria di quelli che vedono il significato dei legami senza lasciarsi spaventare, che li vedono attraverso gli occhi del cuore e li osservano nel loro condividere la vita degli esseri umani. Un legame nasce, come tutte le cose nascono su questo pianeta, qualche volta all'improvviso, qualche altra con estrema lentezza, ma quando il legame è vivo dentro, questo inizia a pulsare come il cuore e segue ogni più piccola pista delle emozioni, sviluppandosi con i sentimenti. Va da sé che più è profondo ciò che sentono le due persone coinvolte e più diventa profondo il legame. Personalmente, ho sempre pensato che un legame d'amore fosse una sorta di filo luminoso, che va da un cuore all'altro, così che ogni cosa sentita da uno dei due capi di questo filo si trovasse, quasi subito, a risuonare nel cuore altrui, esattamente all'altro capo del filo. Così, quando due persone si allontanano, al filo possono accadere due cose. Questo filo si può rompere e il dolore è come un urlo ad ultrasuoni che emana dal punto di rottura, bucando la mente. Il filo, però, può anche rimanere integro nonostante tutto, nonostante le intemperie, la lontananza, rabbie ed incomprensioni, e questo accade se il filo è reso forte dall'amore che esiste sempre e sa andare oltre gli spigoli che incontra sul percorso. Nessuno mai trova un percorso facile davanti a sé, quando nascono dei legami, perché due è più complesso di uno da solo e il movimento a due richiede nuovi modi di vedere la vita. Sarebbe una pretesa, se non una sciocchezza, credere che tutto vada di piana da sé, mentre non è una sciocchezza credere che amando davvero si possa rendere meno accidentato il percorso. Solo che per spianare il sentiero serve partecipazione. E l'amore comprende in sé questo concetto. Ogni legame, oltre ad essere essenza di comunicazione è anche un percorso. La vita del legame rimane integra solo se anche noi cerchiamo di esserlo, impegnandosi, dove possibile, a comprendere come siamo fatti e ad imparare, non a non sbagliare mai, perché può capitare di sbagliare, ma a saper perdonare se stessi prima di tutto e poi chi ci è vicino. Allora un legame vive e risplende rinnovandosi ogni volta che si supera una crisi. L'amore infatti è nel recupero e nella rinascita e nella memoria. In realtà un legame profondo tra due cuori non muore mai finché vivo è il cuore e ciò che c'è in esso. E se si ama davvero qualcuno, per le cose che si sentono e si riconoscono esistere in noi, al di là di qualsiasi ostacolo o pensiero altrui, non si smette certo di amare. R.B.Between Auguro a tutti un 2012 sereno e di comprensione, se questo è il desiderio che muove la vostra ricerca.

