giovedì 22 settembre 2011

Tenere le redini

Le redini servono al cavaliere per comunicare con la bocca del cavallo, per dirigerlo e per mantenere il contatto con lui. Ricordo la prima lezione di equitazione, l'istruttore ci insegnò l'importanza di tenere correttamente le redini, la postura da mantenere usando una sella inglese, la posizione delle gambe e la lunghezza delle staffe. Non è facile imparare a tenere le redini. Durante la prima lezione, anche se non si ha paura dei cavalli, viene di riflesso aggrapparsi alle redini, cosa che invece non si deve fare. Le redini non sono una maniglia o un salvagente, sono ciò che abbiamo a disposizione per comunicare con il cavallo (oltre alla pressione delle gambe) che viene addestrato a riconoscere questo linguaggio convenzionale. La prima lezione fu lunghissima, faticosa e piena di errori. Le redini sono delle strisce di cuoio e le mani devono tenerle saldamente per poter assecondare il movimento, poiché la testa del cavallo, durante l'andatura, si muove. Un avvertimento, siate sempre pronti al movimento brusco della testa che va a terra per distendersi o per brucare dell'erbetta. Non sapendolo mi sono trovata quasi scaraventata a terra perché tenevo le redini troppo strettamente e pretendevo di resistere alla forza del cavallo. Va da sé la riflessione che se si tengono le redini troppo saldamente, così come per molte altre cose, ci si irrigidisce, ed essere in tale stato di tensione impedisce la fluidità di ogni movimento nostro e del cavallo che avverte, tramite le redini che sono agganciate al morso, la nostra rigidità. Un cavaliere che non riesce ad essere fluido rischia di cadere. Non stringete troppo, immaginate che nelle mani le redini possano respirare, ma non lasciatele mai. Dall'altra parte ci sono redini tenute troppo mollemente, in questo caso non c'è comunicazione con la bocca del cavallo, e se l'animale non riesce a capire chi ha sulla sua groppa può non obbedire. E questo non è consigliabile. Comunque sia, tenere le redini troppo mollemente, in caso di strattone della testa del cavallo, o cambio di andatura, possono scivolare completamente dalla mani e allora diventa pericoloso. Si rischia di cadere anche in questo caso. Se ne deduce che è essenziale tenere correttamente le redini, non solo per esercitare il controllo sull'animale che vi ospita sulla groppa, ma per imparare qualcosa da riportare con voi nella vita quotidiana. Prima di tutto correggere il concetto di controllo per ricondurlo a quello di comunicazione, perché anche se in molti pensano che i cavalli siano meno intelligenti di altri animali si deve loro rispetto per lo sforzo di essere addomesticati e addestrati in favore delle attività umane, rinunciando alla loro libertà, e questo rispetto ha bisogno che si riconosca a questi splendidi e possenti animali una condizione di parità, possibile tra anima e anima, cuore e cuore, corpo bipede e corpo quadrupede, quella di cavallo e cavaliere. I cavalli hanno personalità differenti come cani, gatti, esseri umani. Ho conosciuto cavalli ottusi, ombrosi, fieri, eleganti e docili, pazienti e con una gran cuore, giocherelloni, stanchi ma resistenti, e l'esperienza che offrono potendoli cavalcare è positiva. E il parallelo che la metafora offre, quella del tenere in mano le redini di qualcosa, rammenta che la padronanza conta, intendendo con padronanza l'abilità nel gestire, ossia ciò che si raccoglie per arricchire la propria conoscenza delle cose e di come si fanno, non solo l'imparare come comportarsi nelle varie circostanze. Il "controllo sulle cose" è una sfumatura scura di quello che dovrebbe essere il sano imparare il "controllo delle cose". Esercitare il potere della conoscenza delle cose, che serve normalmente per muoversi nel mondo, non dovrebbe comportare l'eccesso della morsa della mano consapevole del suo potere, anche se il potere può avere un gusto irresistibile per alcuni.

2 commenti:

  1. Ciao Rita, sono venuta a trovarti, ho letto qua e là qualcosa e poi sono stata attirata dalle prime parole di questo post...che mi hanno ricordato la prima metafora con la quale Edmondo Amichai Herskovits ci presentò l'Enneagramma: il cavaliere, quindi la nostra anima il nostro profondo sentire, deve saper condurre il cavallo, cioè la nostra incarnazione fisica con i suoi centri motorio -istintivo, emotivo e mentale e questo è il percorso più difficile ma anche il più bello e il più significativo che potremmo compiere in questo cammino terreno. Arrivare a sentire ogni giorno a sperimentare ogni giorno che abbiamo un corpo, ma non siamo il nostro corpo, abbiamo emozioni ma non siamo le nostre emozioni, abbiamo una mente ma non siamo la nostra mente...siamo molto di più, siamo luce. E' difficile, difficilissimo perchè infinite sono le cose che ci distraggono e in questo momento è molto tosto per me mantenermi in equilibrio e centrata....però questo è il percorso che voglio per me. Credo si possa avere qualcosa in comune cara Rita, grazie per essere a farmi visita. Un abbraccio Silvia

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    1. Ciao Silvia, grazie a te per essere poi passata da queste parti. Scusa se non ho risposto prima. Capire che non siamo ciò che abbiamo non è mai un percorso facile, ce ne rendiamo conto da soli non appena ci mettiamo a fare qualche passo su questo sentiero... ma continuare a camminarci è quello che rende la vita, per chi ha voglia e si sente pronto per comprendere, un cammino speciale. Vedere oltre l'apparenza, fatta di tutte le cose che prima sembravano l'unica verità, apre la mente e crea nuove possibilità per la consapevolezza e la luce da ri-scoprire. Contenta di aver trovato un altro prisma di conoscenza...

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