lunedì 30 maggio 2011

Bambini

Oggi è stata una giornata piena di bambini. Bambini con tanta voglia di giocare, di correre, di camminare invece di gattonare, vestiti con colori vivi come lo sono i loro guizzi di allegria. Sguardi pieni di meraviglia disegnati da occhi grandi aperti su di un mondo che è tutto da conoscere. Mamma, papà, che cos'è quello? Perché è così? E allora la risposta si mescola alla pazienza, alla carezza del sorriso di genitori e parenti che cercano le parole adatte per farsi comprendere. Il concetto è da sintetizzare, da omogeneizzare e infine da servire con il un buffo cucchiaino colorato a forma di animaletto preferito. In altri termini, si smonta tutto quello che sappiamo con il solito corollario di frasi e parole su parole e si rende ogni cosa semplice, e da questo ne possiamo trarre giovamento anche noi adulti. Come si fa a non farsi conquistare da un bimbo che cerca di camminare da solo e si appoggia alla tua gamba per sorreggersi e proseguire il cammino? Poi cade, ma non importa perché è già pronto a rimettersi in piedi, e in quel momento si sente che il suo unico scopo inconscio è camminare eretto come fanno tutti. Un attimo seduto in mezzo alla foresta fatta di gambe adulte e poi via, si riparte. E quel bimbo che ha tanta curiosità di scoprire tramite il tocco delle sue mani quanto è morbido il pelo di un pony, che per lui è un cavallo grande mentre, per noi che guardiamo, è piccolo, e ci intenerisce quel suo perenne somigliare ad un cucciolo. Curiosità e timore si rincorrono scalzi per il prato inondato di sole e gli adulti stanno di sentinella. Ecco, adesso che succede tesoro? Si inciampa e si cade, ci si sbuccia un ginocchio o una mano, si fanno scivolare sulle guance rivoli consistenti di lacrime, ma poi basta un cerotto per rimettersi in pista, il gioco e la corsa non possono aspettare. Agnellini, porcellini, puledri, vitelli, guardano i cuccioli d'uomo con lo stesso sguardo pieno di curiosità dei bimbi che li osservano mentre cercano quel punto della pancia della madre che li attende per uno spuntino a base di latte caldo. Mamma, ho sete! Ho fame! Si interrompe il gioco, si fa la pausa, che dura poco, si riparte con la corsa tra tavoli, sedie, teli per il picnic. Passa una risata fusa alla ventata che lasciano come scia al loro passaggio. E non vi sembra bello così? L'essenza della libertà fatta di energia e pensieri semplici. Allora respiri quella scia finché nei tuoi polmoni c'è spazio sufficiente, e ti riempi gli occhi di quel colore che ne fonde insieme tanti. Socchiudi gli occhi, fino a ridurli una fessura, e ti lasci trasportare dai ricordi. Riemergono solo picchi di cose belle e ti rilassi, sospendendo per un po' la solita corrente di pensieri quotidiani. Le preoccupazioni sono bandite da un raggio di sole che si fa più forte e ti entra dentro fin nel profondo. Gli alberi stanno a guardare tutto il brulicare umano e gli animali conoscono la pazienza che li lega agli uomini e che si chiama amore. E anche noi adulti ci sentiamo ancora bambini mentre stiamo accanto a tutto questo verde, clorofilla ed età umana che oggi si sono riuniti per provare a sconfiggere il tempo. Allora ci convinciamo a ridere un po' anche noi, a sederci sul prato, a giocare a palla, ad allentare le maglie delle catene che oggi pesano e non servono a granché al cospetto di tutto ciò e della giornata. Relax.
E poi ancora bambini, in un altro luogo. Luce meno intensa che filtra da vetrate e si riflette sulle pareti avorio della chiesa. La voce del parroco che sta battezzando, le persone che sono lì seguono la cerimonia e sanno che hanno affidato le loro speranze per il futuro in coloro che hanno generato. Bambini. Gli adulti comprendono le parole che vengono dette, ma i più piccoli tra i bimbi presenti continuano a correre e ad arrampicarsi tra le panche della chiesa, rivoluzionando l'ordine richiesto dal luogo. Ma che importa, loro sono vita e la interpretano con tutto ciò che sono e sanno essere. Sono pargoli che vanno dove vogliono, in verità, ma ti strappano comunque un sorriso mentre cerchi di riprenderli. Meglio dunque aspettare fuori dalla chiesa e continuare a giocare a rincorrersi con più libertà. Il pomeriggio passa attraverso le stesse necessità della mattina. Cambiano i luoghi, ma il gioco è lo stesso e uguali sono gli umori che scivolano attraverso tutti i bambini, i loro bisogni, le loro reazioni, i loro movimenti mentre imparano qualcosa in più rispetto a ieri. E lasciano questo insegnamento, lo lasciano aleggiare attorno a loro per tutti quelli che riusciranno a vederlo, a sentirlo, a riviverlo comprendendolo. E' sempre tutto più vicino di quanto pensiamo o immaginiamo. Semplicemente.

sabato 28 maggio 2011

Rimettere a posto gli armadi

Il cambio di stagione richiede che ci si applichi per fare ordine tra tutte le cose che abbiamo. Magari è arrivato il momento di aggiustare qualche capo che l'anno scorso è stato riposto con il pensiero che poi ce ne saremmo occupati il prima possibile, ovviamente prima del cambio di stagione, e poi, arrivata la nuova stagione non siamo preparati. Può succedere, se non si è attenti. Quel piccolo strappo in un punto che non si vede ti fa dimenticare che c'è, ma c'è, e così, quando riprendi in mano quei pantaloni o quel vestito che ti sono sempre piaciuti tanto, non puoi indossarli subito, devi prima sistemarli. Ecco che allora ti armi di pazienza, prendi ago e filo e inizi il lavoro. A questo punto qualcuno potrebbe dire, ma che te ne fai di un vecchio vestito un po' sciupato, scucito, che ti porti dietro da anni? La mia risposta senza dubbio sarebbe che lo tengo con me perché mi piace, perché tutte le volte che ho indossato quel vestito ho vissuto una qualche esperienza. Abbiamo passato del tempo insieme, io e il mio abito, non mi va di liberarmene così, senza pensarci più, soltanto perché è un pezzo di stoffa sagomata. Sento le risate di chi è abituato a usare tutto per poi gettarlo, perché non corrisponde più ai canoni stabiliti, o perché è passato di moda, o ancora perché è scolorito o rammendato, nel caso di stesse ancora discutendo di abiti, o perché non serve più. Usare e gettare fa parte di una cultura che abitua a maneggiare solo cose nuove e che appaiono in buono stato per apparire sempre al meglio. Gli stracci sono sinonimo di mancanza di denaro e di "precisione", come diceva mia nonna volendo intendere quel particolare modo di porsi di una fanciulla che ha molta cura di sé e non ama essere trasandata. Eppure io non credo che sia davvero così. Questa è solo apparenza e l'apparenza è superficie. Un vecchio abito che ti ha fatto compagnia per tante stagioni sa adeguarsi al tuo corpo, ti conosce, sa mantenerti la temperatura ottimale. Non puoi non tenerne conto, ecco perché ho sempre tanta difficoltà a riordinare il mio armadio, mi lascio sopraffare dall'affetto. Questo lo tengo perché mi piace ancora. Quest'altro lo tengo perché, anche se me lo sono messo poche volte, voglio dargli un'altra occasione. E sorrido tra me e me. Anche se non ho molto spazio  quello che c'è è pieno fino a scoppiare di tutte le cose che non mi va di dare via con tanta leggerezza, o almeno la vedo così. Rimando al giorno nel quale mi sentirò tanta di quella determinata volontà da prendere le mie cose, metterle in fila, e iniziare un discorso serio. Questo sarebbe necessario qualche volta, non sempre, ma qualche volta sì. Sono sempre alla ricerca del modo giusto per fare ordine senza liberarmi di troppe cose, sono specializzata nella difficile arte di recuperare spazi a scopo di incastro dinamico acrobatico. Vorrei essere capace di scegliere gli abiti giusti, perché tra i tanti che accumulo pochi sono quelli prediletti, infatti mi vesto sempre più o meno nello stesso modo per comodità e gli altri li lascio lì e il peggio è che mi ci affeziono lo stesso, e da qui discende la difficoltà di sistemare davvero in modo efficiente l'armadio. Vorrei dire con certezza, a quella parte di me che deve fare un po' di ordine, cosa scegliere e soprattutto come sceglierlo. Provo ad arginare l'affetto e il ricordo di come e quando ho acquistato il capo di abbigliamento in questione e valuto con rigore la sua effettiva funzionalità. Devo impormi un criterio, ma mi lascio addolcire da qualche piccolo particolare e lo rimetto a posto, pigiando un po' per fare spazio. Poi penso che con la crisi economica potrei non permettermi più un buon capo come quello. Ecco, ho passato qualche ora a tu per tu con le mie cose per cercare di riordinarle, ma ho ottenuto solo l'ennesima acrobazia per fare spazio dove apparentemente non c'è. A questo punto non so bene come giudicarmi; per certi aspetti la valutazione potrebbe essere favorevole, dato che riutilizzare, e quindi non gettare, crea minore impatto ambientale dal punto di vista dell'inquinamento, talvolta riciclo pure, infatti, non getto via, e poi come fai ad essere severo con te stesso quando inciampi in un legame affettivo che si connette a dei ricordi? E questo vale per tutto, per me... Preferisco dare ulteriori possibilità ad ogni cosa, perché non si sa mai, un giorno ciò che hai abbandonato in un angolo potrebbe esserti indispensabile in un dato momento. Qualche volta è capitato. Voltare le spalle per sempre inaridisce i sentimenti, anche solo pensando a degli oggetti, fermo restando il fatto, per onore all'equilibrio, saper riconoscere la cosa giusta da fare nel momento giusto, e questa di solito la si riconosce se si non si è troppo duri nell'animo, né troppo deboli. Comunque sia è, secondo me, sempre il percorso a permettere l'apprendimento, quindi misurarsi con le proprie debolezze, e comprenderle, permette già di fare un piccolissimo passo in più per modificarle. Se oggi il pretesto è riordinare gli armadi va bene, domani sarà altro, come altro può essere già stato. So solo una cosa però, con più certezza rispetto a tutto il resto, che anche se quasi tutto può essere visto in chiave metaforica, questo specifico caso per imparare a fare ordine gettando via, laddove lo si faccia, non riesco mai ad applicarlo alla vita di relazione. Non riesco a vedere le persone come oggetti perché so che sotto la loro superficie e il loro specifico abito sono molto, ma molto di più, e la complessità che rivestono permette così tante sfumature per la comprensione reciproca che vale la pena sempre mantenere i rapporti. Che sia un'utopia credere questo? Porto dunque con me ago e filo per ogni evenienza, qualora dovessi trovarmi davanti uno strappo da ricucire, perché credo sempre che sia possibile anche solo provare a rimediare. Questa è una delle strade che per me hanno un cuore. Riordinare un armadio dunque può essere una necessità reale o un semplice pretesto per guardare più approfonditamente ciò che si fa e come la si fa. A ciascuno spetta la scelta, vedere o no, capire o no, rimanere con le stesse cose addosso o no. E, in ogni caso, un consiglio ecologico, non gettare ma recuperare e riciclare ossia trasformare le cose. Impegna di più in termini di tempo in veste di pazienza, ma alla lunga l'atteggiamento premia perché è una sorta di amore quello che abbiamo fatto circolare. Mi sa che in fondo non serve dare via tante cose per fare ordine nel proprio armadio, purché si sappia sempre riconoscere quali siano le cose preziose e quelle indispensabili. R.B.Between