martedì 27 dicembre 2011

Rinunciare a qualcosa come atto d'amore

Rinunciare è l'atto di separarsi da qualcosa che si ha già, o che si potrebbe avere, per un qualche motivo. Vale per le cose materiali ma anche per quelle di natura più astratta. Quando si usa questo verbo, il pensiero in cui siamo immersi e la decisione che stiamo per prendere, non sono di facile gestione. Una qualsiasi rinuncia, qualunque sia la sua entità, ci mette di fronte ad una riflessione e ad una scelta. Ogni cosa che già fa parte di noi o ci appartiene, fosse anche un'abitudine, ha radici dentro di noi e rimuovere queste radici non è indolore a meno che non entri in gioco l'amore. Non fraintendetemi, l'amore non è un anestetico, è più un elemento capace di trasformare le cose in modo profondo e duraturo. Questa riflessione sul significato di compiere una rinuncia come atto d'amore è nata dall'aver visto una madre con una sigaretta in mano e, a poca distanza, il figlio. Magari essendo all'aperto non è cosa grave né dannosa; magari era la sua unica sigaretta della giornata; magari l'avrebbe spenta subito dopo una tirata, non lo so ma so che se anche fosse stato vero uno di questi "magari" per lei, da qualche parte potrebbe non essere lo stesso per qualcun altro. Ed è solo un esempio. Una madre con un figlio piccolo, per il quale tutti i tessuti del corpo sono in costante divenire e devono ricevere nutrimento sano per crescere altrettanto sani, come può non riflettere sul veleno che gli fa respirare? L'ossigeno, quel poco che rimane tra una molecola inquinante e l'altra, nutre i tessuti e le cellule di cui siamo composti, noi respiriamo perché facciamo respirare la nostra materia, come possiamo dimenticare o ignorare questa realtà di fatto? E una madre, come può dimenticare di mettere avanti a tutto suo figlio, senza pensare, anche per un solo istante, di usare il cuore e ciò che c'è in esso per smettere di avvelenare, oltre che se stessa, anche il suo bambino? Rinunciare a qualcosa che è radicato in noi come un vizio, in questo caso, richiede oltre alla partecipazione spontanea del cuore un atto consapevole di volontà per vincere la forza che talvolta ci lega al gusto per il proprio piacere, forza capace, questa, di non far vedere le reali necessità altrui.
Un atto d'amore è la dimostrazione tangibile di quello che abbiamo nel cuore, che nasce in esso come scintilla e prende forma attraverso il pensiero fino all'azione. Tutta la dolcezza e il calore che prendono vita nel cuore e si manifestano attraverso una rinuncia anche importante, poiché tale è come giudichiamo ciò che ci apparteneva prima della rinuncia, sono altrettanta fonte di benessere per chi riceve questo speciale tipo di dono. Se la volontà di rinuncia, di qualsiasi tipo essa sia, nasce all'interno del proprio cuore, perde la sua definizione di rinuncia ai nostri stessi occhi, dal momento che non vedremo più con quelli del ragionamento bensì attraverso quelli del cuore, che sono gli stessi della comprensione profonda. Rimarrà la definizione di rinuncia solo per l'osservatore esterno, se non comprende e giudica, altrimenti anch'egli saprà che si è trattato solo di un atto d'amore.

sabato 17 dicembre 2011

Qualcosa che fa parte dell'amore

Ho il ricordo di un fatto dentro la mia mente che, per il suo sfiorarmi il cuore e per la consapevolezza dell'errore commesso in quel momento, mi fa riflettere sempre. Credo sia abbastanza normale riandare con il pensiero in quei luoghi di noi dove riponiamo le memorie legate alle occasioni perdute, agli attimi non colti in tempo, che diventano malinconicamente dolorosi quando la consapevolezza di aver compiuto un  passo falso li sfiora, specialmente se tutto ciò è legato al sentimento che si prova per qualcuno. Non si è perfetti, non lo si è mai e, anche se ci vantiamo di essere persone sensibili, siamo esposti al movimento degli eventi che si svolgono, rispondendo ad essi in modo tutt'altro che sensibile. Se tutto ciò che provi per la persona che ti è vicina ti ricolma tanto da renderti incapace di gestire ciò che hai dentro in quel momento,  invece di avere cura dell'altro, ti ritrovi ad andargli addosso. Qualche volta può trattarsi di una sciocchezza, qualche altra la cosa può diventare meno piacevole. Quello che trovo, guardando indietro, è l'immagine di una me che si è accorta in ritardo di una gemma di gentilezza nata direttamente dal cuore di chi mi era accanto e che, nel momento in cui si manifestava, le è stato impedito di sbocciare ed essere stessa. Delle gemme, di qualsiasi tipo esse siano, metaforiche o reali, si dovrebbe avere massima cura non soltanto perché da esse si sviluppa qualcosa di speciale per l'attimo presente o per il futuro, ma anche per la loro delicatezza. Le gemme di gentilezza, specialmente se si manifestano raramente poiché mancano le occasioni, se viene loro impedito di esistere soffrono. Questa particolare gemma, che era nata per me, pur non sapendo se ha sofferto nell'altra persona so che soffre adesso in me per averla schiacciata quel giorno. E la sofferenza maggiore sta nel sapere che quel giorno non ho avuto cura della persona che l'aveva fatta nascere. Con la visuale ristretta dall'abitudine al mio solito modo di fare e da altri pensieri mi sono gonfiata e ho prevaricato rilanciando la moneta. Avrei dovuto vedere quello che ho visto tempo dopo, in ritardo, così avrei saputo accettare il dono disinteressato che mi veniva offerto. Avrei sorriso col cuore perché, anche se la circostanza era intrisa di lacrime, avrei sentito una carezza che voleva scaldarmi. Un dono prezioso che ho abbandonato nel vento di un giorno triste. Non rendersi conto di alcune sfumature, probabilmente ci rende non meritevoli di esse, o almeno così si tende a pensare se ci si sente in colpa o se ci fa stare male pensare a quello che si è perduto. Il titolo che ho dato a questo post è ciò che ho trovato dentro al mio ricordo di quel giorno perché ancora tanto è quello che sento e non posso dimenticare la mia mancanza, e non solo quella. Molto di quello che viviamo intensamente, quando il cuore ne è coinvolto, fa parte dell'amore, anche ciò che si trova in un ricordo o se ci si rende conto di qualcosa tempo dopo. E' qui che si comincia a sperare di avere una seconda occasione per dimostrare quel che si è capito. E questa seconda occasione assume le vesti di una nuova gemma che conserva nella sua essenza delicata tutto il desiderio di non sbagliare ancora e di non essere uccisa prima di potersi sviluppare. Così ci ritroviamo dall'altra parte, da quella di chi ha nel cuore una cosa preziosa, speciale, forte nel suo essere nata dal desiderio di rimediare, colorata di speranza, che si espone al giudizio e alla cura altrui, e mai si vorrebbe che la sua luce si spegnesse subito senza appello o per incuria.

