lunedì 31 dicembre 2012

La serenità di accettare tutte le cose che non si possono cambiare

La serenità è la condizione necessaria per poter vedere bene. Come quando il cielo è limpido e senza foschia: si riesce a vedere lontano. Per accettare le cose che non possono cambiare non necessariamente serve vedere lontano ma è pur vero che sia indispensabile non smettere di vedere, semplicemente per non perdersi, per non soccombere in modo stupido. Le cose che non possono cambiare sono tutte quelle che esulano dalla nostra volontà, ecco perché è tanto difficile accettarle così come sono. Il tempo che passa e lascia i suoi segni, una malattia terminale, la vecchiaia che sopraggiunge, incidenti che cambiano la vita, e tutto quanto rientri in questa categoria di eventi. Combattere talune di queste cose per farle tornare "come prima" è fuori dalla portata umana, solo che non è facile arrendersi all'evidenza. Serve serenità perché essa, come un balsamo calmante, riporta alla mente la saggezza che serve per affrontare il percorso sul quale si presenta l'inesorabile. E molta di questa "saggezza" ritengo sia custodita nel cuore, o anche più in profondità, nel cuore del cuore. La battaglia è cruda perché si rimane intrappolati facilmente nelle maglie delle cose che si vorrebbero. C'è un punto però in cui, se si ricorda di amare e basta, senza pretendere nulla in cambio, né dalle persone né dagli eventi né dalla vita stessa, si modifica qualcosa dentro e dallo squarcio, che sembra una ferita, nasce invece la comprensione dalla quale sgorga la serenità. La pressione prima di arrivare a far scaturire la serenità è forte, molto forte, alimentata dai nulla di fatto che fanno a brandelli ogni aspettativa. E si va così, in piana nel deserto o in salita sugli speroni di roccia, da soli, tormentati dagli spettri molto reali del conflitto tra ciò che si vuole che sia e ciò che invece è. Si piange, è permesso farlo, ma nessuno ascolta, solo tu sei lì ad ascoltare te stesso. E la pressione sale, forse per poterti portare al punto di rottura dell'ego che impedisce la serenità. E se non cedi alla paura o all'ombra nella quale potresti trasformarti per troppo dolore, il cuore viene in aiuto per ricordarti la consapevolezza più semplice: se ami, ami e basta senza riserve né postille, senza se e senza ma, come potrebbe dire qualcuno. Così il tempo che ti resta, aspetta te e non viceversa. La serenità che riesci a conquistare rimane con te ma va coltivata, non va abbandonata a se stessa, va amata anche lei perché si possa procedere insieme lungo la via. Le difficoltà non vengono cancellate dalla serenità, esse rimangono, ciò che si modifica un po' è il carico di tormento che possiamo sentire in loro compagnia. Si attenua quanto basta per rendere più agevole il passo. Ma la serenità fa anche un altro dono prezioso, insegna a sorridere da dentro e questo può rendere migliore la vita non solo di chi vive la serenità ottenuta in battaglia ma anche di chi ci sta accanto. Questo è un ramo dell'amore.
Rita Buccini Between

giovedì 13 dicembre 2012

Un "prodotto" dell'immagina-azione

Questo post di oggi lo dedico ad un progetto grafico. Non conosco personalmente l'autore ma è capitato di poter assistere alla presentazione del libro per immagini dal titolo StoryFrame (ANIME GEMELLE) di Leonardo Baldini. Questo è un libro particolare. Un libro perché vive anche tra le pagine di carta. La sua ossatura è fatta di immagini, scatti che fermano nell'istante tutto ciò che serve per comprendere senza parole. Questa è la particolarità che mi è piaciuta. E non solo perché preferisco pensare e vivere per immagini ma anche perché l'assenza di un linguaggio parlato lo rende universale, accessibile a chiunque in qualsiasi parte del mondo. E' straordinario. Per "leggere" questo libro non serve neppure saper leggere. Questo andare oltre qualsiasi barriera cancella le difficoltà, unifica e rende ogni persona che lo tiene in mano potenzialmente uguale all'altra. Le immagini messe in sequenza sono come le parole ma il loro codice è semplificato e la chiave di lettura risiede in ciascun lettore. Se le parole messe in sequenza, per farne frasi che rendano l'immagine del concetto che vogliamo esprimere, servono a dipingere un'idea, a estrapolare un sentimento, qui la visuale avvicina in modo diretto. Lo zoom rompe le barriere e ci porta in un luogo al quale possiamo attingere direttamente dalle emozioni che si hanno di fronte. Le immagini sono un veicolo dal motore potente, lo sono sempre state ma ci siamo dimenticati che per leggerle davvero non servono tante parole bensì basterebbe lasciar loro la parola. In questo libro è stato fatto, la parola è tornata in mano alle immagini che sanno reggersi in piedi da sole e sanno anche camminare. Pagina dopo pagina si sommano e cuciono addosso allo spettatore "lettore" la storia. E tu, che hai visto questa storia, sommi le tue emozioni a quelle che ti vengono mostrate. E la memoria si arricchisce di un punto di vista in più, come nel cammino della conoscenza. R.B.Between

venerdì 7 dicembre 2012

Sguardo curioso su un mondo a parte

Il mondo al quale mi riferisco è quello degli uomini. Che non è davvero un mondo a parte se non in alcune occasioni. Oggi ho avuto modo di stare a guardare questo mondo e dal mio angolo silenzioso ho potuto comprendere qualcosa. Merito di Facebook. Un amico posta il suo stato e gli rispondono altri due amici. Tutti e tre, nella realtà, si conoscono bene e parlano come se non ci fosse alcuna barriera fisica tra le loro parole. Scherzano, le battute fioccano e io che sto a guardare non posso fare a meno di immaginarmeli lì in carne e ossa e mi incuriosisce la loro confidenza. Facebook permette anche questo, stare a guardare e riflettere. La voglia era quella di intromettermi con una battuta come faccio di solito con tutti se trovo qualcosa di divertente o di interessante da commentare, questa volta sono stata solo lì a guardare. E ho iniziato a pensare dopo aver sorriso per i loro vari commenti. Credo che il feeling tra gli uomini, i maschi, sia diverso da quello che c'è tra le donne. Diverso come sono diversi tra loro gli uni e le altre. Solitamente, a meno che non si riesca ad andare oltre, un uomo in presenza di una donna, o viceversa, attiva consciamente o inconsciamente, come volete, se non una barriera istintiva, almeno un velo. Come a voler proteggere un'intimità dell'animo fatta di tutte quelle cose che crediamo appartengano esclusivamente all'essenza del proprio genere. Quindi ci sono cose da uomini e cose da donne, senza però voler qui discutere di estremismi vari. Semplicemente, nella realtà quotidiana, non svolgiamo gli stessi compiti né abbiamo gli stessi interessi, salvo casi specifici, quindi naturalmente si tende ad aggregarsi uomini con uomini e donne con donne, perché si cerca una comprensione più profonda data dalla condivisione dell'uguaglianza. Anche se non siamo sessisti ci sono momenti in cui si deve riconoscere la realtà per come si presenta e non è poi così male. L'uguaglianza esiste come esiste la differenza, non riesco a negare l'una in favore dell'altra. La vita ha sfumature che permettono tutto questo e l'elasticità mentale serve per stare al passo dei singoli casi. L'uguaglianza fra uomini e donne è un valore di giustizia ma esiste anche la differenza tra maschi e femmine che non va bene negare se si desidera comprendersi gli uni con gli altri. Questi tre amici mi hanno involontariamente mostrato la soglia sulla quale una donna dovrebbe soffermarsi un po' per stare a guardare, semplicemente stare a guardare senza fretta. E una donna che facesse così vedrebbe un mondo a parte dove il tempo scompare, dove, se anche si torna bambini, lo si fa ricordando di non esserlo totalmente. In questo mondo a parte si sente il calore dell'amicizia scorrere come se si potesse toccare anche se vola sulle ali delle parole. Accade anche fra donne, non dico di no, ma la sensazione è diversa, leggermente diversa. E il mondo diventa ancor più a parte se l'argomento è la fede calcistica. Qui una donna, a meno che non sia ugualmente tifosa e appassionata, non ha spazio. E molte donne a questo punto si arrabbiano. Forse per gelosia, forse per questa percezione di non riuscire ad avere uno spazio entro quel cerchio solidale, non so, però credo che sia meglio sorridere con il cuore e stare a guardare.

venerdì 30 novembre 2012

Quando il tuo amore non viene ricambiato

Se non avessimo il cuore che ci permette di vedere la vita con "occhi" diversi, perderemmo molta capacità di risoluzione, e molti particolari e sfumature si fonderebbero troppo gli uni con le altre con il risultato di avere davanti qualcosa che, alla lunga, non saprebbe più nutrirci in modo adeguato. L'amore è un argomento così vasto da perdercisi facilmente ma la bellezza di questo sta anche nel fatto che ciascuno contribuisce al discorso globale con la sua esperienza e con il suo punto di vista. Non c'è una regola né una legge entro questo spazio del cuore condiviso da ogni essere vivente, c'è solo ciò che viene vissuto. Ma la cosa importante è approcciarsi all'argomento con la consapevolezza che se si è disposti ad ascoltare l'oratore di turno bisogna ricordare che la vastità delle singole esperienze è difficilmente contemplabile contemporaneamente. E da ciò ne dovrebbe discendere che qui, entro questo spazio di ricerca e comprensione, i giudizi non sono ammessi. Solo l'ascolto e la condivisione lo sono come se tutti gli esseri viventi fossero insieme in cerchio. Nessuno ha di più o di meno di un altro membro del gruppo di ascolto, ha solo la sua esperienza da raccontare così che qualcuno, ascoltandola, potrebbe trovare un tassello in più per comprendere la propria storia. Dell'amore comprendo questo perché comprendo che gli esseri viventi custodiscono ciascuno una sfumatura ed è osservandola che possiamo comprendere gli altri e noi stessi, specialmente quando l'argomento è vastissimo date le sue ramificazioni come fosse l'albero più grande e più vecchio mai esistito. I rami sono coloro che vivono le proprie esperienze ma la radice comune è la consapevolezza che il cuore è uno e funziona nello stesso modo per chiunque. Solo le esperienze diversificano fino all'impensabile le sfumature in modo da crearne di uniche.
Se molte delle sfumature nascono dall'amore accolto e ricambiato altre ne nascono da quello che non viene ricambiato. Entrambe le strade possono insegnare qualcosa. Per il momento i miei piedi hanno camminato sulla strada dell'amore non ricambiato e devo dire che per ciò che ho nel cuore il terreno non è soffice. Ad un certo punto del cammino poi ho deciso di togliermi le scarpe perché volevo sentire quanto duro fosse camminarci sopra per non arrendermi alla prima facile decisione alternativa. Ho tolto le scarpe non per masochismo o per ferirmi o per punirmi di qualcosa volevo solo accettare con tutta me stessa ciò che la vita mi presentava e questo non è stato indolore. Ho scelto di andare avanti lungo questa strada ascoltando costantemente ciò che avevo nel cuore e sono state infinite le volte in cui sono tornata al suo cospetto chiedendogli che cosa custodiva in sé. Gli ho chiesto fra le lacrime perché e perché sentivo ciò che sentivo verso quella data persona e più scavavo fino a farmi sanguinare le mani per comprendere più mi ritrovavo in mano una radice profonda e forte che non sapevo spiegare. Ho combattuto per estirparla perché mi dava il tormento provare sentimenti per qualcuno che non mi ricambiava. Il combattimento tra sentirmi portata verso la persona e sapere che la realtà non concedeva di essere accolta è stato lungo. Ho cercato di non concentrarmi sul fatto che quando non piaci a qualcuno ti senti uno schifo totale e peggio ti senti quanto più la persona piace a te. Ti crollano certezze e la stima di te stesso vacilla. Essere rifiutati è una botta che ti rintrona. Ma ho pensato che non avesse vero valore stare a rovistare in questi sentimenti depressivi anche se ci sono rimasta dentro per un po' prima di venirne a capo. Ed ogni volta che ho incontrato delle soglie che mi avrebbero portato lontano dalla vera essenza di me stessa e lontana dal mio cuore ho scelto di continuare a piangere, per il momento, finché non avessi capito davvero come poter gestire i sentimenti che abitavano in me. E qui parlo di scelte, delle mie sfumature, di ciò che avevo dentro di me e che ha determinato una direzione piuttosto che un'altra. Masticavo un boccone durissimo da mandare giù, ma non mi sono arresa perché ogni volta che stavo per rinunciare a masticarlo mi sembrava che avrei potuto perdere una parte importante di me. Non sapevo il perché né lo capivo ma sapevo che era così quindi ho continuato nella stessa direzione ostinata e sempre avendo vento contrario. Il vento delle opinioni altrui. Poi, forse perché qualcosa dentro era maturato da sé, mi sono trovata a pensare che parte del mio dolore nasceva anche dal voler dimostrare agli altri cosa provavo per cercare di spazzar via almeno un po' dell'incomprensione per i miei sentimenti. Egoistica visione poiché gli altri vedevano anche i sentimenti dell'altra persona e ovviamente non potevano dare ragione a me. Io mi ci incaponivo su questa cosa perché mi sembrava vano anche ciò che provavo confrontandolo con il pensiero altrui. Come se adeguarmi a tali opinioni o consigli sul guardare altrove cancellasse il mio cuore. E' così che mi sono sentita. Ho smesso di sentirmi così quando ho capito che per essere me stessa dovevo smettere di negare ciò che ancora provavo a dispetto di tutto e quando ho capito che in verità dell'opinione altrui non mi importava granché, poiché non era con quella che mi trovavo a convivere costantemente ogni giorno, sono stata meglio e più in pace. Nel cuore però c'era ciò che c'era, che fosse piaciuto o meno agli altri o che l'avessero capito oppure no. Infine non ho accolto il consiglio di guardare altrove, di cercare qualcun altro per il semplice fatto che, per come sono fatta, non mi piaceva ingannare nessuno, né il mio stesso cuore per primo, né il cuore di chiunque altro avrei guardato solo per cancellare il ricordo precedente. Questa cosa non fa per me. Così mi son trovata un nuovo problema da affrontare. Dove sistemare tutto ciò che si prova per qualcuno non essendo ricambiati? La soluzione è lasciarlo dove sta e fare un lavoro di adeguamento di ciò che siamo tutto intorno. In altre parole si impara a domare l'impulso a voler dare questo amore al "legittimo proprietario" e si vive ogni giorno usando la consapevolezza del proprio cuore come fosse una inesauribile fonte di calore come infatti è. Che l'altro ci sia o non ci sia rimaniamo noi con ciò che proviamo, tenendo a mente i limiti che l'altro impone, perché anche se siamo esseri umani, e questo talvolta può giustificare certe pulsioni ma altre volte no, dobbiamo la nostra comprensione a chiunque sforzandoci, anche se questo genera battaglia interiore.

