venerdì 30 novembre 2012

Quando il tuo amore non viene ricambiato

Se non avessimo il cuore che ci permette di vedere la vita con "occhi" diversi, perderemmo molta capacità di risoluzione, e molti particolari e sfumature si fonderebbero troppo gli uni con le altre con il risultato di avere davanti qualcosa che, alla lunga, non saprebbe più nutrirci in modo adeguato. L'amore è un argomento così vasto da perdercisi facilmente ma la bellezza di questo sta anche nel fatto che ciascuno contribuisce al discorso globale con la sua esperienza e con il suo punto di vista. Non c'è una regola né una legge entro questo spazio del cuore condiviso da ogni essere vivente, c'è solo ciò che viene vissuto. Ma la cosa importante è approcciarsi all'argomento con la consapevolezza che se si è disposti ad ascoltare l'oratore di turno bisogna ricordare che la vastità delle singole esperienze è difficilmente contemplabile contemporaneamente. E da ciò ne dovrebbe discendere che qui, entro questo spazio di ricerca e comprensione, i giudizi non sono ammessi. Solo l'ascolto e la condivisione lo sono come se tutti gli esseri viventi fossero insieme in cerchio. Nessuno ha di più o di meno di un altro membro del gruppo di ascolto, ha solo la sua esperienza da raccontare così che qualcuno, ascoltandola, potrebbe trovare un tassello in più per comprendere la propria storia. Dell'amore comprendo questo perché comprendo che gli esseri viventi custodiscono ciascuno una sfumatura ed è osservandola che possiamo comprendere gli altri e noi stessi, specialmente quando l'argomento è vastissimo date le sue ramificazioni come fosse l'albero più grande e più vecchio mai esistito. I rami sono coloro che vivono le proprie esperienze ma la radice comune è la consapevolezza che il cuore è uno e funziona nello stesso modo per chiunque. Solo le esperienze diversificano fino all'impensabile le sfumature in modo da crearne di uniche.
Se molte delle sfumature nascono dall'amore accolto e ricambiato altre ne nascono da quello che non viene ricambiato. Entrambe le strade possono insegnare qualcosa. Per il momento i miei piedi hanno camminato sulla strada dell'amore non ricambiato e devo dire che per ciò che ho nel cuore il terreno non è soffice. Ad un certo punto del cammino poi ho deciso di togliermi le scarpe perché volevo sentire quanto duro fosse camminarci sopra per non arrendermi alla prima facile decisione alternativa. Ho tolto le scarpe non per masochismo o per ferirmi o per punirmi di qualcosa volevo solo accettare con tutta me stessa ciò che la vita mi presentava e questo non è stato indolore. Ho scelto di andare avanti lungo questa strada ascoltando costantemente ciò che avevo nel cuore e sono state infinite le volte in cui sono tornata al suo cospetto chiedendogli che cosa custodiva in sé. Gli ho chiesto fra le lacrime perché e perché sentivo ciò che sentivo verso quella data persona e più scavavo fino a farmi sanguinare le mani per comprendere più mi ritrovavo in mano una radice profonda e forte che non sapevo spiegare. Ho combattuto per estirparla perché mi dava il tormento provare sentimenti per qualcuno che non mi ricambiava. Il combattimento tra sentirmi portata verso la persona e sapere che la realtà non concedeva di essere accolta è stato lungo. Ho cercato di non concentrarmi sul fatto che quando non piaci a qualcuno ti senti uno schifo totale e peggio ti senti quanto più la persona piace a te. Ti crollano certezze e la stima di te stesso vacilla. Essere rifiutati è una botta che ti rintrona. Ma ho pensato che non avesse vero valore stare a rovistare in questi sentimenti depressivi anche se ci sono rimasta dentro per un po' prima di venirne a capo. Ed ogni volta che ho incontrato delle soglie che mi avrebbero portato lontano dalla vera essenza di me stessa e lontana dal mio cuore ho scelto di continuare a piangere, per il momento, finché non avessi capito davvero come poter gestire i sentimenti che abitavano in me. E qui parlo di scelte, delle mie sfumature, di ciò che avevo dentro di me e che ha determinato una direzione piuttosto che un'altra. Masticavo un boccone durissimo da mandare giù, ma non mi sono arresa perché ogni volta che stavo per rinunciare a masticarlo mi sembrava che avrei potuto perdere una parte importante di me. Non sapevo il perché né lo capivo ma sapevo che era così quindi ho continuato nella stessa direzione ostinata e sempre avendo vento contrario. Il vento delle opinioni altrui. Poi, forse perché qualcosa dentro era maturato da sé, mi sono trovata a pensare che parte del mio dolore nasceva anche dal voler dimostrare agli altri cosa provavo per cercare di spazzar via almeno un po' dell'incomprensione per i miei sentimenti. Egoistica visione poiché gli altri vedevano anche i sentimenti dell'altra persona e ovviamente non potevano dare ragione a me. Io mi ci incaponivo su questa cosa perché mi sembrava vano anche ciò che provavo confrontandolo con il pensiero altrui. Come se adeguarmi a tali opinioni o consigli sul guardare altrove cancellasse il mio cuore. E' così che mi sono sentita. Ho smesso di sentirmi così quando ho capito che per essere me stessa dovevo smettere di negare ciò che ancora provavo a dispetto di tutto e quando ho capito che in verità dell'opinione altrui non mi importava granché, poiché non era con quella che mi trovavo a convivere costantemente ogni giorno, sono stata meglio e più in pace. Nel cuore però c'era ciò che c'era, che fosse piaciuto o meno agli altri o che l'avessero capito oppure no. Infine non ho accolto il consiglio di guardare altrove, di cercare qualcun altro per il semplice fatto che, per come sono fatta, non mi piaceva ingannare nessuno, né il mio stesso cuore per primo, né il cuore di chiunque altro avrei guardato solo per cancellare il ricordo precedente. Questa cosa non fa per me. Così mi son trovata un nuovo problema da affrontare. Dove sistemare tutto ciò che si prova per qualcuno non essendo ricambiati? La soluzione è lasciarlo dove sta e fare un lavoro di adeguamento di ciò che siamo tutto intorno. In altre parole si impara a domare l'impulso a voler dare questo amore al "legittimo proprietario" e si vive ogni giorno usando la consapevolezza del proprio cuore come fosse una inesauribile fonte di calore come infatti è. Che l'altro ci sia o non ci sia rimaniamo noi con ciò che proviamo, tenendo a mente i limiti che l'altro impone, perché anche se siamo esseri umani, e questo talvolta può giustificare certe pulsioni ma altre volte no, dobbiamo la nostra comprensione a chiunque sforzandoci, anche se questo genera battaglia interiore.

