venerdì 30 settembre 2011

"Com'è bella la sposa!"

Un pensiero, un commento, un sorriso dentro. Lo confesso, sono una di quelle donne che piangono ai matrimoni, scusate, ma l'emozione mi avvolge come un tulle ricamato. Quando mi capita mi meraviglio della mia reazione ma rimando la domanda con annessa riflessione a dopo le lacrime. A mente fredda mi verrebbe da dire che è una sciocchezza commuovermi così senza un perché, solo sull'onda dell'emozione. E' dunque scoprire la scintilla di nascita di questa emozione quello di cui avrei bisogno per comprendere il perché, anche se credo sia meglio vivere un'emozione pienamente senza vergognarsene e, magari, senza scavare troppo e tutto questo perché si tratta di un'esperienza vivificante. Talvolta succede, ricercando il perché di come ci si sente, di smettere di emozionarsi, come se la meraviglia di un istante magico scomparisse appena sfiorata dalla mente ragionante. In certi casi vorrei potermi fermare un attimo prima per l'avidità di continuare a vivere quella data emozione, invece di iniziare a interrogarmi sul perché e percome. Quando ti batte il cuore per qualcuno, per esempio, manderesti volentieri la mente a fare un bel giro lungo lungo; è scomoda una mente che si chiede il motivo per cui il cuore ama. Scusa mente, ma non è il momento, quindi preferisco vivermi tutto quel che sento anche se il trucco si scioglie sotto lo scivolare silenzioso delle lacrime. E la sposa è davvero bella perché si sente bene in quel momento, perché è piena di sentimento e di speranza. Per molte donne sposarsi è un sogno che si realizza. E il sogno è articolato in molti sentimenti e desideri, è simbolo di un inizio laddove il dialogo con chi si ama dovrebbe diventare esclusivo, circondato dalla pace di chi si riposa dopo aver cercato con molte delle sue forze un compagno per la vita e sa che può finalmente iniziare a viverla. Una certezza. Criticabile, come ogni altra cosa sulla faccia della terra ma, mettendosi nei panni della sposa, ogni critica si sgretola senza traccia. Parlo da donna poiché non so il pensiero profondo di un uomo in merito al matrimonio. Anche dello sposo, però, potrei dire, vedendolo vestito elegante per la cerimonia, che è bellissimo. Da osservatrice, magari sbagliandomi, aggiungerei a tutto ciò che, anche se le sfumature sono molte, l'essenza è praticamente una. E questa essenza è un qualcosa alla quale diamo, o tentiamo di dare, infiniti nomi e definizioni, dimenticando la cosa più importante, che si tratta di un'emozione vitale che ha una piccola parte nell'inconscio di retaggio animale, una discreta parte esplicabile a parole, mentre quello che resta è fatto di  tutto ciò che non si può dire ma solo sentire, e interpretare, inteso come vivere pienamente senza lasciare spazi vuoti nei quali la mente potrebbe insinuarsi per trovare mille cavilli, scuse, alibi, paure per darla vinta a quella parte di noi che non vorrebbe mai prendere in mano se stessa con tutto il coraggio e la lealtà per affrontare un passo importante per la crescita umana. E questo passo importante non è il matrimonio come istituzione, secondo me, è, invece, il fare spazio in noi a qualcun'altro che non è noi, un po' come liberarsi di brandelli di orgoglio vecchio e logoro per troppo uso, per permettere alla persona che abbiamo accanto di condividere la nostra vita e il nostro cuore. Il matrimonio è solo una cerimonia, al di là dei vincoli legali che comporta, in cui si accetta pubblicamente la consapevolezza di compiere questo passo. Questo è il mio pensiero. E la sposa è davvero bella, perché risplende nel suo abito, e sarebbe così anche se indossasse degli stracci, perché è il suo cuore a risplendere. E' un giorno che ne vale mille come promessa di fedeltà e, se dovessi augurare qualcosa agli sposi, direi loro di concentrare parte delle loro forze sulla conoscenza reciproca ad un livello profondo, come quando i loro corpi sono pelle a pelle, perché anche i cuori e le anime dovrebbero poter essere così, per sperimentare l'amore in tutti i suoi aspetti. E di non trascurare di conoscere ogni giorno un po' meglio loro stessi, per non arenarsi nelle difficoltà più banali che potrebbero assumere la forma di scogli insormontabili, per non scontrarsi senza reale motivo, per non smettere mai di parlare e di comunicare, per scoprire i propri punti deboli  trasformandoli insieme in punti di forza, per accettare reciprocamente l'esistenza di momenti di silenzio con la certezza che comunque non saranno motivo di separazione, per camminare insieme l'uno accanto all'altro. Non so quali promesse e sogni condividano gli sposi ma scommetterei sui loro cuori anche se per alcuni le cose poi non vanno. Se quel giorno la sposa fosse radiosa e lo sposo mostrasse la sua anima nella luce degli occhi, direi loro di non perdere di vista il loro cuore e il loro attimo prezioso nella promessa che si stanno facendo, per tornare lì ogni volta che serve, nei momenti difficili, per rammentare tutto ciò che sono come la pienezza che si sperimenta il giorno in cui ci si rende conto di amare.

martedì 27 settembre 2011

Come gli altri ci vedono

Credo che questo pensiero faccia sorgere molto spesso l'omonima domanda. Se si è impegnati a vivere la propria vita intensamente può non esserci tempo sufficiente per soffermarsi a pensare come gli altri ci vedono, magari di sfuggita ci pensiamo ma può anche non importarci, oppure può essere essenziale per vivere. Dipende da come siamo, da dove mettiamo l'accento sulla parola "io". Questo vedere gli altri è una catena poiché siamo e contemporaneamente guardiamo chi si trova accanto, accade a tutti più o meno osservare ed essere osservati. L'essere qualcosa è ciò che determina il soggetto del vedere altrui, ossia io sono me stesso con tutto ciò che ho dentro e che mostro oppure no e tutto ciò che sono esteriormente e tutto questo insieme di cose è quello che gli altri vedono di me. Se l'osservazione si limita all'essere un solo sguardo e via, potendola così definire superficiale, ciò che in quell'attimo viene colto di me può non essere assolutamente veritiero. Solo una attenta osservazione o che essa si ripeta nel tempo, assumendo così il nome di conoscenza, può far vedere agli altri come sono veramente. Quindi chiedendosi come gli altri ci vedono, che risposta ci diamo? E dico ci diamo, dovendo supporre la risposta, poiché non interroghiamo certo tutti quelli che incontriamo. In questa supposizione dobbiamo mettere la nostra osservazione di ciò che abbiamo notato nello sguardo o nel comportamento altrui nei nostri confronti per carpire qualcosa. Possiamo affidarci all'intuizione e alla deduzione logica o al sesto senso o alla semplice conoscenza della mimica facciale ma comunque non sarà mai una conoscenza soddisfacente, per il fatto che è incompleta e non ci appartiene dal momento che noi vorremmo usare un pensiero altrui su di noi per conoscere noi stessi attraverso altri occhi. Arzigogolato pensiero. Diciamo che io sono per l'eliminazione di qualche passaggio e preferisco essere me stessa senza dare importanza a come gli altri mi vedono. Non dico di ignorarlo volutamente, anche se qualche volta può far comodo per schermarsi dai pensieri altrui che possono confondere le idee, ma dico che non ci faccio affidamento per costruire parti di me stessa. Se è vero che in ogni istante non possiamo essere perfetti, per resistere allo sguardo fugace del prossimo che emette un giudizio in base a ciò che ha visto, possiamo però convivere con aspettative meno alte e con il mettere in conto che quell'unico, fugace, sguardo si posi su di noi proprio nel momento meno opportuno, quando non siamo al top. Così da scherzarci un po' su, per prendersi meno sul serio, per sorridere anche quando verrebbe da piangere per la disperazione da delusione. Per essere più rilassati con se stessi, per non tirare troppo la corda dell'importanza dell'apparire, per stare bene dentro così, nel caso qualcuno stesse guardando proprio in quel momento, vedrebbe un volto sereno, anche se fosse segnato da orrende cicatrici. E non dimenticatevi che qualche volta capita di vedere gli altri attraverso il nostro giudizio prima ancora che attraverso i nostri occhi, ecco perché il valore di tutto sta nel come siamo noi indipendentemente da come ci vedono gli altri, perché se noi sappiamo come siamo nessuno sguardo e nessun filtro potranno mai distorcere la nostra verità, né profonda né superficiale. Come ci vedono gli altri può avere importanza se sappiamo farne buon uso, altrimenti è un vezzo altrui di cui possiamo fare a meno. Ma la cosa realmente importante, quella che è la nostra verità, è imparare a conoscere davvero quel che siamo, come e chi siamo, senza accontentarci di uno sguardo fugace, ogni tanto, come quello che non vorremmo ricevere da altri. Perché è anche vero che ciò che gli altri vedono di noi può essere, nel caso non sapessimo guardarci dentro, un buono specchio per iniziare a capire meglio chi siamo o per accorgersi di ciò che ancora non abbiamo visto. La mia iniziale critica si rivolge al mondo di parole che nascono da giudizi per conoscenza non approfondita, ripensando a come io stessa non ho, in certe occasioni, visto bene gli altri o altri non hanno visto bene me, sempre a causa di occhiate fugaci, senza approfondimento, pur sapendo bene quanto, talvolta, ci siano casi in cui senza la visione altrui nei nostri confronti saremmo arenati o perduti. E dunque si ritorna sempre lì, nel punto in cui si deve ammettere che ogni cosa va valutata per se stessa nel momento in cui si presenta. Così non si può negare che qualche volta sia utile sapere come gli altri ci vedono, nel bene o nel male, e altre sia invece inutile perché destabilizzante se ancora il tronco che ci sostiene è acerbo e troppo flessibile anche se di robusta promessa. Qualche volta serve, qualche volta non serve, sta a noi riconoscere il momento adatto per l'ascolto, e per scegliere conseguentemente se usare o meno ciò che abbiamo udito di noi per crescere.