L'amore forte forte

Il titolo è lo stesso di un libro illustrato per bambini, ma anche per grandi direi. Si tratta de "L'Amore forte forte" di Loredana Frescura illustrato da Gek Tessaro, Ed. Fanucci. Quando trovai questo libro fu il titolo a colpirmi perché mi arrivò dritto al cuore. La storia racconta di un ragazzo che abita in una valle e della sua amata che abita invece in cima ad una montagna. Il ragazzo ha però paura dell'altitudine ma tanta è la voglia di vedere il suo amore che decide di incamminarsi verso la cima. Quando arriva non la trova e si mette a piangere. Incontra il vento, le stelle, l'albero e ciascuno gli chiede il motivo della sua tristezza. Il ragazzo quindi riceve in risposta un consiglio da ciascun essere che incontra durante il suo cammino. Decide allora di lanciarsi dalla montagna, per poter tornare a valle vincendo così la sua paura dell'altezza, appeso al suo fazzoletto pieno di nodi per ricordare le cose che gli sono state dette, e vede che pure la sua amata è quasi arrivata a valle poiché anche lei voleva ritrovarlo con tutto il suo cuore. Allora insieme toccano terra e possono finalmente abbracciarsi.
Questa è una storia che racchiude in sé un bellissimo messaggio di speranza e al tempo stesso è una verità. Quando portai a casa con me questo libro avevo una voglia immensa di incontrare una persona che stranamente, a dispetto di tutto, ho sempre avuto nel mio cuore. Per questo motivo leggere tale storia mi faceva stare meglio dal momento che nella mia realtà non c'era alcuna speranza di riallacciare un qualunque discorso né di iniziarne uno nuovo. Ancora oggi, quando vedo la sua sagoma da lontano mi tocco il cuore per sentirne i battiti, per calmare il mai spento desiderio di conoscerlo davvero. Conoscere il suo pensiero e il suo cuore vero non soltanto attraverso i palpiti di un cuore innamorato. E un cuore innamorato di solito tende a non essere troppo obiettivo. E' questa consapevolezza che mi ha fatto sempre andare anche troppo oltre talvolta per conoscere, nel quotidiano, la persona che abitava il mio cuore. Volevo colmare le distanze, volevo raggiungerlo in ogni modo perché mi mancava non aver nemmeno un dialogo con lui. E avevo paura di perdere qualcosa di tanto caro al mio cuore che ho stretto forte forte forte... Più era la paura e più stringevo e correvo per andargli incontro. Ma che non facevo bene a fare così è ormai storia vecchia. Le scuse non sono più concesse né lo sono state mai. C'è solo il presente, adesso, fatto di sensazioni ben vive e profonde, di incredibile voglia di andare ancora a cercarlo, in certi momenti, e di altre volte in cui me ne sto tranquilla pensando a tutti gli errori passati impedendomi di commetterli di nuovo per immensa stupidità. L'amore è forte forte ancora e più cerco di spiegarmelo meno riesco a trovare le parole ma se ascolto soltanto quello che c'è dentro di me trovo tanto, sempre tanto e non lo posso negare. Ma ci posso convivere tenendolo in me, avvolgendolo in me perché forse non sarà mai una bandiera da poter spiegare al vento come avrei voluto che fosse. Come quando hai tanta felicità in corpo da non poter fare a meno di metterti a gridare o raccontare a tutti come ti senti. Forse per condividere, forse perché è tanto ciò che senti dentro che non c'è abbastanza spazio in te per tenerlo lì. L'amore forte forte, quando ami qualcuno, è uno strano modo di sentirsi che ti cambia i connotati dell'anima. R.B.Between

martedì 27 novembre 2012

Il disegno della vita

Dal momento della nascita in poi, ciascun essere vivente, è una summa di azioni. Ogni azione determina una risposta di conseguenza, è così che il mondo si muove, e l'essere umano ha la possibilità di rendersi conto di tali azioni, aggiungendo al movimento della vita un fattore in più. Diciamo che in genere è così. Se però ci si abitua a considerare le cose come fossero in scomparti separati le azioni potrebbero non essere facilmente messe in collegamento tra di loro. Molti sono i motivi che portano ad escludere la visione d'insieme a partire dal più semplice di tutti, l'importanza che diamo a ciò che stiamo facendo, dicendo, vivendo. E questa importanza è talvolta collegata all'ego. Ego ed orgoglio impediscono spesso la visione panoramica di qualcosa, ma al di là del giudizio positivo o negativo su ciò, le azioni o i pensieri sui quali siamo comunque concentrati disegneranno la vita con un tratto apparentemente più marcato. Ciò che vediamo con la volontà e la presenza in noi, nel bene o nel male, avrà un impatto più incisivo nella memoria che ci portiamo dietro. Siamo abituati a sottolineare le scelte, i traumi, le celebrazioni di noi stessi, tutto ciò che possiamo vedere, perché è la realtà con la sua portata di concretezza che induce a sottolineare queste cose. Questi fatti appartenenti al quotidiano sono l'inchiostro per il disegno della vita e non si potrebbe mai negare che possa essere vero il contrario. Una cosa visibile, tangibile, diventa innegabile e viene usata come pietra da costruzione, nonché come pietra di paragone. Di conseguenza qualsiasi cosa che facciamo è innegabilmente un tratto del disegno di ciascuno, che diventa visibile anche per gli altri. E questo ha i suoi lati positivi e negativi. Il mondo è pieno di esempi di ogni tipo ai quali ci riferiamo per creare un dialogo con i nostri simili. L'imitazione è uno dei primi passi di un bambino che esplora il mondo... Scusate se scivolo via spesso da ciò che vorrei dire veramente ma catturare i concetti, stasera, non è facile... Ciò che inizialmente volevo dire è legato al fatto che, se si immagina di escludere qualsiasi credo o credenza, la vita realmente ci appartiene come un disegno che sta solo in mano nostra. Non ho mai condiviso il pensiero che la responsabilità o l'innesco di alcune conseguenze appartenga a qualcun altro che non sia io stessa poiché comunque, anche se sono innegabilmente immersa nella trama della vita, non sono un essere inerte. Ma non solo, penso anche che il disegno della vita non sia costituito solo da una serie di tratti visibili, creati per mezzo delle azioni che si ricavano un posto nella realtà comune condivisa, ma anche da tutti quei tratti meno visibili, determinati dall'aver lasciato perdere qualcosa, dall'aver lasciato che corresse via senza farci nulla, laddove abbiamo guardato altrove voltando lo sguardo per un qualsiasi motivo. Il primo impatto con questo pensiero è di vedere che non è facilmente riconoscibile come "nero su bianco", come risultano invece le azioni che abbiamo curato e scelto di far esistere, infatti queste ultime, esistendo, continuano a generare altre azioni più o meno direttamente collegate, mentre i "no", o la stessa accettazione di ciò che non è possibile che avvenga per il momento, creando una sorta di vuoto, lasciano dello spazio talvolta anche ad azioni non necessariamente ad esse consequenziali o semplicemente lì ci resta uno spazio "vuoto". Al secondo sguardo questi apparenti vuoti nella linea del disegno appaiono invece visibili perché anche quando si lascia perdere o si smette di guardare qualcosa si è scelto di farlo. Superficialmente sembra che ciascuno sia frutto di scelte proprie e colpe altrui ma come ci determiniamo è, e rimane sempre, una scelta personale, sia che ci si renda conto sia che si viva parte della vita, in questi tratti, inconsapevolmente. Anche lasciare che sia, nel bene o nel male, porta una conseguenza che però può non essere vista subito. Ci sono cose che abbiamo scelto di fare o di non fare, di interpretare o di lasciare lì come un abito smesso, che potremo anche non vedere mai se non andiamo ogni tanto a cercare dentro di noi una risposta la cui domanda nasca dall'aver osservato l'intorno, meglio ancora senza giudicarlo, solo avendolo osservato per metterne insieme i pezzi, fossero questi anche, temporaneamente, senza un senso preciso. Il disegno della vita non è uno schema obsoleto è solo ciò che siamo e nessuno è insignificante. Rendersi conto di avere in mano la penna che lo sta disegnando può rendere felici, leggeri, preoccupati, paurosi, orgogliosi, coraggiosi o timidi, o può non importarci ma non riesco a credere che la vita non sia capace di far inamorare di sé chi la frequenta. Prendere in mano la propria vita è faticoso così come è difficile guardarsi allo specchio. La ricchezza immensa di ciò che abbiamo dentro non è facilmente quantificabile e scavare dentro alla ricerca di questo strano tesoro prende tempo e richiede energia. Da bambini ci hanno insegnato a scrivere, a tracciare sulla carta, seguendo le righe o i quadretti, dei segni. Proseguendo nell'esercizio ci è stato insegnato a mettere insieme le parole per formare le frasi, dunque i periodi più lunghi fino ai temi. E' l'insieme di pieni e vuoti che crea il tutto e lo rende decifrabile come vale per luci e ombre all'interno di un disegno.

domenica 18 novembre 2012

Voltare pagina

Con questa semplice mossa si possono ottenere due risultati. Se stiamo leggendo un libro, voltando pagina, possiamo leggere il proseguimento del testo, mentre se stiamo usando tale frase come metafora, voltando pagina otteniamo un cambiamento che sottintende la possibilità, così facendo, di non vedere quello che c'era nella pagina precedente. Voltano pagina coloro che hanno sofferto per qualcosa o per qualcuno e, per continuare a vivere cercando di non soccombere al dolore, ritengono utile, nonché saggio, voltare pagina. Voltare pagina è distrarsi sostituendo un pensiero o un modo di fare per recuperare se stessi, non sapendo bene se un giorno si vorrà mai riaprire la pagina che per il momento abbiamo voltato, per rileggere qualcosa rimasta scritta lì. Talvolta succede anche di rileggere l'intero capitolo e non solo la singola pagina. Personalmente non riesco a pensare la vita per capitoli o pagine ma se di pagine ce ne fossero per me ne esisterebbe solo una. Di misura illimitata affinché accolga tutto ciò che ho da scriverci sopra o da disegnarci, ma solo una, com'è unica la vita. Ho combattuto e combatto ogni volta che le circostanze dolorose vogliono indurmi a cancellare la memoria dell'accaduto perché credo che ogni cosa, bella o brutta che sia, faccia parte del disegno che stiamo tracciando su quell'unica pagina. E avere una sola pagina a disposizione, come accade con la vita, rende prezioso ogni avvenimento e insegna ad essere meno superficiali e meno disattenti poiché non sono concessi troppi errori. Voltare pagina è un lusso per come vedo io la vita ma in ogni caso, anche se potessi permettermelo, non lo sceglierei. Convivere con le cose dolorose, se da una parte fiacca, dall'altra è pur vero che tempra, ammesso che si desideri non soccombere. Dimenticare o sostituire solo per non soffrire lo ritengo disonesto nei confronti di me stessa e nei confronti della cosa che ho preso in sostituzione poiché vero né sincero sarebbe il mio sentimento. Così chi sceglie di avere una sola pagina a disposizione deve imparare a non aspettarsi la comodità che offre invece il voltare pagina temporaneamente o per più tempo. Trovo così speciale la vita che non ho voglia di chiudere gli occhi quando incontro dolore ma non è facile continuare a disegnare sulla stessa pagina. Se la memoria non si spegne né si sospende né si intrattiene con qualcosa di diverso il tempo di recupero aumenta ma si incrementa così anche il senso della dignità. Recuperare me stessa rimanendo consapevole dell'evento precedente è tra le prove più difficili che ho incontrato sulla mia strada ed è un cammino che ancora esiste. Questa scelta però, poiché di scelta si tratta, mi fa stare bene con me stessa anche se so che il tempo guarirà lentamente le ferite poiché al posto di un cerotto in attesa che le cose accadano da sole, io so che vorrò metterci dei punti di sutura, ciascuno proveniente da una consapevolezza ricavata dalla riflessione sull'accaduto. Così quest'unica pagina mi permetterà sempre di avere la visione d'insieme e potrò usare qualsiasi punto del disegno per scoprire come sono fatta.