L'amore forte forte

Il titolo è lo stesso di un libro illustrato per bambini, ma anche per grandi direi. Si tratta de "L'Amore forte forte" di Loredana Frescura illustrato da Gek Tessaro, Ed. Fanucci. Quando trovai questo libro fu il titolo a colpirmi perché mi arrivò dritto al cuore. La storia racconta di un ragazzo che abita in una valle e della sua amata che abita invece in cima ad una montagna. Il ragazzo ha però paura dell'altitudine ma tanta è la voglia di vedere il suo amore che decide di incamminarsi verso la cima. Quando arriva non la trova e si mette a piangere. Incontra il vento, le stelle, l'albero e ciascuno gli chiede il motivo della sua tristezza. Il ragazzo quindi riceve in risposta un consiglio da ciascun essere che incontra durante il suo cammino. Decide allora di lanciarsi dalla montagna, per poter tornare a valle vincendo così la sua paura dell'altezza, appeso al suo fazzoletto pieno di nodi per ricordare le cose che gli sono state dette, e vede che pure la sua amata è quasi arrivata a valle poiché anche lei voleva ritrovarlo con tutto il suo cuore. Allora insieme toccano terra e possono finalmente abbracciarsi.
Questa è una storia che racchiude in sé un bellissimo messaggio di speranza e al tempo stesso è una verità. Quando portai a casa con me questo libro avevo una voglia immensa di incontrare una persona che stranamente, a dispetto di tutto, ho sempre avuto nel mio cuore. Per questo motivo leggere tale storia mi faceva stare meglio dal momento che nella mia realtà non c'era alcuna speranza di riallacciare un qualunque discorso né di iniziarne uno nuovo. Ancora oggi, quando vedo la sua sagoma da lontano mi tocco il cuore per sentirne i battiti, per calmare il mai spento desiderio di conoscerlo davvero. Conoscere il suo pensiero e il suo cuore vero non soltanto attraverso i palpiti di un cuore innamorato. E un cuore innamorato di solito tende a non essere troppo obiettivo. E' questa consapevolezza che mi ha fatto sempre andare anche troppo oltre talvolta per conoscere, nel quotidiano, la persona che abitava il mio cuore. Volevo colmare le distanze, volevo raggiungerlo in ogni modo perché mi mancava non aver nemmeno un dialogo con lui. E avevo paura di perdere qualcosa di tanto caro al mio cuore che ho stretto forte forte forte... Più era la paura e più stringevo e correvo per andargli incontro. Ma che non facevo bene a fare così è ormai storia vecchia. Le scuse non sono più concesse né lo sono state mai. C'è solo il presente, adesso, fatto di sensazioni ben vive e profonde, di incredibile voglia di andare ancora a cercarlo, in certi momenti, e di altre volte in cui me ne sto tranquilla pensando a tutti gli errori passati impedendomi di commetterli di nuovo per immensa stupidità. L'amore è forte forte ancora e più cerco di spiegarmelo meno riesco a trovare le parole ma se ascolto soltanto quello che c'è dentro di me trovo tanto, sempre tanto e non lo posso negare. Ma ci posso convivere tenendolo in me, avvolgendolo in me perché forse non sarà mai una bandiera da poter spiegare al vento come avrei voluto che fosse. Come quando hai tanta felicità in corpo da non poter fare a meno di metterti a gridare o raccontare a tutti come ti senti. Forse per condividere, forse perché è tanto ciò che senti dentro che non c'è abbastanza spazio in te per tenerlo lì. L'amore forte forte, quando ami qualcuno, è uno strano modo di sentirsi che ti cambia i connotati dell'anima. R.B.Between