mercoledì 25 maggio 2011

Nicolò Mearini. Un angelo nel cuore

Per Nicolò.
La prima volta che avrei dovuto vederti, e quindi conoscerti, tu tornasti tardi a casa ed io dovevo andare via. Eravamo ragazzi e quel giorno ero a pranzo a casa tua, ospite dei tuoi fratelli maggiori e dei tuoi genitori. Ti mancai per un pelo, voglio ricordarlo così, dato che non so realmente a che ora tornasti a casa quel giorno. Passò del tempo. Le strade si divisero, non vidi per anni neanche i tuoi fratelli. Un giorno, se volessimo credere al caso, ritrovai Pier Francesco a cena in pizzeria con la sua fidanzata. Passò ancora un po' di tempo e finalmente ebbi l'occasione di conoscerti di persona al matrimonio del tuo fratello maggiore. Eri con la tua compagna e ricordo di essere stata contenta di averti finalmente potuto conoscere. Ti dissi che sapevo di te da anni, dai tempi del liceo, ma che per qualche strano scherzo del destino non ero mai riuscita a incontrarti. Avevi un bellissimo sorriso quella sera al ricevimento. Poi il tempo è passato ancora e tu hai condotto i tuoi passi lontano da casa. E poi sei tornato. Dal giorno del nostro primo incontro ti ho visto poche altre volte, ma non potrei dire che non ti ho conosciuto adesso, che non sei più qui. Oggi ho il ricordo di te attraverso coloro che ti amavano e che ancora oggi ti rammentano. Quando si parla di te non manca mai un sorriso o il riferimento a qualche tuo particolare modo di fare, o qualche aneddoto. Sai, anche se qualche lacrima rotola giù da occhi lucidi che cercano di trattenersi, vedo sempre amore. E lo si sente questo amore. Oltre la tristezza per questa tua assenza nel mondo ho visto quanto calore viene ancora custodito nei cuori di coloro che hai conosciuto. Lì tu vivi ancora. Spesso mi sono chiesta che ruolo ho io in tutto questo... Mi sento una testimone che ha vissuto i respiri e le lacrime di chi ti ha amato e ancora ti ama. Io posso solo parlare ed esprimere ciò che vedo in qualità di testimone, eppure... mi sono sentita amica il giorno che mi hai dato il tuo numero di telefono per venire quel pomeriggio a fare le fotografie ai cavalli, e in quel momento in cui si chiacchierò. Non ho mai sentito scogli mentre comunicavamo. Eppure non conoscevo nulla di te, né abitudini né altro. Non c'era un legame costruito dal tempo fra me e te, se non il tempo di un momento, una manciata di minuti in tutti gli anni. Eppure non potrei dire che mancasse qualcosa in quei momenti fugaci. Mi sono sentita amica anche se questo termine spetta a chi l'amicizia con te l'ha vissuta davvero fin da quando eravate bambini. Non credere però che io non lasci cadere lacrime dai miei occhi per te, per come sono andate le cose, per come, da testimone vicina alla tua famiglia, le ho viste e vissute. Hai fatto parte della mia vita esattamente in questo modo, marginalmente eppure totalmente per l'affetto che mi lega ai tuoi familiari. Entro questo canale è passato tutto ed io oggi sono qui per ricordarti a mio modo. Non credo che potrò mai sentire realmente il dolore di tua madre, dei tuoi fratelli, di tuo padre, dei tuoi cugini e zii, dei tuoi amici, quello non mi appartiene, ma se nello sfiorarmi con tutta la sua ondata imponente sono riuscita a comprendere qualcosa di ciò che loro provano, allora anch'io avrò fatto parte almeno un po' di quella che è stata la tua vita, e tu della mia.
Se davvero avessimo certezza che la morte è solo un passaggio, sapremo che tu ci ascolti da qualche parte di là da dove siamo noi. Qualsiasi sia la realtà in questo spazio particolare dove ti ricordiamo nel giorno del tuo compleanno, voglio pensare che l'interruzione della vita non sia soltanto uno stop eterno.
Qualcuno dice che un giorno ci rincontreremo tutti, e che è solo questione di tempo, ma questo pensiero non nutre i passi di vita, li rende molli di tristezza, di malinconia che fa trascinare i piedi. E se non ci permettiamo di essere vivi perdiamo tutti quei momenti preziosi che scandiscono ancora ciò che siamo dal momento che ci siamo. Se non siamo vivi non possiamo ancora ricordare istanti di vita passata che sono ancora splendenti nella memoria e nel cuore. Se non siamo vivi non possiamo attingere a questa memoria per prendere ad esempio le cose buone che ti appartenevano. Passerebbe il tempo senza farci rendere conto di questo andare che non ci attende mai. Quello che noi siamo dovremmo determinarlo scegliendolo con maggiore intensità proprio perché certe persone amate non ci sono più, poiché sentiamo che questo scorrere vestito da destino può portare via tutto quello che è prezioso agli occhi dell'anima e del cuore. Siamo vulnerabili in prossimità del cuore, ma è altrettanto vero il contrario perché proprio lì, nel centro del petto, conserviamo tutto quello che ci serve per non lasciarsi andare.
Il tuo sorriso era speciale, l'ho potuto vedere dal vero e in molte fotografie, e non smetterò mai di credere che il riverbero del suo calore alimenti il battito profondo di coloro che ti custodiscono dentro.
Sei nato e questo è prezioso. Sei cresciuto e hai dimostrato di saper camminare da solo. Sei stato coraggioso nell'affrontare il gusto dell'adrenalina che faceva parte di te, così come ne faceva parte la dolcezza. Hai cavalcato il vento. Hai messo le ali. Hai fatto anche questo. Hai lasciato che la vita ti scorresse dentro pianamente senza riserve. L'unico modo che abbiamo per ricordarti insieme al tuo sorriso è pensare a questa tua pienezza di vita. Il resto non è morte, ma siamo tutti noi, qui, con un pezzetto di te nel cuore che ti farà rinascere ogni volta che ti penseremo. R.B.Between

domenica 22 maggio 2011

Condivisione

La parola discende dal verbo condividere che significa "spartire con altri qualcosa" o, in senso figurato, "avere in comune qualcosa" con qualcuno. Semplice. Chiaro. Credo, però, che si possa aggiungere qualche sfumatura che affondi le sue radici nell'applicazione quotidiana del concetto. Nulla è soltanto parola con significato codificato, c'è sempre quel qualcosa in più che amalgama tutto con ciò che siamo e che proviamo. E questo, secondo me, è in parte all'origine di talune incomprensioni. Noi stessi diamo delle sfumature a ciascun significato che conosciamo così come ce lo hanno insegnato a scuola o avendolo dedotto dai libri che abbiamo letto, ma è vero anche che spesso certe sfumature di significato le togliamo, credendo che sia sufficiente il significato più comunemente utilizzato. Il resto è una perdita di tempo, e le sfumature lo sono sempre stando al comune senso di percezione delle cose. Una cosa è o non è, che importa che si possano trovare legami per scoprire nuovi concetti o nuovi punti di vista. Io, però, sostengo la versione che crede nell'utilizzo anche di una sola parola come innesco per andare oltre, per scoprire angoli della mente che possono cibarsi di concetti diversi sotto forma di sfumature. Per esempio, adesso sto condividendo con voi ciò che penso a proposito della condivisione. Vi confesso che non so bene perché, ma trovo che sia sempre molto importante ricercare tra le righe il significato del significato per esplorare il mondo. Mi sembra di perdere qualcosa ogni volta che mi accontento del significato deciso da altri, che per comodità talvolta viene sintetizzato, facendo dimenticare che i legami con tutte le cose esistono sempre e comunque. Eppure non posso negare che sia una necessità altrettanto importante sintetizzare un concetto affinché non si crei confusione, dato che considerare le sfumature è quasi sempre il rovescio della medaglia della chiarezza. A meno che non si riesca ad essere chiari mentre si definiscono le sfumature stesse. Comunque, quello che tenevo a dire sulla condivisione, è la sua connessione forte con ciò che proviamo, la sua sfumatura che sconfina nell'atteggiamento positivo o negativo che ci fa gestire ciò che ci appartiene. Invidie e gelosie faranno trattenere le cose che ci appartengono mentre l'altruismo, la sincerità e l'amore faranno dare. Sia che condividiamo qualcosa di materiale o di immateriale finiamo sempre, in un modo o nell'altro, con l'avere a che fare con il concetto di "mio" o "tuo". E qui entrano in gioco i fattori che contornano il senso di appartenenza, sia riferita a cose o persone o idee. La predisposizione alla condivisione deriva dalla capacità che abbiamo di aprirci verso l'esterno. Se, per esempio, prestiamo malvolentieri anche una sola cosa che ci appartiene dubito che sapremo dare noi stessi nell'ambito di un rapporto che prevede la condivisione della vita. E qui parlo per esperienza personale, avendo visto me stessa chiusa più di quanto avrei voluto essere, in ragione del mio comportamento nei confronti del senso di possesso sulle mie cose. Adesso il tempo è cambiato e sto imparando a condividere piuttosto che a mostrare soltanto. Ecco un'altra sfumatura. Ho trascorso molto tempo della mia vita a esibire le cose che avevo per farmi considerare ma guai a toccare queste cose. Adesso comprendo che non serve farsi notare per essere, e se mi espongo o mostro cose che mi appartengono, lo faccio per metterle a disposizione, per condividere qualcosa di mio, o di me, consapevole che così facendo queste cose possono essere toccate da chi si avvicina. Ancora mi resta un piccolo scoglio dato dal fatto che vorrei trovare la stessa cura che ho io, verso ciò che è mio e sto condividendo, negli altri che mi si avvicinano e toccano ciò che mi appartiene. Cerco dunque di ammorbidire la ruvidezza con il sorriso della pazienza, che comprende che non siamo uguali nel trattare le varie cose, né proprie né altrui, infatti anch'io potrei non essere in grado di avere cura di cose altrui nel modo corretto o nel modo che l'altro desidererebbe. Sarebbe giusto, a questo punto, condividere la comprensione reciproca per le imperfezioni umane. Eppure, nonostante tutto, oggi il concetto di condivisione ha per me un significato speciale, forse perché mi sento in grado di viverlo pienamente e non soltanto in teoria, non lo so con certezza. Mi resta però l'input a legare il concetto di condivisione alla vita in comune con qualcuno, è l'idea prima che mi passa per la mente. Per anni sono stata sola e autosufficiente pur vivendo in famiglia e se guardo indietro trovo ben poca condivisione, a vari livelli. Alla lunga la mancanza di condivisione inaridisce un po'. Come credo che la troppa condivisione faccia desiderare il riprendersi cose, e spazi personali da ridefinire, per sentirsi con maggiore chiarezza se stessi. Ancora una sfumatura dell'equilibrio. In ogni caso, comprendere è ciò che manda avanti il percorso di crescita. Condividere è, dunque, secondo me, lasciare che una parte che non ci appartiene divenga nostra, anche fosse solo in gestione, e lasciare che una parte nostra, che sia profondamente legata a noi o meno, diventi altrui. Il cuore saprà sicuramente fare le presentazioni.