Lo spazio segreto dello scrittore

In fondo anche il tempo è una sorta di spazio particolare e per chi scrive è fondamentale. Uno scrittore non ha paura di uno sgabuzzino purché abbia con sé qualcosa su cui poter scrivere ma se manca l'altro spazio speciale, il tempo, inizierà ad agitarsi. Pur non essendo davvero una scrittrice per me è così. Quando i pensieri si allacciano gli uni agli altri lungo la via nasce un concetto, nascono frasi, nascono le parole che servono per condividerlo. Uno scrittore scrive così come un cantante canta, arriva un punto nella vita nel quale non si può fare a meno di riversare all'esterno ciò che si ha dentro. Eppure tutte queste parole nascono nel silenzio in un tempo sospeso dentro lo spazio che lo scrittore crea in sé. Così lo spazio segreto dello scrittore è la sua nicchia da dove si mette in osservazione del mondo. Non serve solo un discreto silenzio interiore per districare i vari pensieri, serve che ce ne sia a sufficienza anche tutto intorno. So scrivere anche in mezzo alla confusione se non sono troppo stanca ma ciò che preferisco è quello che ho adesso, il silenzio della notte, quando tutti, o quasi, se ne sono andati a dormire. Mi siedo comoda nel luogo che ho scelto per iniziare a scrivere e lascio vive le mani e la testa. Gli occhi vigilano la soglia tra questo mondo e l'altro dove inizio la pesca miracolosa nel fiume dei pensieri. Serve pazienza, la fretta è bandita da questo spazio e bisogna essere svegli e di mano veloce per seguire il volteggiare delle parole. Si cattura un pensiero che si lascia catturare e guai a cercare di prenderne qualcuno che ancora non ne vuole sapere di staccarsi dal ramo dove sta maturando. Se cerchi di coglierlo anzi tempo svanisce e la memoria si trova a dover raccogliere solo dei frammenti sparsi che non si legano gli uni agli altri. Certo, si possono ugualmente tenere da parte perché in futuro potrebbero essere importanti ma in quel preciso istante il pensiero che si voleva cogliere non lo potremo cogliere. Quindi fluidamente si continua l'esplorazione alla ricerca di qualcosa che ci riporti lì anche se dobbiamo passare da una strada differente, e prima o poi il pensiero che volevamo catturare torna magari maturato nel frattempo. Il silenzio suggerisce di porsi in ascolto piuttosto del contrario e quando si ascolta emergono spunti e parole che non credevamo di poter contemplare. L'esercizio dello scrittore notturno è l'ascolto di ciò che scorre sotto pelle, per imparare a portare con sé, durante il giorno, la capacità di vedere oltre l'apparenza. La luce forte del giorno crea ombre nette e definisce con altrettanta decisione tutte le cose che gli occhi fisici possono vedere, facendo passare in secondo piano le loro trasparenti verità. Lo scrittore raccoglie e accoglie quindi mescola poi assaggia e assapora per raffinare il distillato. Quando tutto è pronto lo scrittore filtra bene e lascia decantare poi offre al mondo ciò che ha creato con le sue mani e la sua testa. Ma senza il suo cuore, il risultato di uno scrittore, sarebbe insipido per chiunque volesse scoprire il riflesso di quel che ha in se stesso, così il dovere di ogni scrittore è quello di aver cura del suo spazio segreto, con amore, per poter condividere con gli altri un senso della vita, attraverso parole che rendono più tangibili i colori interiori comuni a ciascun essere umano. Ciascuno di questi spazi segreti è semplicemente un punto di vista, come una finestra sul mondo, che lo scrittore apre per tutti. R.B.Between

giovedì 15 novembre 2012

E' già più vicino

Siamo esseri umani. Camminiamo, parliamo, interagiamo con i nostri simili, possediamo cose. Ci sono permesse un'infinità di azioni dalle più semplici alle più complesse ma tutto ciò che c'è è separato da noi, se si vede il mondo dal punto di vista materiale. Questa "separazione" è il limite che abbiamo nei confronti degli oggetti. Ma l'essere umano ha anche una natura diversa, gestisce il pensiero e i sentimenti del cuore. Qui, entro questa sfera, i limiti tendono a perdere la consistenza materiale così, assottigliandosi, permettono esperienze che la materia non regala con altrettanta intensità. Ovviamente dipende dai punti di vista. L'immaginazione stessa è un esempio di come possiamo dirigere il flusso di evanescenze interiori e di come possiamo nutrire la mente usando le sue potenzialità percettibili eppur difficilmente definibili come materiali. E' più facile dire che il risultato di un pensiero o di una mossa del cuore sia materiale ma non è altrettanto facile dirlo del movimento interiore. Sappiamo che esiste perché molte volte siamo noi stessi il risultato di ciò che pensiamo così non ci interroghiamo oltre sulle possibilità di ciò che abbiamo dentro. Questa strana componente indefinibile, paradossalmente "materia" di studio per filosofi e pensatori, permette di fare qualcosa di speciale. Permette di avvicinare qualcosa che è distante da noi. E si adatta a restituire un risultato di avvicinamento sia che si tratti di qualcosa di immateriale oppure di materiale. Quando pensiamo qualcosa o ci mettiamo a contemplarla o la studiamo essa entra dentro di noi. E' dunque già più vicina fosse anche si trovasse lontana da noi milioni di chilometri come una stella o si trattasse di un concetto che ancora sfugge perché non lo sappiamo collocare magari entro uno schema mentale. Tutte cose lontane e apparentemente separate che si avvicinano a noi in virtù del fatto che le accogliamo mentalmente. Come accettare qualcosa, la sensazione principale cambia dentro di noi una volta che gli abbiamo trovato un posto. Ma non solo. L'idea alla base di questo concetto che cerco di condividere a parole nasce da uno scambio di frasi con una amica lontana che raccontava di stare a guardare le stelle. Belle e splendenti luci lassù. Io le ho risposto che amandole e accorgendosi della loro presenza aveva automaticamente ricavato un posto per loro dentro di sé così guardandole non le avrebbe sentite lontane lassù nel cielo ma sarebbero state assai più vicine e questo pensiero fa stare bene. E' la carezza dell'infinito che possiamo sfiorare con la nostra anima aiutandoci con l'immaginazione e con il demolire i limiti che ci impone la logica della realtà oggettiva. E saggezza impone, affinché le distanze siano cancellate, che si sappia ben amalgamare la realtà oggettiva,  tradotta nello stare con i piedi per terra, e la vita che concediamo all'immaginazione non smettendo mai di guardare oltre ciò che vedono i nostri occhi fisici. Anche le persone che ci mancano o non ci sono più, apparentemente sono lontane da noi se non scegliamo di puntare tutto sul fatto che custodire il loro pensiero dentro al nostro cuore le rende non solo più vicine ma le fa essere lì esattamente dove siamo noi in quel preciso istante. Se si ama ciò che si pensa sarà il cuore a gettare i suoi fili invisibili fino a raggiungere il punto scelto e a stabilire il contatto che renderà tutto più vicino.

domenica 11 novembre 2012

Guarda gli errori degli altri e correggi i tuoi

Devo il titolo di questo post ad una frase condivisa da un amico di Facebook. Mi piace. Come si usa commentare sul social network. E mi piace anche perché è ciò che ho fatto da sempre. Proprio per guardare i miei errori ho cercato gli errori negli altri, un po' per confronto, un po' perché pur commettendo errori simili non si commettono mai nello stesso modo e in questa differenza sta la possibilità di comprendere qualcosa in più. Prendere in prestito le esperienze altrui analizzandole contemporaneamente al lavoro che si può fare su noi stessi amplia le vedute. Ed anche noi siamo il possibile specchio per altri. Fin qui la strada è semplice. Facendo questo esercizio di osservazione a doppia pista, la nostra e l'altrui, però, si può arrivare a capire anche altro. La definizione di errore. Un errore è inteso come un qualcosa che è accaduto in un dato modo diverso da come si sarebbe voluto o da come avrebbe dovuto essere. Ma non solo, si capisce anche che ogni "errore" è un atto relativo a ciscuno e non sempre un errore per qualcuno lo è anche per qualche altro. Così ciò che si impara veramente da questa osservazione è che ciascuno ha una storia a sé e molte volte non è possibile né giusto giudicare. Ci sono errori irreparabili ed errori correggibili più o meno semplicemente e la loro eventule correzione discende da ciò che siamo e da ciò che vogliamo o comprendiamo oppure no. Riuscire ad osservare gli altri per capire se stanno commettendo un errore o meno è possibile se anche su noi stessi applichiamo questa vigilanza. E quello che l'errore individuato fa scoprire è che se siamo capaci di vederlo abbiamo abbastanza consapevolezza in noi per affrontarlo e correggerlo. Talvolta ci si rende conto di aver sbagliato in modo stupido e grossolano o peggio di aver commesso un errore difficilmente reparabile così può capitare di abbattersi percependo quello che consequenzialmente crediamo essere il peso di una sconfitta. Ma l'errore è solo un passo in una direzione che non avevamo considerato. La prima spinta per correggerlo è accettare che sia così altrimenti la convivenza diventa estremamente difficile. Il peso da portare non è la sconfitta ma la consapevolezza della responsabilità delle conseguenze. Tutti, in ogni momento, siamo soggetti a sbagliare le cose in qualche modo, vuoi perché non sappiamo come muoverci o perché crediamo di saperlo fare e ci muoviamo lo stesso senza considerare tutti i fattori. Commettere errori è la possibilità che tutti hanno per imparare a rimediare prendendo coscienza delle cose che stanno vivendo. Sbagliare dunque non è un errore poiché fa parte della vita quotidiana. L'atteggiamento positivo è desiderare di rimediare ed essere contemporaneamente disposti a concedere questo agli altri.