martedì 27 novembre 2012

Il disegno della vita

Dal momento della nascita in poi, ciascun essere vivente, è una summa di azioni. Ogni azione determina una risposta di conseguenza, è così che il mondo si muove, e l'essere umano ha la possibilità di rendersi conto di tali azioni, aggiungendo al movimento della vita un fattore in più. Diciamo che in genere è così. Se però ci si abitua a considerare le cose come fossero in scomparti separati le azioni potrebbero non essere facilmente messe in collegamento tra di loro. Molti sono i motivi che portano ad escludere la visione d'insieme a partire dal più semplice di tutti, l'importanza che diamo a ciò che stiamo facendo, dicendo, vivendo. E questa importanza è talvolta collegata all'ego. Ego ed orgoglio impediscono spesso la visione panoramica di qualcosa, ma al di là del giudizio positivo o negativo su ciò, le azioni o i pensieri sui quali siamo comunque concentrati disegneranno la vita con un tratto apparentemente più marcato. Ciò che vediamo con la volontà e la presenza in noi, nel bene o nel male, avrà un impatto più incisivo nella memoria che ci portiamo dietro. Siamo abituati a sottolineare le scelte, i traumi, le celebrazioni di noi stessi, tutto ciò che possiamo vedere, perché è la realtà con la sua portata di concretezza che induce a sottolineare queste cose. Questi fatti appartenenti al quotidiano sono l'inchiostro per il disegno della vita e non si potrebbe mai negare che possa essere vero il contrario. Una cosa visibile, tangibile, diventa innegabile e viene usata come pietra da costruzione, nonché come pietra di paragone. Di conseguenza qualsiasi cosa che facciamo è innegabilmente un tratto del disegno di ciascuno, che diventa visibile anche per gli altri. E questo ha i suoi lati positivi e negativi. Il mondo è pieno di esempi di ogni tipo ai quali ci riferiamo per creare un dialogo con i nostri simili. L'imitazione è uno dei primi passi di un bambino che esplora il mondo... Scusate se scivolo via spesso da ciò che vorrei dire veramente ma catturare i concetti, stasera, non è facile... Ciò che inizialmente volevo dire è legato al fatto che, se si immagina di escludere qualsiasi credo o credenza, la vita realmente ci appartiene come un disegno che sta solo in mano nostra. Non ho mai condiviso il pensiero che la responsabilità o l'innesco di alcune conseguenze appartenga a qualcun altro che non sia io stessa poiché comunque, anche se sono innegabilmente immersa nella trama della vita, non sono un essere inerte. Ma non solo, penso anche che il disegno della vita non sia costituito solo da una serie di tratti visibili, creati per mezzo delle azioni che si ricavano un posto nella realtà comune condivisa, ma anche da tutti quei tratti meno visibili, determinati dall'aver lasciato perdere qualcosa, dall'aver lasciato che corresse via senza farci nulla, laddove abbiamo guardato altrove voltando lo sguardo per un qualsiasi motivo. Il primo impatto con questo pensiero è di vedere che non è facilmente riconoscibile come "nero su bianco", come risultano invece le azioni che abbiamo curato e scelto di far esistere, infatti queste ultime, esistendo, continuano a generare altre azioni più o meno direttamente collegate, mentre i "no", o la stessa accettazione di ciò che non è possibile che avvenga per il momento, creando una sorta di vuoto, lasciano dello spazio talvolta anche ad azioni non necessariamente ad esse consequenziali o semplicemente lì ci resta uno spazio "vuoto". Al secondo sguardo questi apparenti vuoti nella linea del disegno appaiono invece visibili perché anche quando si lascia perdere o si smette di guardare qualcosa si è scelto di farlo. Superficialmente sembra che ciascuno sia frutto di scelte proprie e colpe altrui ma come ci determiniamo è, e rimane sempre, una scelta personale, sia che ci si renda conto sia che si viva parte della vita, in questi tratti, inconsapevolmente. Anche lasciare che sia, nel bene o nel male, porta una conseguenza che però può non essere vista subito. Ci sono cose che abbiamo scelto di fare o di non fare, di interpretare o di lasciare lì come un abito smesso, che potremo anche non vedere mai se non andiamo ogni tanto a cercare dentro di noi una risposta la cui domanda nasca dall'aver osservato l'intorno, meglio ancora senza giudicarlo, solo avendolo osservato per metterne insieme i pezzi, fossero questi anche, temporaneamente, senza un senso preciso. Il disegno della vita non è uno schema obsoleto è solo ciò che siamo e nessuno è insignificante. Rendersi conto di avere in mano la penna che lo sta disegnando può rendere felici, leggeri, preoccupati, paurosi, orgogliosi, coraggiosi o timidi, o può non importarci ma non riesco a credere che la vita non sia capace di far inamorare di sé chi la frequenta. Prendere in mano la propria vita è faticoso così come è difficile guardarsi allo specchio. La ricchezza immensa di ciò che abbiamo dentro non è facilmente quantificabile e scavare dentro alla ricerca di questo strano tesoro prende tempo e richiede energia. Da bambini ci hanno insegnato a scrivere, a tracciare sulla carta, seguendo le righe o i quadretti, dei segni. Proseguendo nell'esercizio ci è stato insegnato a mettere insieme le parole per formare le frasi, dunque i periodi più lunghi fino ai temi. E' l'insieme di pieni e vuoti che crea il tutto e lo rende decifrabile come vale per luci e ombre all'interno di un disegno.