giovedì 22 settembre 2011

Tenere le redini

Le redini servono al cavaliere per comunicare con la bocca del cavallo, per dirigerlo e per mantenere il contatto con lui. Ricordo la prima lezione di equitazione, l'istruttore ci insegnò l'importanza di tenere correttamente le redini, la postura da mantenere usando una sella inglese, la posizione delle gambe e la lunghezza delle staffe. Non è facile imparare a tenere le redini. Durante la prima lezione, anche se non si ha paura dei cavalli, viene di riflesso aggrapparsi alle redini, cosa che invece non si deve fare. Le redini non sono una maniglia o un salvagente, sono ciò che abbiamo a disposizione per comunicare con il cavallo (oltre alla pressione delle gambe) che viene addestrato a riconoscere questo linguaggio convenzionale. La prima lezione fu lunghissima, faticosa e piena di errori. Le redini sono delle strisce di cuoio e le mani devono tenerle saldamente per poter assecondare il movimento, poiché la testa del cavallo, durante l'andatura, si muove. Un avvertimento, siate sempre pronti al movimento brusco della testa che va a terra per distendersi o per brucare dell'erbetta. Non sapendolo mi sono trovata quasi scaraventata a terra perché tenevo le redini troppo strettamente e pretendevo di resistere alla forza del cavallo. Va da sé la riflessione che se si tengono le redini troppo saldamente, così come per molte altre cose, ci si irrigidisce, ed essere in tale stato di tensione impedisce la fluidità di ogni movimento nostro e del cavallo che avverte, tramite le redini che sono agganciate al morso, la nostra rigidità. Un cavaliere che non riesce ad essere fluido rischia di cadere. Non stringete troppo, immaginate che nelle mani le redini possano respirare, ma non lasciatele mai. Dall'altra parte ci sono redini tenute troppo mollemente, in questo caso non c'è comunicazione con la bocca del cavallo, e se l'animale non riesce a capire chi ha sulla sua groppa può non obbedire. E questo non è consigliabile. Comunque sia, tenere le redini troppo mollemente, in caso di strattone della testa del cavallo, o cambio di andatura, possono scivolare completamente dalla mani e allora diventa pericoloso. Si rischia di cadere anche in questo caso. Se ne deduce che è essenziale tenere correttamente le redini, non solo per esercitare il controllo sull'animale che vi ospita sulla groppa, ma per imparare qualcosa da riportare con voi nella vita quotidiana. Prima di tutto correggere il concetto di controllo per ricondurlo a quello di comunicazione, perché anche se in molti pensano che i cavalli siano meno intelligenti di altri animali si deve loro rispetto per lo sforzo di essere addomesticati e addestrati in favore delle attività umane, rinunciando alla loro libertà, e questo rispetto ha bisogno che si riconosca a questi splendidi e possenti animali una condizione di parità, possibile tra anima e anima, cuore e cuore, corpo bipede e corpo quadrupede, quella di cavallo e cavaliere. I cavalli hanno personalità differenti come cani, gatti, esseri umani. Ho conosciuto cavalli ottusi, ombrosi, fieri, eleganti e docili, pazienti e con una gran cuore, giocherelloni, stanchi ma resistenti, e l'esperienza che offrono potendoli cavalcare è positiva. E il parallelo che la metafora offre, quella del tenere in mano le redini di qualcosa, rammenta che la padronanza conta, intendendo con padronanza l'abilità nel gestire, ossia ciò che si raccoglie per arricchire la propria conoscenza delle cose e di come si fanno, non solo l'imparare come comportarsi nelle varie circostanze. Il "controllo sulle cose" è una sfumatura scura di quello che dovrebbe essere il sano imparare il "controllo delle cose". Esercitare il potere della conoscenza delle cose, che serve normalmente per muoversi nel mondo, non dovrebbe comportare l'eccesso della morsa della mano consapevole del suo potere, anche se il potere può avere un gusto irresistibile per alcuni.

mercoledì 21 settembre 2011

Visualizzazione come essenza della comunicazione

Tutte le attività che richiedono l'utilizzo della comunicazione per ottenere comprensione di concetti fanno uso della parola, sia in forma scritta che in forma verbale. Oggi stavo riflettendo sul potere della poesia e quanto essa sia efficace come contenitore di conoscenza, se le parole che le danno vita ricreano immagini. Sono stata lettrice e autrice di poesia. Quando leggo poesie, se queste non riescono ad avvolgermi con immagini o con dei colori associati a sensazioni, ma sono solo parole che non si legano efficacemente le une alle altre, non riesco a sentirne il messaggio. Non credo che per tutti sia la stessa cosa, non tutti abbiamo bisogno di vedere immagini per capire i concetti ad esse associati, magari per qualcuno è vero l'esatto contrario, e solo le parole che non fanno visualizzare qualcosa riescono a far loro comprendere l'essenza del componimento. Io credo però che l'immagine sia un veicolo molto più immediato per comunicare. Se non stiamo usando matite o pennelli, per dare agli altri i nostri pensieri, ma stiamo usando parole articolate in frasi, ciò che scriviamo dovrebbe far vedere tutte le cose invisibili che sono dentro di noi e si dovrebbe, dove possibile, creare una forma il più concreta possibile e riutilizzabile dal lettore. Chi legge, dunque, dovrebbe poter beneficiare di una poesia o di una qualsiasi cosa scritta come una sorta di specchio. Ci sono molte più cose comuni a tutti dentro ciascuno di quanto si possa pensare, seppure ognuna di queste si mostri con una differente sfumatura che dipende da come siamo o da cosa sappiamo fin nell'istante presente considerato. Riuscire a far vedere ciò che sto pensando a qualcun altro, in modo semplice e diretto come tramite un'immagine, è una conquista, almeno per quanto mi riguarda. Tutto questo posto il fatto che a qualcuno interessi vedere i pensieri più comuni dipinti con sfumature personali profonde. Scrivere tramite poesia, in parte, facilita questo compito perché in genere la brevità del componimento spinge alla sintesi e la sintesi rimanda spesso alla creazione di un'immagine metaforica. Questo tipo di immagine creata con le parole è come un'abile mano che sceglie e raccoglie nel profondo guizzi e veli di emozioni, frammenti di pensieri impalpabili che vibrano di ombre o luci, e li porta più su, e li adagia sul piano della conoscenza diretta, poco distante dalla fucina dei sentimenti, poi li lascia lì per un po', per il tempo necessario a raccogliere altri frammenti, gocce e fruscii, che altrettanto abilmente va cercando nell'anima dei passanti. E quando ogni componente è stato radunato, l'abile mano, col suo calore, li fonde assieme e li conduce in quella parte della mente umana che abbraccia non soltanto la testa con tutti suoi sensi attivi ma anche il cuore. E nel cuore c'è un'ampolla dove si distilla goccia a goccia ogni parola che nasce con sincerità da questa amalgama del tutto, esterno e interno, e da qui partono due fili sottili, uno che porta direttamente alla lingua e uno che percorre il braccio fino alle mani per terminare nell'estremità di esse. E' così che un poeta scrive forgiando immagini per nutrire la mente del lettore.

martedì 20 settembre 2011

Azzurro di smalto

Oggi è una giornata con il cielo intensamente azzurro anche se qua e là ci sono delle nuvole. C'è vento e fa fresco, fra tre giorni sarà l'equinozio d'autunno. Ho intitolato questo post "Azzurro di smalto" perché il colore del cielo odierno mi ha comunicato questa sensazione, tanto intenso da sembrare smaltato, lucido, pulito, vivo e rinfrescante per gli occhi e l'anima che lo contemplano. Mi è sempre piaciuto stare col naso all'insù per guardare il cielo azzurro nei giorni speciali come questo. La sensazione che ti mette in comunicazione con questo suo immenso essere azzurro è come una porta verso pensieri non ordinari. Una volta, tanto tempo fa, quando scrivevo poesie, mi bastava un rapido sguardo lassù, qualunque fosse la veste del cielo, per innescarmi le parole che facevano la spola tra l'immensità esterna e quella che intuivo essere un diverso tipo di immensità dentro di me. Così scrivevo. Catturavo pensieri che si tuffavano come delfini su e giù dalla superficie del conosciuto e li trasformavo in frasi. Pescavo nell'azzurro del cielo, che allineava la sua serenità alla mia anima per indurmi a ricrearla in me con gli stessi colori. In quel caso non c'era posto per alcuna nuvola, neppure passeggera, e se ci fosse stata come un turbamento, come una preoccupazione per qualcosa, si sarebbe dissolta amalgamata alle parole che nascevano una dopo l'altra per portare sulla carta la luminosità interna, creando comprensione attraverso le metafore che ho sempre amato usare per esprimermi. Non c'erano limiti alla fantasia dell'accostare un pensiero all'altro, un colore all'altro, pur seguendo il filo conduttore della sensazione del momento. Nascevano così i miei pensieri poetici, come li ho sempre definiti, invece di chiamarli poesie. La potenza dell'azzurro del cielo è speciale per ogni caso in cui ci sia bisogno di ricongiungersi con parti di se stessi dimenticate, ferite, maltrattate dagli eventi quotidiani. Il cielo azzurro dell'autunno non è uguale a quello azzurro della primavera, ciascuno ha il suo speciale potere balsamico, se mi passate l'espressione. L'autunno insegna il raccoglimento per poter affrontare il periodo dell'inverno, ti fa guardare dentro per capire se in noi c'è abbastanza calore per sopravvivere ai rigori del gelo che verrà. L'uomo però non va in letargo come gli animali in natura, ma può lo stesso imparare e prendere nota. Accorgersi di ciò che si ha dentro a disposizione per vivere è importante sempre e questo cielo autunnale allinea fibre di noi che possono comprendere queste necessità interiori. Si tratta solo di provare ad ascoltare con tutto ciò che siamo, non servono orecchi in questo caso. Si sta al cospetto dell'azzurro del cielo, anche se vi sono nuvole, si sta in silenzio, si acquietano i pensieri che non servono, si respira piano, senza fretta, ci si pone in ascolto disponendoci a ciò con la volontà di rilassarsi e di non avere fretta di andare altrove, si deve amare essere lì, poi si lascia che il vento o l'assenza di esso ci parlino sfiorandoci la pelle o facendo vibrare gli abiti che indossiamo, e si sommano le informazioni che giungono a noi tramite i sensi. Agli occhi spetterà la percezione dei colori e delle forme, al naso spetterà il riconoscimento di odori e profumi che viaggiano nell'aria, alla pelle spetterà rendersi conto della temperatura e di ogni sensazione che il vento procurerà, agli orecchi spetterà coordinare i suoni nei quali siamo immersi e al cuore spetterà tutto il resto, la percezione di ognuna di queste sensazioni fisiche, legandola a ciò che abbiamo dentro, fra memorie e sentimenti, lasciando quieti per un po' i ragionamenti logici, che tendono antipaticamente ad interferire con la vera percezione profonda di sensazioni importanti ancora senza nome. Così si ascolta il cielo azzurro e lo si contempla unendo il nostro essere al suo per comunicare. Ciò che ne discenderà sarà diverso per ciascuno anche se ciò che racconta il cielo è uniforme e semplice. Ciò che accoglieremo del suo essere dentro di noi sarà esattamente ciò di cui abbiamo bisogno in quel preciso momento. Questi sono il suo insegnamento e la sua cura.