sabato 10 novembre 2012

Carta da lettere

Qualche giorno fa, rimettendo in ordine scatole e cassetti dal contenuto dimenticato, ho ritrovato delle vecchie lettere. Risalgono al tempo in cui non c'erano ancora i cellulari e la loro immediata possibilità di comunicare tramite messaggi o mail. Scrivere sulla carta usando la propria mano che tiene la penna seguendo i movimenti del pensiero è un'emozione. Lo era allora, perché in quei minuti si era a tu per tu con ciò che si stava provando e lo si metteva sulla carta impregnandola di noi e dei nostri palpiti mentali, e lo è adesso per confronto nostalgico. Questo è l'effetto che mi ha fatto ritrovare quelle vecchie lettere. Anche se uso sempre il cellulare o il computer per comunicare con gli amici e non ho più scritto lettere su carta da anni, non riesco a pensare che non ci sia più posto per carta e penna. Tutte le mie lettere dormono tranquille in una scatola di cartone decorata, raccolte in pacchetti legati da nastri e so che in qualsiasi momento potrei toccarle e sentire la loro esistenza materiale, tangibilissime testimonianze di pensieri altrui in risposta ai miei di quel tempo. Non avrei bisogno di elettricità, mi basterebbe la sola luce di una candela per leggere e fare un tuffo nel passato che ho condiviso con qualcuno. Credo che tutto sommato sia questo ciò che mi piace, il fatto che non siano virtuali messaggi custoditi lontano da me tramite codice binario. Come le foto, ne ho tante nella memoria del mio Mac e quasi nessuna su carta. Gli album dei ricordi con le foto stampate da negativi appartengono al passato ma sono riusciti ad arrivare egregiamente fin qui nel presente in attesa di essere sfogliati. Ma le lettere, quelle vere, dove dalla carta emergono le parole scritte di proprio pugno, sono obsolete. In via di estinzione, animali rari che in pochi desiderano salvare. Ciò che si crede non serva più e si pensa faccia perdere tempo, qualora ci si dedichi, con passo naturale va a scomparire. Eppure mi chiedo se sia una direzione giusta. Forse in parte è giusta per il risparmio della carta stessa, ma non penso che sia giusto per il rapporto con noi stessi. Le parole, è vero, raggiungono chi vogliamo sia tramite carta da lettere sia virtualmente e ciò che diciamo lo diciamo ugualmente attingendo da ciò che proviamo ma manca il sapore. Manca l'odore della carta, manca l'odore della colla dei francobolli e il suo sapore dopo averlo leccato per incollarlo alla busta poco prima di spedirla, mancano i gesti che tutto ciò comportava. Scrivere, rileggere e magari ricopiare se si erano fatti troppi errori, sentire la fatica nelle mani e le dita rattrappite se si scriveva davvero un fiume di parole a cavallo di pagine e pagine, queste cose non ci sono più quando si sceglie la strada di un mezzo di comunicazione elettronico. E questa nostalgia che sento, questa mancanza di qualcosa di speciale, è legata al fatto che non avere in mano la lettera alla quale ho affidato i miei pensieri mi fa sentire un po' di vuoto. Una lettera d'amore, poi, puoi portarla sempre con te in tasca anche se ti si rompe il cellulare e leggerla fino a consumarla per assaporare le parole che ti sono giunte. Una romanticheria di altri tempi :-) A parte ciò l'aver ritrovato le mie lettere mi ha fatto pensare a come il tempo scorra velocemente e a questa strana voglia umana di accelerarlo ancora di più con tutti i mezzi possibili, quasi a togliersi la possibilità di soffermarsi a godere di ciò che si ha nel presente, sempre ammesso che il presente abbia qualcosa per cui valga soffermarsi a contemplarlo senza soffrirne. Solo pensare che si desideri sfuggire allo stare male o al grigiore giustifica correre e correre senza fermarsi a guardare meglio sia dentro di noi che intorno, altrimenti non so, e non comprendendo pienamente questa strada a scorrimento veloce tendo ad amare le cose dal sapore antico e artigianale. Mi resta così un avanzo di buste colorate e di carta da lettere decorata, tante penne la cui anima d'inchiostro si sta seccando ma anche la voglia di scrivere nuovamente qualche lettera.

domenica 4 novembre 2012

Il vincitore è solo

La vittoria è una strana sensazione. Sensazione poiché viene percepita come uno stato d'animo dentro di noi, al di là di qualsiasi premio materiale che eventualmente potrebbe esserci. E non sempre una vittoria deriva da una gara. Talvolta la vittoria è la forma che prende la giustizia, talaltra è una semplice rivalsa. Ho scavato nella memoria alla ricerca del sapore delle sensazioni che io stessa ho provato in questa particolare circostanza e ne ho ricavato una risposta. Un pensiero che è una risposta ad una domanda che non avevo fatto. Eppure ho sentito che racchiudeva in sé una verità. Lì, in quello spazio occupato dalla consapevolezza di essere un vincitore, c'è il vuoto tutto intorno. Anche solo per un istante, prima che la folla ti acclami, intorno non c'è nessuno. E' lì che si trova la solitudine del vincitore. Il gradino più in alto del podio è lassù mentre gli altri sono più in basso. Si dice che questo serva ad evidenziare visivamente la vittoria. Una rappresentazione eloquente. Che questa nota assuma sfumature positive o negative dipende da come si ragiona. Pensare a questa paradossale solitudine mi infonde tristezza tirandomi immediatamente giù dal podio, reale o figurato che sia. In un certo modo mi permette di tornare con i piedi per terra nella più ampia consapevolezza del tutto e dell'intorno, che altrimenti dimenticherei facilmente, adagiandomi nel posto sulla cima. E non credo sia tanto difficile rendersi conto che stando in alto si possa perdere qualcosa. Da lassù si ammira il cielo da vicino, per quanto illusoriamente sia possibile, ma si smette di vedere la base che ci sostiene. L'immenso, o anche solo la grandezza di qualcosa distrae, forse perché in fondo siamo tutti ancora dei bambini che si meravigliano e rimangono a fissare lassù le nuvole o le stelle. Ma chi lascia che il proprio sguardo indugi nella grandezza, pensando che le piccole cose o le radici non servano più, si troverà prima o poi nelle vesti del vincitore solo. E' la semplice constatazione di chi osserva. Eppure un vincitore potrebbe non sentirsi mai solo, anzi. Quando si è totalmente nel centro di se stessi non si percepisce altro che una pienezza, mai un vuoto, né dentro né intorno. In quella che chiamo umanità, quella specie di indefinibile bagaglio di cuore e attenzione rivolta all'impegno per vivere in armonia con gli altri dando il meglio di sé, una vittoria non ha importanza. Quel picco di solitudine non vale la fatica che si è durata per ottenere il podio. Solo la giustizia che si manifesta al di là del nostro sforzo per ottenerla è una vittoria che si trasforma e non ci lascia solitudine intorno. Diventa gratitudine, diventa cuore o atto di rispetto. La vittoria che porta ancora questo nome si affila sull'orgoglio e il vincitore sarà ancora una volta solo, per breve o lungo tempo. La vittoria è solo un attimo fugace, e se permane è perché il vincitore alimenta la sua solitudine concentrando lo sguardo sull'altezza del suo podio. Il vincitore può sempre scegliere la sua strada, non perché ha vinto qualcosa o ha vinto su qualcuno, ma solo perché torna a camminare sulla terra trasformando la sua vittoria, dandole un nuovo nome perché anch'essa inizi a camminare con lui. Scegliere la direzione dipende da come e da quanto ci si rende conto di ciò che si prova nei confronti della vittoria. O della sconfitta.

venerdì 12 ottobre 2012

Saltare gli ostacoli

Ancora un ricordo della scuola di equitazione. E non solo. I cavalli mi sono sempre piaciuti fin da piccolissima. Ho imparato a disegnare cavalli ancor prima di imparare a scrivere il mio nome. Il feeling che avevo con questi animali mi portò all'età di 9 anni alla scuola di equitazione. Oltre a montare e smontare con eleganza volteggiando sulla sella (io non ero proprio magrissima) ci insegnavano a saltare gli ostacoli. Stare al passo, trottare e infine galoppare andando da qualche parte o girando in tondo non è così emozionante come saltare gli ostacoli. Ma si deve imparare a farlo bene per non danneggiare né noi stessi né il cavallo che ci porta con sé. E non è facile perché si deve vincere ogni volta la paura. Non basta sentire l'adrenalina scorrere per sentirsi capaci di saltare l'ostacolo più o meno alto che abbiamo davanti. La sensazione di euforia da sola rende avventati. Certo, si può anche non avere alcuna paura mai, ma se un giorno accade di sentire un filo di incertezza, anche il cavallo la sentirà e saltare l'ostacolo potrebbe diventare pericoloso. Se guardo indietro non sono sicura di individuare il punto dove è iniziato l'insegnamento che porto con me. Non ricordo bene se prima di affrontare il primo ostacolo nel maneggio avevo già dentro il concetto che un ostacolo è meglio affrontarlo e saltarlo piuttosto che aggirarlo o se questo pensiero è nato dopo aver saltato la prima volta assieme al cavallo. Il concetto che si lega a tutto ciò però è più importante del ricordare questo particolare. L'importante è sentire che la cosa è giusta, che spesso non è come la si vorrebbe o come la si concepisce ma è qualcosa che va un po' oltre il nostro stesso giudizio perché la cosa giusta vive al di là di noi. E se si sa ascoltare lo si sente. Il nostro insegnante di equitazione ci insegnava come affrontare gli ostacoli iniziando dalle barriere a terra. Il cavallo è un animale generoso e ci porta dove lo guidiamo ma non sempre ama dirigersi verso degli ostacoli così quando siamo in sella dobbiamo ascoltare non soltanto noi stessi ma anche l'animale che ci porta in groppa. Ebbene, noi potremmo non avere paura di andare oltre ma lui potrebbe averne così dobbiamo imparare a capire la sua reazione e di conseguenza infondergli la nostra sicurezza se in quel momento il cavallo non ne ha troppa. Sono stata disarcionata davanti ad un ostacolo con il risultato di saltare io da sola rimanendo il cavallo piantato prima dell'ostacolo. Un bel volo, per fortuna senza conseguenze. Riprovandoci subito ho condotto il cavallo con più sicurezza verso l'ostacolo, a maggiore velocità ma senza esagerare, facendogli sentire il più possibile il contatto con le gambe e poggiando le mani sul suo collo come per dirgli "siamo insieme, non aver paura e vai perché tu ce la puoi fare a saltare e io senza di te non potrei mai farlo". Ogni cavallo che ho montato aveva una sua personalità, qualcuno aveva più paura di qualcun altro nel saltare ma tutti mi portavano dove io li guidavo. E non ci sono sempre stati giorni nei quali non avevo paura di saltare. Sapevo però che ogni mia incertezza si trasformava in potenziale pericolo e se si cade malamente da cavallo ci si fa male. Rischiare per il gusto di rischiare è estremamente stupido e può non esserci tempo per pentirsi o redimersi. Prudenza e attenzione sono parte integrante dell'equipaggiamento di un buon cavaliere, specialmente quando si affrontano gli ostacoli. Riuscire a saltare bene regala un'emozione unica perché non è fatta soltanto dalla conoscenza della tecnica, che è parte della soddisfazione in se stessi, ma anche da qualcosa che si muove più nel profondo. E' come la conquista di una libertà, di una piccola vittoria personale. Saltare un ostacolo è la vittoria dell'averlo affrontato, è la memoria di tutto ciò che si è fatto per prepararsi a guardarlo dritto davanti a noi e la sua conquista. Saltare un ostacolo è guardare indietro a ciò che si è fatto, poter vedere quanto era alto e sentirsi capaci di spostare il margine dei propri limiti. Capire dunque che il confine dei propri limiti non è davvero fisso a meno che non lo si creda tale. E se non ci si prova non lo si saprà mai così come scegliere di non affrontare l'ostacolo non ci mostra le vere capacità. Inciampare e cadere mentre si va verso l'ostacolo, reale o metaforico che sia, non ci rende dei perdenti. Se la perdita sta in qualcosa è nell'occasione che avevamo di metterci alla prova qualora vi si rinunciasse, fatta salva la decisione di rinunciare che deriva dalla saggezza e dal buon senso. Uno dei "segreti" per affrontare un ostacolo da saltare è crederci, pur nella sua banalità. Credere in qualcosa, credere che sia possibile, concedendogli credito e potere di suggerirci a sua volta la strada o il metodo, crea una sorta di corridoio mentale che serve a non vacillare troppo nel momento del salto, della prova, della decisione, della scelta. Il binario che si crea dentro di noi avrà il potere di emanare la forza affinché il salto si compia nel migliore dei modi. Su questo binario l'azione procede di pari passo con il pensiero. Un po' come se, mentre stai saltando, con la tua mente fossi già al di là dell'ostacolo pur rimanendo presente e testimone di ogni più piccolo movimento che ti sta conducendo verso e oltre l'ostacolo stesso. Questo calore di convinzione ferma senza paura è ciò che il cavallo sente per nutrire la sua fiducia nel cavaliere. Questo è solo il mio pensiero, in realtà non so cosa sente un cavallo ma mi è stato utile pensare così quando saltavo. E mi è utile ancora adesso quando nel percorso della vita trovo ostacoli di varia altezza, con la differenza che la fiducia che in questo caso devo agganciare e nutrire non è altri che la mia.