Cesare Cremonini & Malika Ayane - Hello!

La prima volta di una donna

Se avessi una figlia vorrei poterle comunicare le cose che so e che ho imparato ascoltando il mio corpo, ma soprattutto la mia anima, il corpus dei sentimenti, delle emozioni e delle esperienze, e il mio cuore. Da madre vorrei saperla accogliere tra le pieghe delle mie conoscenze per fornirle tutto ciò che potrebbe servirle nel momento che lei saprà riconoscere come quello giusto per la sua prima volta. Le indicherei la strada, ma non vorrei fargliela percorrere se non si sentisse pronta, né vorrei impedirle il passo solo perché non sono d'accordo sulle sue scelte. Vorrei insegnarle a decidere per se stessa nel modo migliore, adatto a lei, perché se la decisione venisse da lei questo sarebbe comunque il modo migliore. La maturità per affrontare una prima volta non dovrebbe essere definita dal contesto sociale né culturale, né dovrebbe essere legata al desiderio di uniformarsi a quello che fanno altri intorno a noi. Non è detto che i vari frutti che sono sullo stesso ramo giungano a maturazione nello stesso tempo solo perché sono vicini gli uni agli altri, di fattori differenzianti ce ne sono sempre molti. E il tempo giusto lo si sente se si impara ad ascoltarlo. Non sempre, però, sembra che sia così, né è pensiero comune che sia importante davvero affrontare una prima volta così intima e coinvolgente mettendoci il proprio cuore. Si sentono tanti discorsi e anche testimonianze su ragazzini che affrontano la loro prima esperienza in coppia solo per fare l'esperienza, per sapere com'è. Dunque la curiosità è un ingrediente importante in questa particolare ricetta. Quel dolcissimo rimescolamento alla bocca dello stomaco e l'attesa alimentano la curiosità di scoprire e la voglia di andare ancora avanti, e perché non si dovrebbe farlo? Se mia figlia si concentrasse solo su questo aspetto vorrei permettermi di prenderle le mani, e di guardarla negli occhi, così pieni di desiderio di scoprire nuove sensazioni, per chiederle se si sente completa mentre desidera questa esperienza. Magari lei potrebbe fissarmi senza capire cosa le sto chiedendo e allora dovrei formulare la mia domanda in un altro modo. Cercherei le parole e sorriderei mentre la guardo, così delicata nel suo punto di passaggio tra l'essere bimba e il diventare donna. Ci sarebbe un momento di silenzio abbastanza lungo, perché starei cercando di ricordare il mio tempo di passaggio e non vorrei mai parlare come una maestra, ma solo come un'amica complice appena un po' più esperta. Dunque proverei con queste parole: sentirsi completi per affrontare qualcosa che ci coinvolge totalmente è come se la testa, la pancia, ciò che senti nel tuo corpo, che si presenti come forte sensazione o come voglia di avventura, e la dolcezza che abita il tuo cuore si mescolassero tutti insieme per fare di te un'unità che non ha paura e, mentre vibra tutto dentro di te, tu saprai sempre riconoscere se ciò che stai per fare è adatto a te in quel momento. Se sei abbastanza forte per non farti sommergere allora sei in grado di gestire ciò che hai deciso di vivere. Così sarai sempre te stessa in ogni momento, e porterai solo ricordi positivi anche se la prima volta non è assolutamente perfetta proprio perché è una prima volta, semplicemente, e non c'è esperienza alle spalle. Ma nonostante questo non avrai mai rimpianti. Potresti ridere anche di te stessa ma non piangeresti perché sapresti di essere stata presente in ciò che stavi facendo, e non stavi affrontando l'esperienza solo per un gioco o una sfida senza sentimento. Il tuo corpo non è vuoto, figlia mia, è totalmente pieno di battiti del tuo cuore e di tutto ciò che sei, è pieno dell'amore di chi ti è vicino e delle parole che ti consigliano ogni giorno, e che ti confortano quando sei incerta o hai paura. Sei fatta di amore perché è in questo che sei stata concepita, perché tua madre non si è mai accontentata di qualcosa che fosse lontano dall'amore anche di un solo centimetro. La completezza della quale vorrei spiegarti bene il significato sarai tu stessa in grado di comprenderla da sola se farai le cose amando e dando un significato profondo a ciò che affronterai. Cerca, se puoi, di non agire mai per ripicca né per dimostrare qualcosa a qualcuno. Sii forte nel riconoscere e difendere il tuo sentimento perché più profondo lo riconoscerai essere e maggiore sarà la pressione altrui per destabilizzarti, poiché chi viaggia a testa alta sulla propria strada conoscerà sempre la libertà di poter decidere per il bene e ciò potrebbe creare invidia. La tua prima volta, ricordati, coinvolgerà anche un'altra persona, non ci sari solo tu in quel momento. La tua prima volta potrebbe essere anche la sua prima volta e l'imbarazzo e il timore di non darvi l'un l'altro ciò che avete sognato potrebbe farvi avere incertezze. Non abbiate paura e sorridetevi mentre vi stringete e sentite il vostro cuore nelle vostre mani. Ricorda, però, che questo è possibile solo se sarete lì con il vostro cuore. Anche se tutto vi sembrerà un gioco, non lo sarà e vi lascerà un ricordo indelebile ricchissimo di sensazioni ed emozioni quando il corpo dell'uno parlerà al corpo dell'altra. E allora sarà il tempo giusto nel quale saprai, e sentirai e riconoscerai il significato delle parole che ti sono state affidate come appiglio per non sentirti sperduta nel momento in cui avviene qualcosa che non conosci ancora. Saprai allora che nulla al mondo può prepararti alla meraviglia del canto del cuore che si unisce alla melodia del corpo che scopre da solo, magicamente, ogni movimento per armonizzarsi all'altro. Potrai solo vivere il tuo momento che, nonostante i vari pareri, è pur sempre sacro per il rispetto che gli si deve e per ciò che ti dischiude, e lascerai che ogni volta successiva sia magica come la tua prima volta, non perché varierai modalità o compagno, ma perché avrai in te la comprensione del valore che fare l'amore non sia solo fare sesso. R.B.Between

venerdì 20 maggio 2011

Quando non sai come ti senti

Ci sono giorni nei quali accade qualcosa che ti spiazza, che ti fa stare in un modo particolare che non riesci a definire. Se ti chiedessero come ti senti potresti ritrovarti a guardare il tuo interlocutore con un misto di incertezza, e di voglia di sapere anche tu come stai, nello sguardo. Fino al giorno prima sapevi benissimo come ti sentivi poi magari vedi una persona particolare che non ti è indifferente e non sai più come stai. Avresti giurato di saper padroneggiare i tuoi sentimenti ma ora ti senti avvolgere dal dubbio. E il dubbio nasce senza la collaborazione della tua volontà quando, ascoltandoti di sfuggita, senti che dentro le cose stanno in modo diverso da come vorresti che stessero. Cominci allora a dirtene quattro tra te e te, giusto per non perderci la faccia con la mente che va fiera del suo sentirsi sempre capace di definire come stai. Non le si può certo dare torto, lei ha una dignità da difendere e poi la mente è la mente, il groviglio di pensieri e sentimenti è di pertinenza di un distretto più in basso, nella pancia. Lo stomaco avverte subito questo rimescolamento, e se la ride perché sa che presto o tardi la mente avrà a che fare con un piccolo delirio nel quale il dubbio punzecchierà tutte le certezze finché non verrà ristabilito l'equilibrio. Quando si sente di essere innamorati e si sa che questo non va bene per svariati motivi ci si prenderebbe a testate da soli, potendolo fare. E allora che si fa? NON LO SO. Punto.

giovedì 19 maggio 2011

Compleanno

Oggi è un giorno speciale ed ho cercato di renderlo ancora più speciale impegnandomi per imparare a saper accettare ciò che gli altri fanno per me. Per imparare a vedere i loro gesti e a non livellare tutto con la mia solita fretta. Oggi ho voluto che il mio tempo fosse lento e il mio cuore aperto per chiunque volesse portarmi un dono, un qualsiasi dono, che fosse un semplice sorriso accompagnato dagli auguri o meno, che fosse, come è stato, ricevere sms sul cellulare o una semplice telefonata, che fosse incontrarsi al volo perché era importante vedermi oggi, nel giorno del mio compleanno, oppure fosse ricordarsi di me e sorprendermi con piccoli gesti di attenzione che significano affetto sincero. Oggi ho voluto accantonare i miei soliti atteggiamenti e le mie ansie per ascoltare, per ricevere. Oggi ho ascoltato buone notizie da un'amica che non vedevo da tempo, che ha ritrovato l'amore. Ho riso insieme a persone che mi vogliono bene e sono stata bene. Non avevo ombre, né pretese che tutto fosse perfetto come talvolta mi accade di volere che sia. Ma la vita e ciò che accade non sono perfetti, anzi sono straordinariamente imperfetti, e va bene così, ed oggi mi sono sorpresa a capirlo davvero invece di concepirlo soltanto in me come saggia teoria. Ho accantonato per un po' le tristezze per le incomprensioni e tutto ciò che mi riportava la mente a questioni meno piacevoli e ho apprezzato che la giornata sia trascorsa illuminata dalla luce dell'amicizia, ricca di colori, ma soprattutto di pace. Ho immagazzinato i bei colori di questo giorno di compleanno per tutti gli altri giorni che verranno e richiederanno che ci si ricordi delle cose positive se avessero qualche ombra in più, vestita delle solite difficoltà quotidiane, o solo per ritemprarsi se la stanchezza si facesse più insistente. Oggi ho chiesto scusa per non essere capace di esprimere tanto bene i miei sentimenti, perché non volevo che il mio ricambiare un abbraccio sincero sembrasse vuoto di calore, quel calore che so far uscire dalle mie parole, e che è lì dentro di me e nel mio cuore, ma non è abituato a scivolare fuori con altrettanta disinvoltura. Chi è abituato a dare sempre se stesso agli altri con ciò che fa e lo fa cavalcando i giorni senza posa, anche se si ritaglia degli spazi personali, anche di silenzio, per propria necessità, non è detto che riesca a mostrare ciò che sente profondamente tramite il contatto fisico. A volte un sorriso non basta, serve di più. Ma anche se ci riuscisse soltanto di stare lì fermi, perché la tanta emozione ci blocca, gli occhi non mentirebbero, né il battito del cuore lo farebbe. Allora, se vedete che me ne sto lì e sembra che non abbia apprezzato il vostro dono, guardatemi negli occhi e capirete quanto mi faccia felice sentire che mi amate.
Oggi ho compiuto trentotto anni e il mio nome è Rita Buccini. R.B.Between