Elvis Presley - Good Luck Charm

lunedì 19 settembre 2011

Ascoltare

La prima immagine che viene in mente, da legare alla comprensione del significato dell'ascoltare, è il senso dell'udito che passa dall'orecchio. Questo è ciò che si conosce per esperienza diretta e perché da sempre sappiamo che è così. Udire diventa sinonimo di ascoltare anche se l'ascolto ha qualcosa in più. L'udire è il semplice atto della percezione del suono mentre l'ascolto implica che ci sia una partecipazione della nostra attenzione nei confronti di ciò che si sta udendo. Nell'ascoltare c'è l'ingrediente della volontà dirigendo la quale si ottiene comprensione del concetto udito, se si trattasse di un discorso di senso compiuto, altrimenti, nel caso si stesse ascoltando un particolare suono, o una musica, o un semplice rumore, si avrebbe la nascita di un pensiero sulla base di tale ascolto. La mente è sempre attiva e pronta a creare su qualsiasi tipo di impalcatura le venga proposta. Le cose che ascoltiamo, specialmente discorsi, offrono strabilianti impalcature per la costruzione di pensieri e forme di essi che, spesso, se non riusciamo a ricondurli alla loro vera natura di evanescenti creazioni, possono recare danno la volta che vengono espressi e moltiplicati di mente in mente, di bocca in bocca. Il pettegolezzo, la diceria, ne sono un esempio. La mente, dopo aver ascoltato può comportarsi sostanzialmente in due modi nei confronti di ciò che ha udito. Se la ricezione mentale è chiara e la comprensione limpida, ossia non corrotta da idee preconcette o desideri frustrati, se i sentimenti sanno mescolarsi al significato appena udito senza distorcerlo, allora ciò che è arrivato dentro di noi tramite l'ascolto ha un valore, lo si può usare per imparare qualcosa in più, perché la comprensione che riesce a far andare a posto concetti separati dentro di noi ha bisogno di questa specie di sincerità e pulizia. Nell'altro caso, la distorsione di ciò che abbiamo ascoltato può discendere da impedimenti fisici, ma non è questo che voglio discutere, o da impedimenti dovuti alla presunzione di avere in mano tutte le risposte possibili e, automaticamente, l'ascolto stesso viene ridotto e frammentato da queste false certezze. Di conseguenza se venisse chiesto di ripetere ciò che si è appena ascoltato il risultato potrebbe non essere l'esatta ripetizione del concetto. Ripetere dopo l'ascolto con parole proprie, come ci hanno insegnato a fare a scuola, insegna a rendersi conto se riusciamo a capire o meno ciò che si sta ascoltando. E questo implica in parte riuscire ad ascoltare se stessi mentre si sta facendo tale esercizio. A qualcuno riesce meglio, a qualcuno riesce peggio, l'importante però dovrebbe sempre essere la fedeltà all'originale. L'ascolto in realtà è un'attività più oggettiva di quel che si pensi, la soggettività è data da quanto siamo pieni di noi o meno. E non ultimo da quanti pensieri si stipano nella nostra mente o sono in essa aggregati al momento dell'ascolto. Quotidianamente siamo abituati a parlare e ascoltare senza soffermarci su quanto siamo davvero capaci di saperlo fare, lo facciamo e basta. E il più delle volte ascoltiamo con tanta poca attenzione che non potremmo dire cosa è stato detto, in questo caso udiamo soltanto mentre siamo distratti da altri discorsi interiori. L'attività del rimuginare nella mente richiede che l'attenzione venga sottratta all'ascolto esterno in favore del rumore dei pensieri. Tutti coloro che sentono il bisogno della meditazione, magari avvicinandosi con curiosità e poca fiducia nel metodo, inizialmente, vengono introdotti ad una disciplina importante. La meditazione richiede che si sappia ridurre il chiacchierio interno ogni volta che serve fino a raggiungere la padronanza del silenzio interiore. Il silenzio interiore serve per imparare ad ascoltare di nuovo il mondo nel modo corretto ossia senza distorsioni dovute all'ingombrante presenza dell'Io. E l'ingombrante presenza dell'Io non è altro che l'incessante e spasmodica attività del ribollire dei pensieri sulla base di ciò che si crede di noi piuttosto che ciò che sappiamo realmente di noi. Il percorso, se interessa intraprenderlo, offre molto alla consapevolezza e conoscenza di parti di noi che solitamente non lasciamo partecipare alla vita quotidiana. Così un giorno, continuando ad ascoltare davvero, mentre si impara costantemente a farlo, si potrebbe scoprire di saper ascoltare anche con altre parti sensibili che non sono la mente tramite l'orecchio. Ci si potrebbe meravigliare di saper ascoltare con il cuore o con l'anima o si potrebbe aver bisogno di usare il verbo "sentire", in modo più ampio, per completare i concetti che stanno nascendo. E, comunque, ascoltare è una delle attività più difficili da svolgere, portandole il rispetto che merita attraverso la sincerità delle parole pronunciate e della raccolta di esse in noi così che rimangano se stesse senza filtri. Ascoltare richiede impegno.

venerdì 16 settembre 2011

Carenza di manifestazioni di affetto durante l'infanzia

Viaggio spesso sull'autobus, così ho modo di vedere varia umanità e situazioni. Oggi la mia attenzione è stata colpita da una nonna e dal suo nipotino, che più o meno doveva avere tra i due e i tre anni. La nonna era seduta e lui, a sua volta, stava seduto sulle sue ginocchia. Ogni tanto la nonna gli dava un bacino sulla testa con dolcezza e affetto, mentre lui era intento a guardarsi intorno, indicando le cose. Pur avendo vicino dei bambini molto amati da genitori e parenti, non mi ero mai soffermata sulla riflessione che è affiorata in me oggi. Mi sono ricordata di quello che è stato il mio passato. Ora che sono cresciuta posso guardare indietro nel tempo per cercare di rendermi conto di come mi sentivo allora. Non fraintendetemi, non mi è mancato nulla, di affetto ne ho avuto molto ma sotto una forma diversa dalla semplice manifestazione tramite baci e abbracci. Metto in conto di non ricordare perfettamente ma se ce ne fossero state, di tali manifestazioni di affetto, credo che me ne ricorderei non solo con la mente ma anche con quella parte di me che ricorda le sensazioni e starebbero lì, nello strato inconsapevole, pronte a farmi sentire che la sensazione che mi sia mancato qualcosa di importante è solo una stupida illusione dovuta a stress del momento e pretese varie. Invece, ricordo che non era usuale essere coccolati e, credetemi, non ne hanno bisogno solo i bambini, le manifestazioni di affetto sono essenziali a qualsiasi età. Il loro modo di amarmi era coltivare le mie capacità, era lasciarmi conoscere la libertà di mettermi alla prova, era lasciarmi sbagliare e farmi capire che non ci si doveva fermare lì, ma si doveva proseguire rialzandosi in piedi. Loro mi lasciavano tanta di quella carta bianca, quando ero poco più di una bambina, che potevo decidere di utilizzarla educando me stessa e non di rado ero severa e rigida nel seguire i miei stessi passi. Adesso, pur non rimpiangendo nulla di allora, potrei però dire che sono diventata autodidatta per adattamento. Tutta quella libertà doveva essere compensata in qualche modo e non mi accorgevo di stare facendo una cosa del genere. E, se notate, in uno spazio vasto come può esserlo tanta libertà, pur essendone consapevole abbastanza e responsabile di conseguenza, la delicatezza di una carezza si disperde nella vastità. Oggi posso, sì, affermare che quello è stato il migliore percorso che potevo avere per sviluppare me stessa così come ho fatto, ma tutto quell'affetto non dimostrato di allora, se in quel tempo non mi accorgevo della sua mancata manifestazione, sento che qualche volta pretende giustizia e naturale compensazione. E qualche volta, quando vedo in me gesti meno spontanei o imbarazzo, stando a tu per tu con le manifestazioni di affetto, mi rendo conto che la radice del ricordo è situato nel periodo della bambina che sono stata. Adesso non ha più importanza se non quella di far notare che chi è ancora in tempo per mostrare il proprio amore dovrebbe farlo. I bambini sono creature speciali che tutto vedono e tutto sentono in un modo che noi abbiamo, nel corso degli anni, dimenticato di saper fare con la stessa loro disinvoltura, loro assorbono la vita stessa con tutto ciò che hanno a disposizione ed è per questo che la loro natura va preservata e curata con tutto l'amore possibile. Un bambino sente l'affetto di chi gli è vicino e la sua fiducia è totale, quindi ricordate di non tradirlo mai, così facendo imparerete che tale modo di essere e di fare è una cura altrettanto speciale e preziosa anche per gli adulti. Sarò monotona ma la sincerità conta davvero tanto. E la sincerità è essere come un fiume che non ha paura di scorrere, che mostra se stesso, che lambisce le rive entro le quali scorre con naturalezza e né il fiume né le rive si lamentano di questo fatto. Dove non c'è sciocco timore o ritrosia l'anima scorre navigando il fiume della sincerità e mostrare il cuore diviene più facile. Un abbraccio significa più di mille parole, soprattutto se chi lo comprende, come è stato nel mio caso, usa quasi esclusivamente le parole per esprimersi e meno il contatto umano. Non ho abbracciato abbastanza perché non mi è stato insegnato il valore di un abbraccio, e quando ce n'è stato bisogno ho usato quello che sapevo usare meglio, le parole. Mi dispiace per questo errore, non è un errore che si commette apposta, è solo il frutto del terreno dove il mio seme è nato. E non c' da incriminare il terreno di allora, c'è solo da sperare nella comprensione altrui avendo mostrato il cuore in ogni modo possibile, tra quelli che mi vengono in mente e che conosco. Adesso sto imparando a limitare le parole in certe occasioni e a ricordarmi dell'opzione abbraccio, o carezza o bacio, perché sono un capolavoro di sintesi dei sentimenti e sono azioni sincere e dirette che non possono essere fraintese, perché il loro linguaggio è universale. E' l'amore che parla.