mercoledì 10 ottobre 2012

Una strana empirica legge di compensazione

Attingo dalla mia esperienza vissuta per soffermarmi su ciò che è accaduto nella mia vita in alcuni periodi. Strana perché mi fa pensare, non riesco a darla per scontata ma sono ancora in fase di riflessione per capire se ha un senso e non soltanto per me. Empirica perché nasce dall'esperienza concreta. Legge perché si ripete con le stesse modalità e non avendo altri vocaboli a disposizione che ne rendessero altrettanto bene l'idea ho scelto di usare tale parola.
Se la vita è come un lungo cammino diciamo che qualche volta può capitare di soffermarsi per un po' e in tale attesa si può trovare il tempo di guardare e misurare in qualche modo tutte le vicende che sono avvenute. Mi immagino pensatore solitario seduto su di una roccia in quota che manda il suo sguardo tutto intorno. Il panorama è più o meno vasto a seconda di quanto cammino si è fatto ma seduti lì si ha modo di valutare meglio le varie distanze coperte nell'andare. Si possono anche vedere particolari che durante il cammino non avevamo visto, è naturale che sia così e sottolinea il fatto che talvolta è necessario soffermarsi per dare un'occhiata indietro, per riassumere ciò che ci appartiene fin lì dove siamo arrivati. Ad un osservatore che ama la sintesi non sfuggirà la semplice natura di fondo delle cose, quella fatta dall'avere e dal mancare, dal dare e dal ricevere, dal positivo e dal negativo, oggettivamente parlando, al di là del proprio parere. In tutta questa amalgama l'equilibrio ha la sua ragione d'essere attraverso quella che io chiamo legge di compensazione, che si manifesta con più o meno uguali quantità di avere e mancare, applicabili ad ogni cosa che possa venire in mente e a tutto ciò che la realtà provvede a mostrare anche senza il nostro consenso. Seduta sulla mia roccia guardo attentamente rovistando nel vissuto e mio malgrado devo constatare che accadimenti positivi sono stati accompagnati da accadimenti meno piacevoli da vivere. La mia legge di compensazione per ristabilire l'equilibrio. Ricordo momenti brevi di distensione gioiosa legati a notizie o cose accadute positive seguiti da sciabolate del destino, passatemi l'espressione, che hanno ridimensionato tale stato d'animo ricco di entusiasmo. Il reiterarsi di tale strana modalità, all'inizio non mi ha dato fastidio, mi ha insegnato a prendere la vita come viene non giudicando le cose come frutto di colpe o punizioni divine nelle quali non credo, vedevo la vita come scuola e percorso. In seguito, forse per la fatica di affrontare alcuni passaggi, mi son trovata guardinga cercando di fiutare l'aria come un segugio ogni volta che mi capitava qualcosa di buono, cercavo di riconoscere l'odore del prossimo colpo. Mi sono ritrovata a metterlo costantemente in conto pur desiderando vivamente di sbagliarmi e di venire contraddetta dagli eventi successivi. La legge di compensazione si è sempre presentata, più o meno puntuale all'appuntamento.
Quando la vita propone delle sfumature così e sei abbastanza sveglio da notarle ma soprattutto ti girano interiormente perché non lo trovi giusto, l'anima ribelle, anche se ce la mette tutta per mostrare il coraggio per combattere e prenderla con filosofia senza sentirsi vittima, vacilla sotto la spinta della paura di ciò che ha imparato ad aspettarsi. Diventa una specie di riflesso condizionato che ti impedisce di goderti la felicità che incontri. Mia storia recente l'ennesimo ripetersi di questa coppia di buono e cattivo sul percorso. Il mio attuale buono è solo una promessa che non ha ancora concretezze ma sa di positivo mentre il cattivo è una concretezza da considerare, possibilmente senza spaventarsi. Sono in equilibrio e devo operare su me stessa il suo mantenimento per capi stabili legati a pensieri positivi e serenità da ricercare costantemente  dentro di me, in modo autonomo, poiché non si può sempre contare sugli altri. Gli altri dànno ciò che possono e non possiamo pretendere che sia diverso, la serenità sta nell'accettare quello che si riceve comprendendo che ciascuno ci ha dato ciò che ci poteva dare.
Entro questa compensazione c'è ancora la vita che dobbiamo vivere con il monito e l'insegnamento di non lasciarsi andare né al polo positivo né a quello negativo, giacché l'equilibrio rammenta che sta in mezzo ai due estremi in ogni caso. Oggi, dunque, anche se vedo che luce e buio camminano ancora insieme cerco di rimanere stabile e di sorridere anche quando mi verrebbe da piangere. Non avevo torto, all'inizio, quando vedevo che tutto è solo un percorso, il segreto per proseguirlo è non soffermarsi a giudicare come si presenta, ma solo andare con passo calmo, cuore puro e sguardo sereno, tutto ciò che deriva dall'avere fiducia, non propriamente fede.

venerdì 21 settembre 2012

Lettera (o quasi) al futuro

Quello che segue è un pezzo scritto il mese scorso. Il tema era "lettera al futuro" e mi era stato chiesto da un'amica. Questa sera, nel momento in cui sto postando questo mio scritto, questa lettera, assieme ad altre verrà letta in teatro.


Il Futuro mi sfugge perché sono sempre stata fedele al Presente. Lui lo sa così, anche nei rari momenti in cui lo penso, si nasconde abilmente chissà dove. Se lo cerco in me so che dovrei guardare il qui e adesso perché queste sono le sue radici eppure, ugualmente, lo trovo indefinito e indefinibile. E forse so anche il perché, ma non mi piace ammetterlo. Sono state l'abitudine al Presente e una discreta propensione per il Passato a lasciarmi qui indaffarata a sbrigare il quotidiano. Forse non sogno abbastanza, o non lo desidero così intensamente, così lui si sente trascurato e, di conseguenza, autorizzato a sfuggirmi, magari solo per burla. Non abbiamo mai parlato troppo noi due, io e il Futuro. Non ci siamo mai mescolati con brio, gioia e speranza per un domani possibile tranne, forse, quell'unica volta nella quale ho sentito il cuore battere più forte in presenza dell'amore. Soltanto lì, limitatamente a quell'istantanea parentesi poi rotta, ho desiderato che il seme del calore che sentivo dentro al cuore si sviluppasse per trasformarsi in un albero immenso e meraviglioso. Volevo stare a vedere come sarebbe cresciuto ogni ramo, volevo vedere che tipo di foglie avrebbe mostrato e che fiori e frutti avrebbe prodotto. Solo lì ho incontrato la soglia del futuro. Non fraintendetemi, non l'ho vista, l'ho solo sognata con quella forza speciale che mi era nata dentro, frutto delle sensazioni che stavo provando. E il Futuro sa che basta anche la vibrazione di una sola corda del cuore per accenderlo. E' l'innesco di un sogno che vorrebbe scendere nella realtà...
Eppure, nonostante l'eventuale assenza di questa forza rigenerante quale è l'amore, il Futuro è qui, nel presente, ed aspetta soltanto di smettere di essere trasparente, per accomodarsi entro le linee che lo definiranno.
Il mio futuro... Passano i giorni e mi dimentico che ne ho comunque uno. Che non mi precede ma mi segue. Paradossale sensazione... Se poi mi convinco a fargli spazio nella mia vita, ecco che mi ritrovo inconsciamente ad averne paura. Mi sembra di dover stare per forza accanto ad uno sconosciuto e questa cosa mi infastidisce. Così, di riflesso, mi scanso e non lo guardo negli occhi per timore che si offenda. Se scavo un po' vedo che preferisco il Presente o il Passato perché mi concedono la sicurezza di non avere sorprese. Si tratta di una comodità della quale ho necessità per compensare la perdita d'amore da un'antica ferita. Sciocca romanticheria l'amore? Eppure, se non ci fosse questa luminescenza interiore, qualcosa si appiattirebbe e so che il Futuro spiccherebbe il volo con maggiore difficoltà. Le sue ali tendono ad appesantirsi a contatto con il solo interesse senza un palpito di cuore. E lui, il mio Futuro conosce il numero esatto dei palpiti che sono stati. Li ha ascoltati, come sta ascoltando ciò che vi racconto adesso, invece di parlare direttamente con lui...

Scusami Futuro, so che dovrei sorridere e fare finta di non soffrire quando accade che un fiotto di tristezza fuoriesce ancora da quella vecchia ferita, ma il cammino è lento e tutta l'energia mi serve qui nel presente, per non barcollare sotto il peso dei sogni infranti o svaniti. So che hai pazienza e mi aspetti seguendomi da vicino con questo tuo particolarissimo modo di fare e so anche che mi concedi di essere totalmente assorta nei miei ricordi preferiti quando paura e tristezza si fanno un po' più fitte. Nei ricordi belli e in tutti quei momenti sognati dove si ripone la speranza che le cose vadano bene c'è così tanto calore... Ti guardo e vedo che ti lasci trascurare perché anche tu ami, ami coloro ai quali appartieni e li perdoni anche se non ti nutrono costantemente con le loro speranze, con la parte viva di ogni cuore umano. Così, lasciati dire che, anche se non ti conosco, sapendo che mi vuoi bene, ho meno paura di confrontarmi con te. Posso provare a tendere una mano nell'ignoto concedendomi non solo la speranza ma il profondo desiderio che le sorprese che ancora mi riservi siano tanto belle da compensare quelle dolorose del passato. Io ti verrò incontro, quando potrò, con la fiducia che sarà così, pur nella consapevolezza che ci saranno magari ancora nuvole sul sole, ma anche che, se ci sarà cuore in ciò che farò e sarò, riuscirò a cavarmela nonostante tutto. 

mercoledì 19 settembre 2012

Prismi di Conoscenza, il blog.

In questo anno e mezzo ho scritto molte cose. Altrettante ne ho vissute e ve ne saranno ancora, anche da scrivere. Fino a non molto tempo fa ho messo qui i miei pensieri nello stesso modo in cui con amore e pazienza si gettano dei semi in uno spiazzo vuoto nella speranza che a qualche altro essere vivente possano servire o che magari ci piova sopra abbastanza così da farli germogliare nella terra. Ho scritto per me stessa e per coloro che vorranno ascoltare adesso o più avanti nel tempo, non importa quando. Mi piace pensare che questo stia diventando uno spazio dove chiunque passi di qua possa trovare un luogo dove sentire di poter parlare o soltanto ascoltare tutte quelle cose che spesso vengono escluse dalla vita quotidiana. Non fraintendetemi, ciascuno ogni giorno a che fare con se stesso e la sua interiorità, solo che potrebbe non trovare spazio per esprimerla qualora ne sentisse il bisogno o semplicemente potrebbe non saperlo fare vergognandosene di fronte agli altri. Mille motivi esistono quando ci si nasconde e altrettanti quando ci si mostra, volontariamente o meno. Qui però ho costruito  la mia casa speciale dove chiunque può soffermarsi per un istante oppure per lungo tempo. Nella mia realtà quotidiana non ho una casa abbastanza grande e accogliente per potermi intrattenere con gli amici così come vorrei ma qui, lo spazio è illimitato e le persone, assieme ai loro cuori e al bagaglio dei loro pensieri e sentimenti possono accomodarsi senza problemi. Mi piace questo pensiero. La porta è sempre aperta e dalle finestre si vedono cose che forse qualche volta si ha davvero bisogno di vedere. Magari questa non è l'unica casa costruita così, ve ne saranno sicuramente altre in giro. Come dicevo prima per lungo tempo ho parlato, il più delle volte a me stessa, senza echi di rimando, mentre il silenzio mi avvolgeva. Non so se tutti coloro che passano di qui si soffermano abbastanza da leggere più di qualche riga prima di cancellare tutto con un clic, so solo che per qualcuno, e a volte ne basta solo uno, questa casa è un luogo positivo dove tornare.