mercoledì 18 maggio 2011

Gelosia

E' un sentimento strano, connesso fortemente all'istinto animale che fa parte di noi. Non lo ammetti facilmente oppure ne vai fiero, ti spaventa la sua potenza capace di sovvertire le regole del buon senso oppure ti scalda l'anima perché ti fa sentire considerato. Credo che in fondo ciascuno viva, o interpreti questo sentimento, in modo del tutto personale. Se vogliamo usare la gelosia come metro del nostro egoismo possiamo vedere che questo sentire è legato al senso del possesso. Siamo portati a pensare che tutto ciò che ci circonda e che fa capo a noi ci appartenga in un certo senso, fatte salve le cose che realmente ci appartengono come gli oggetti di uso personale. Quello che ci inganna è pensare che anche le persone ci appartengano, che è anche l'errore peggiore che si possa commettere all'interno di una coppia. Eppure non è facile arginare la gelosia né controllarla perfettamente. Ha radici troppo profonde nella base di ciò che siamo. E la realtà di ciò che siamo è natura animale. Possiamo però cercare di capire come ci fa sentire questo sentimento quando lo proviamo, possiamo discuterne per scambiarci opinioni, ma alla fine ci resta addosso, che lo vogliamo o no, e si impara soltanto a conviverci. La gelosia si mette difficilmente a tacere perché è strettamente connessa alla passione, più che al senso del possesso, per quanto mi riguarda. Solo in parte deriva dal volere l'esclusiva, vorresti infatti che l'altro ti trattasse in un modo speciale riservato soltanto a te, vorresti vedere nei suoi occhi quella luce che splende con più fervore soltanto in tua presenza, vorresti sentirti unica accanto alla persona che ami perché per te è così, è ciò che provi per l'altro. Sia che tu sia corrisposto o meno, se provi qualcosa per l'altra persona, diventi geloso ogni volta che non sei tu al centro delle sue attenzioni. Succede, ma anche in questo caso la differenza viene fatta da come gestiamo ciò che proviamo. Ecco di nuovo spuntare fuori l'egoismo, voler essere al centro delle attenzioni altrui serve soltanto a gratificare l'ego, ad affermarlo, ma avendo soddisfazione in questo dimentichiamo di vedere davvero l'altro. Non vediamo più i suoi bisogni, i suoi desideri, le sfumature del suo essere e le relative necessità, cerchiamo l'affermazione di noi stessi a scapito della ricerca dell'armonia a due. Senza contare che la gelosia è anche mancanza di fiducia, infatti non tutti sono capaci di esprimere i propri sentimenti per tranquillizzarci, per rassicurarci sui nostri dubbi a proposito di ciò che l'altro prova per noi, ecco che allora avere fiducia è essenziale per proseguire il cammino insieme senza incepparsi continuamente per delle sciocchezze, che, ammettiamolo, molto spesso sono davvero sciocchezze. Ognuno di noi ha pur sempre una sua vita anche se la condivide con un'altra persona quindi la gelosia si dovrebbe fermare al cospetto del concetto di libertà. Ho sempre pensato che se due persone si amano veramente e sinceramente la libertà non muore nel momento in cui si forma la coppia, sì, si modificano delle abitudini ma la libertà è vita e amore, non soltanto movimenti quotidiani da preservare ad ogni costo, a meno che non si creda che queste abitudini siano più importanti dell'interconnettersi affettivamente con un'altra persona. In questo caso non c'è discussione. Se vogliamo salvare qualcosa della gelosia direi che se la scopri esistere in te allora magari comprendi che la persona verso la quale la stai provando ti interessa più di quanto vorresti ammettere. Può succedere anche questo.
C'è poi un'altra cosa difficile da ammettere con se stessi, quando si è molto innamorati di qualcuno ma non si è ricambiati, pur provando un quantitativo incredibile di sentimenti, compresa la gelosia quando l'altro che non ti vede porta avanti la sua vita e le sue relazioni, è doloroso stare a guardare. Se il buon senso e la saggezza, o almeno la teoria di questi validi appigli mentali, sono in noi sapremo che è nostro dovere farsi da parte imparando a convivere con ciò che si prova. Amando davvero l'altra persona dovremmo saperle augurare ogni bene, e questo è un dovere e un compito da cercare di assolvere con dignità, ma se il cuore, e non la testa, e non le idee che ci siamo fatti dell'altra persona, ma solo ciò che la nostra anima nuda percepisce dell'altro ci fa sempre pensare con calore alla persona in questione, ci rimarrà sempre una traccia di gelosia, di passione che pesca nel profondo di noi, e sarà dura non lasciarsi sopraffare dalle lacrime. Qualsiasi violenza o rabbia per non avere soddisfatto il proprio ego che si sfoga sull'altro per gelosia è una degenerazione da condannare, poiché la vita è più importante di ogni affermazione personale distorta. Per cercare di lenire una delusione abbiamo lacrime, e cuore da ascoltare mentre continua a battere anche senza chi continuiamo ad amare. Può succedere anche questo.
Ma la gelosia in sé è solo un movimento delle nostre radici consapevoli della vita e della passione, che attingono dai sentimenti provati dal cuore e dalla pelle. La gelosia può svegliarci se non ci accorgiamo delle cose che proviamo; la gelosia può addormentarci se smettiamo di vedere le cose con il buon senso necessario a gestire le proprie pulsioni nel rispetto di quelle altrui; la gelosia ti galvanizza o ti atterra, ma sa anche far capire all'altra persona quanto sia speciale. Soprattutto auguro, in primis a me stessa, ed anche a chi legge queste parole, equilibrio, per non scivolare nell'oscurità che il dolore talvolta fa intravedere, per essere equi nel giudicare e nel comprendere questo sentimento, per gestirlo al meglio, e per riconoscere sempre le sciocchezze che vorremo usare come innesco per la battaglia col partner quando monta la marea della gelosia. Abbiate fiducia nella persona che amate e non dimenticate mai il suo cuore né la luce dei suoi occhi, il resto quasi non conta. Se vi amate non vi verrà mai nemmeno in mente di mentirvi né di trovare altrove qualcosa di diverso poiché sarà più che sufficiente ciò che avete, e il calore che provate l'uno in presenza dell'altra/o vi farà dimenticare l'esistenza dell'inverno, perché ogni giorno vi sembrerà primavera o estate piena. Credo che in fin dei conti sia la fiducia l'unico modo per dissolvere la gelosia perché, armati di fiducia, possiamo riuscire a vedere realmente le cose per come sono, ridimensionando dubbi e paure infondati.





martedì 17 maggio 2011

Tutti i momenti che non vorresti rivivere

PREMESSA
Per molto tempo non sono riuscita a smettere di piangere ogni volta che un dato particolare mi riportava la memoria all'evento spiacevole che ho vissuto. Oggi mi sono ritrovata nella stessa posizione di quel giorno ed ho rivissuto per un momento la scena che mi ha sempre fatto male ricordare, perché mi colpiva profondamente nel cuore. Oggi la distanza percorsa da allora - che per un periodo è stata sospesa in un limbo doloroso laddove il terreno era reso umido e scivoloso dalle troppe lacrime - mi ha permesso di rivedere tutto senza farmi stare così male come allora. In questo tempo ho cercato di ritrovare i pezzi del mio cuore che erano rimasti sparsi lì, in quel giorno. Ogni volta che posso ne raccolgo uno e lo risistemo al suo posto perché comprendo una cosa: conosco il sapore delle lacrime e quello della botta ed ho provato quanto male faccia lasciarsi ingoiare lentamente dalla reiterazione del dolore, quindi so che non voglio più nutrirlo, anche se parimenti so che qualche volta scivolerò di nuovo nella malinconia che emanano tutte le cose perdute. Rimettendo insieme questi pezzi di cuore ho scoperto un'altra cosa importante, ho capito che, in realtà, un cuore che sa amare profondamente non smette mai di saperlo fare, anche se viene colpito e apparentemente smembrato. Il colpo sconvolge tutto ciò che siamo, ma come vogliamo diventare dopo l'impatto dipende dalla tempra che troviamo dentro di noi. Se gli eventi della vita hanno il potere di smontarci, anche brutalmente, noi stessi, quando ci rimontiamo pezzo per pezzo, facciamo la differenza. Abbiamo il dovere di provare a raccogliere tutto il coraggio che possiamo trovare, scovandolo se fosse nascosto, per guardare e dunque affrontare quello che chiamiamo disastro. Dopo si inizia a costruire il nuovo utilizzando gli stessi frammenti sparsi, semplicemente ricollocandoli in modo differente, poiché nulla viene gettato via e tutto viene invece trasformato. Le uniche cose da gettare sono gli obsoleti modi di fare nei quali non ci riconosciamo più, ma anche qui, a pensarci bene, si tratta solo di una trasformazione. Un modo di fare non è un oggetto materiale quindi il giorno che ce ne liberiamo si è soltanto compiuto un cambiamento, sostituendo un modo di fare con un altro che ci è maggiormente congeniale o che ci rappresenta di più. E il perno che funziona da fondamenta è la consapevolezza che la luce nel cuore non ha mai smesso di pulsare, né di scorrere per mantenerci vivi, seppure avessimo trascorso il periodo come in ibernazione, prigionieri del ghiaccio della mente causato dal dolore da impatto improvviso. Dal mio personale impatto vissuto è trascorso quasi un anno ed oggi è nato questo brano.