Salvare un piccolo insetto alato in difficoltà

Più di una volta mi è capitato di accendere la luce nel bagno e di trovare nel lavandino qualche piccolo insetto alato. Qualcuno, svolazzando, si era avvicinato troppo al residuo di una goccia d'acqua così, in più di un'occasione, mi è sembrato giusto aiutarlo. Non ho tenuto il conto, purtroppo, di tutti quelli che non ce l'hanno fatta perché non sono riuscita a farli uscire incolumi dal lavandino. Per qualcun altro confesso di essere responsabile della loro dipartita durante le operazioni di salvataggio. Spero di non avervi fatto spalancare tanto d'occhi per questa mia attività. Sappiate che da ciò ho tratto un insegnamento importante. Le prime volte, impiegavo un po' troppo tempo prima di intervenire, perché non sapevo come farlo nel modo migliore, sentendomi spinta dalla percezione di trovarmi di fronte un'ingiustizia e la mia mole, migliaia di volte maggiore rispetto a quella dell'insetto, mi rendeva ogni gesto maldestro. La mia ribellione al loro destino mi faceva agire con disattenzione. Poi, ogni volta che si ripresentava la stessa scena di difficoltà, sapevo che non dovevo avere fretta né usare tutta la forza che avevo per fornire il mio aiuto. Per questo tipo di salvataggio servono fermezza, decisione, agilità, della carta non troppo sottile ma morbida, attenzione e soprattutto controllo impeccabile per evitare che il peso stesso della mano schiacci quella vita in difficoltà. E' un'operazione che richiede pazienza e un sentimento di amore nei confronti di una vita che non sa ciò che accade. Non si riesce facilmente a rendersi conto della loro fragilità estrema e, come ho già detto, purtroppo molti sono morti così, con le ali disfatte da un velo impalpabile d'acqua. Ogni volta che mi sono cimentata in questa operazione ho messo me stessa su di una pista parallela e ho confrontato il mio modo di affrontare situazioni che richiedevano la medesima attenzione nei confronti di qualcuno o di qualcosa di fragile. Mi sono resa conto di non avere abbastanza attenzione per offrire cura in entrambi i casi. Il comando all'azione, infatti, era agire in fretta con la conseguenza di non essere fluida nel movimento e ottenendo il peggiore degli effetti che in realtà non si vorrebbe mai ottenere, sbagliare grossolanamente essendo, in quel momento, irrimediabilmente maldestri. C'è sempre la vita in gioco, in ogni frangente dell'esistenza, in special modo quando ci si avvicina a qualcuno per amore. Le dimensioni non contano se si riesce a comprendere quale sia il vero nocciolo della questione, che la vita è vita comunque e scorre in quelli che sono definiti esseri viventi. E questo requisito lo hanno sia gli uomini che i moscerini. Ho chiesto scusa all'aria mentre vedevo il risultato del mio errore nel tentativo scomposto di salvare quella piccola vita lì, immobile sulla ceramica bianca. Mi dispiace. La volta successiva ho messo più attenzione e ho capito come fare. In parallelo a tutto questo c'è sempre stato uno sguardo alla mia vita. Ho pensato che nei rapporti con le persone non ci si dovrebbe adagiare sul fatto che se si sbaglia si può avere anche una seconda occasione o anche una terza, si dovrebbe condurre se stessi in mezzo agli altri con più cura, mettendo in conto che potrebbe non esserci data una seconda occasione. Per salvare un insetto non ci sono seconde opportunità per agire. Non so se riesco a farvi capire tutta l'importanza di questo pensiero. Qui il cuore è in gioco perché si sa che questo essere è fragile e inconsapevole e il sentimento si concentra nella volontà di agire, che sia compassione non conta perché, se si vuol salvarlo, si sa che non si deve sbagliare. Tornando ancora una volta alla dimensione normale mi ricordo di tutte le volte che sono stata superficiale, accontentandomi di considerare solo alcuni fattori, e non il tutto, prima di  permettermi di intervenire, ma sono intervenuta lo stesso e ho fatto danno. O forse, se riesco a perdonarmi, potrei correggere questa affermazione con una diversa che suoni così: le cose sono andate come sono andate e anche da questo ramo sono comunque spuntati dei germogli, ossia semplicemente le conseguenze di una azione compiuta. Però, qualche volta, quando guardo, anche se comprendo che la strada è comunque lo stesso una strada, indipendentemente dal modo nel quale si forma, penso che quel dato errore si sarebbe potuto evitare. E la memoria torna ai piccoli insetti dalle ali trasparenti, come metafora del modo che ho per seguire il mio desiderio di intervenire quando una corda vibra nel cuore. Sono potenzialmente esagerata per nascita, mi viene da dire così, ma ciò che ho trovato sulla mia strada mi ha insegnato, e mi sta ancora insegnando, a muovermi con maggiore delicatezza così, adesso, se vedo uno di questi insetti in reale difficoltà, riesco a salvarlo, se le sue ali non sono troppo compromesse e, in altri casi, lasciandolo volare anche rasente il velo appiccicoso d'acqua, fermandomi un attimo prima di intervenire, mi scopro a meravigliarmi che lui riesca a scamparla da solo, e sorrido contemplando la sua abilità.

mercoledì 14 settembre 2011

Mostrare il cuore

Fu molto tempo fa, quando il mio modo di essere iniziò a mostrarsi con candore in qualsiasi situazione. Il mio modo di essere si stava sviluppando da una radice robusta che andava a nutrirsi direttamente nel cuore. Ero una ragazzina che molto sentiva e altrettanto voleva dare, se non di più. Mi sentivo il sole splendere dentro e questo comportava mostrare i miei sentimenti e i miei pensieri senza nulla nascondere. Non c'erano calcoli o furbizie da adattamento quotidiano, ero esattamente come mi sentivo. Mi piaceva irradiarmi, lo trovavo una cosa giusta e la sensazione di stare bene che accompagnava questa scelta era positiva. Non mi sono mai piaciute bugie o falsità a costo di essere una perdente senza speranza, questa era in parte l'essenza della mia sincerità. Poi, guardando intorno e confrontandomi col mondo, sentivo dei graffi un po' dovunque e dovetti studiare un modo per prendermi cura di questo fatto. Avevo più di una soluzione da considerare ma l'unica semplice e immediata non la riconoscevo come valida per me, per come ero e per come mi sentivo. Tale soluzione era assemblare una corazza di protezione che fosse resistente agli urti e validamente in grado di proteggere dai graffi e dai fendenti profondi che potrebbero procurare ferite gravi. Più soppesavo questa soluzione e più ritornavo alla comprensione che qualcosa si sarebbe spento e io non volevo che accadesse. La luce per me va sempre difesa a spada tratta e capire cosa faccia parte della luce nella vita di ogni giorno è parte della vita stessa. Dunque, pensare di spegnere la luce che veniva da dentro non era la mia soluzione, quindi pensai di combattere rinforzandomi la pelle con il coraggio di non chiudere gli occhi per il dolore ad ogni graffio, così, invece di voltare lo sguardo dalla parte opposta della ferita, lo mantenevo a fuoco proprio in quel punto. Non era facile, né mai lo è stato né lo è tuttora e neppure lo sarà mai, ma serve a mantenere vivo il cuore e l'umanità, laddove in essa sia riposta la capacità di comprendersi reciprocamente gli uni con gli altri. Questa cosa, per me, è un raggio di quella luce di cui parlavo. Se l'ombra mi veniva addosso, cercando di farmi diventare simile a lei, io cercavo il modo di splendere di più. Era come se scegliessi di giocare costantemente in attacco pur avendo il ruolo della difesa. Tutto questo per dire che ho imparato, e sto tuttora imparando, a riconoscere il valore di ogni singolo raggio del cuore, qualsiasi colore assuma a seconda delle sfumature dei sentimenti provati e delle emozioni vissute. E conoscendo questo valore, quando qualcuno mi dona un pensiero che nasce da questa sorgente luminosa nel petto, ne sono profondamente colpita. Mostrare il proprio cuore è una scelta coraggiosa, ed è comunque una scelta anche quando si crede, come credevo io da ragazzina, di essere così per natura. E tuttavia è pur sempre una verità che sia la propria natura a mostrare il cuore in modo tanto sincero. La scelta proviene dal profondo, nel mio caso dalla ribellione al soffocare il cuore e il suo pulsare, anche se era più una sensazione inconscia che una sensazione articolata dalla mente. Solo adesso posso parlare così avendo l'energia sufficiente per ricordare la me di allora. Oggi, stasera, una persona speciale, un'amica, mi ha raggiunto col suo pensiero, un semplice messaggio via cellulare, ed è riuscita, con questo, a sorprendermi. Ho sentito tutto il suo calore, la sua vicinanza, ed ho sentito che nessuna distanza geografica può esistere quando sono i cuori a mostrarsi. Il loro dialogo è semplice, non vi sono vocaboli articolati da comprendere dopo attenta riflessione, alla luce viva, che vibra di ciò che siamo senza riserve, non servono, la risonanza è tutto. Poche parole per un pensiero che va da cuore a cuore. Per questo stasera ho ricordato la mia scelta coraggiosa di mostrare sempre il cuore nonostante tutto, nonostante gli errori che possiamo commettere, nonostante le cose da imparare e quelle che non abbiamo voglia di imparare, nonostante i difetti di ogni tipo, nonostante la testardaggine che mi contraddistingue, nonostante lo sciogliermi in lacrime nei momenti più impensati quando seguo il corso dei miei pensieri o quando vedo lacrime altrui, e vedendo la meraviglia di un raggio di cuore, che non è mio, capisco che la scelta è stata quella giusta. Ti ringrazio amica sincera, per il dono che mi hai fatto oggi. Te lo dico anche qui, ti voglio bene.