martedì 18 settembre 2012

Wolakota

In lingua Lakota Sioux significa "Amicizia con la Nazione Lakota".
L'amicizia può essere un legame molto forte e può attraversare lo spazio e il tempo in modo da far sì che i cuori di coloro che vi partecipano si tocchino reciprocamente. Questo accade se c'è condivisione di intenti, se c'è condivisione di pensiero e parola. L'amicizia permette di unire come un ponte magico persone appartenenti ad etnie diverse poiché nate in luoghi differenti del pianeta, ma accomunate da ciò che hanno dentro di loro. Ciò che la conoscenza profonda dello spirito e del proprio cuore, tramite la sincerità e la lealtà nei confronti degli altri e di se stessi, concede è ciò che abbiamo poi tra le mani quando le porgiamo all'altro per stabilire un contatto. Durante il percorso di conoscenza di me stessa ho incontrato più volte la saggezza delle popolazioni Amerindiane e ho ascoltato. Ho ascoltato parole scritte che hanno attraversato il tempo per giungere fino al giorno in cui per me era arrivato il tempo di leggerle, così come sarà per altri in altri momenti del loro percorso. Quella saggezza c'è, è l'insegnamento per il rispetto di tutto ciò che esiste poiché la vera sacralità di ogni cosa è data dal riconoscere che essa può parlarci e se riusciamo ad ascoltarla ci indicherà la via per proseguire il cammino più in armonia con il tutto. Ciò che lo spirito dell'essere umano può raggiungere tramite questo ascolto del dentro e del fuori non è solo una saggezza in più, ma è la semplice capacità del vivere ricordandosi più cose rispetto a quelle che ordinariamente e quotidianamente ricordiamo. Se l'asfalto isola l'uomo dalla Terra meno cose potranno essere considerate e ricordate mentre si va avanti. Eppure qui, dove pietra, cemento e asfalto "proteggono" l'uomo isolandolo dalle parole della natura, si parla di spirito, quello dentro a ciascuno, che vi si creda o meno, e quello fuori, che avvolge e compenetra ogni cosa. Così io credo che non sia importante il luogo dove siamo o dove siamo nati se ciò che sentiamo dentro al nostro cuore è questa specie di fratellanza con altri che la pensano nello stesso modo. Ma non si tratta solo di un pensiero poiché esso comunque nasce dalla radice che il cuore vero di ciascuno ha nutrito. E tale nutrimento è la consapevolezza di ciò che c'è intorno a noi. Quando senti che qualcuno capisce il mondo più o meno nello stesso modo in cui lo comprendi tu, quando non ti limiti a vederne solo la superficie, ti senti unito a questo qualcuno all'altro capo del mondo. Forse adesso il vero Popolo dei Lakota, e non solo loro, è formato da chiunque veda il mondo con occhi limpidi, ovunque siano. Questa credo sia la vera forza di un Popolo al di là delle etnie geograficamente determinate, perché nessuno potrà sconfiggerlo realmente. Ciò che si trova ovunque garantisce per la sua stessa continuità e la saggezza del cuore è solo il suo sbocciare. E un cuore può sbocciare in qualsiasi luogo. Ogni essere umano su questo pianeta affronta la vita respirando, camminando, da solo o in compagnia, salta ostacoli di ogni tipo, prova paura o combatte con coraggio, si affanna, si ammala o guarisce, parla, ascolta, mangia o soffre la fame, nasce o muore, si cimenta in qualche attività, impara, inciampa e cade oppure si rialza, sempre e da sempre. Già questo dovrebbe suggerire unità e possibilità di stringere amicizia nonostante tutto. Non vi sono barriere al mondo se non quelle create dall'uomo stesso e la natura insegna che in realtà ogni temporanea barriera può essere ascoltata per impararne la lezione. E la barriera cade non appena la si è ascoltata. Ho sempre pensato che nello Spirito dell'Uomo vi fosse riposta la speranza per la corretta comprensione delle cose laddove la giustizia non sia rabbia o vendetta o punizione senza appello ma consapevolezza della natura umana. L'amore che comprende il perdono non nutre né è nutrito da debolezza bensì dal coraggio di guardare senza voltare le spalle alla difficoltà dell'accettare le cose così come sono. E chi sceglie questo sentiero sa bene quanto sia difficile percorrerlo. Vivere a contatto con le forze della natura significa anche scoprire che nel pacchetto c'è il poter rivedere se stessi tramite tutto ciò. C'è fatica ma c'è verità e questo è il reale significato del sacrificio per me. Non inteso come lo si potrebbe intendere noi civilizzati, quando si pensa al sacrificio come ad una rinuncia nei confronti di qualcosa, ma direi piuttosto che, se mi si permette di giocare con l'assonanza, il sacrificio dovrebbe essere l'espressione di ciò che riconosciamo come sacro. Sacro come unico e irripetibile così da non sminuirne neppure per un istante il suo valore, qualsiasi esso sia. E sacra è ogni cosa anche se non lo riconosciamo subito, così come lo è ogni persona. Così come lo è ogni seme ed ogni radice in ogni cuore.

Ringrazio l'Associazione Wambli Gleska e il suo rappresentante Alessandro Martire per ciò che come un'onda o come il vento o come un raggio di sole hanno portato fin qui.
R.B.Between

venerdì 14 settembre 2012

Per te. Feste di compleanno a sorpresa

Se chiudo gli occhi e ripenso a nove anni fa vedo il tuo sorriso. Oggi vorrei che tale sorriso, quello di allora, alla festa a sorpresa per il tuo compleanno, ritornasse sul tuo volto perché vorrebbe dire che stai bene. E forse non mancherai di sorridere, magari per la battuta spiritosa di qualcuno dei tuoi amici o per qualcosa di divertente che ti solleva il pensiero. Ma so che loro, tanti, saranno con te in qualche modo anche oggi, come quella sera. Mi è capitato, allora come in altre occasioni, di sentire molto tangibilmente l'affetto che tutti provano per te e in più occasioni ti ho detto quanto sei fortunato ad essere abbracciato così dalle persone. Quella sera di nove anni fa fu il frutto di una mia proposta condivisa con tuo fratello che ricordo mi chiese scherzosamente se ti meritavi una festa a sorpresa. Ma certo! Iniziò così l'organizzazione. Il luogo c'era. Metà persone le contattai io e l'altra metà, o meglio la maggior parte dei tuoi amici, li contattò la tua famiglia. Si procedeva. I regali, il buffet, la scusa per portarti lì. Per quanto mi riguarda, per le cose che non ti ho mai nascosto di me, ho passato quei giorni prima della tua festa di compleanno a pensare a cosa ti sarebbe piaciuto ricevere in regalo o cosa avresti pensato. Io avevo il sorriso con me, dentro di me e sul volto perché ero animata da un sentimento profondo nei tuoi confronti. Ma avevo anche paura che non avresti gradito qualcosa perché non ti conoscevo bene, così mi sforzavo di attingere alle poche cose che sapevo per dimostrarti in modo molto tangibile il mio sentimento. Ricordo di averti fatto non un solo regalo ma circa una decina se non sbaglio, vari, questo perché ogni volta che incontravo qualcosa che pensavo potesse piacerti la prendevo, solo che, non sapendo con certezza nulla di preciso sui tuoi interessi o gusti, ero indecisa. Questo sì, beh però anche quest'altro non ci starebbe male, no no aspetta, ecco quello giusto e via dicendo. Ma non solo, credo di averne scelti alcuni in modo che ti parlassero di ciò che provavo. Una esagerazione. La mia firma :-)
Poi ecco arrivare la sera e tutti noi eravamo lì per te, perché ti volevamo bene in modo incondizionato, perché ci piacevi e ti volevamo far sapere con tale festa che era così e che non avresti mai potuto pensare il contrario. Quella sera non ho mai pensato che con la mia esagerazione avrei potuto metterti in imbarazzo, io c'ero con tutta me stessa, né più né meno degli altri, anche se portavo nel mio cuore te  e solo te come quando ero ragazzina. Fortunatamente la sorpresa ti colse di sorpresa :-) e a parte forse un minimo di disorientamento iniziale il tuo cuore fu conquistato da tutti. E nacque il tuo sorriso.
Gli anni sono passati, non so se ne hai avute altre di feste a sorpresa, so che ce n'è stata un'altra in un momento nel quale non avresti voluto che ci fosse. Anche quella sera c'ero, sebbene non fossi stata io ad organizzarla. Chi lo fece, quella sera, voleva con tutto il suo cuore farti sentire quel calore che momentaneamente era sospeso. L'accettasti ma non gradisti... Quello che ho voluto scriverti ancora oggi, se mai lo leggerai, è solo per dirti che nessuno ha mai pensato di farti stare male volendoti fare stare bene seppure forzatamente. Chi non venne quella sera sapeva realmente cosa avevi dentro al tuo cuore ed onorò il tuo volere. Ma noi che c'eravamo, volevamo solo tentare di regalarti un sorriso, anche se breve, anche se per un solo istante, e non era per rubarti ai tuoi pensieri e ai sentimenti da elaborare dentro di te e nel tuo cuore, era solo per farti sapere che eravamo lì ancora e sempre per te nonostante tutto. Magari tu, tutte queste cose le sapevi, solo volevi il tuo tempo e volevi essere rispettato, ascoltato, volevi dire la tua con il tuo silenzio. E noi dovevamo ascoltare, ma non lo abbiamo fatto perché credevamo che fosse altrettanto importante farti sentire calore. Ma non ascoltare gli altri è sempre uno sbaglio... Oggi non so cosa farai né con chi sarai ma ti auguro di poterti sentire libero di stare bene o male a seconda di come sarà la tua giornata. E un sorriso tuo, o di qualcun altro possa illuminarti nonostante tutto. Buon compleanno...
R.B.Between

giovedì 13 settembre 2012

Persone che non accettano di essere amate e persone che amano troppo

Mi viene in mente il detto "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane" nel caso in cui la storia dell'incontro tra chi ama troppo e chi non accetta di essere amato si ripeta. C'è qualcosa che non si incastra anche se tutto vorrebbe far credere che da tale incontro possa nascere una nuova visione per entrambe le parti o che, mescolandosi, si possa fare in modo che queste due anime guariscano dai loro "eccessi" ascoltando il cuore per quello che è e per ciò che permette di fare. Un no che stempera un sì e un sì che stempera un no. Molti sono i motivi per i quali non si accetta di essere amati anche se lo si vorrebbe in fondo. Dipende da quello che pensiamo di noi stessi, giù nel profondo. Potremmo non sentirci pronti ad essere lambiti dall'onda di dolcezza che l'amore porta con sé o potremmo sentirne il peso specialmente se tale onda non fosse la carezza di un mare calmo ma fosse come un'onda alta diversi metri. E chi ama troppo manifestando i propri sentimenti con enfasi si ritrova a provocare tale tipo di onda che spaventa. La forza e l'impeto del mare grosso non mettono a proprio agio neppure uno scoglio provato da migliaia di altre mareggiate. La logica suggerirebbe anche che chi non accetta di essere amato è così perché principalmente non riesce a fare pace con se stesso. Il tormento interiore rende scoglio più che mare dal punto di vista della consistenza. Chi ama troppo permette a se stesso di cedere al piacere di amare, lasciandogli  prendere il sopravvento, così il mare si forma in pochi istanti e basta un solo battito del cuore che pulsa di sentimento a creare l'onda che a quel punto non può esimersi dal dirigersi verso la terra, spiaggia o scogli che siano. Chi non accetta di essere amato magari non accetta che l'amore che gli viene dimostrato sia così concentrato. Servirebbero piccole dosi e un po' di pazienza per procedere con un passo che abbia un ritmo possibile e che permetta di scoprire a poco a poco com'è fatto questo amore che viene offerto. Chi ama troppo raramente possiede questa facoltà di misurare ciò che sente di avere dentro al proprio cuore in una unità di misura che sia più piccola del quintale. E la goffaggine è ben presente. A chi non accetta di essere amato non mancano i recipienti per accogliere l'amore solo che spesso sono nascosti e non vengono mostrati a chiunque passi di là o a chi apra bocca confessando ciò che prova. Chi ama troppo, altrettanto spesso, cerca e fruga per trovare tali recipienti dove riversare il sentimento provato perché la quantità determina l'urgenza. A chi non accetta di essere amato non piace sentirsi in obbligo di ricambiare l'amore che gli viene dato specialmente se si sente sotto pressione. Chi ama troppo in virtù della sua mastodontica mole d'amore sicuramente opprimerà chi ama se non impara a comprendere che amare significa anche vedere talvolta con gli occhi dell'altro. Chi non accetta di essere amato desidera poter scegliere il suo tempo per mostrare se stesso senza fretta in totale libertà. Chi ama troppo è animato dall'urgenza di sentirsi appagato dimenticando che quello a cui sta partecipando non è un gioco o una semplice abbuffata. Chi ama troppo investe anche se stesso con la sua mole e diluisce la sua memoria ma se capita che la ritrovi vedrà senza ombra di dubbio che ancora una volta è stato l'ego a fare la sua mossa. Quando si vede questo forse la massa del mare che si era riesce a trasformarsi in lacrime per il dolore che si prova ad aver perduto l'occasione che non tornerà più con chi si amava comunque davvero. Chi non accetta di essere amato ha l'occasione di vedere una parte di se stesso ma è proprio quella parte che non vuole vedere e che, invece, chi ama troppo percepisce essere ben presente nell'altro e che trova sia un peccato tenere nascosta tanta è la sua bellezza e tanta è la sua semplicità nell'incastrarsi tra i pezzi mancanti del puzzle altrui. Chi ama troppo forse custodisce una piccola parte del flusso d'amore di chi non accetta di essere amato e quando due anime così si incrociano lungo la via scatta qualcosa che forse, voglio provare a pensare che sia così, concede una possibilità. Come si indirizzi tale possibilità dipende se poi concediamo ad essa di svilupparsi dentro di noi nonostante tutto, nonostante la paura che si prova o il credere che sia meglio lasciar stare. Ma non è solo per chi non accetta di essere amato tale possibilità, anche chi ama troppo avrebbe l'occasione di imparare a ridimensionarsi. L'amore sincero per qualcuno fa davvero piccoli miracoli quotidiani. Così nessuna delle due parti può essere criticata per essere così ma se queste due parti si incontrano un giorno o l'altro potrebbe accadere di comprendere quel qualcosa di prezioso che ti fa dire che non è stato vano avere a che fare con l'altra parte tanto singolarmente diversa da noi. Voglio credere che da qualche parte nel mondo un giorno due persone così si incontrino e dopo una discreta battaglia riescano poi a camminare mano nella mano per un po' di tempo. A me non è successo ma spero sempre di estrarre quante più cose possibile dal ricordo dell'essere stata mare contro uno scoglio.