venerdì 16 dicembre 2011

Drupi - Regalami Un Sorriso

Regali

Le feste natalizie sono tempo di regali. E' una tradizione e se ne segue la corrente. All'interno di questa corrente ci misuriamo con il nostro desiderio di fare regali o riceverne. In tempi in cui il denaro scarseggia, ma non si vuole rinunciare ad un dono per qualcuno che amiamo, si deve riguardare qualcosa. Il consumismo fa dimenticare spesso il vero significato di un dono. Se tutto è a disposizione è facile prendere una cosa qualunque, che più o meno possa andare bene, per non presentarsi a mani vuote. Credo che sia vero anche questo. Se, però, nonostante la vasta gamma di scelta, si desidera fare un dono mirato a qualcuno, il pensiero che entra in gioco in questo caso conta tanto quanto il regalo. Questo è ciò che ho sempre pensato ogni volta che ho fatto un regalo alle persone che mi sono care. Ci sono state volte in cui potevo permettermi di più per realizzare magari un piccolo desiderio del quale ero a conoscenza, e altre volte ho dovuto ridimensionare la forma tangibile che accompagnava il mio pensiero di affetto. Qualche volta ho fatto più di un regalo alla stessa persona e il numero dei regali era direttamente proporzionale al mio sentimento. Oggi, invece, ho a disposizione i mezzi per un solo dono a persona, quindi concentro in esso tutto ciò che voglio far dire al mio cuore. Il regalo è sempre stato un mezzo di espressione del mio sentimento per la persona che lo riceve, così non ho mai preso la prima cosa che capitava, ho sempre riflettuto a fondo per ricordare o capire cosa poteva fare piacere o mancare o essere necessario o solo diventare un piccolo desiderio realizzato, anche se ci sono state volte nelle quali mi sono lanciata dando voce al mio cuore senza sapere esattamente il vero desiderio altrui, affidandomi solo al pensiero che ciò che l'altro avrebbe ricevuto sarebbe stato solo il simbolo della mia volontà di farlo stare bene in qualche modo, fosse anche stato questo solo un tentativo.
Ciò che vai donando è sia espressione di te che doni,  affinché chi tu ami, e che ti ama, abbia vicino a sé qualcosa di materiale che gli ricordi la tua presenza, sia un qualcosa che realmente possa essere un'acquisizione positiva concreta e non solo superflua. Non è facile fare un regalo di questo tipo perché farlo implica saper leggere nel cuore altrui e nel proprio, è comprendere cosa è troppo e cosa non lo è, è agire per donare luce, benessere, sorriso. Non è solo consumismo anche se ci serviamo di oggetti già prodotti per fare questo. Avendo tempo a disposizione si possono confezionare personalmente regali che esprimano i nostri sentimenti, e per confezionare non intendo impacchettare, intendo costruire materialmente con le proprie mani. In questo caso, tutto il tempo in cui ci applichiamo per fare quello che sarà il nostro dono per qualcuno, farà parte del pensiero che lo accompagna. Dedicare tempo è una forma di dimostrazione di ciò che proviamo per una persona. E varrebbe anche nel caso in cui si dedicasse solo il tempo senza accompagnarlo con un regalo materiale.