"Hai camminato tanto, hai anche corso per un lungo tratto credendo così di poter lasciare uno spazio maggiore tra te e ciò che è successo. Sai bene che alle tue spalle quel punto esiste perché se ti voltassi vedresti un cuneo piantato profondamente nel terreno che stavi percorrendo come al solito. Il cuneo è grigio scuro o nero come il Dolore cha ha sprofondato lì le sue radici. La memoria si ricorda sempre l'esatta posizione di ogni evento che si incunea nella vita, e la vita ne ricorda il peso. E allora, non sapendo cos'altro fare, continui a camminare. Si dice che lo spettacolo deve andare avanti, ma non conti più tutte le volte nelle quali vorresti gridare che non è vero, che lo spettacolo certe volte si può anche fermare. Purché non muoia del tutto... altrimenti moriresti anche tu...
E del Dolore senti il rumore delle radici che scendono in profondità. Vorresti fermare il mondo perché trovi dissacrante ed estremamente irritante che continui a girare. Ti senti solo nel tuo dolore, anche con chi ti ama accanto, perché in quel momento tutte le tue porte e finestre sono serrate. Il dolore sigilla le fessure e quasi lo ringrazi per questo suo aiuto nel creare un luogo inaccessibile dove poterti nascondere, per smettere di percepire il tempo e la vita che scorrono ancora, mentre ricacci giù nel profondo la consapevolezza che questa non è la vera soluzione. Ma non te ne importa purché, almeno in parte, ti allevi la sofferenza e si possa allentare quella morsa che ti stringe il cuore. Ti illudi che in quella bolla di silenzio tu possa ritrovare il filo, il bandolo della matassa nella quale si è trasformata la tua vita il giorno dell'impatto. Hai delle ferite gravi, le vedi bene, ma hai dimenticato di chiudere con te nella bolla bunker i medicinali essenziali. Avevi fretta di smettere di soffrire, ma così soffri di più perché non sai bene come fare, ti puoi solo arrangiare. E ti arrangi, mentre il tempo, là fuori, passa.
Ti stai calmando. Ti stai, in un certo modo, adattando alla tua nuova dimora isolata. Riesci ad arginare gli attacchi di consapevolezza lanciati dalla memoria e provi a riprendere in mano la tua vita. Scegli di fidarti, così le pareti della bolla si assottigliano. E' così tanto tempo che non guardi più oltre le finestre o le porte sigillate, ti sei accontentato del ricordo che avevi del mondo prima dell'evento doloroso. Magari le cose, là fuori, sono rimaste le stesse, oppure sono cambiate, ma se non vai a controllare di persona usando i tuoi stessi occhi non lo saprai mai. Hai paura a muoverti. Hai paura di incontrare di nuovo il Dolore, hai il terrore di affrontarlo perché ti ricordi, anche se non vuoi, com'era vestito quel giorno. Ti ricordi la posizione di ogni singola spina, il suono di ogni parola e il suo significato, ogni gesto, ogni sguardo. Scopri però di essere ancora vivo quando le tue braci sopite si riaccendono. Ti eri dimenticato la sensazione dello scorrere del sangue dentro di te, pompato da un cuore che, nonostante tutto, non ha mai messo a tacere le sue passioni. Ormai hai guardato fuori e l'hai visto, è troppo tardi per tirarsi di nuovo indietro, questa volta il Dolore va affrontato. Lasci, allora, che ti scorrano dentro, come ciocchi di legno galleggianti trasportati da un fiume in piena, tutti i particolari dolorosi dell'evento. E stranamente ti sorprendi a constatare che sei abbastanza forte da resistere a questa corrente interna. Certi particolari, che credevi essenziali per la definizione del ricordo, si rivelano invece, a questo secondo sguardo, di minor conto, così, appena ti si rivelano le cose per come esattamente sono, iniziano a perdere consistenza. E la consistenza scopri che sei stato tu stesso ad avergliela attribuita, plasmandovela intorno intrisa della tua sofferenza. Allora accade un piccolissimo miracolo, qualche grumo di dolore si dissolve. Cominci a far scorrere meglio la memoria inceppata e ogni visione distorta viene lavata via e restituita quella corretta. Ad ogni riconquista di legame con l'esterno, un pezzo scrostato del sigillante di porte e finestre cade e diventa polvere. Fai un passo verso il Dolore e trasformi la paura in mossa di coraggio. Sei ancora instabile, ma procedi. Sei uscito dalla bolla e non te ne sei neppure reso conto. Stai camminando di nuovo, verso il cuneo che ti eri lasciato alle spalle perché vuoi recuperare tutta quella parte di te che hai lasciato lì. Ora che non hai paura di guardare vedi pezzi del tuo cuore dei quali si sta nutrendo il Dolore che è diventato un rampicante che avvolge quel cuneo scuro. Non distingui bene dove finisce l'uno e inizia l'altro, il cuneo è il Dolore come lo è il rampicante che lo riveste, ecco perché non li puoi distinguere. Puoi solo chinarti per raccogliere i pezzi del tuo cuore così nulla potrà più nutrire quella massa di sofferenza. Il tuo cuore è tuo e ogni pezzo di esso deve stare in te, per farti splendere integralmente come il giorno nel quale sei nato. L'amore che scorre dentro di te sarà capace di insegnarti a rifondere insieme i pezzi nei quali eri suddiviso. Adesso, infatti, riesci a ricordare che eri andato in frantumi il giorno dell'impatto. Sei stato diviso per così tanto tempo... Ricomponi dunque il tuo cuore e lascia che il calore che emana ti ritempri l'unità." R.B.Between

lunedì 16 maggio 2011

Leona Lewis "I See You" dal film Avatar

Viaggio 3. Il viaggio

Qualunque sia la sua durata, il viaggio per definizione non comprende staticità. Le pause possono essere contemplate, ma anch'esse sono passeggere durante il viaggio.
Il viaggio è anche sinonimo di percorso perché un viaggio prevede spostamenti che, collegati fra loro, formano il "percorso" fatto. Viaggiare nasce dalla voglia di esplorare, di vedere altri luoghi, altri volti, conoscere tutto ciò che fa parte di un altrove, di un qualcosa che non è qui sotto i nostri occhi e che ancora non abbiamo visto. Come l'ignoto. Anche l'ignoto non è qui sotto i nostri occhi, va esplorato portando la voglia di conoscere e di andare oltre, trasformata nella luce necessaria a rischiarare le tenebre concettuali dell'ignoto stesso. La parola "ignoto" fa vibrare di paura, mentre la parola "viaggio" risulta stimolante eppure, in sintesi, richiedono entrambe esplorazione, seppure, più precisamente, l'ignoto sia un "luogo" che necessita di un percorso di viaggio per esplorarlo, mentre il viaggio sia un percorso per arrivare in un luogo.
Quando la vita cambia in qualche modo, sia per volontà personale, sia per "fatalità", ci si trova comunque davanti un viaggio da affrontare, con delle incognite, con delle soste o pause, in ogni caso, torno a ripetere, si tratta solo di un percorso. Quello che distinguerà ciascuno sarà il modo di affrontarlo, il modo di viaggiare, e la velocità dipenderà da quanto bagaglio, utile o inutile, ci portiamo appresso, o se useremo un mezzo di trasporto efficiente. Se avremo a disposizione solo le nostre gambe per camminare e la forza delle nostre braccia per sostenere il bagaglio oppure un veicolo pieno di comfort, se saremo soli o meno, in ogni viaggio, molto dipenderà anche dal nostro cuore e da quanto ci sentiremo forti nello scegliere l'una o l'altra modalità o compagnia. Le innumerevoli sfumature metaforiche per un viaggio saranno poi di pertinenza di ogni singolo caso.

Viaggio 2. Partenza

Partire è un atto di cambiamento. Discende dallo stesso comando che diamo alla gamba e al piede per iniziare a camminare. E' la decisone che conta, il resto segue. Quando il bagaglio è pronto anche la mente si sente disposta alla partenza. Se, poi, la meta del viaggio è interessante quanto o più del viaggio stesso, siamo già là, anche se abbiamo ancora la valigia in mano e stiamo aspettando il treno o l'aereo.
La partenza è un evento, è l'anello che collega il luogo precedente, o il precedente modo di essere se si legge la metafora, al luogo dove andremo.
La partenza è, nonostante tutto, eccitazione, poiché l'idea di spostarsi, anche se piena di incognite, è pur sempre piena di promesse.
La partenza riattiva lo spirito di osservazione e mette in moto l'attenzione.
La partenza è un preludio, comunque.
Nella partenza, quando ci sentiamo pronti, si concentra tutto ciò che siamo perché ogni spostamento è come un salto e richiede tutta la presenza. Forse durante una partenza ci si sente maggiormente vivi, in fermento per il senso dell'attesa, per quello che potremmo trovare o per quello che sappiamo che troveremo. In ogni caso penso che ogni partenza sia un'emozione e un'opportunità di cambiamento.
Buon viaggio a chiunque si stia preparando a partire.

domenica 15 maggio 2011

Viaggio 1. Bagaglio

Ogni viaggio richiede una preparazione, e la preparazione ha bisogno di tempo per coordinarla. Se il tempo manca si parte e basta. Il viaggio inizia lo stesso ma, in questo caso, la preparazione psicologica deve esistere già dentro di noi, altrimenti non ci sentiremmo pronti per partire. Per quanto riguarda il bagaglio, partendo all'ultimo minuto, si potrebbe non essere in grado di valutare al meglio le necessità, dato che con la fretta spesso si annodano i pensieri; per esempio, io tendo ad andare in crisi per l'indecisione sulla scelta di cosa portare con me, e ciò si accentua maggiormente quanto minore è il tempo a mia disposizione per operare la scelta. In una sola parola vado in confusione perché tutti i pensieri si ammassano nello stesso punto, e lo spazio a disposizione è ristretto dalle lancette dell'orologio che mi rammentano di cercare di essere veloce ed efficiente. Meglio direi che è così che vorrei essere in queste circostanze, ma se faccio così finisco sempre con il tralasciare qualcosa di importante, ecco perché cerco di partire a fare i bagagli con largo anticipo. Comunque sia il senso è che questo mio comportamento vale anche in circostanze simili. Se mi trovo a fare qualcosa improvvisamente c'è un momento in cui il normale procedere si blocca e vengo investita dalla somma delle decisioni da prendere, perché non so bene cosa dovrei portare con me, cose delle quali potrei avere bisogno, quali idee o quali concetti potrebbero servirmi per affrontare questa cosa? Non c'è tanta differenza, si tratta solo di prepararsi per una partenza volendo avere un bagaglio con sé. Potrei dunque prendere quelle due o tre cose che servono ogni giorno, così da sentirmi sicura, circondata dal riferimento alla quotidianità, importante sensazione quando si affronta uno spostamento verso un luogo diverso da quello conosciuto. Per non sentirsi soli...
E' pur vero che la sensazione di esserti dimenticato di qualcosa c'è sempre, e questa sensazione si riesce a sconfiggere soltanto preparandosi con larghissimo anticipo, ma non sempre è possibile fare in questo modo.
Se devo andare da qualche parte io cerco sempre di fare una lista di tutte quelle cose che potrebbero servirmi. Se facesse freddo oppure caldo porterei questo o quell'altro abito. E via ragionando così per sistemare nel bagaglio tutto il resto. Voglio avere a disposizione la scelta perché non mi sentirei a mio agio obbligata ad avere solo quella cosa da indossare. So anche adattarmi, ma il mio primo pensiero, mentre faccio il bagaglio, è rivolto al desiderio di avere più di una cosa a disposizione tra le quali scegliere. Poi finisco sempre col mettermi la solite cose e con avere un bagaglio ben più peso di quanto vorrei, dove gran parte delle cose sono inutili e avrei potuto lasciarle a casa. Devo ancora imparare a fare bene il bagaglio. Comunque sia se, compiendo tutte queste operazioni, riesco ad osservare me stessa mentre le sto compiendo, posso capire qualcosa in più. L'ho fatto un giorno. Quando ho osservato me stessa prepararmi ad un viaggio ho capito quanta poca disinvoltura mi appartiene, caratterialmente parlando. Misurare sempre tutto, valutare pro e contro, ipotizzare un bollettino meteorologico, sentirsi a disagio senza la scelta o senza le tue cose, portare il cambio del cambio del cambio, ossia la scorta, perché potresti macchiarti o sciupare qualcosa, ogni eccesso di attenzione nei confronti del controllare, volere avere tutto a portata di mano, tutte queste cose rappresentano una persona che forse non sa "lasciarsi andare". La disinvoltura che vorrei avere è fatta di azioni meno perennemente controllate, con un tocco di serietà in meno, per addolcire un po' la gestione di ogni partenza. Da questo modo di fare e di essere ho visto derivare due cose: l'una è una sorta di paura nell'affrontare ogni novità seppure mi incuriosisca, dove questa curiosità mi permette di non scappare subito se mi si propone una partenza, ci metto solo un po' di tempo a farmi coraggio e soprattutto a prepararmi al viaggio; e l'altra è la mia poca tendenza a farmi coinvolgere in qualcosa senza prima aver ben valutato tutto il contesto. Ho rivisto il mio modo di essere attraverso l'osservazione dell'azione di prepararmi un bagaglio.
Questo è osservare se stessi. Anche se la maggior parte delle volte compiamo gli stessi gesti meccanici senza renderci conto di nulla, altre volte invece ce ne accorgiamo, e sono queste le volte preziose che, nello scorrere della percezione ordinaria, risplendono di consapevolezza, e permettono di risiedere in modo migliore nel proprio presente. Io cerco di non dimenticare mai che se la vita, e tutto ciò che ne fa parte, è un continuo insegnamento, tutti stiamo imparando, o cercando di imparare.