mercoledì 12 settembre 2012

Red Hot Chili Peppers - "I Get Around" (live)

Possiamo dirci tutto e va bene lo stesso

Questa è la frase che dice una figlia a suo padre in un episodio di una serie televisiva. Mi ha fatto pensare al senso profondo dell'amicizia e non solo a quella, bensì ai legami profondi tra le persone. In questo mondo ci conosciamo per discendenza e parentela varia o in libertà quando sul nostro cammino incontriamo persone che prima non conoscevamo. Non è scontato che solo tra parenti e in quanto tali sia possibile dirsi davvero tutto. Forse, in questo caso, l'essere imparentati concede qualcosa di più a monte, nel punto dove si sa che tale legame per tutta la vita rimarrà tale poiché si tratta di un vincolo di sangue. Una specie di rete di salvataggio nel caso si facesse un volo o un'acrobazia più azzardata del previsto. Ma non è sempre vero. C'è poi l'amicizia, il legame che nasce giorno dopo giorno o anche subito e che offre un binario a doppia direzione per potersi dire tutto. Che poi le cose vadano bene lo stesso non è mai da dare per scontato in nessuno di questi casi perché qualche volta certe ferite rimangono aperte a lungo. Ma se si scopre che va bene lo stesso nonostante tutto allora saremo al cospetto di un legame speciale, raro, tra le persone che scalda il cuore e dona la vita ogni volta che si manifesta. In questo andar bene lo stesso ci possono essere una gamma infinita di casi che però riportano tutti verso l'unione che si rinsalda. Talvolta solo un sorriso, una parola, un perdono chiesto o concesso, o la voglia di ritrovarsi e ricucire lo strappo sono il materiale che conduce alla pace. Se si ha la fortuna di trovare qualcuno vicino a noi che ci concede libertà di parola, di espressione, avremo di rimando anche una spinta a far emergere la fiducia sia nell'altra persona che in noi stessi. Sapere che poi va bene lo stesso non significa sempre che saremo perdonati a prescindere da ciò che abbiamo detto o fatto, solo che anche se ci vorrà del tempo l'altro sarà comunque lì da qualche parte e che non ci volterà mai le spalle nemmeno se fosse arrabbiato. Riconfermare costantemente i sentimenti che si provano gli uni per gli altri fortifica e rende vivi più di quanto si pensi. Se procediamo vicino a qualcuno pianificando di dire o fare qualcosa in un dato modo per non offendere o per non disturbare non è realmente avere cura dell'altra persona. Solo in alcuni casi è vero questo. Ma succede, nulla di male, si rimane in silenzio in questo caso ma ci si chiede se con tali persone sia mai possibile esprimersi con tutto ciò che siamo nonostante tutto. Potersi esprimere liberamente senza aver paura di essere giudicati crea un luogo buono dove sapremo trovare la forza per ritemprarci qualora ne avessimo bisogno. E ci fa sentire meno soli poter condividere con qualcuno anche pensieri che abbiamo tenuto dentro per tutta la vita senza poterli confrontare, magari solo per accorgersi, un giorno, che sono meno dolorosi di quanto pensavamo e che, alla luce dello sguardo del cuore altrui, smettono di essere montagne per tornare ad essere moscerini. Chi ha questa possibilità con qualcuno, specialmente se c'è molto amore in mezzo, ha un tesoro prezioso e fonte inesauribile di mille cose positive che rendono il cammino nella vita meno ostile.

Imperfezione

Per chi è abituato a fare in modo che tutto sia perfetto, controllato e controllabile, l'imperfezione, la piccola mancanza sono il nemico da combattere. Anche l'apparenza da salvare incide molto sulla caccia all'imperfezione. Quello che esce dalle righe che abbiamo tracciato tendenzialmente infastidisce. E lo stesso fastidio, più o meno consapevolmente, lo si prova qualche volta anche nei confronti del modo di essere altrui o dell'altrui operato. E tutto dipende da cosa pensiamo e da come proiettiamo sugli altri o su ciò che abbiamo intorno il nostro pensiero. Se tale pensiero è molto strutturato, vale a dire ricco di idee alle quali diamo importanza e che usiamo costantemente per definire ciò che incontriamo sul nostro cammino, saremo intransigenti, a meno che le cose non vadano nel modo in cui vorremmo che andassero. Mi sono trovata più volte nella situazione di rimproverare qualcuno che faceva ciò che avrei dovuto fare io in un modo diverso, procedendo a seconda di priorità scelte dalla persona che faceva le mie veci. Per abitudine a svolgere una data attività in un certo modo, con un certo ritmo che mi è proprio, con cura e attenzione dettate dal mio stesso grado di interesse, ho sviluppato in parallelo e automaticamente la consapevolezza che se quella data cosa si fa così la si fa bene. Non è sempre detto che sia così. Magari lo stesso risultato lo si ottiene anche passando da un diverso percorso ma non è facile accorgersene. Quello che mi ha privato in parte della capacità di rendermene conto per molto tempo è stata la velocità con cui facevo tali cose e il ripetersi dell'azione sempre nello stesso modo ti lascia dentro il meccanismo del riflesso condizionato. Infatti la velocità non concede pause per soffermarsi e chiedersi se stiamo procedendo bene in quel modo o se per caso ci fosse una qualche alternativa altrettanto valida. Una volta conosciuta la strada "migliore", che noi stessi giudichiamo tale a seconda di ciò che pensiamo e di come siamo, non ci passa per la testa di cambiarla. Si va avanti sempre nello stesso modo perdendo, però, la capacità di essere aperti a soluzioni diverse da come le conosciamo. Non ci vuole molto a considerare, a questo punto, che questa è una radice che può portare all'intolleranza verso gli altri che sono e propongono qualcosa di diverso da come siamo abituati a conoscere. Anche se ho un po' divagato resta comunque il fatto che vedere l'imperfezione nasconde la possibilità di vedere il resto. Solitamente l'imperfezione è una piccola parte di un tutto così concentrarsi su di essa impedisce di vedere l'insieme. E l'insieme è ciò che conta a patto che lo si sappia inquadrare con intelligenza e buon senso. Ogni volta che ci sia arrabbia per una sciocchezza che non coincide con il nostro volere ci si dovrebbe fermare un istante, imponendoci di riflettere se davvero vale la pena abbaiare così verso qualcuno o se invece non sia meglio, e più saggio, imparare a vedere negli altri la risorsa della potenzialità umana, che permette di condividere i punti di vista per progredire nella conoscenza in generale. Abbaiare per un'imperfezione dovrebbe sottolineare quanta parte concediamo alla vanità e all'ego che vuol sempre trionfare. Mi sono resa conto del mio pessimo modo di fare il giorno che ho iniziato a provare dolore dopo aver abbaiato per una stupida imperfezione nel fare una data cosa. Se vuoi bene a qualcuno, o lo ami, non puoi rimproverare nulla né puoi criticare il suo modo di fare perché facendolo prevarichi chi ami e neghi in quell'istante di amarlo. Stare vicino a qualcuno significa tenere bene aperti gli occhi per poter vedere e imparare qualcosa in più da un modo di agire diverso dal nostro, non significa piegarlo al nostro volere o condurlo al nostro modo di fare. E ognuno dovrebbe poter vigilare su se stesso affinché questa libertà reciproca sia rispettata. E parlo delle sciocchezze che talvolta diventano immense come grattacieli. E parlo di quella che è una teoria del buon senso, nata dalla consapevolezza che, nell'amore vero per qualcuno, c'è sempre lo spazio sufficiente per respirare liberamente. Solo la pratica è difficile, se nasce solo dalla teoria e non anche dalla consapevolezza personale dell'essersi resi conto di quanto sia deleterio per tutti cavillare su di una imperfezione, che altro non è che una mancanza o una presenza di un qualcosa che definisce meglio ciò a cui appartiene, indipendentemente da ciò che ci piace o non ci piace.

lunedì 3 settembre 2012

A confronto

Sostanzialmente, quando si fa un confronto, si ottiene una conoscenza in più. Una singola cosa è, sì, se stessa, e può esserne consapevole o meno, ma se rimane senza confronto rimarrà anche lì dove è sempre stata. Questo vale per cose generiche e ancor di più per le persone. Forse, uno degli intimi motivi per i quali l'essere umano è una sorta di animale sociale, è proprio la necessità del confronto, che non è necessariamente la competizione. La solitudine può essere scelta ed ha i suoi pregi e i suoi difetti così come la solitudine che non viene scelta. Stessa storia. La solitudine che scegliamo implica consapevolezza e volontà nello stare esattamente lì dove si desiderava essere e questo è il suo pregio; il suo difetto è l'astrazione alla quale si fa la guardia affinché non venga demolita da un qualsiasi tipo di contatto o confronto. Benché questo sia un ulteriore esercizio di volontà, fintanto che si rimane da soli per scelta si ha solo la comodità della staticità. Nessuno intorno che ci faccia notare i difetti ma anche nessuno intorno che ci faccia vedere i nostri pregi. Assenza di confronto. Nella solitudine che non scegliamo ma che incontriamo in un qualche punto dell'esistenza rimangono vivi da qualche parte il piacere e la voglia di confrontarsi e quello che agli occhi altrui sembra un difetto, ossia la solitudine stessa, è solo il capiente antro per ospitare il confronto. Nella solitudine di chi non la sceglie si crea uno spazio interno che pulsa di fame di contatto e confronto per andare avanti e conoscere tutte le cose che ancora non si conoscono. Così, quando accade che si incontri qualcuno con il quale ci si può confrontare, cambia qualcosa nella propria chimica interiore, e rifuggiamo questa sensazione se non vogliamo perdere la pace della staticità o per paura ma che accettiamo se sentiamo di aver fiducia in ciò che intravediamo. E se accettiamo, notiamo che si è riempito un po' quel vuoto e non certo con qualcosa di inutile. Il confronto libera dalle catene una parte di noi che ama poter vedere se stessa non propriamente allo specchio. E' pur vero che ci sono persone, tra quelle che incontriamo, che ci somigliano abbastanza da farci da specchio e chi sa ben vedere può sfruttare questa cosa, per imparare di se stesso ciò che non era abituato a vedere prima specchiandosi solo in bagno, al mattino, o prima di un incontro importante per controllare che abiti e trucchi vari, metaforici e non, fossero perfetti. Ma altre volte il desiderio di poter conoscere davvero come siamo, non solo percependolo tramite il canale del sentire come siamo o del credere di sapere come siamo o ancora come appariamo agli occhi altrui, porta a volere un confronto. Confronto che il più delle volte, benché lo si cerchi, non arriva o non è soddisfacente. Ci sono poi le volte, rare, nelle quali il confronto nasce spontaneo e vibra di empatia e se ci si lascia andare un po' si scopre un nuovo amico importante che riesce a darti la forza di smuovere qualcosa che si era arenato. La mia nuova amica parlando con me, qualche giorno fa, ha visto meglio se stessa così come è accaduto a me. E ha detto una cosa importante, ha detto che dal confronto delle nostre due pesantezze è nata una leggerezza che fa bene all'anima. Per lei è stato così. Io ne ho ricavato una conoscenza preziosa e un briciolo di disinvoltura in più, benché la strada sia ancora lunga. La mia pesantezza è profonda pur essendo nata nell'essenzialità, che dovrebbe garantire leggerezza per lontananza da orpelli, di una solitudine scelta e mantenuta finché è stato necessario. Come quando un insetto che fa la muta si isola per andare incontro alla sua trasformazione. I nostri percorsi si sono incrociati e il confronto non è solo il nostro particolare specchio ma è un guizzo di vitalità in più che rende la vita migliore. Grazie D.