domenica 18 novembre 2012

Voltare pagina

Con questa semplice mossa si possono ottenere due risultati. Se stiamo leggendo un libro, voltando pagina, possiamo leggere il proseguimento del testo, mentre se stiamo usando tale frase come metafora, voltando pagina otteniamo un cambiamento che sottintende la possibilità, così facendo, di non vedere quello che c'era nella pagina precedente. Voltano pagina coloro che hanno sofferto per qualcosa o per qualcuno e, per continuare a vivere cercando di non soccombere al dolore, ritengono utile, nonché saggio, voltare pagina. Voltare pagina è distrarsi sostituendo un pensiero o un modo di fare per recuperare se stessi, non sapendo bene se un giorno si vorrà mai riaprire la pagina che per il momento abbiamo voltato, per rileggere qualcosa rimasta scritta lì. Talvolta succede anche di rileggere l'intero capitolo e non solo la singola pagina. Personalmente non riesco a pensare la vita per capitoli o pagine ma se di pagine ce ne fossero per me ne esisterebbe solo una. Di misura illimitata affinché accolga tutto ciò che ho da scriverci sopra o da disegnarci, ma solo una, com'è unica la vita. Ho combattuto e combatto ogni volta che le circostanze dolorose vogliono indurmi a cancellare la memoria dell'accaduto perché credo che ogni cosa, bella o brutta che sia, faccia parte del disegno che stiamo tracciando su quell'unica pagina. E avere una sola pagina a disposizione, come accade con la vita, rende prezioso ogni avvenimento e insegna ad essere meno superficiali e meno disattenti poiché non sono concessi troppi errori. Voltare pagina è un lusso per come vedo io la vita ma in ogni caso, anche se potessi permettermelo, non lo sceglierei. Convivere con le cose dolorose, se da una parte fiacca, dall'altra è pur vero che tempra, ammesso che si desideri non soccombere. Dimenticare o sostituire solo per non soffrire lo ritengo disonesto nei confronti di me stessa e nei confronti della cosa che ho preso in sostituzione poiché vero né sincero sarebbe il mio sentimento. Così chi sceglie di avere una sola pagina a disposizione deve imparare a non aspettarsi la comodità che offre invece il voltare pagina temporaneamente o per più tempo. Trovo così speciale la vita che non ho voglia di chiudere gli occhi quando incontro dolore ma non è facile continuare a disegnare sulla stessa pagina. Se la memoria non si spegne né si sospende né si intrattiene con qualcosa di diverso il tempo di recupero aumenta ma si incrementa così anche il senso della dignità. Recuperare me stessa rimanendo consapevole dell'evento precedente è tra le prove più difficili che ho incontrato sulla mia strada ed è un cammino che ancora esiste. Questa scelta però, poiché di scelta si tratta, mi fa stare bene con me stessa anche se so che il tempo guarirà lentamente le ferite poiché al posto di un cerotto in attesa che le cose accadano da sole, io so che vorrò metterci dei punti di sutura, ciascuno proveniente da una consapevolezza ricavata dalla riflessione sull'accaduto. Così quest'unica pagina mi permetterà sempre di avere la visione d'insieme e potrò usare qualsiasi punto del disegno per scoprire come sono fatta.