martedì 10 maggio 2011

A braccia aperte

Ieri sera, mentre stavo tornando a casa, ho visto un due ragazzi abbracciarsi. L'emozione mi è scivolata dentro come se una parte del loro amore, come un'onda, fosse arrivata anche a me. Non so il motivo per cui la scena si è svolta come si è svolta, ho solo visto il lieto fine. Ho visto lei che se ne stava andando a passo veloce distanziando lui, ma è stato solo per pochi passi, finché lui l'ha chiamata e con un sorriso e le braccia aperte è rimasto fermo ad aspettare che lei tornasse indietro. Lei infatti si era fermata e, vedendo lui che la aspettava con quell'espressione come dire "dai, non è successo niente, vieni qui", si è messa a corrergli incontro, saltandogli addosso e abbracciandolo stretto stretto. Sono rimasti così a lungo. Questo ho visto entro la mia visuale mentre camminavo, poi li ho superati, mentre loro sono rimasti così abbracciati, quasi fusi assieme entro il loro amore. Mi sono portata a casa la sensazione di una cosa bella, di un momento che, quando si manifesta, rende più vive le emozioni che si provano. Ti fa capire che è importante perdonare, se questo fosse stato il loro caso non lo so, forse, comunque sia, il gesto dell'invito a farsi abbracciare è stato speciale. E credo che per una persona innamorata non esista al mondo posto migliore che non sia tra le braccia della persona amata.

Specchio servo delle mie brame...



E' una bella sensazione essere ritenuti belli, essere ammirati, fa stare bene. Ecco allora che siamo ulteriormente incentivati a proseguire nella cura del proprio aspetto. C'è chi è esteriormente gradevole in ragione del suo DNA e chi deve lavorare per apparire migliore. Il risultato ultimo credo dipenda molto anche da come si è dentro, non solo fuori. Molti sono i pareri discordi sul concetto di bellezza perché in realtà non c'è un unico punto di partenza per dare una definizione, ecco perché è vero che la bellezza si dice stia negli occhi di chi guarda. Il mio personale concetto di "bellezza" è composto da diversi fattori mescolati insieme. Ciò che talvolta definisco bello discende in gran parte dalla sensazione che mi dà, senza guardarlo con gli occhi. Se sento che una cosa o una persona o una situazione sono positivi, già questo mi permette di instradarmi nella definizione, alla quale aggiungerò un giudizio in base alla gradazione di sensazione positiva provata. Per esempio, un oggetto davvero bello, per me, è quello fatto a mano e, anche se le sue linee non rispettassero i dettami della sezione aurea, giusto per esagerare parlando, lo troverei bellissimo perché porta, e porterà per sempre in sé, la memoria dell'impegno, dell'ingegno, del tempo, della pazienza, dei pensieri e dei respiri di chi lo ha fatto. Questo è un bell'oggetto per me, anche senza essere appariscente né alla moda. Bello e prezioso. Una persona bella, per me, è semplicemente se stessa, specialmente quando accetta o prova ad accettare senza avere paura o combattendo questa paura, i suoi difetti, continuando a sorridere, prendendosi un po' in giro, senza l'eccessiva serietà che spesso, portando ad essere permalosi, rende meno fluidi indurendo un po' l'animo. La sua vera bellezza passa dal suo cuore e non importa che i capelli siano scompigliati dal vento o gli abiti siano sempre gli stessi o che la schiena sia curva, o ci siano dei chili in più, non importa l'età che lascia segni al suo passaggio.  A che serve davvero avere sempre la faccia levigata fino ad arrivare a non poter più muovere i muscoli e non riuscire più a sorridere con naturalezza? A cosa serve? Trovo solo risposte superficiali perché gli stessi motivi non sono profondi. C'è chi dice che si fanno le cose per dover stare bene con se stessi, ma la legge dell'eccesso vale anche qui. Stare bene secondo me è ascoltarsi abbastanza da riconoscere dove o cosa si sta facendo o come lo si sta facendo, ma non sempre, credetemi, è facile ascoltarsi chiaramente. L'importante è provarci. Invece di invidiare chi è più bello di noi, se tale lo giudichiamo, secondo me senza essersi realmente guardati in profondità, osserviamolo, e diveniamo critici prendendolo ad esempio. Non penso che sia difficile capire se quella che giudichiamo bellezza altrui sia frutto di immenso sforzo o di naturale assecondare l'emergere del benessere interiore. Chi è bello davvero brilla e, anche se non tutti lo percepiranno allo stesso modo, credo che se ne accorgeranno lo stesso. Biancaneve è se stessa ed è sincera, per questo è più bella della matrigna che, anche se bella in volto, poi trasformandosi, rivela la sua reale natura attraverso le sue intenzioni e la sua invidia.

domenica 8 maggio 2011

La festa della mamma

La mamma è una persona con un ruolo importante. Il suo mestiere richiede impegno costante. Pur tuttavia oggi il ruolo della madre è una figura, un simbolo, e sempre meno lo stereotipo di una donna. Questo perché esistono sempre più coppie omosessuali. In questi nuclei familiari la madre è solo secondariamente donna, prima viene la figura di riferimento materna. E dunque nella "madre" si riconoscono le qualità di dolcezza e cura della prole, indipendentemente dal sesso di chi riveste questo ruolo. Non si può negare l'evidenza della storia sociale che stiamo scrivendo, anche se c'è sempre qualcuno che non condivide le scelte fatte da qualcun altro. Saggio è constatare la realtà come essa si presenta per imparare a leggere l'evoluzione umana. Tanti tipi di madre esistono, in tutti sensi che siano concepibili, giudicabili o meno per comportamento, eppure tutte sono comunque madri. Se si preferisce pensare alla figura di madre sempre perfetta si dimenticano tante sfumature utili a comprendere più profondamente, secondo me, i vari caratteri, e la vita stessa di ogni mamma. Perché contemporaneamente all'essere madre, lei è una donna, ma soprattutto una persona, un essere umano che cammina sulla terra come accade ad ogni altro essere umano. Una madre è fondamentalmente un tramite di vita, sia che la generi fisicamente sia che si occupi della sua crescita o protezione. Una festa è una celebrazione, un appunto nella memoria collettiva di un popolo, o se vogliamo, dell'umanità intera. Senza colei che ci genera noi non esisteremmo, ecco perché anche il pianeta è chiamato Madre Terra. Una madre non si celebra da sola perché per lei è naturale essere madre. Sono i figli che la festeggiano, per farle capire la gratitudine che provano per aver reso loro possibile essere qui nel mondo. Dunque una madre è tale se ha un figlio, un discendente, e un figlio esiste soltanto perché la madre esisteva prima di lui.
Non date mai per scontato l'affetto di vostra madre e, se potete, risolvete ogni conflitto con lei, se ve ne sono, perché il tempo passa e, domani dopo domani, ciò che si è rimandato, pensando di avere tempo sufficiente per fare o dire qualunque cosa, viene inesorabilmente portato via dal destino. Se le occasioni mancano createle e parlatevi, non andate oltre arroccandovi su posizioni, giuste o sbagliate che siano, perché in fondo quello che conta davvero è l'amore che ha creato la vita, la vostra vita, e perché in fondo al cuore di ogni persona, nonostante rabbie, rancori, ripicche, dispetti, incomprensioni, difficoltà di comunicazione, gelosie e questioni di orgoglio, c'è un punto più delicato dove pulsa solo la voglia di fare pace e questa è così forte da spazzare via qualsiasi altra cosa. Nel cuore di una mamma questo spazio è sempre più grande di quanto si possa credere e nel cuore di un figlio non ci sono abbastanza lacrime per perdonarsi di non aver detto in tempo "ti voglio bene".

sabato 7 maggio 2011

Profumo di pane

Vivere in città è comodo, non ci sono dubbi. Tutto è a portata di mano, ogni negozio, ogni ufficio, luoghi di divertimento. Però... però qualche volta sembra che manchi qualcosa. I profumi delle cose, per esempio. Me ne rendo conto soltanto le volte che esco dalla città per almeno una giornata, quando torno, l'olfatto si appiattisce di nuovo, se ne resta nascosto in profondità nelle narici, si addormenta. Sceglie il letargo, in attesa della prossima volta in cui passerò da qualche parte dove la percentuale di alberi e prati batterà l'asfalto uno a zero. Uno dei motivi per i quali non esco spesso dalla città è per non dover impattare con questa realtà. Mi mancano certi profumi sinceri della natura, o anche solo della cera data ad un vecchio mobile. In casa, in città, questo odore di cera svanisce subito. Legna tagliata e riposta vicino ad una vecchia stufa, o quella che brucia dentro ad un caminetto, terra bagnata, erbe aromatiche indispensabili in cucina, il profumo del cibo che sta cucinando, il profumo stesso delle stagioni e quello delle persone, il profumo di sapone senza accenti troppo intensi e arroganti che, magari, ricordi fiori speciali come le rose, o il profumo balsamico di un mazzetto di lavanda appeso al muro come usava fare la nonna. Oggi però, sono riuscita a rubare uno spazio all'anonimato olfattivo che regna nella mia casa cittadina. Ho riempito la cucina con il profumo di pane. E prima ancora con quello di biscotti. Vibra ancora adesso anche se ho spento il forno tre ore fa. Questo profumo riesce a farmi stare bene, come l'odore di un caminetto acceso. Mi fa sentire il calore di una casa il profumo di pane, mi fa pensare ad un tempo in cui il calore umano era fatto anche di lentezza e di desiderio di stare vicini senza dover per forza fare qualcosa o uscire per divertirsi. Il profumo del pane che ho fatto stasera è frutto di un lavoro lungo compiuto dalla lievitazione, di pazienza, e sono riuscita a sentire e a vedere tutto questo perché l'ho fatto con le mie mani. Sono stata testimone di una trasformazione. Credo che questo abbia un valore.