A te

Un filo da ricamo di qualità mouliné è costituito da una serie di fili sottili attorcigliati fra loro. Se la cruna dell'ago che si volesse usare fosse troppo piccola, il filo, cercando di entrarvi, si sfilaccerebbe e forse solo uno dei capi che lo costituiscono riuscirebbe a passare. Così facendo, però, ci sarebbe qualcosa di sbagliato. In questi giorni mi sono sentita un po' come il filo e un po' come la cruna dell'ago. Ogni volta che penso a lui centinaia di capi sottilissimi si formano e si attorcigliano perché il desiderio nel mio cuore è comporre un ricamo che sia comprensibile, che mi permetta di mostrare, con un'immagine di senso compiuto, tutto quello che sento di dire. Non è facile far tacere il cuore che, in questo specifico caso, è sempre stato logorroico... Non ritengo giusto scusarmi per il sentimento, piuttosto per l'insistenza nel voler fare entrare, a tutti i costi, il filo dentro una cruna che non voleva accoglierlo. Ho fatto prove su prove per scrivere qualcosa perché non mi riesce ancora evitare di considerare che oggi è il suo compleanno, quindi ecco di nuovo il tentativo per fare entrare il filo nella cruna stretta. E la parte di me cruna stretta è rispettare il silenzio che gli devo pur andando contro il mio cuore, i sentimenti si arruffano mentre non riescono a passare liberamente attraverso il tutto. Ma tutte queste prove mi hanno fatto capire con quanta sbagliata insistenza vorrei porgere qualcosa che, comunque, al di là dell'essere un dono gradito o meno, dovrebbe essere delicato e prezioso, come il sentimento che lo genera. Ho scritto su carta e cancellato, poi riprovato, poi mi sono costretta a distrarmi per vederci meglio, per aggiustare la distanza tra il contenuto del cuore e lo spazio nella gola dove affiora tutto ciò che si vuole dire, con la particolare deviazione, in questo caso, verso la mano che scrive. Ho valutato allora e soppesato ogni parola per provare a fargli capire quanto ancora ci tenga a parlare davvero con lui, non importa quando, forse un giorno... Ho scritto frasi tenendo a mente cosa pensa e cosa prova e cosa lo infastidisce e ho trovato me, vedendo quello che mi ha allontanato dalla sua considerazione, semplicemente me e quello che mi fa piacere, quello che desidero e bla bla bla. Eppure, scremando da tutto questo l'inclinazione scorretta, rimane qualcosa che mi sembra sempre importante, comunque, al di là del suo giudizio su di me, e non lo dico per prevaricare ancora una volta i suoi di sentimenti, lo dico perché, nonostante tutto, credo che, se c'è qualcosa di realmente sincero, qui dentro nel petto, questo qualcosa deve essere detto per quello che è. Pur provando ciò che ho provato, in passato, ho sempre commesso l'errore di mettere avanti a tutto me e il mio sentimento, ben poco ascoltando il suo pensiero né, tanto meno, rispettandolo davvero. Se fossi in tribunale direi che in mia difesa invocherei l'attenuante del non sapermi comportare a tu per tu con questioni di cuore che pescano tanto nel profondo. Ed anche in passato, quando mi rivolgevo a lui, ero come un filo dai mille capi che non riescono ad entrare in una cruna stretta. Mi sono arruffata e sono caduta e la cruna di allora, quella alla quale mi rivolgevo, non ha trovato più, anzi dovrei dire mai, interesse per quella cosa scomposta lì vicino. Oggi però, dopo l'ennesima prova di scrittura, ho pensato di essere sincera, anche se queste righe lui non verrà a leggerle ed io avrò rotto ancora una volta il voto del silenzio. Lui, uomo riservato, onesto, talmente senza compromessi, e fiero di esserlo, da poterlo definire un uomo tutto d'un pezzo, probabilmente dimenticherà nel tempo chi io sono e cosa ho nel cuore per lui, ma io non dimenticherò mai il giorno del suo compleanno. Forse basterebbe un gesto semplice e sobrio come una telefonata ma la cosa che vorrei di più, oggi, sarebbe correre fin dove abita per guardarlo negli occhi mentre gli auguro di stare bene e di avere tutta la forza necessaria per affrontare le cose della vita con la stessa onestà integerrima di sempre e di poter tornare a casa ogni volta lasciando fuori dalla soglia qualunque stanchezza. Gli auguro che non gli manchi mai nulla e che possa vedere sempre il suo cuore con chiarezza. L'abilità nelle sue mani e l'intelligenza lo faranno arrivare, sono sicura, laddove vorrà, quando lo vorrà.  R.B. Fi 00:08 14/09/11

domenica 11 settembre 2011

Desideri di una pietra sulla battigia

Oggi non so perché sono venute a galla, gonfie del mio pensiero, due paure. Mi sono svegliata e loro erano lì, la giornata allora prende un sapore diverso dal solito. Le vorresti ignorare ma non è possibile, puoi solo provare a raccogliere la forza d'animo per far loro attraversare la mente e sperare che, quando raggiungono le emozioni, ci sia abbastanza energia per non far diventare la paura un essere cieco e instabile che si attacca addosso e inizia a divorarti lentamente. E ogni volta che la sensazione mi investe mi sembra di essere una pietra sulla battigia, quella parte di terra che ritmicamente viene bagnata dall'andirivieni dell'onda. Sono abbastanza pesante per resistere al flusso che arriva ogni volta e non riesco a spostarmi. Non sono un ciottolo leggero che può scivolare via insieme al mare, sono inserita per metà nella sabbia che mi ancora a sé. Faccio parte della terra. E non posso esimermi dal guardare l'onda che mi viene addosso. Questo si ripete da talmente tanto tempo che ne ho perduta la memoria. Una pietra non dovrebbe pensare né stancarsi eppure oggi è così. Non sono del tutto una pietra, se in essa mi sto trasformando, né sono più solamente memoria d'Uomo. Una strana via di mezzo che mantiene vivo il centro di tutte le sue connessioni col mondo e ancora desidera, perché si ribella al suo destino di stare sempre inesorabilmente davanti all'onda. Ogni volta che questo impatto liquido arriva e mi consuma un po', anche se non riesco a rendermene conto dall'oggi al domani, forgio la domanda. Perché è sempre così che deve andare? Possibile mai che non ci sia soluzione? Sono una pietra viva, non riesco a scegliere di dimenticare l'onda appena passata in tempo prima che l'altra si ripresenti. Vorrei scansarmi per schivarla con destrezza, magari una piroetta e poi di nuovo al mio posto, se questo dovesse essere, per  decretato destino. Vorrei che le onde allora fossero gentili e mi carezzassero invece di schiaffeggiarmi come sanno fare certi eventi della vita. La pietra appena un po' più in là riceve solo a tratti degli spruzzi salmastri quando la potenza del mare si infrange su di me. Vorrei invidiarla ma so che non va bene, la mia stessa esistenza non avrebbe senso se scegliessi di invidiarla, ciascuno ha il suo libro della vita da leggere e comprendere. Allora ripiego su altri desideri, vorrei che ogni angolo, del quale perdo la forma aguzza, non mi facesse così male mentre si smussa. A volte la levigatura non è lenta e continua ma rapida e improvvisa, come le notizie che non vorresti mai udire. Forse sono qui per imparare a non fuggire per la paura dell'impatto, possibile. Sogno dunque che il mare, per un po', cambi direzione al suo incessante lambire, o che si ritragga di qualche metro, per darmi la possibilità di godermi anche la luce diretta del sole. Sono certa che dopo lungo tempo desidererei ancora il refrigerio dell'acqua fresca del mare, ma non l'impatto dell'onda. Così è la vita, quasi mai riusciamo ad apprezzare, o a vivere con la dignità dell'accettazione, ciò che abbiamo a disposizione, cerchiamo sempre altro. Forse è questo desiderio che ci mette le gambe e ci fa muovere, qualche volta scappare, qualche volta rimanere. Sono le gambe che forniscono la consapevolezza di avere la possibilità di fare l'una o l'altra cosa. Ogni porta sbattuta in faccia, ogni no, ogni errore commesso rendendosi conto, l'istante dopo, che si poteva evitare, sono un po' come le onde che ti arrivano addosso mentre sei immerso nella sabbia. E quando qualche situazione simile si ripresenta, sale a galla la paura, così chiudi gli occhi e pensi che adesso arriva e sei certo che l'impatto faccia male. Ogni volta che credi in qualcosa, che desideri che qualcosa accada ti esponi, così ogni delusione profonda porta con sé questa memoria inconscia che paralizza, talvolta, anche esili gambe appena spuntate e pronte a camminare. "Ecco, adesso succede di nuovo, conosco la storia, figurati se sarà diverso", a me capita di pensare così. Qualche volta purtroppo ho avuto ragione ed è questa conferma nel tempo che mi ha portata a pensare in questo modo, prima di riuscire anche soltanto a ipotizzare che le cose potrebbero andare diversamente. Con questa paura addosso di perdere qualcosa inattivo la capacità di pensare lucidamente e mi confondo, non so mai se mettermi lì ferma ad aspettare l'onda dolorosa o se creare una fessura ampia nella pietra per spaventare l'onda e illudermi che posso ingoiarla tutta insieme, come se quella che ho creato fosse una bocca. Il senso di ribellione alla paura mi indurrebbe a spalancare le fauci per farmi scorrere l'onda all'interno del corpo, ma so anche che inevitabilmente, se si verificasse di nuovo ciò che temo, l'onda successiva sarebbe peggiore di quella ingoiata perché scaturirebbe da me stessa. Potrebbero essere lacrime, potrebbe essere l'anima, non lo so, ma per una volta su tutte vorrei sconfiggere la paura. Vorrei fidarmi ogni volta, nonostante tutto ciò che temo, per vedere cosa c'è di là dal mio limite.