Lo spazio segreto dello scrittore

In fondo anche il tempo è una sorta di spazio particolare e per chi scrive è fondamentale. Uno scrittore non ha paura di uno sgabuzzino purché abbia con sé qualcosa su cui poter scrivere ma se manca l'altro spazio speciale, il tempo, inizierà ad agitarsi. Pur non essendo davvero una scrittrice per me è così. Quando i pensieri si allacciano gli uni agli altri lungo la via nasce un concetto, nascono frasi, nascono le parole che servono per condividerlo. Uno scrittore scrive così come un cantante canta, arriva un punto nella vita nel quale non si può fare a meno di riversare all'esterno ciò che si ha dentro. Eppure tutte queste parole nascono nel silenzio in un tempo sospeso dentro lo spazio che lo scrittore crea in sé. Così lo spazio segreto dello scrittore è la sua nicchia da dove si mette in osservazione del mondo. Non serve solo un discreto silenzio interiore per districare i vari pensieri, serve che ce ne sia a sufficienza anche tutto intorno. So scrivere anche in mezzo alla confusione se non sono troppo stanca ma ciò che preferisco è quello che ho adesso, il silenzio della notte, quando tutti, o quasi, se ne sono andati a dormire. Mi siedo comoda nel luogo che ho scelto per iniziare a scrivere e lascio vive le mani e la testa. Gli occhi vigilano la soglia tra questo mondo e l'altro dove inizio la pesca miracolosa nel fiume dei pensieri. Serve pazienza, la fretta è bandita da questo spazio e bisogna essere svegli e di mano veloce per seguire il volteggiare delle parole. Si cattura un pensiero che si lascia catturare e guai a cercare di prenderne qualcuno che ancora non ne vuole sapere di staccarsi dal ramo dove sta maturando. Se cerchi di coglierlo anzi tempo svanisce e la memoria si trova a dover raccogliere solo dei frammenti sparsi che non si legano gli uni agli altri. Certo, si possono ugualmente tenere da parte perché in futuro potrebbero essere importanti ma in quel preciso istante il pensiero che si voleva cogliere non lo potremo cogliere. Quindi fluidamente si continua l'esplorazione alla ricerca di qualcosa che ci riporti lì anche se dobbiamo passare da una strada differente, e prima o poi il pensiero che volevamo catturare torna magari maturato nel frattempo. Il silenzio suggerisce di porsi in ascolto piuttosto del contrario e quando si ascolta emergono spunti e parole che non credevamo di poter contemplare. L'esercizio dello scrittore notturno è l'ascolto di ciò che scorre sotto pelle, per imparare a portare con sé, durante il giorno, la capacità di vedere oltre l'apparenza. La luce forte del giorno crea ombre nette e definisce con altrettanta decisione tutte le cose che gli occhi fisici possono vedere, facendo passare in secondo piano le loro trasparenti verità. Lo scrittore raccoglie e accoglie quindi mescola poi assaggia e assapora per raffinare il distillato. Quando tutto è pronto lo scrittore filtra bene e lascia decantare poi offre al mondo ciò che ha creato con le sue mani e la sua testa. Ma senza il suo cuore, il risultato di uno scrittore, sarebbe insipido per chiunque volesse scoprire il riflesso di quel che ha in se stesso, così il dovere di ogni scrittore è quello di aver cura del suo spazio segreto, con amore, per poter condividere con gli altri un senso della vita, attraverso parole che rendono più tangibili i colori interiori comuni a ciascun essere umano. Ciascuno di questi spazi segreti è semplicemente un punto di vista, come una finestra sul mondo, che lo scrittore apre per tutti. R.B.Between