venerdì 6 maggio 2011

Tornare sui propri passi

In genere, quando si dice "tornare sui propri passi", nella maggior parte dei casi, si intende il significato figurato, la metafora da applicare ad una qualche decisione presa. Vorrei però provare a immaginare la scena: vedo un soggetto che ad un certo punto, mentre sta camminando, si ferma per un qualsiasi motivo, e quindi, compiendo un mezzo giro su se stesso, cambia la sua direzione in modo da proseguire il suo percorso, calpestando le impronte poco prima impresse sul sentiero. Questa è un'azione che il soggetto compie, e credo che ci sia più di un punto di vista tramite il quale poter analizzare la cosa. Credo anche che ogni singola interpretazione metaforica abbia la sua radice nel come si pensa che stia agendo il suddetto soggetto. Per esempio, il fatto di avere compiuto un mezzo giro per ritrovare le proprie orme da ripercorrere può anche non avere una connotazione negativa. Ho sentito spesso giudicare chi torna sui propri passi come un codardo, oppure come una persona che non sa difendere con orgoglio le proprie decisioni, quindi si pensa che si tratti di debolezza. In realtà credo che tutto discenda dal motivo per cui si torna sui propri passi. Credo anche che talvolta il non tornare sui propri passi sia altrettanto giudicabile. Quindi essere ostinati o essere codardi in fondo possono avere radice comune, l'uno procede senza timore, sempre avanti, rifiutando di considerare la quasi necessaria moderazione dell'opzione del tornare sui propri passi, e l'altro, se davvero agisce sempre sotto l'influenza della paura, torna spesso indietro scegliendo questa come opzione principale del suo procedere. Ma tornando al discorso della connotazione negativa o positiva della cosa, in realtà, l'azione compiuta, se analizzata per se stessa, è soltanto mettere sempre un passo dopo l'altro, comunque, poiché anche se il soggetto sta calpestando le sue orme, egli sta ancora andando avanti nel tempo. E' il tempo a fare fede sul senso del procedere, non lo spazio. Lo spazio permette di rendere ogni gesto una metafora, il tempo rimane se stesso incorrotto. Se si ha uno spazio ristretto a disposizione nel quale camminare, si otterrà il pensiero che si stia girando in tondo o che non si vada da nessuna parte, ma in entrambi i casi il tempo continua a scorrere e il soggetto, pur tuttavia, procede. Ecco perché qualsiasi percorso, anche l'apparente rimanere stagnanti in qualche luogo della mente, è pur sempre un percorso di esperienza di vita. Non si può giudicare percorso solo ciò che sembra dipanarsi linearmente, qualche volta è importante riuscire a pensare che anche stare fermi è un percorso. E' il tempo che, trascorrendo, permette al frutto di maturare, ma il frutto resta pur sempre appeso al ramo.
Un percorso fatto di impronte lasciate sul sentiero permette a chi le ripercorre di rivedere se stesso, e questo è solo uno dei punti di vista. Se si sceglie di interpretare questo tornare sui propri passi come una ricapitolazione della vita vissuta fino a quel momento, non esiste connotazione negativa, si sta imparando da se stessi guardando meglio ciò che si è compiuto. Magari così potremmo vedere cose che durante il percorso erano sfuggite all'attenzione, perché fatte senza pensare. Si attinge al pozzo interiore per migliorare il passo successivo, in qualsiasi direzione esso verrà posato.
Se, poi, riuscissimo ad osservare nei particolari la forma dell'impronta lasciata, potremmo comprendere che tipo di persone siamo, come camminiamo o quanto pesiamo. Guardando sempre avanti può non essere immediato capire questo.
C'è poi un altro significato nel tornare sui propri passi, lo si potrebbe dover fare per necessità. Pensate di aver appena superato il luogo che doveva essere la meta prefissata, e magari per inerzia o per distrazione siete andati avanti più del dovuto, la decisione più saggia, in questo caso, credo sia tornare sui propri passi per poter raggiungere il luogo scelto.
Se capitasse poi di arrivare al termine di una strada e vi fosse solo un muro altissimo e invalicabile si sarebbe costretti a tornare sui propri passi, fatta salva l'eventuale decisione di sfidare l'impossibile e andare comunque avanti, ma questa è un'altra storia.
C'è poi la decisione, di tornare sui propri passi compiuti, senza costrizioni, né necessità, ed è l'atto più difficile da compiersi perché spesso è una parte del cuore che lo suggerisce pur andando contro i propri desideri di soddisfazione personale. Riconoscere ciò che è giusto va spesso contro il proprio ego.
Eppure, in tutti questi ritornare sui propri passi, non vedo nessuno che realmente sia tornato indietro, si è comunque, bene o male, andati da qualche parte. Ogni soggetto ha sì cambiato direzione, ma il tempo, come dicevo prima, non ha mai smesso di scandire quei passi. Così, lasciatemi dire che, se riuscite a svincolare la decisione di tornare sui propri passi, da qualsiasi connotazione negativa o positiva che sia, sarete liberi di compiere qualsiasi passo. E non importa che gli altri giudichino il nostro modo di procedere, purché in noi rimanga la consapevolezza che, comunque, stiamo lo stesso andando da qualche parte. Un ultima cosa da aggiungere a tutto questo discorso, vorrei che nessuna delle mie parole fosse travisata, specialmente queste ultime, perché nessuno si senta autorizzato a sentirsi tanto libero da compiere passi che vadano contro qualsiasi legge o rispetto della vita. R.B.Between

Una serata sul palcoscenico con Eleonora Cappelletti

Questa sera sono stata in teatro. Poltroncine rosse imbottite, posti numerati, il palcoscenico davanti, e gli spettatori in attesa che lo spettacolo cominci. Tra i vari volti alcuni appartengono agli amici. Una tra questi in platea, io, e l'altra lassù, Eleonora, insieme al resto della compagnia di attori. Si recita "Arsenico e Vecchi Merletti" tratto dall'omonimo film. Se fossi un critico teatrale definirei godibilissima la rappresentazione, ottimi tutti gli attori, ma da spettatore posso dire solo che è stato divertente e ben fatto. Una serata piacevole non soltanto per lo spettacolo, è stato bello vedere Eleonora lì sul palco, bellissima come sempre, e sempre più brava nella sua arte. Lei è un'attrice, lei interpreta, e quello che ho sempre pensato faccia la differenza, in questi casi, è la quantità di se stessi che viene messa nel fare ciò che si sta facendo. Eleonora mette tutta se stessa, il proprio cuore e la propria passione quando cammina sulle assi del palcoscenico. E non importa che questa volta o quell'altra abbia un ruolo principale o secondario, quando c'è brilla anche senza un riflettore puntato su di lei. Questo mi ha fatto capire meglio delle cose importanti. Il valore dell'impegno, il valore di credere in ciò che si fa anche se si può essere consapevoli che quel teatro l'anno prossimo potrebbe non esserci più. E se, in questo caso, mancasse il palco sotto i piedi, credo che non mancherebbe la terra, perché un artista che crede in se stesso e nel suo mestiere, insistendo, sono convinta che riesca sempre a conquistare il cuore e la mente del pubblico. Il teatro racchiude vita, emozioni, persone che prestano loro stesse per rappresentare qualcosa che possa far stare bene, divertendo, o possa insegnare, o possa meravigliare, o possa intrattenere in generale. Gli attori combattono in prima linea per mantenere presente, in noi che guardiamo, il concetto di vitalità, qualsiasi sia la rappresentazione in scena. Vitalità perché in teatro la tridimensionalità non ha bisogno di occhiali speciali per essere vista e ha una marcia in più, qui si "sente" con tutti i sensi. Gli effetti speciali non servono perché, speciali, sono tutti coloro che si esibiscono.

lunedì 2 maggio 2011

Tchaikovsky - Waltz of the Flowers (from Disney's with love)