mercoledì 14 dicembre 2011

Senza compromessi

Esserlo è motivo di orgoglio. E questo orgoglio è una fierezza che gonfia il petto dell'anima, non solo del corpo. Positiva ventata di coraggio e dignità se per compromesso si intende quel passo fatto senza partecipazione né desidero. Ogni volta che ho sentito qualcuno dire di essere una persona che non scende a compromessi ho spiato nei suoi occhi e nel suo cuore il reale significato, al di là delle parole. Non avendo la chiarezza di una definizione unica di compromesso preferisco faccia fede la luce che tutti quanti emaniamo mentre ci esprimiamo con ciò che abbiamo dentro. Certe volte le parole sono solo parole se non le nutriamo con ciò che siamo dentro. Dunque, osservando, ho visto che questo essere senza compromessi è un vanto poiché rappresenta la percezione che ciascuno ha di se stesso in seno al mondo. Se scendere a compromessi è giudicato come una debolezza il più delle volte, non averne significa l'opposto, ossia la forza dalla quale far discendere la propria dignità. E la dignità è quel sentimento che ti fa camminare a testa alta nella vita. Posto che non si sia estremisti tanto da tendere troppo la propria preziosa flessibilità che risulta utile se accompagnata da saggezza. Il lato oscuro dell'orgoglio è divenire suscettibili, permalosi, come se la pelle dell'anima fosse irritabile, cosa che non fa realmente parte della luce che la accompagna, dato che essa proviene dalla consapevolezza del cuore. Questo essere senza compromessi è anche come la spada di un guerriero, uno strumento per vivere proteggendosi da ciò che riconosciamo, in quel momento, come un qualcosa che ci deruba della parte più vera che vive in noi e la difesa sta nel rispettare se stessi proprio evitando le scorciatoie il cui sbocco è un'incognita. Nel mio immaginario un compromesso, così come mi viene suggerito da coloro che ascolto, diventa una frase di questo tipo: "se io faccio così tu allora fai così ed entrambi otteniamo qualcosa". Direi che non esisterebbe nemmeno il concetto di compromesso se non fosse coinvolto l'ottenere qualcosa dall'azione che ci vede coinvolti. Il tornaconto sembra stia dietro ad ogni cosa. E già parlare di tornaconto è dargli una sfumatura negativa, in realtà si tratta dell'ottenere un qualcosa in generale, dato che quasi mai si fanno cose, nell'ambito del tessuto sociale, fine a loro stesse. Quando sento dire che la coppia è l'esempio di un compromesso non mi trovo d'accordo poiché infiniti sono i casi da distinguere. Sintetizzare una cosa tanto preziosa come lo stare insieme a qualcuno, con questo discorso, è, secondo me, la voce della delusione di qualcuno che credeva di rimanere statico accanto al compagno. Stare vicinissimo a qualcuno tanto da condividere la vita e tutto ciò che ne fa parte, implica comprendere, se non rendersi conto pienamente, che la nostra risposta all'altro è un movimento. Quando siamo da soli, viviamo da soli, ci sviluppiamo in modo da bastare a noi stessi, e questa abitudine si disegna tramite la forma che scegliamo di dare a quella che riteniamo la libertà adatta al nostro modo di essere e di fare. Lo stesso vale un po' per tutti, cos' quando ci troviamo vicini se non viaggiamo sul raggio del cuore, non riusciamo a smettere di essere come eravamo da soli. Il cuore ha il potere di sciogliere, ammorbidire, rendere flessibili con intelligenza e giudizio, nel senso di attenzione viva e buona volontà, così se si ci si avvicina gli uni agli altri senza metterci il cuore vero vivremo male la convivenza, la vicinanza, perché sentiremo non morbida accoglienza ma duro e forzato adattamento, ciò che, secondo me, sta alla base della considerazione della necessità dei compromessi all'interno di una coppia. Se c'è amore i compromessi, come tali si definiscono, smettono di esistere perché il posto viene occupato dalla comprensione e dalla sperimentazione con gioia delle cose positive e dalla forza dell'amore che accompagna nelle difficoltà. Ed è il lavoro che facciamo su noi stessi per comprenderci che permette tutto il resto. Nonostante il concetto sia complesso e ricco di sfumature vorrei solo aggiungere che, se l'essere senza compromessi è l'aspetto positivo della dignità sposata alla saggezza, allora ci sarà anche ammirazione per questo sguardo limpido che vibra negli occhi di chi lo sente vivo dentro di sé.