giovedì 15 novembre 2012

E' già più vicino

Siamo esseri umani. Camminiamo, parliamo, interagiamo con i nostri simili, possediamo cose. Ci sono permesse un'infinità di azioni dalle più semplici alle più complesse ma tutto ciò che c'è è separato da noi, se si vede il mondo dal punto di vista materiale. Questa "separazione" è il limite che abbiamo nei confronti degli oggetti. Ma l'essere umano ha anche una natura diversa, gestisce il pensiero e i sentimenti del cuore. Qui, entro questa sfera, i limiti tendono a perdere la consistenza materiale così, assottigliandosi, permettono esperienze che la materia non regala con altrettanta intensità. Ovviamente dipende dai punti di vista. L'immaginazione stessa è un esempio di come possiamo dirigere il flusso di evanescenze interiori e di come possiamo nutrire la mente usando le sue potenzialità percettibili eppur difficilmente definibili come materiali. E' più facile dire che il risultato di un pensiero o di una mossa del cuore sia materiale ma non è altrettanto facile dirlo del movimento interiore. Sappiamo che esiste perché molte volte siamo noi stessi il risultato di ciò che pensiamo così non ci interroghiamo oltre sulle possibilità di ciò che abbiamo dentro. Questa strana componente indefinibile, paradossalmente "materia" di studio per filosofi e pensatori, permette di fare qualcosa di speciale. Permette di avvicinare qualcosa che è distante da noi. E si adatta a restituire un risultato di avvicinamento sia che si tratti di qualcosa di immateriale oppure di materiale. Quando pensiamo qualcosa o ci mettiamo a contemplarla o la studiamo essa entra dentro di noi. E' dunque già più vicina fosse anche si trovasse lontana da noi milioni di chilometri come una stella o si trattasse di un concetto che ancora sfugge perché non lo sappiamo collocare magari entro uno schema mentale. Tutte cose lontane e apparentemente separate che si avvicinano a noi in virtù del fatto che le accogliamo mentalmente. Come accettare qualcosa, la sensazione principale cambia dentro di noi una volta che gli abbiamo trovato un posto. Ma non solo. L'idea alla base di questo concetto che cerco di condividere a parole nasce da uno scambio di frasi con una amica lontana che raccontava di stare a guardare le stelle. Belle e splendenti luci lassù. Io le ho risposto che amandole e accorgendosi della loro presenza aveva automaticamente ricavato un posto per loro dentro di sé così guardandole non le avrebbe sentite lontane lassù nel cielo ma sarebbero state assai più vicine e questo pensiero fa stare bene. E' la carezza dell'infinito che possiamo sfiorare con la nostra anima aiutandoci con l'immaginazione e con il demolire i limiti che ci impone la logica della realtà oggettiva. E saggezza impone, affinché le distanze siano cancellate, che si sappia ben amalgamare la realtà oggettiva,  tradotta nello stare con i piedi per terra, e la vita che concediamo all'immaginazione non smettendo mai di guardare oltre ciò che vedono i nostri occhi fisici. Anche le persone che ci mancano o non ci sono più, apparentemente sono lontane da noi se non scegliamo di puntare tutto sul fatto che custodire il loro pensiero dentro al nostro cuore le rende non solo più vicine ma le fa essere lì esattamente dove siamo noi in quel preciso istante. Se si ama ciò che si pensa sarà il cuore a gettare i suoi fili invisibili fino a raggiungere il punto scelto e a stabilire il contatto che renderà tutto più vicino.