La paura di compiere un passo

Oggi salgo abitualmente per mezzo delle scale mobili, ma quando ero bambina ne avevo paura. Ricordo molto bene il giorno nel quale decisi di affrontarle. Ero all'interno di un grande magazzino di abbigliamento. C'erano anche le altre scale, ma non volevo usarle. Ricordo che me ne stavo lì a fissare il loro movimento continuo e mentre le guardavo sentivo dentro qualcosa di fastidioso. Come se la volontà si fosse aggrovigliata, ma continuasse lo stesso a voler dare il comando alle gambe per muoversi, per montare sul primo scalino e, tuttavia, trovasse un ostacolo, dato che la mente ascoltava la paura impedendomi l'azione. Stavo lì ferma, senza andare avanti. Ricordo che quelle scale mobili non erano affatto silenziose, e il rumore contribuiva ad alimentare la paura di montare sullo scalino che incessantemente si ripresentava. Ricordo che ci fu un momento nel quale riuscii a fermare quel litigio interiore tra la volontà di andare e la paura che mi frenava. In quel momento, ricordo adesso, più in profondità c'era una volontà maggiore, che nasceva dal rifiuto di avere così tanta paura. Fu questa volontà, con la sua forza, a permettermi di salire finalmente sulla scala mobile. Scoprii così che era anche divertente farsi trasportare al piano superiore in quel modo, senza parlare della comodità.
Quando un bimbo impara a camminare è una conquista, è la sua prima volta, è il suo passo successivo dopo avere tanto gattonato. E' un passo compiuto, in più di un senso. Eppure non credo che un bimbo abbia paura a compiere un passo dopo l'altro, mentre fa conoscenza con la sua capacità di deambulare. Desidera muoversi camminando, anche se a livello inconsapevole, vuole mettere un piede dopo l'altro per andare da qualche parte. Crescendo, poi, si aggiunge consapevolezza ad ogni nostro gesto e inevitabilmente, qualche volta, non riusciamo più a stare al passo con la sensazione dell'incessante movimento della vita. E qui nasce la paura di proseguire, vuoi perché la percezione dello scorrere del tempo ci fa sentire vulnerabili come non vorremmo essere, vuoi perché percependo il peso della responsabilità inneschiamo questa paura, che blocca la capacità di decidere con disinvoltura come condurre il passo successivo, la questione da affrontare. Da adulti le scelte che ci coinvolgono profondamente, in virtù della loro potenzialità di sconvolgerci l'esistenza, o meno drasticamente e ben più semplicemente, di cambiarla comunque un po', sono passi da compiere. La paura è un componente naturale in questi casi. Una proposta di lavoro in una città diversa ti chiede di guardare pro e contro e di decidere secondo il cuore o secondo la necessità. Quando poi si sfiora la sfera dell'amore tra due persone, la paura di compiere un passo si amplifica. Questo non significa che le persone non si amino davvero, a volte, però, si tacciono sentimenti e si fa dietrofront perché si pensa di non saper gestire le conseguenze di ciò che potrebbe accadere, perché comunque la vita cambia. Si fanno ipotesi, è normale farne, per potersi organizzare la mente, per darle una pista sulla quale evolversi o solo camminare. Come sarà quando ci troveremo lì, in quel tempo, con quelle circostanze? Poiché sentiamo che la questione è importante diventiamo pieni di incertezze che rallentano il passo. Sembra quasi più vitale pensare al dopo piuttosto che vivere il presente e credere in esso tanto da nutrirsi di ogni certezza che vi troviamo. Se c'è sentimento, e si sta bene, perché, per esempio, pensiamo che potrebbe finire? Siamo d'accordo che potrebbe essere possibile, ma per quale motivo non pensare invece di impegnarsi a mantenere vivo il presente? Perché occupiamo la mente con l'ipotesi della sofferenza invece della gioia, dell'allegria? Io metto sempre in conto anche le cose brutte, le difficoltà, il dolore, lo faccio perché riconosco che queste cose sono parte delle manifestazioni della vita, ma se amo so che in questo sentimento troverò tutto ciò di cui ho bisogno per affrontare le vicende che mi si presenteranno. Un viaggio insieme diventa più   scorrevole solo se non diamo niente per scontato, se non ci adagiamo, il resto è ciò che fa parte del viaggio stesso con le sue luci e le sue ombre, né più né meno. Ecco che, se si parla di convivere o di sposarsi, questo passo sembra visto come la materializzazione di una corda che si stringe sempre più, fino a soffocare la libertà, o come una catena che limita i movimenti. Se si vede l'unione tra due persone in questo modo è perché, ipotizzo, si generano un cumulo di ipotesi su ciò che si potrebbe incontrare, magari avendo preso ad esempio altre coppie. Io credo che ciascuno faccia la sua storia e che solo marginalmente ci possano essere dei punti simili su come si manda avanti la vita, o su come si manifesta, e in ogni caso, non si può né si dovrebbe guardare gli altri per imparare a condurre i propri passi, non in questo caso. L'imitazione e la temporanea suggestione sono permessi soltanto ai bambini che devono imparare. I due componenti di una coppia dovrebbero riuscire a vedersi ed ascoltarsi, menti e cuori complici, per condurre i loro passi insieme, per creare la loro storia, la loro avventura nel mondo. Che importano le chiacchiere, i divieti, le discordanze altrui, stare insieme, anzi, scegliere di stare insieme, che ci si sposi o meno con un qualsiasi rito civile o religioso, è affare esclusivo dei due componenti della coppia. Io ho sempre pensato, e ci credo ancora, che se si ama veramente qualcuno, certe cose si mostrano poi con la loro vera natura di elementi insignificanti, inglobando il tutto in un'ottica più ampia.  Ho l'esempio dei miei genitori che, quando si sono sposati, non avevano nulla, pochissimo denaro, e poco da riceverne dai parenti, ma avevano l'uno nel cuore dell'altra e tanta voglia di andare avanti, seppure consapevoli di incontrare difficoltà materiali anche pesanti. Ma con questa volontà, loro ce l'hanno fatta, ed io sono qui con tutto ciò che ho, e con ciò che sono, ed ho potuto imparare. Magari anche loro avevano paura ad andare avanti, ma non si sono fermati, sono riusciti a vedere nella giusta ottica, e a distinguere tra le sciocchezze e le cose più gravi. Se si fossero lasciati fermare dalla paura del passo da compiere io non sarei qui. Sì, è vero, non conosciamo cosa ci aspetta, non sappiamo come sarà l'istante presente dopo la scelta, dopo il passo, sicuramente sarà ugualmente un presente, seppure diverso, poiché ci spostiamo nel tempo. Il susseguirsi di istanti simili non fa, automaticamente,  permanere le cose staticamente identiche nel tempo, né nello spazio. Tutto è sempre in continuo divenire, in continuo movimento, è la vita che lo permette e lo richiede. E se accettiamo di vivere, come possiamo non accettare di amare altrettanto pienamente? I dubbi che possono sorgere sono sollevati da questioni quotidiane e dunque in qualche modo risolvibili. La paura di compiere un passo dipende da come giudichiamo il passo stesso. Se crediamo che sia grande potremmo ritenerci troppo piccoli per affrontarlo. Se crediamo che sia difficile potremmo sentirci impreparati. Amare dovrebbe consegnarci le chiavi per inquadrare nella giusta ottica ogni questione da prendere in considerazione, così potremmo continuare ad andare avanti, nonostante tutto, con la forza per sostenere la consapevolezza che ogni passo compiuto, anche intriso di difficoltà, sia la vera ricchezza che ci accompagnerà sempre. R.B.Between

domenica 1 maggio 2011

"Innamoratevi"



All'interno di questo pezzo Benigni dice una cosa importante, secondo me. Dice:

"Vi dovete innamorare e diventa tutto vivo, si muove tutto..."

E' vero, quando ci si innamora, e non solo di una persona che potrebbe essere il nostro compagno nella vita, le cose cambiano, tutto si mette in moto al ritmo del cuore. Una cosa che risveglia l'entusiasmo ha questo potere. E l'amore è un qualcosa inspiegabilmente efficace.
Nel caso di due persone che si amano, quando una sorride all'altra, il calore sprigionato da questo semplice gesto va a scaldare tutto il corpo, non solo il cuore. Quando si sta accanto alla persona che si ama si sorride dentro senza un motivo particolare, si è solo felici per questa vicinanza. Si sente il sangue che circola più fluidamente insieme alla gioia. Se ti sorride la persona che ami inizi a sognare, a camminare più speditamente, senti in te una forza speciale che ti rende invincibile, ti ritrovi capace di affrontare cose che normalmente rimanderesti a domani. Ti scopri poeta anche se non sai scrivere una riga di senso compiuto. Ti senti capace di volare. Ti senti bene. Ti viene voglia di migliorare te stesso. Se ti innamori profondamente di qualcuno, poi, impari a leggere dentro di te, tra tutte le righe che hai scritto durante il corso della vita, e scopri che riesci a vedere anche i difetti che adesso fanno sentire la loro scomoda presenza. Quando dentro ti scorre l'amore ogni cosa stupida, o stantia, o annodata, arruffata, viziata, subisce l'impatto dell'amore rivelandosi. Il potere dell'amore è come un bagno rigenerante che ti migliora senza dubbio. Parlo dell'amore profondo, quello che ti smuove fin nelle fondamenta, quello che ha il potere di ricostruirti ogni volta dissolvendo solamente le cose superflue, lasciandoti nudo e forte nella tua semplicità.

Amare risate alcoliche

Salgo sull'autobus. Loro salgono sull'autobus. Io siedo in silenzio, ancora non si parte perché siamo al capolinea. Loro siedono e ridono. Ridono e parlano senza pensare. Si direbbe che si stiano divertendo, se non fosse per il forte odore di vino e birra che emanano. E tuttavia credo che si stiano divertendo comunque, nonostante noi, con le nostre facce disegnate da etnie varie, dalle nostre smorfie dovute a sbadigli, ai nostri silenziosi raccoglimenti in attesa di partire. Qualcuno viene contagiato dal loro ridere e commenta con un sorriso. Qualcuno non gradisce il loro modo di esprimersi e si sposta. Io ascolto. Chiudo gli occhi per un momento per ascoltare non soltanto con il senso dell'udito. Voglio provare ad andare un po' oltre. Nelle loro risate sento esserci la leggerezza artificiale data dal liquido alcolico. Sento che indubbiamente in questo momento sono allegri davvero, magari per una sciocchezza. Se mi lascio trasportare da questa leggerezza sento ondeggiare il mondo, attraverso il loro porsi in questo modo. Se li guardassi negli occhi vedrei solo il loro essere nel presente. Di per sé riuscire a stare nel presente è una cosa positiva, ma è come ti conquisti questa consapevolezza che fa la differenza. Se affidi il vivere nel presente, senza pensare a nulla che possa venire dopo, ad una sbornia, quando il "dopo" si presenta davvero come successivo presente da vivere, la forza e la presenza si disfano con lo svanire dell'effetto alcolico. E si consuma il fisico, ogni volta che tenta di accompagnare la mente piena di ebbrezza fin lassù, sui picchi di euforia. Leggerezza, che conduce fin lì insieme a risate prive di memoria e significato, ma che, in seguito, mostra se stessa con la sua vera veste di piombo. Non mi riesce di ridere con loro. Il mio andare oltre vuole sapere perché. Eppure questo perché non lo conoscerò mai. So soltanto una cosa, so che se stessi molto male, se mi mancassero cose importanti, piangerei tanto dentro di me da trasformare il mio grido disperato, in desiderio di ridere con tutta la leggerezza di un presente che poi svanirà, assieme alla memoria di se stesso e del motivo che lo ha generato. Non so se loro avevano dentro questo grido, però scommetto che per qualcuno la verità di questa mia supposizione si avvicina alla realtà. Non mi riesce di credere che si scelga di divertirsi in un modo così deleterio per la salute. Se vuoi vivere fai di tutto per continuare a vivere. Non riesco a credere che chi si sbronza, quando si risveglia con il mal di testa e il mal di stomaco, o quando scopre di avere il fegato a pezzi, sia felice della sua situazione. Credo sia più facile pensare che non riesca a trovare il motivo che lo aiuti a tirarsi fuori dal pantano. Non mi riesce di credere che non importi loro nulla, voglio credere che siano solo talmente stanchi per poter chieder aiuto in modo consapevole e che nel loro grido distorto, almeno per qualcuno, si nasconda la richiesta di una mano, di una considerazione maggiore. I motivi sono talmente vari per ciascuna situazione che ogni caso ha un suo specifico perché. Loro continuano a ridere mentre l'autobus parte. Non conosco la loro destinazione. Una bottiglia scivola. Ancora risate. Nessuno si permetterà mai di impedir loro di bere ciò che vogliono bere né quanto. Si dice che siano persone adulte e che ciascuno abbia libero arbitrio. Spero solo che le loro risate possano in qualche modo alleviare qualche peso o dispiacere o solo li intrattengano lasciandoli incolumi il più a lungo possibile poiché io non posso fare altro che scendere alla mia fermata. E parlare di loro.