Di necessità si fa virtù

Crescendo, ho sentito spesso questo modo di dire. Lo collego al ricordo della nonna, nei momenti in cui ci si doveva adattare, cercando di non prendersela troppo per il fatto di non avere ciò che si desiderava avere. Oggi è rispuntato fuori, mentre camminavo per andare a fare la spesa, con in mente la preoccupazione di non avere abbastanza denaro per prendere tutto senza pensieri, come qualche anno fa, prima del cambio dalla lira all'euro. Non mi è dispiaciuto ricordarmi di questo motto anche se mi rammenta la realtà. Quando ero bambina mi piaceva pensare alla gamma di possibilità dell'adattamento, una sorta di scacco a quella realtà che crediamo fissa sempre in un unico punto. Allora vedevo la sfida e il divertimento che comporta misurarsi con l'andare alla ricerca di una soluzione. Associo ancora oggi l'essenza di questo pensiero al significato che esprime la frase. In fin dei conti, provare a vedere le cose in una luce differente, per conviverci meglio, è scegliere una soluzione alternativa alla disperazione che verrebbe quando, fissandosi a vedere le cose sempre in uno stesso modo, se ne ottiene solamente un gran sbattere di testa nella parte più dura del muro. Se la necessità rappresenta tutto quello di cui abbiamo reale bisogno per vivere dignitosamente, spesso manifestandosi come assenza di un qualcosa che serve o come qualcosa che scarseggia, farne virtù significa, secondo me, adattarsi in modo tale da non sentirne più né la mancanza né lo scarseggiare. Non solo, è anche dare valore al poco che abbiamo ancora a disposizione. L'essenza profonda, così come mi è stata sempre comunicata, è il senso dell'adattamento accompagnato da un sorriso non di rassegnazione ma da quello di chi, consapevolmente, sa che siamo abbastanza flessibili da riscrivere la realtà quotidiana per starci dentro ancora nonostante tutto.  La virtù è un concetto che viene compreso come un aspetto positivo di qualcuno o di qualcosa. Così, fare di necessità virtù, è un pensiero utile e prezioso da portare sempre con sé perché non si sa mai, potrebbe servire, qualche volta, come la forza di un bastone che ci sorregge mentre tentiamo di rimetterci in piedi dopo una caduta.