domenica 11 novembre 2012

Guarda gli errori degli altri e correggi i tuoi

Devo il titolo di questo post ad una frase condivisa da un amico di Facebook. Mi piace. Come si usa commentare sul social network. E mi piace anche perché è ciò che ho fatto da sempre. Proprio per guardare i miei errori ho cercato gli errori negli altri, un po' per confronto, un po' perché pur commettendo errori simili non si commettono mai nello stesso modo e in questa differenza sta la possibilità di comprendere qualcosa in più. Prendere in prestito le esperienze altrui analizzandole contemporaneamente al lavoro che si può fare su noi stessi amplia le vedute. Ed anche noi siamo il possibile specchio per altri. Fin qui la strada è semplice. Facendo questo esercizio di osservazione a doppia pista, la nostra e l'altrui, però, si può arrivare a capire anche altro. La definizione di errore. Un errore è inteso come un qualcosa che è accaduto in un dato modo diverso da come si sarebbe voluto o da come avrebbe dovuto essere. Ma non solo, si capisce anche che ogni "errore" è un atto relativo a ciscuno e non sempre un errore per qualcuno lo è anche per qualche altro. Così ciò che si impara veramente da questa osservazione è che ciascuno ha una storia a sé e molte volte non è possibile né giusto giudicare. Ci sono errori irreparabili ed errori correggibili più o meno semplicemente e la loro eventule correzione discende da ciò che siamo e da ciò che vogliamo o comprendiamo oppure no. Riuscire ad osservare gli altri per capire se stanno commettendo un errore o meno è possibile se anche su noi stessi applichiamo questa vigilanza. E quello che l'errore individuato fa scoprire è che se siamo capaci di vederlo abbiamo abbastanza consapevolezza in noi per affrontarlo e correggerlo. Talvolta ci si rende conto di aver sbagliato in modo stupido e grossolano o peggio di aver commesso un errore difficilmente reparabile così può capitare di abbattersi percependo quello che consequenzialmente crediamo essere il peso di una sconfitta. Ma l'errore è solo un passo in una direzione che non avevamo considerato. La prima spinta per correggerlo è accettare che sia così altrimenti la convivenza diventa estremamente difficile. Il peso da portare non è la sconfitta ma la consapevolezza della responsabilità delle conseguenze. Tutti, in ogni momento, siamo soggetti a sbagliare le cose in qualche modo, vuoi perché non sappiamo come muoverci o perché crediamo di saperlo fare e ci muoviamo lo stesso senza considerare tutti i fattori. Commettere errori è la possibilità che tutti hanno per imparare a rimediare prendendo coscienza delle cose che stanno vivendo. Sbagliare dunque non è un errore poiché fa parte della vita quotidiana. L'atteggiamento positivo è desiderare di rimediare ed essere contemporaneamente disposti a concedere questo agli altri.

sabato 10 novembre 2012

Carta da lettere

Qualche giorno fa, rimettendo in ordine scatole e cassetti dal contenuto dimenticato, ho ritrovato delle vecchie lettere. Risalgono al tempo in cui non c'erano ancora i cellulari e la loro immediata possibilità di comunicare tramite messaggi o mail. Scrivere sulla carta usando la propria mano che tiene la penna seguendo i movimenti del pensiero è un'emozione. Lo era allora, perché in quei minuti si era a tu per tu con ciò che si stava provando e lo si metteva sulla carta impregnandola di noi e dei nostri palpiti mentali, e lo è adesso per confronto nostalgico. Questo è l'effetto che mi ha fatto ritrovare quelle vecchie lettere. Anche se uso sempre il cellulare o il computer per comunicare con gli amici e non ho più scritto lettere su carta da anni, non riesco a pensare che non ci sia più posto per carta e penna. Tutte le mie lettere dormono tranquille in una scatola di cartone decorata, raccolte in pacchetti legati da nastri e so che in qualsiasi momento potrei toccarle e sentire la loro esistenza materiale, tangibilissime testimonianze di pensieri altrui in risposta ai miei di quel tempo. Non avrei bisogno di elettricità, mi basterebbe la sola luce di una candela per leggere e fare un tuffo nel passato che ho condiviso con qualcuno. Credo che tutto sommato sia questo ciò che mi piace, il fatto che non siano virtuali messaggi custoditi lontano da me tramite codice binario. Come le foto, ne ho tante nella memoria del mio Mac e quasi nessuna su carta. Gli album dei ricordi con le foto stampate da negativi appartengono al passato ma sono riusciti ad arrivare egregiamente fin qui nel presente in attesa di essere sfogliati. Ma le lettere, quelle vere, dove dalla carta emergono le parole scritte di proprio pugno, sono obsolete. In via di estinzione, animali rari che in pochi desiderano salvare. Ciò che si crede non serva più e si pensa faccia perdere tempo, qualora ci si dedichi, con passo naturale va a scomparire. Eppure mi chiedo se sia una direzione giusta. Forse in parte è giusta per il risparmio della carta stessa, ma non penso che sia giusto per il rapporto con noi stessi. Le parole, è vero, raggiungono chi vogliamo sia tramite carta da lettere sia virtualmente e ciò che diciamo lo diciamo ugualmente attingendo da ciò che proviamo ma manca il sapore. Manca l'odore della carta, manca l'odore della colla dei francobolli e il suo sapore dopo averlo leccato per incollarlo alla busta poco prima di spedirla, mancano i gesti che tutto ciò comportava. Scrivere, rileggere e magari ricopiare se si erano fatti troppi errori, sentire la fatica nelle mani e le dita rattrappite se si scriveva davvero un fiume di parole a cavallo di pagine e pagine, queste cose non ci sono più quando si sceglie la strada di un mezzo di comunicazione elettronico. E questa nostalgia che sento, questa mancanza di qualcosa di speciale, è legata al fatto che non avere in mano la lettera alla quale ho affidato i miei pensieri mi fa sentire un po' di vuoto. Una lettera d'amore, poi, puoi portarla sempre con te in tasca anche se ti si rompe il cellulare e leggerla fino a consumarla per assaporare le parole che ti sono giunte. Una romanticheria di altri tempi :-) A parte ciò l'aver ritrovato le mie lettere mi ha fatto pensare a come il tempo scorra velocemente e a questa strana voglia umana di accelerarlo ancora di più con tutti i mezzi possibili, quasi a togliersi la possibilità di soffermarsi a godere di ciò che si ha nel presente, sempre ammesso che il presente abbia qualcosa per cui valga soffermarsi a contemplarlo senza soffrirne. Solo pensare che si desideri sfuggire allo stare male o al grigiore giustifica correre e correre senza fermarsi a guardare meglio sia dentro di noi che intorno, altrimenti non so, e non comprendendo pienamente questa strada a scorrimento veloce tendo ad amare le cose dal sapore antico e artigianale. Mi resta così un avanzo di buste colorate e di carta da lettere decorata, tante penne la cui anima d'inchiostro si sta seccando ma anche la voglia di scrivere nuovamente qualche lettera.