mercoledì 7 settembre 2011

Di ritorno dal sogno con una sensazione addosso

Quante volte sarà accaduto anche a voi di svegliarvi ricordando cosa avete appena sognato e di avere, oltre all'immagine nella memoria, una sensazione in tutto il corpo che è l'informazione in più che accompagna il sogno. E questa sensazione non deriva dall'analisi mentale di ciò che si è visto, è qualcosa di diverso, è una specie di memoria che rimane attaccata alla parte più sottile di noi, come se si potesse ricordare e comprendere le cose attraverso la pelle. Ieri mi sono svegliata e mi sono ricordata cosa avevo sognato. Nel sogno cercavo di raccogliere i frutti di una pianta che desideravo trovare da molto tempo. Volevo i semi per poterli piantare nel mio giardino ma appena toccavo quei frutti mi scivolavano via dalle mani e cadevano giù dove mi era difficile recuperarli. Avevo le mani forse un po' rigide, incapaci di prendere e tenere ciò che cercavo. Urtavo un ramo vicino e mi cadevano ancora, ero maldestra. Quando mi sono svegliata la sensazione che avevo con me era piuttosto chiara. Mi sentivo impotente ed estremamente dispiaciuta per questa incapacità di agire correttamente nei confronti di un'azione così semplice, e questo batuffolo di pensieri mi rimaneva nel petto e da sveglia, seduta sul letto ho sentito che qualche filo di questo pensiero si diffondeva e andava a impattare su altri pensieri e sensazioni della mia memoria quotidiana. Da questa specie di unione tra pensiero reale e sensazione riportata dal sogno è nata una consapevolezza. Ho capito quasi subito a cosa si riferiva il tutto. Qualche volta se il sogno è chiaro lo si può usare per comprendere la realtà quotidiana, come un suggerimento in più che normalmente potremmo non vedere se usassimo solo le cose che sappiamo da svegli. Una preziosa integrazione per comprendere meglio alcune cose di noi, di ciò che abbiamo dentro. Conoscendomi, e sapendo che spesso sono così piena di desideri e pensieri da averne perfino le mani piene, metaforicamente per confronto di sensazione, ho capito che se mi capitasse di trovare finalmente la cosa che desidero avere da tanto tempo, i semi di quella pianta, sarei incapace di prenderli, a meno che non riuscissi ad avvicinarmi ad essa con le mani libere per poter raccogliere tutto ciò che trovo. Ciò che si desidera è al tempo stesso l'orizzonte al quale si tende e una zavorra che impedisce di muoversi liberamente verso la meta. Le mani sono il simbolo del fare e della possibilità di avere, se esse hanno qualche difetto nel sogno quasi sicuramente da svegli la riflessione conduce laddove, all'interno di ciò che siamo, c'è il nodo da comprendere per poi poterlo sciogliere. E riconoscere che si è capito davvero il messaggio è un'altra sensazione, è sentire che dei pezzi si muovono per far combaciare i loro margini sagomati. Tutte sensazioni non mentali. Anche le proprie pretese sono un impiccio per avere le mani libere di accogliere ciò che si trova lungo la strada. E comprendere è solo la prima parte della consapevolezza, la seconda è la più difficile da affrontare, è mettere in pratica ciò che si è capito.

martedì 6 settembre 2011

Freddie Mercury. L'apparente confine tra mito e uomo

Alcune delle cose migliori che talvolta accadono nella vita nascono per caso e quando non te lo aspetti. Frequentavo il liceo e una compagna di classe aveva una musicassetta con la colonna sonora del film "Highlander" composta dai Queen. L'album in questione era "A Kind Of Magic". Mi intrigavano l'illustrazione e il titolo dell'album, non conoscevo nulla della musica dei Queen. Lo ascoltai, senza neppure avere visto il film con C.Lambert. Fu amore a prima vista, o meglio, a primo ascolto. Ho sempre avuto uno strano rapporto con la musica, non convenzionale, nel senso che mentre ascolto una canzone separo mentalmente la voce dalla musica e dal ritmo. Ascolto separatamente anche il significato del testo. Riesco a unire tutto insieme solo se ogni singola parte di ciò che sto ascoltando mi conquista totalmente. I Queen mi conquistarono totalmente e negli anni successivi aspettavo nuove canzoni con la trepidante attesa di colui che desidera qualcosa di vitale. Ma è la voce di Freddie Mercury quella che ha segnato anni della mia vita. Ho ascoltato fino a consumarmi le orecchie e, mentre ascoltavo la sua ineguagliabile voce, ho imparato anche ad ascoltare me stessa, perché l'impatto del suo timbro sulle corde della mia anima mi ha evidenziato una vasta gamma di emozioni e ogni volta che ne veniva su una, e mi confrontavo con la mia realtà quotidiana, imparavo a sentire le cose in un modo del tutto speciale. Quando dettero notizia della sua morte sentii, assurdamente, ancora più prepotentemente la sua presenza che in realtà era venuta a mancare. Di lui rimanevano il mito e la voce, la sua musica per i milioni di fans in tutto il mondo, mentre le cose che pensava come uomo e tutto il suo vissuto, le sue memorie, rimanevano custodite nei cuori degli amici, dei colleghi, di chi lo amava ed era rimasto con lui fino alla fine. Quando era in vita sognavo di poterlo, un giorno, incontrare; normale amministrazione per un ammiratore, un sogno assai comune. Dopo avrei voluto parlare con qualcuno che gli era stato vicino per conoscere anche il lato dell'uomo, non solo la facciata del mito. Ho sempre pensato che anche le persone più famose sono pur sempre esseri umani, non mi è mai riuscito vedere la differenza, ho solo visto un mestiere che porta fama, nulla di più. Qualcuno pensa che le conseguenze di diventare una star mondiale siano la comparsa di una specie di soglia tra l'uomo e il mito, ma tutto questo è un'apparenza mentale determinata dal fatto che la moltitudine non può entrare nella casa del mito né è possibile rapportarsi con ciascuno a tu per tu. Da questa reale impossibilità nasce il confine che, comunque, rimane paradossalmente reale e apparente. Se nei cuori di ciascuno si conserva il pensiero che l'uomo rimane tale sia sul palcoscenico sia a casa sua, mentre si prende cura delle cose a lui care, il confine decade per lasciare il posto alla consapevolezza che colui che definiamo mito è solo un essere umano e la sua reale grandezza rimane il suo cuore insieme al suo talento. Non sono mai riuscita a strapparmi i capelli ad un concerto o a gridare fino a perdere la voce o a svenire per l'emozione, ma questa sono io, e nonostante non riesca a manifestarmi come fan scatenata, dentro, la mia anima canta assieme alle note prodotte e create da questo uomo che tanto di sé ha dato al suo pubblico. Lui amava chi lo ascoltava tanto da rinunciare a modificare la sua famosa dentatura perché non voleva modificare la sua voce. Qualcuno potrebbe leggerci una scelta interessata, io credo che abbia fatto un dono davvero speciale a tutti, rinunciando all'apparenza di un volto forse più fotogenico, che in realtà è sempre stato bellissimo per se stesso. Lui era Freddie Mercury, figlio, fratello, zio, amico e compagno. E nel suo cuore, sono sicura, c'era una luce incredibile che si sapeva fondere alle note delle canzoni che scriveva, che prendeva vita attraverso la sua voce per arrivare a tutti noi, per donarci momenti di splendore, per rammentare all'inconscio il ritmo della vita vissuta pienamente che solo l'unione sapiente tra il rock e la melodia sa suggerire, secondo me, fusi nella potenza della sua estensione vocale. 
Ho già scritto in questo blog che una delle canzoni che preferisco è "These Are The Days Of Our Lives" per il testo, per la musica, per il videoclip. Freddie canta e la sua dolcezza nello sguardo quando dice "Those days are all gone now but one thingh's still true/ When I look and I find, I still love you/ I still love you" rivolgendosi a tutti coloro che lo ascoltano è il messaggio di addio più bello e consapevole che possa esserci. Facendo il conto del tempo che è stato, di tutto il vissuto, della fama, quei giorni sono trascorsi, ma la cosa vera che rimane è l'amore. Buon compleanno al piccolo grande uomo che ha illuminato i cuori e la Terra passando di qua. 

