Virtu

Vocabolario on line
virtù (ant. virtude o virtute, e anche vertù, vertude o vertute) s. f. [lat. virtus-ūtis «forza, coraggio», der. di vir «uomo»; il sign. moderno è dovuto principalmente al lat. cristiano]. – 1. a. Disposizione naturale a fuggire il male e fare il bene, perseguito questo come fine a sé stesso, fuori da ogni considerazione di premio o castigo; nella teologia cattolica, abito operativo per cui si vive rettamente: educare alla v.; amare, praticare, esercitare la v.; seguire la via della v. (opposta alla via del vizio); essere modello, esempio di v., un fiore di v
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venerdì 9 dicembre 2011

Vuoto

Oggi, ripensando a qualcuno che non c'è, sono finita a riflettere su questo concetto in più forme. Con il mio solito modo di fare mi sono messa a classificare. Il vuoto è l'opposto del pieno. Il vuoto può rappresentare l'assenza sia di qualcuno che di qualcosa. Il pieno può rappresentare qualcuno o qualcosa, è spazio non vuoto, dunque. Lo spazio ha una collocazione, da qualche parte dentro di noi o intorno a noi. Eppure il vuoto lo classificherei in due tipi, l'uno circoscritto, volendo intendere un tipo di mancanza all'interno di qualcosa, laddove rimanga una sorta di contorno che porti memoria di quello che viene a mancare, mentre l'altro lo definirei più astratto, ugualmente percepibile, un tipo di vuoto, però, i cui confini non riusciamo a definire con esattezza. Per ciascun tipo di vuoto noi abbiamo una reazione, un eventuale adattamento, e questo implica che il vuoto rimane presente, specialmente se deriva dall'assenza di un affetto. Misurandoci con la percezione di questo vuoto possiamo scegliere due strade principali: mantenerlo riconoscendolo come tale o trasformarlo in qualcosa di diverso. Nel primo caso altre due strade si diramano: un vuoto che permane può essere accettato e lasciato così com'è, o rifiutato ma in questo caso non abbiamo potere di trasformazione su di esso se non lo riusciamo ad affrontare, quindi il vuoto continua ad esistere, ricordato o dimenticato che sia. Nell'altro caso il vuoto può essere riempito in qualche modo ma, se si scavasse a fondo, si potrebbe scoprire che ciò che abbiamo messo in quel vuoto non è riuscito a trasformarlo, è semplicemente rimasto un vuoto riempito. Una sostituzione non determina di conseguenza e con sicurezza totale la trasformazione del vuoto, ricordando che il pieno non è la trasformazione del vuoto, è ancora un gioco a due sullo stesso piano tra due entità uguali ma contrapposte, il pieno e il vuoto. Se il vuoto viene trasformato non è più né vuoto né il suo opposto, è una cosa che esce dal gioco, è qualsiasi altra cosa che non avrà radici in nessuna delle sue condizioni precedenti, né nel vuoto né nel pieno che occupava il vuoto.