domenica 4 novembre 2012

Il vincitore è solo

La vittoria è una strana sensazione. Sensazione poiché viene percepita come uno stato d'animo dentro di noi, al di là di qualsiasi premio materiale che eventualmente potrebbe esserci. E non sempre una vittoria deriva da una gara. Talvolta la vittoria è la forma che prende la giustizia, talaltra è una semplice rivalsa. Ho scavato nella memoria alla ricerca del sapore delle sensazioni che io stessa ho provato in questa particolare circostanza e ne ho ricavato una risposta. Un pensiero che è una risposta ad una domanda che non avevo fatto. Eppure ho sentito che racchiudeva in sé una verità. Lì, in quello spazio occupato dalla consapevolezza di essere un vincitore, c'è il vuoto tutto intorno. Anche solo per un istante, prima che la folla ti acclami, intorno non c'è nessuno. E' lì che si trova la solitudine del vincitore. Il gradino più in alto del podio è lassù mentre gli altri sono più in basso. Si dice che questo serva ad evidenziare visivamente la vittoria. Una rappresentazione eloquente. Che questa nota assuma sfumature positive o negative dipende da come si ragiona. Pensare a questa paradossale solitudine mi infonde tristezza tirandomi immediatamente giù dal podio, reale o figurato che sia. In un certo modo mi permette di tornare con i piedi per terra nella più ampia consapevolezza del tutto e dell'intorno, che altrimenti dimenticherei facilmente, adagiandomi nel posto sulla cima. E non credo sia tanto difficile rendersi conto che stando in alto si possa perdere qualcosa. Da lassù si ammira il cielo da vicino, per quanto illusoriamente sia possibile, ma si smette di vedere la base che ci sostiene. L'immenso, o anche solo la grandezza di qualcosa distrae, forse perché in fondo siamo tutti ancora dei bambini che si meravigliano e rimangono a fissare lassù le nuvole o le stelle. Ma chi lascia che il proprio sguardo indugi nella grandezza, pensando che le piccole cose o le radici non servano più, si troverà prima o poi nelle vesti del vincitore solo. E' la semplice constatazione di chi osserva. Eppure un vincitore potrebbe non sentirsi mai solo, anzi. Quando si è totalmente nel centro di se stessi non si percepisce altro che una pienezza, mai un vuoto, né dentro né intorno. In quella che chiamo umanità, quella specie di indefinibile bagaglio di cuore e attenzione rivolta all'impegno per vivere in armonia con gli altri dando il meglio di sé, una vittoria non ha importanza. Quel picco di solitudine non vale la fatica che si è durata per ottenere il podio. Solo la giustizia che si manifesta al di là del nostro sforzo per ottenerla è una vittoria che si trasforma e non ci lascia solitudine intorno. Diventa gratitudine, diventa cuore o atto di rispetto. La vittoria che porta ancora questo nome si affila sull'orgoglio e il vincitore sarà ancora una volta solo, per breve o lungo tempo. La vittoria è solo un attimo fugace, e se permane è perché il vincitore alimenta la sua solitudine concentrando lo sguardo sull'altezza del suo podio. Il vincitore può sempre scegliere la sua strada, non perché ha vinto qualcosa o ha vinto su qualcuno, ma solo perché torna a camminare sulla terra trasformando la sua vittoria, dandole un nuovo nome perché anch'essa inizi a camminare con lui. Scegliere la direzione dipende da come e da quanto ci si rende conto di ciò che si prova nei confronti della vittoria. O della sconfitta.