domenica 4 settembre 2011

Unchained Melody





Percezioni olfattive

Oggi piove e la pioggia cade sull'asfalto consumato e sporco. Ci sono già molte foglie secche cadute. L'estate sta lasciando il posto all'autunno e in questo suo tramonto fatto di calore residuo si mescolano oggi odori che non sono abituata a sentire. Qui l'aria in città non è vera aria, ciò che si respira è qualcosa che ci sommerge e ci avvolge come l'afa di questi giorni variabili. Il ricordo del profumo della freschezza dell'aria svanisce quasi nella memoria per ripresentarsi raramente, qui tra le case, in qualche breve giornata fredda invernale, o a primavera, dopo un acquazzone che pulisce tutto e porta via con sé la sensazione stessa del grigiore che sovrasta la città. Non mi piace la città per questo ma ci vivo lo stesso, non ho altro luogo dove andare. Il viale alberato lungo la via vicino a dove abito è un susseguirsi di platani dal tronco variegato in più opzioni mimetiche, esattamente come le divise dei soldati. Le loro foglie cadute e impregnate d'acqua col calore ribollono ed emanano un odore che io trovo sgradevole. In mezzo a tutto questo si mescolano gli odori del fiume limaccioso, di escrementi animali e lo smog. Se mi concedessi di desiderare il profumo dei boschi non mi sorprenderei se scomparissi all'istante per riapparire là dove vorrei poter respirare aria migliore di questa. Ma tengo duro perché non si sa mai che  qualcuno, un giorno, che dirige le vite altrui con decisioni alle quali non possiamo ribellarci, si renda conto che inquinare meno l'aria è nell'interesse di ogni essere vivente. Non so bene che odore abbia la pioggia da sola, sebbene l'acqua sia inodore per natura, ma la pioggia è differente, non è solo acqua, è un elisir per la parte più sottile dei sensi. Attraversando una piazza sotto lo scroscio di pioggia ho potuto vedere oggi uno squarcio nel cielo da dove sbucava il sole che illuminava le gocce cadenti. Luce liquida,  non solo, e non più, pioggia per qualche momento irripetibile. Poche persone con l'ombrello e qualcuno senza. Nei pressi solo il mio profumo misto all'odore della pelle e qualche goccia di sudore. Poi la stazione e l'autobus. Altri profumi su pelli differenti e odori umani. Questa strana aria carica di umidità sembrava voler rubare ogni emanazione appena allontanatasi dai corpi in attesa di un mezzo per varie destinazioni, per assaporarle senza fretta e mischiarsi in loro, quasi a voler diventare una massa vivente costituita dai mille diversi profumi artificiali e naturali. Gocce d'acqua sui piedi e sulle braccia a causa dell'ombrello troppo piccolo. Sensazione di fresco che riappacifica dopo la pressione dell'afa. Sull'autobus ogni odore si amplifica anche se rimane sospeso nell'aria condizionata. Lo sconosciuto accanto a me sapeva di cuoio affumicato di incenso. Altri più lontani con altri profumi accentuati dal calore del corpo. Qualcuno più gradevole di altri. E me stessa. Anni fa avrei trovato tutto questo sgradevole perché ogni persona col suo odore mi faceva sentire mio malgrado tutta la realtà dell'essere molto materiali e non mi sentivo a mio agio con questa consapevolezza. Col tempo si sono modificate in me delle cose, certi pensieri si sono trasformati e, attingendo alla loro potenziale plasticità, si sono integrati con altre consapevolezze ed emozioni. Fa parte della natura animale emanare odori, che siano gradevoli o meno dipende da vari fattori, la cura di noi stessi su questo fronte e la percezione altrui con conseguente giudizio dovuto a gusto personale. Il proprio odore personale è un profumo speciale che ci contraddistingue gli uni dagli altri e nella memoria inconscia di ciascuno vengono registrate queste informazioni non verbali. Così l'altro, specialmente se vi siamo sentimentalmente legati, avrà per noi un carattere distintivo in più. Riconosceremmo quel profumo fra mille e se tutto svanisse e gli occhi non riuscissero a richiamare alla mente un'immagine, la memoria olfattiva ne verrebbe in soccorso e avremmo ancora ben viva la percezione di quella specifica persona. E questo vale anche per i luoghi, per gli oggetti, per le situazioni. C'è tutto un mondo che passa attraverso le narici e i suoi specifici sensori, ecco perché rendermi conto che quest'aria viziata che aleggia sulla città e che abbatte ogni potere olfattivo mi fa malinconia. Penso a tutte le informazioni perdute perché appiccicate alle polveri sottili perdono la loro forza naturale. E che meraviglia quel rarissimo giorno in cui da qui, nell'entroterra, sono riuscita a sentire il profumo del mare, una mattina presto, in favore di vento dall'ovest, prima che le macchine si svegliassero, prima che gli esseri umani le svegliassero.

sabato 3 settembre 2011

Seconda bellezza

E' un po' di tempo che ci penso mentre mi osservo nello specchio. Mi guardo e confronto ciò che vedo con il ricordo della mia data di nascita. E ciò che vedo non corrisponde a come mi sento dentro, esteticamente parlando. Più o meno è sempre stato così però adesso l'età ha una voce più profonda e meno flebile, quindi non posso esimermi dall'ascoltarla almeno un pochino. In me, nell'oggi, vedo la confluenza del passato e l'ipotesi del futuro. Del passato conosco bene ogni aspetto, cosa e come si è modificato nell'aspetto fisico. Ricordo la consistenza della mia pelle di quando ero bambina, ricordo la pubertà e le modificazioni dovute agli ormoni, ricordo l'acne e il suo estinguersi negli anni. Ricordo la sensazione di stare in un corpo sovrappeso e tutto ciò che ha comportato essere grassa quando gli altri bambini erano magri. I continui confronti abbattevano l'autostima di ragazzina che voleva comunque socializzare e piacere. Ma questa strada non è stata la mia, mi riferisco al socializzare e al piacere agli altri. Chi si guarda intorno fermandosi alla superficie, che lo faccia per cattiveria o per inconsapevolezza della possibilità di guardare oltre, non cambia il risultato che è lo scansare il soggetto che mostra una forma che non rientra nella norma, se così ci si vuole esprimere. Questo mi ha insegnato delle cose. Gli anni sono passati ed esteticamente sono stati presenti i chili di troppo. Troppo di qua, troppo di là, pelle sottile e troppo chiara. Oggi ho dovuto mettere insieme tutti questi troppo, che sono ancora qui con me, per pensare al futuro usando il presente. Ciò richiede impegno e volontà. E se non pensassi a me in un'ottica comunque positiva questo impegno si infrangerebbe. Vedo l'effetto del tempo sul fisico, lo vedo bene, anche se l'immagine di me che ho dentro è composta dal peso giusto, dalle forme giuste, dal colore dei capelli sempre perfetto, elasticità di tutto il corpo compresa, ma questo mi fa guardare all'abito di carne, che ho in dotazione da quando sono nata, con uno spiraglio di dolcezza. Lo ammetto, ancora cammino sul filo che mi fa oscillare tra il dovermi arrendere all'evidenza che non sono più come vent'anni fa e l'accettare di buon grado il presente che mi contraddistingue, però c'è buona speranza di passare questa soglia in armonia. Credo nelle lunghe camminate e nella sana alimentazione per mantenere bene il corpo, molto meno ad altri rimedi. Così un giorno mi è venuto in mente che avere quasi quarant'anni è come l'alba di una nuova bellezza, una diversa forma, un diverso movimento, una seconda bellezza, dove per bellezza non si intende quella canonica e condivisibile, nonché deducibile dall'unanime parere di molti, ma una bellezza peculiare per ciascun individuo, e che risplenda maggiormente se chi la vive è consapevole di ogni difetto o disarmonia e accetta ciò che è col sorriso nell'anima, prima ancora che sul volto.