martedì 28 agosto 2012

Pace. Quando l'azzurro arriva fin qui

Domenica mattina c'è stato un temporale. Gradita frescura e non importava che il cielo fosse coperto, ce n'era bisogno, dopo una lunghissima estate sempre piena di sole. Una conferma di quanto ogni cosa sia relativa. Infatti se c'è sempre grigio si desidera che ci sia il sole così come quando fa freddo a lungo, viceversa, vuoi cielo coperto e pioggia quando c'è troppo sole che brucia ogni cosa senza pietà. Ma questa è una parentesi. Dopo il temporale la temperatura si è abbassata ed è diventata gradevole e il cielo è apparso pulito come non lo era da molto. Quell'azzurro speciale che vibra fin dentro l'anima. E se ti metti in ascolto riesci a percepire che ha qualcosa da raccontarti. Sì, a raccontarti, non a raccontare in genere, perché se in quel momento non ne hai bisogno lui rimane così, in perfetto silenzio, assorto nell'essenza del suo colore. Ieri quell'azzurro mi ha fatto sentire il significato della limpidezza. Come un fiume perfetto, ieri tutto scorreva bene, il tempo, la vita, perfino le auto per la strada in quei minuti in cui  il discorso del cielo mi ha catturato l'attenzione. Ho lasciato che il suo colore arrivasse fin qui, dentro di me, badando a che tutti i pensieri di altri colori se ne stessero fermi da qualche parte per un po' per non inquinare l'azzurro. E' così che si permette a qualcosa di bello di arrivare a carezzarci il cuore. Si ripongono le armi e si smette di combattere per concedere voce alla pace. All'inizio si sta scomodi senza  l'armatura perché si è talmente abituati al suo peso che muoversi senza di essa fa barcollare per troppa leggerezza addosso. Ma si tratta solo di trovare il nuovo equilibrio calibrato al peso alleggerito. E non si sa più stare fermi perché l'abitudine era la vigilanza e la prontezza di riflessi per parare i colpi nemici. Si preferivano linee marcate, spigoli mentali, voce grossa e rabbia in quantità per poter abbaiare e spaventare i fantasmi e la paura. Non c'è nemmeno una sfumatura azzurra qui sul campo di battaglia. Com'è difficile convincere le proprie paure a farsi da parte per lasciare che l'azzurro metta radici e rinnovi il terreno. E non si respira mai a pieni polmoni in una nuvola fumosa. Serve la limpidezza. L'essenza di un qualcosa che riporti il ritmo perfetto ad ogni cuore, ad ogni cosa fatta e da fare, a tutto. L'azzurro suggerisce, carezza, conforta, insegna a vedere le faccende ingarbugliate con calma finché non si riesce a trovare il bandolo della matassa. Racconta storie di fiducia, non necessariamente di fede, perché lascia libertà di pensiero e questo è un semino di pace. Ma insegna anche che la libertà di pensiero non viaggia mai da sola, poiché nel mondo vi sono spazi oscuri dove potrebbe cadere. Si accompagna alla consapevolezza del sapere che ciascuno vede il mondo attraverso se stesso e non tutte le visioni corrispondono tra di loro. Mio padre, un giorno, mi parlò di tolleranza ma il modo in cui lo fece allora non riuscii a comprenderlo. Non ricordo più le circostanze né le parole ma ho sempre ricordato l'impatto del pensiero che accompagnava le sue parole. Se volete, una sensazione concreta, concentrata, impacchettata a lento rilascio come una medicina moderna, da distribuire nel tempo ogni volta che avrei incontrato i punti salienti che facevano capo al suo significato. Così mi porto dietro questo strano cibo mentale che ogni tanto assaggio e che mi torna in mente ogni volta che vedo splendere lassù tutto quell'azzurro limpido e impeccabile, raro. Ci trovo sempre la pace, assolutamente sempre ma ogni volta un filo dello stesso colore del cielo scende in me e tocca ciò che ho nel presente e i miei desideri, a seconda dell'occasione, vengono cuciti insieme o rammendati. Con pazienza questo azzurro si prende cura di me laddove per usura ho lasciato che ci venisse un buco e qualcosa cerca di convincermi ad avere ancora fiducia nelle persone e nelle situazioni. E questo scudo azzurro mi dovrebbe poter aiutare a respingere l'attacco delle mille paure che mi assaltano in certi momenti. Se solo non fossi così ostinata a combattere sempre... Per una volta vorrei che vincesse la pace. Tifo per lei sempre e so che è forte ma so anche che se non la lascio fare a modo suo con le conoscenze che ha senza contestarle vincerà la paura che tiene prigionieri. Vedo dunque che l'azzurro ci mette tutto se stesso per far arrivare fin qui il suo messaggio. Il minimo che posso fare è impegnarmi altrettanto per non cedere alle paure per rendergli omaggio e per fargli capire che ho ricevuto il messaggio. L'impegno è quello di tendere io stessa all'azzurro per far svanire le nubi dall'animo ogni volta che si presenteranno. Così vorrei che le cose scorressero sempre senza incepparsi, che vi fosse armonia e amore dovunque. Per iniziare un percorso in cui si riesca a non rovinare sempre per stupidità ciò che di bello ci viene offerto.

lunedì 20 agosto 2012

Lamù - sigla italiana

Calore

Questa è un'estate caldissima. Cielo perennemente blu e sole. Tutto ciò che l'occhio vede fa stare bene perché cromaticamente l'assenza di grigio fa virare tutto al positivo, preoccupazioni personali permettendo. Con queste alte temperature non si riesce nemmeno a pensare con chiarezza a dispetto di ciò che suggerisce la limpidezza del cielo. I pensieri di uno scrittore si frammentano e si sfaldano facilmente come quando si cerca di tenere in mano una foglia talmente secca da ridurla in frantumi al solo sfiorarla. Questo vale per me adesso, con tutto questo calore intorno. Eppure di calore ho sempre bisogno. Mi sono ritrovata a pensare per un attimo che avrei pagato chissà cosa per avere tutto il calore che mi bruciava la pelle fin dentro le ossa e anche più oltre, nell'anima, e in quella parte di me che un giorno, tanto tempo fa prese freddo... Tre del pomeriggio di oggi e sole a picco. Strada deserta per i miei passi. Sensazione di stare per squagliarmi pelle, capelli, abito. E un limite di separazione tra tutto questo calore e il luogo dentro di me che ne ha reale necessità. Forse è per questo che me ne sto a quaranta gradi quasi senza fare una piega. Il calore si ferma in superficie e la pelle, bene o male, riesce a sopportarlo per abitudine. Non so spiegare bene la sensazione ma questo contrasto particolarmente marcato di oggi mi ha fatto ripensare a questo bisogno. Solo che il calore che ho perduto non è in vendita da nessuna parte né facilmente lo si può riconquistare. Servono pazienza e un sufficiente grado di serenità d'animo per capire da dove ripartire. Il mio freddo nacque dal gelo di un cambiamento improvviso che destabilizzò il mio semplice equilibrio fatto di cose che potevo controllare e che non mi davano mai sorprese. Qualcuno la potrebbe chiamare routine, o qualcosa di simile. C'è del calore nelle cose che ci stanno sempre vicino e non ci tradiscono scomparendo all'improvviso. Poi passa il tempo, anche con il freddo dentro, passa e se si è abbastanza fortunati, anche se la vita non "torna come prima" così come si vorrebbe sempre che accadesse, si impara che con la distanza si riescono a vedere le cose in un ottica lievemente diversa. A volte tale cambiamento nel punto di vista risulta utile, altre volte no. In questo tempo trascorso quello che ho potuto vedere è che ciò che ci fa stare male e quanto profonda risulta la ferita o quanto freddo ci ha invaso dipende da ciò che pensiamo e proviamo relativamente a noi stessi, non a ciò che accade. Per esempio, se siamo molto attaccati il distacco sarà un disastro come nel caso si volesse staccare un pezzo di intonaco da un muro e invece del solo strato che vorremmo togliere venisse via anche parte del muro lasciando un buco più o meno profondo. Ciò che accade, invece, accade lo stesso esattamente così come si manifesta, anche se non ci piace. Non è immediato comprendere questo ma comprenderlo fa una piccola differenza dentro. Si smette di incolpare qualcosa o qualcuno di ciò che accade, perché si prende in mano la chiave di noi stessi, quella che apre le porte alla comunicazione interna che seda la battaglia. Nell'incolpare qualcuno è compreso anche il riflessivo. Quante volte un senso di colpa nasce non dalla constatazione di una realtà ma dal profondo dolore? Capire che una cosa è giusta così come riconoscere di aver capito in modo corretto qualcosa genera un lieve calore interno che, come un'onda, carezza dolcemente una parte di noi molto in profondità. C'è calore nello stare bene con se stessi e c'è calore nell'amore fatto di comprensione. Quindi il calore non è cosa rara ma ciò che è rara è l'opportunità di trovarlo poiché non sempre si sta bene con se stessi né si ha amore incondizionato. Quanto più freddo si ha dentro tanto più serve calore. E sarebbe tutto davvero più facile se si potesse convertire il sole di quest'estate in un distillato da usare al momento del bisogno.

venerdì 6 luglio 2012

I giganti di Vallombrosa

Il loro silenzio crea solennità intorno e non ha limiti. In esso si può entrare e lo si può condividere ascoltandolo, paradossalmente. Entro quella specie di abbraccio verde e fresco si trova ristoro, senza dovere null'altro che il proprio rispetto e un minimo di civiltà per non lasciare, come scia del nostro passaggio, rifiuti inadatti ad essere riciclati, come molte cose materiali create dall'uomo lo sono. Ma è  nella naturalezza stessa di un percorso fatto con cuore che, a qualsiasi livello si parli o si intenda, ciò che è riciclabile è ciò che si può far vivere nuovamente; nella stessa forma ma con più energia di prima oppure in una forma differente. Anche i pensieri possono essere trasformati o rinvigoriti. E ciò che ci portiamo sempre dietro sono le cose che pensiamo o proviamo, compresi gli "scarti", costituiti da tutto ciò che non accettiamo e che, pungendoci, inducono irritazione o rabbia o disarmonia in genere. Il silenzio di un bosco secolare sa dissolvere ciò che non ci serve davvero per far fluire nel modo corretto l'energia vitale in noi, e sa fare questo come la terra sa dissolvere e riciclare le scorie biodegradabili. Serve tempo, come per molte altre cose ne serve, ma un solo giorno tra questi giganti immobili dona qualcosa di speciale. Solo il vento tra le altissime fronde, se c'è, crea un lieve mormorio che culla e non distrae. Non ci sono domande ma ci sono risposte. Quando siamo lì, il gigante che abbiamo accanto scioglie i nostri nodi immateriali con la stessa abilità di una madre premurosa che spazzola i sottilissimi capelli della figlia o del figlio. Con estrema dolcezza, senza che noi ce ne possiamo rendere conto immediatamente. Rinfrancante sosta nel cuore della saggezza che il più delle volte evitiamo perché troppo impegnativa. I polmoni accolgono aria più fine, pulita, verde ed è sciocco non credere che questo influisca su tutto il nostro essere. La pace materiale raggiunge e tocca anche quella spirituale. E questa risorsa c'è, basta curarla e proteggerla un po' di più, con maggiore attenzione fin dove si può. Nel respiro si lega l'essenza di ognuno di questi giganti che trovano la strada del cuore. La loro immobilità inganna l'occhio che non crede al loro passo portentoso ma loro muovono il tempo sapendolo lasciar scorrere. Ogni gigante è consapevole di poter fare solo una cosa, che sceglie di fare impeccabilmente accettandola: stare. Esistere per rammentare a chi riesce ad ascoltare che la saggezza umana discende da quella della Terra, non solo dai pensieri che l'essere umano riesce a concepire senza di essa. Ogni groviglio che produciamo che crea solo disagio o impedimento avrebbe bisogno, qualche volta, della pace reale che un albero sa regalare. Un dono prezioso con il quale ritorniamo in città ma che svanisce poco dopo se non lo ricordiamo attivamente. E' la lotta più dura, questa, ricordare senza poter attingere materialmente e spesso alla fonte originale della forza pulita che emana dal bosco. In città si vive in apnea di pace e di verde. Ma se il cuore dei giganti si lega al nostro, non importa di quale bosco un albero faccia parte, porteremo un po' di pace anche dove il bosco non arriva. Dove l'uomo ha deciso di non farlo arrivare. E se la barriera fisica fa stare meglio chi ha paura o chi non vuole beghe, il confine interiore tra l'anima o il cuore umani e l'essenza del bosco si confonde poiché tutti desideriamo stare bene e in pace anche se non lo dimostriamo spesso. Sappiamo gestire un bosco magnificamente, tecnologicamente parlando, ma siamo assai incapaci di gestire la sua presenza dentro di noi, per ciò che dà, per come lo dà. Il comodo alibi della suggestione, chiamato in causa quando non si vuole ammettere l'evoluzione dell'ascolto interiore, fatto di silenziose sensazioni che risuonano nelle parti consapevoli di noi che comunicano con il punto del cuore che attiva dolcezza e fluidità, perde molto del valore che gli attribuiamo se il risultato concreto va al di là di ciò che crediamo. Una constatazione di qualcosa, in genere, dovrebbe mettere al riparo da qualsiasi scetticismo. E ai piedi di questi giganti oggi ne ho avuto riconferma. Conosco dunque il loro valore, la loro cura indiscriminata nei confronti di coloro che passano di là, e posso fidarmi. Ogni volta che ne avrò bisogno so che loro saranno lì anche per me, senza criticare nulla dei miei errori, delle mie stupide credenze, dei miei vizi o delle mie presunte virtù. Ci saranno per lenire con il balsamo del silenzio ogni dolore che porto con me per insegnarmi a ricordare le mie capacità che scorrono lente come linfa in profondità. Loro, i giganti, sono gli abeti bianchi che formano parte del bosco di Vallombrosa in Toscana.