mercoledì 7 dicembre 2011

Se sei te stesso

Se sei te stesso emani la forza di ciò che sei. Questa forza che ti circonda ti può aprire delle porte, anche se non hai ancora compreso completamente chi sei. Ciò che conta è accettarsi nel proprio presente e questo equivale a non mentire, perché ogni cosa che faremo o il modo in cui sceglieremo di comportarci scaturirà da una realtà e non da una finzione. Questo credo sia un ottimo abito con il quale presentarsi. Tutto ciò che ci circonda, quello in cui siamo immersi, qualche volta si modifica per lasciare sufficiente spazio per esprimerci ma la maggior parte delle volte siamo noi a lottare per ricavare questo spazio entro il quale poter essere noi stessi. Il mondo può modificarsi in modo positivo se siamo sinceri. Ho sempre cercato le metafore adatte per poter condividere il mio pensiero tramite un'immagine comprensibile. Quando ho pensato a cosa associare al concetto di sincerità, mi è sembrato adatto descriverla come l'irradiarsi dei raggi solari. Nella sincerità c'è una grande componente luminosa, dal momento che la luce da sempre viene associata a qualcosa di positivo, così come lo è la sincerità. L'irradiarsi è un movimento centrifugo, ossia ciò che si muove parte da un centro e procede verso l'esterno. L'essenza di questo movimento esprime ampliamento, il contrario di un qualsiasi movimento che porti a rimpicciolire, ad una chiusura, ad un restringimento, tutte immagini che richiamano alla mente non benessere né conforto, dove benessere e conforto sono tutto ciò che, cose nascoste e più buie, non riescono a dare. Salvo eccezioni, poiché sempre ve ne sono e ad esse si deve uguale considerazione. Tralasciando, però, le eccezioni personali, in generale, al movimento centrifugo si associa lo splendere dei raggi di luce mentre al buio si associa il movimento contrario, quello centripeto, ossia verso il centro. Così è l'essenza del movimento dell'assorbimento della luce. L'insincerità, il contrario della sincerità, è come il buio per la luce e, se si riesce a non giudicare migliore l'una o l'altra, si può vedere cosa portano con sé. Schierarsi o preferire un comportamento piuttosto di un altro, o ritrovarselo addosso, fa parte del percorso che stiamo affrontando, ma è nella comprensione di ciò che ognuno dei due rami offre al resto del cammino che possiamo riscoprire cosa davvero fa per noi e cosa realmente sentiamo più vicino al nostro essere. E' da questo che si ricava un tassello in più per riscoprirsi se stessi, dalla scelta dopo la comprensione. Non serve scendere a compromessi se si è se stessi. E' vero che spesso si può rimanere soli scegliendo la sincerità dell'essere quando certe circostanze nel mondo offrono vie facili a chi, invece, si adatta a mettersi una maschera, ma è altrettanto vero che si guadagna qualcosa di più prezioso, anche se meno nell'immediato, a parte, ovviamente, andare a letto sereni la sera. Se sei te stesso vinci ogni istante la partita anche se sembra di stare perdendo. Il confronto vincente è ricordarsi che stare bene con se stessi alimenta il giorno seguente riempiendolo di vita; poco importa, davvero, se qualcuno non comprende cosa significa questo rispetto che si deve a ciò che siamo. Siamo noi che conviviamo costantemente con le scelte che facciamo e se non le facciamo avendo guardato bene dentro di noi ne soffriremo sempre, finché non comprenderemo e rettificheremo la scelta che ci sembra non fare più parte di noi, in sincerità. Non sono gli altri, che ci giudicano, ad essere sempre a contatto con quello che scegliamo di essere per farli contenti o per adattarci controvoglia. A che serve avere due facce che arrivano a confondere il vero io interno, quello che risiede nel cuore? Si perde qualcosa, si perde presenza, si perde unità nello spirito, si perdono amicizie vere e sincere perché da qualche parte, un giorno, un nodo arriverà in superficie e potrebbe essere accompagnato da un tradimento della fiducia che qualcuno, che ci vuole bene, ripone in noi. Ne nascerebbe un errore che potrebbe essere irreparabile, imperdonabile e vivremmo nel dolore. Con questo, prediligere la sincerità dell'essere se stessi non significa farlo per avere un tornaconto, significa poter comprendere profondamente le ragioni della voce interiore, che sempre vorrebbe essere chiara e limpida per ciò che è, e non ignorata in favore di un adattamento che la sconvolga per essere messo in atto. Se sei te stesso risplendi e illumini anche chi ti sta accanto. R.B.

martedì 6 dicembre 2011

Queen - Heaven For Everyone (con testo tradotto in italiano)