Il potere dell'amore sui ricordi

Se l'amore fosse un inchiostro per descrivere certi momenti fissati nella memoria sarebbe del tipo indelebile.  Vorrei parlare per coloro che non hanno avuto esperienze facili con l'amore, so che gli altri mi perdoneranno avendo accanto la persona che amano essendo ricambiati.
Tutti prima o poi arriviamo dalle parti del cuore e molti sono i casi di quelli che ne rimangono sommersi perché ancora non sanno nuotare tra quei flutti e questo potere immenso può far comportare in modo sbagliato, o può accadere che, mentre siamo lì, passa una falce affilata che porta via chi sta all'altro capo del filo che va da cuore a cuore, o ancora può capitare che solo noi proviamo del sentimento per qualcuno senza essere ricambiati con vari gradi di rifiuto ad esso connessi. I resti, le macerie dentro l'anima, intorno e dentro al cuore, appartengono a chi ama ancora con tutto se stesso ma non ha la persona amata accanto a sé. Non so definire quale dolore sia più straziante, se quello di chi ha amato e perduto o quello di chi ha amato e mai avuto. Un legame che si rompe, anche se qualcuno non vede fili materiali che vanno dall'uno all'altro componente della coppia, è come una lacerazione della carne. E' ben viva e si sente comunque. Questo nel caso di chi ha amato e perduto. Nel caso di chi ha amato e mai avuto, non c'è un legame che si rompe c'è la mole di desiderio che viene trattenuto e che costantemente va a sbattere sul vetro liscio e trasparente del rifiuto. E più senti qualcosa più violento è l'impatto perché anche se conosci bene le motivazioni altrui non riesci comunque a spiegarle al cuore e a tutto te stesso. Qui è come siamo fatti che fa la differenza nella reazione per condurre i passi successivi. Imparare a convivere con i propri sentimenti ancora vivi che non potranno mai essere raccolti e amati dall'altro che rifiuta può fare ammattire o può dare una incredibile forza ad alcuni ricordi speciali, se ve ne sono stati di vissuti. La mia personale esperienza e ciò che sono mi hanno fatto andare verso la comprensione della forza dei ricordi legati alla persona amata. E in questo punto, dove i ricordi rimangono indelebili nel cuore nutriti sempre dall'amore che non muore, si incontrano coloro che sono senza la persona amata. Qui si siedono in cerchio e se ne stanno per un po' in silenzio, inizialmente senza guardarsi gli uni con gli altri, non per imbarazzo ma per il profondo dolore che annulla ogni cosa. Non importano nomi o professioni o conto in banca, qui si siede vicini per provare a capire come convivere con l'amore che non muore. E non è facile ascoltare impassibili grida miste a lacrime e richieste di un perché le cose sono andate così. Personalmente non riesco neppure a immaginare lontanamente il dolore che provano coloro che perdono il compagno in circostanze tragiche. Sono in ansia solo se so che colui che amo sta poco bene ma nel mio caso tutto resta dentro, compresso nel cuore, senza poter dire né fare nulla. Non riesco ad andare oltre con l'immaginazione seppure la usi sempre per imparare a capire ciò che mi circonda insieme all'esperienza vissuta, in caso di faccende di cuore il pensiero si ferma perché percepisce che non ci sarebbe sufficiente spazio per il dolore e scoppierebbe tutto. Ma lì nel cerchio si vede che anche se abbiamo vicino il dolore e non la persona amata che ci ama non siamo soli. Siamo in tanti a stare meno bene (non mi piace dire "male"). Allora solo una cosa si può fare per non morire né seccarci come un ramo in inverno, si inizia a ricordare sentendo quanto calore c'è nel cuore. All'inizio ricordare non porta serenità e per contrasto con la consapevolezza del presente si piange anche di più. Poi non so bene come accade si ha la forza di accettare due verità contemporaneamente seppure in contrasto fra loro. L'una è che si ama ancora e l'altra è la consapevolezza che non c'è chi si ama. La prima verità avrebbe bisogno di esprimersi avendo di ritorno la sicurezza che l'altro riceve ciò che diamo, ecco perché nasce il dolore da assenza, viene a mancare questa specie di ricevuta di ritorno alla nostra missiva, manca il destinatario. La seconda verità si fonde con la prima e da questa unione nasce un particolare equilibrio che permette di avere una forza nuova. La forza che sta nell'accettare che manchi il destinatario e che questa mancanza non deve per forza generare un cambio di destinatario; semplicemente, una volta letto bene ciò che c'è nel cuore, andare avanti senza tradirlo, senza lasciarsi influenzare da convenzioni o pareri altrui che spingano verso l'amnesia o un'altra persona da amare. La scelta resta comunque personale in qualsiasi caso. Ci sono anche persone che non dimenticano chi hanno amato e non serve loro cercare altrove qualcun'altro solo per non stare da soli. In tutto questo la cosa fondamentale è guardare cosa c'è nel proprio cuore, non serve altro per cominciare a convivere con questo sentimento. Una volta che si è visto e compreso cosa c'è nel cuore si può prendere una decisione che sia di andare oltre o di cambiare qualcosa o semplicemente di vivere con ciò che si prova, nonostante tutto. E tutto l'amore che abbiamo provato e che proviamo ancora ci accompagna senza ferire e scende nei ricordi e li anima e li rende immortali. E tali ricordi rimangono lì a disposizione come un salvavita per i momenti più difficili, una piccola sorgente di luce dove andare a risanare la pelle strappata. Perché il ricordo di momenti belli e speciali nutriti d'amore vincerà sempre sul ricordo dei momenti brutti che procurano dolore specialmente se non si vuole perdersi in essi. In questo cerchio terapeutico oggi vorrei condividere una canzone di un cd suonato in macchina, un giorno lontano, che mi ricorda i colori di quel momento, la presenza di lui, poche parole, tutto ciò che provavo e che non era ricambiato, sprazzi di imbarazzo, il suo modo di guidare, le mie aspettative rimaste a seccarsi nel tempo, l'incertezza che fuori ci fosse il tramonto perché ero maggiormente concentrata sulla sotterranea felicità di essere con lui, la costante speranza di potergli far vedere il mio cuore che è espanso fino a prestare all'anima i suoi colori e accade così ogni volta che gli sono vicino, ed anche, mi sembra di ricordare, che la canzone risuonò nell'abitacolo dell'auto senza che ci parlassimo sopra. Ogni volta che sento questa canzone ritorno lì e mi fa piacere tornare lì perché si stava bene, anzi dovrei specificare, alla luce di tutta questa consapevolezza, che io stavo bene, mentre per lui non so, non l'ho mai saputo. Certe sciocchezze possono anche essere dimenticate, ma se per una persona certe sciocchezze sono importanti non si dimenticano...

Allergia ai cambiamenti

Si tratta di una patologia molto comune. Si manifesta con un iniziale fastidio come reazione ad una qualche notizia che preveda di doversi adattare al cambiamento. Questo tipo di allergia si ha soprattutto nei casi di cambiamento indotti, quasi mai nei casi di cambiamento scelti personalmente. Ne sono affetti tutti coloro che hanno difficoltà ad essere abbastanza elastici interiormente per adeguarsi al cambiamento. Vi sono vari gradi di gravità per tale allergia e dipendono molto da quanto siamo attaccati alle cose. Quando ci rendiamo conto che un cambiamento - di qualsiasi tipo esso sia e senza neppure valutare se esso sia positivo o negativo - ci disturba, il buon senso dovrebbe potersi innescare tanto efficacemente da suggerire come comportarsi di conseguenza. Parlo sempre di cambiamenti indotti e non di scelte personali. Un cambiamento indotto da altri o dalle circostanze è pur sempre, specialmente se non siamo stati avvertiti, un carico di peso che ci arriva addosso. Anche un una ventata improvvisa è un cambiamento che ci costringe ad adattarci alla temperatura che si modifica eppure, a meno che non si abbia un caratteraccio ingestibile, una ventata non ci disturba più di tanto. Il buon senso sa bene che il movimento fa parte della vita, quello proprio e quello altrui, quindi è quasi naturale mettere in conto, anche inconsciamente, che qualcosa si modifichi nel tempo. La peggiore reazione al cambiamento la si ha quando si riesce a raggiungere un equilibrio personale che ci fa stare se non bene, almeno discretamente, e in mezzo a questo climax, questa summa di equilibri stabili raggiunti, arriva un elemento che destabilizza il tutto. E ancora non sto valutando se il cambiamento è in positivo o in negativo. Come dicevo, questa reazione allergica dipende molto da come siamo fatti. La mia ammirazione va a tutti coloro che riescono ad adattarsi facilmente ad ogni tipo di cambiamento, a me non riesce con la stessa disinvoltura. Magari ho appena faticosamente imparato a fare una cosa, a gestirla, a muovermi in mezzo a tutte le informazioni, e dietro l'angolo tutto cambia. Ultimamente ho dovuto imparare a usare uno strumento di lavoro diverso dal precedente, più moderno, all'inizio mi spaventava perché sentivo mentalmente la fatica di dover cancellare le cose imparate per sostituirle con quelle nuove. Nuovi gesti, nuovi codici, ansia da prestazione nei momenti di stress in cui si richiede la velocità di azione e l'esattezza del calcolo. Prima sapevo fare bene e velocemente perché la ripetitività dei gesti appresi mi era entrata dentro, quindi potevo agire anche mentre stavo facendo una cosa diversa. Ora devo stare attenta di nuovo come tanto tempo fa. Poi quando ci sei e non puoi rifiutarti di proseguire sulla pista differente che hai davanti scopri che in fondo ti sai muovere altrettanto bene. E capisci che l'allergia iniziale al cambiamento è solo nella testa, è la voce impastata dal sonno di quella parte di noi che si è abituata a dormire nelle cose invece di ricordare i giusti tempi del riposo e della veglia. E' la voce della fatica e se la fatica si mostra questo dovrebbe suggerire che da qualche parte, troppo vicino all'anima, siamo stanchi, anche se non sappiamo subito bene perché. Se la vita che facciamo fosse pienamente soddisfacente o fossimo davvero felici qualsiasi cambiamento sarebbe solo una novità con la quale misurarsi. Se si trattasse di un problema ci rimboccheremmo le maniche per risolverlo, se fosse una cosa bella usciremmo fuori nel bel mezzo di un temporale e urleremmo di gioia, se fosse una qualsiasi altra cosa di poco conto l'affronteremmo con intelligenza e presenza e andremmo avanti con incedere armonioso, senza inciampare sui sassi in mezzo alla strada. E' il pensiero del primo passo che ti conduce all'interno del cambiamento che fa scatenare la reazione allergica. E' il soppesare pro e contro da imparare a gestire  messi a confronto con ciò che già è stato acquisito che fa fermare la disinvoltura nel procedere. Per esempio, hanno deciso di cambiare e aggiornare l'interfaccia utente della piattaforma internet che sto usando per questo blog, devo imparare di nuovo a muovermi tra i comandi, anche se non mi piace tanto e non ci si muove bene come in quella che cancelleranno. Ti chiedono un parere ma nessuno lascerà questa interfaccia così com'è. Un altro adattamento. E queste sono cose da nulla in confronto a ciò che certe volte la vita ti pone davanti. Eppure è con queste cose da nulla che ci si allena e si può testare noi stessi per imparare a capire quali siano le nostre reazioni ai cambiamenti in genere. Mi sono vista mediamente allergica, ho pronunciato parole da censura e ho girato le spalle al nuovo perché mi infastidiva anche solo mettermi nell'ordine di idee di modificare quei pochi punti stabili che avevo imparato ad usare, data la mia scarsa abilità con le macchine. Oggi ci ho riprovato, con pazienza e guardando meglio, ancora non mi muovo bene ma sotto pelle sono più ragionevole di quello che vorrei mostrare, così imparo ad adattarmi al nuovo. Strumento fondamentale in questi casi di allergia è il tempo, da somministrare assolutamente insieme al pensiero che siamo ben più capaci di adattarci di quanto sappiamo e vogliamo credere di noi stessi. Se le cose cambiassero in peggio ci vorrebbe una dose maggiore di pazienza e di ragionevolezza, comprensione, magari qualche domanda in più e qualche lacrima da versare. Se le cose cambiassero in meglio, pur non avendo scelto personalmente tale cambiamento, la ragionevolezza dovrebbe solo forgiare la chiave del cuore che apra le porte dalle quali passa l'accettazione che agevola l'adattamento. E la sensazione sarebbe come quando si scopre di essere innamorati o come quando si riceve un dono inaspettato da qualcuno che si credeva di aver perduto.
Dunque, questa strana allergia è curabile con la pazienza e la comprensione degli elementi che la generano, e ricordando una cosa importante che vale per tutti, che se la vita va e noi andiamo i cambiamenti si trasformano da scogli ad onde che ci permettono di esplorare il mare nel quale siamo.