Imperfetto

Tutto lo è. Se esistesse davvero la perfezione, sotto qualsiasi forma, quasi nulla avrebbe lo scopo di proseguire per evolversi ancora. Siamo portati a pensare che una cosa perfetta sia imperitura, incorruttibile, stabile nel suo splendore, estremamente funzionale, infallibile. E' confortante pensare che possano esistere cose o persone perfette ma credo che, più realisticamente, sia vero che, se ci fosse qualcosa di perfetto da qualche parte, questo qualcosa sarebbe il percorso verso la meta alla quale si tende. Io chiamo questo percorso la perfettibilità, volendo credere anche che la meta verso la quale si tende sia solo ciò che riesce a far dare il meglio di noi nelle varie situazioni. Quindi più che una meta dovrei dire uno scopo o, ancora meglio, un punto di riferimento verso il quale ci stiamo dirigendo. Ho sempre pensato che il percorso sia più importante del punto di arrivo perché in esso possiamo raccogliere tutte le informazioni necessarie per acquisire qualcosa in più rispetto a prima. Quindi ciò verso cui tendiamo permette di esprimerci e di farci conoscere agli altri. Come ci comportiamo durante questo percorso, che si sia sotto dei riflettori o meno, ci svela. Se investiamo tutto ciò che siamo o abbiamo, tutta l'energia, sulla forma esteriore, sull'apparenza che forniamo agli altri affinché ci definiscano, potremmo raggiungere qualcosa di simile alla perfezione. Tale costruzione per apparire sempre perfetta, per rispondere alle caratteristiche del concetto di base della perfezione stessa, richiede movimenti minimi per non scomporre o arruffare l'acconciatura metaforica. Ciò che si muove dentro, però, inizia a soffrire per la mancanza di agilità ed elasticità. Pensando a questo, rivedo coloro che scelgono tutte le strategie accessibili per favorire il percorso di perfezione fisica e, in parallelo, vedo coloro che scelgono altrettante strategie per raggiungere la perfezione interiore o nel pensiero, con l'eventuale sofferenza dell'apparenza esteriore. Al di là dei risultati raggiunti da ciascuno,  ciò che rimane è il percorso, e ciò che si pensa e si desidera mentre lo si sta percorrendo. Se dunque nego la perfezione come un punto in cui tutto si ferma, data la meta raggiunta, resta quella che chiamo perfettibilità, tutto ciò che si può ancora aggiungere per andare avanti. Se la perfezione è una specie di meta in alto, l'aggiungere in questo percorso porta inevitabilmente, ad un certo punto, per questioni di fisica, al raggiungimento di un massimo possibile, affinché ciò che si è aggiunto fino a quel momento non crolli malamente giù. Se la perfettibilità è, invece, una specie di percorso su di un piano, aggiungere diventa sempre possibile e ciò che si ottiene è lo sviluppo di un disegno costituito da tutti i punti aggiunti, come nel gioco della settimana enigmistica. L'evoluzione personale non differisce poi così tanto dalla radice di questo pensiero poiché l'aggiunta consecutiva "lineare" permette di vivificare il percorso stesso e di colorarlo. Così, volgendoci indietro un giorno, potremmo vedere qualcosa che sarà legato alla memoria di ogni passo piuttosto che alla fatica di aver ammassato cose l'una sopra all'altra verso una vetta innaturale. Il risultato di questo è la consapevolezza dell'imperfezione come stato naturale e l'accettarlo insegna qualcosa all'anima. Con ciò non si deve escludere né il desiderio che muove il passo, ossia la tendenza alla perfezione tenendone presente il concetto, né i passi fatti o da fare su questo percorso seguendo il desiderio che lo produce, c'è spazio per ogni cosa entro quello che siamo e che sperimentiamo. Parte del riconoscersi imperfetti consiste nel comprendere che mentre viviamo ci muoviamo per continuare a vivere e possiamo sbagliare o possiamo essere impeccabili dando il meglio di noi. Possiamo essere saggi o stolti, perfetti o meno, ma saremmo comunque nel bel mezzo del nostro percorso di sperimentazione della vita. Potremmo anche risultare sempre imperfetti ma se non ce ne offendessimo e fossimo compresi e perdonati, e sapessimo perdonare tenendo presente questo, in verità saremmo ben più impeccabili e perfettibili di quanto crediamo. E avremmo salvato uno dei raggi più luminosi del cuore, quello della tolleranza.