sabato 30 agosto 2014

Se ce la fai tu posso farcela anch'io

"Se tu ce la fai posso riuscirci anch'io" significa che ci siamo messi sulla frequenza positiva del pensare e ci siamo aperti almeno un po' da dentro, abbiamo aperto gli occhi e li abbiamo usati per osservare intorno a noi gli altri. In questo mondo non ci sono soltanto esempi negativi, distruttivi, ci sono anche esempi luminosi, persone che con il loro modo di essere possono dare una mano a noi che ancora non siamo capaci di risplendere pienamente.
Siamo abituati fin da piccoli a prendere esempio da altri, da chi ci sta intorno in modo più prossimo: familiari e amici, ma vi sono molte altre persone da osservare, anche se non le conosciamo. Non serve conoscere qualcuno per osservare ciò che fa, a meno che non lo si voglia studiare dettagliatamente; possiamo imparare qualcosa anche al volo purché si sappia osservare col cuore e non col velo di qualsivoglia tipo di pensiero o pregiudizio. Anche se, osservando uno sconosciuto che passa vicino a noi, potremmo non avere la certezza che le sue azioni o le sue parole fossero veritiere, potremmo lo stesso osservarlo e sarà il cuore a suggerirci se la persona in questione è autentica o meno.
Spesso capita di sentirsi incapaci di fare qualcosa, o di sentirsi inadatti nell'ambito di una qualche situazione, e in quel momento scatta qualcosa, magari non è per tutti così, però quello che si agita dentro è il pensiero che nessun altro al mondo in quel momento si sente come ci sentiamo noi, o sta male come stiamo noi. E' naturale pensare così, è l'ego di ciascuno che crea tale pensiero. Se ci si potesse astrarre dal nostro essere preso nel vortice di pensieri, vedremmo che in un mondo tanto vasto come quello in cui viviamo, tanti altri pensano la stessa cosa di se stessi. Poi accade un piccolo miracolo: incontriamo uno che passa, anonimo essere che ci dà una lezione. Può trattarsi della sua forza d'animo o del suo modo di fare e la nostra attenzione viene catturata. Qualche giorno fa ero seduta su di una panchina adiacente ad un parcheggio e mi riposavo per via del dolore alla gamba. Di fronte a me una macchina, verso la quale si dirige un giovane su di una sedia a rotelle. E' la sua macchina e tutto inizia con lui che apre il portabagagli. Risponde "no grazie" ad un uomo che gli chiede se ha bisogno di aiuto, è gentile e sorride e mentre parla con l'uomo inizia a smontare con attenzione e precisione la sua sedia. Prima un pezzo, poi un altro, finché non rimane una versione alleggerita della sua sedia. Chiude il bagagliaio e si porta al posto di guida. Apre la portiera e sale su sempre con gesti sicuri, precisi, che mi hanno comunicato fino alla fine, fin quando non ha messo in moto e se ne è andato, una gran forza di volontà che non trasudava fatica alcuna. Forse il suo corpo faceva fatica ma non ve ne era traccia nel suo animo. Ha smontato la sedia pezzo per pezzo dopo essere salito in macchina, l'ha ripiegata dopo aver tolto le ruote e questa operazione lunga e controllata ha richiesto diversi minuti nei quali io, lì seduta, osservavo. Mi ha fatto un dono speciale questo giovane sconosciuto, mi ha fatto vedere il mondo attraverso i suoi occhi, seppure inconsapevolmente, e mi ha risvegliato la forza di un pensiero potente: se c'è qualcuno al mondo capace di fare qualcosa che noi riteniamo di non poter fare, allora quella cosa non è impossibile da affrontare. Non importa come ci sentiamo o se non ci sentiamo in grado di farla, ciò che conta è che un altro essere umano ci è riuscito e questo è un dono di speranza. C'è una fratellanza tutta da scoprire in questo strambo mondo, fatta di persone che condividono lo stesso terreno per fare esperienze che sono condivisibili, se ne parliamo. A turno possiamo essere colui che fa da esempio e colui che osserva e questa è una realtà di fatto quotidiana. Il giovane sulla sedia a rotelle del quale ho parlato, mi ha lasciato un esempio anche perché in quel momento non ero distratta da troppi pensieri, avevo uno spiraglio aperto nella finestra dell'anima che mi ha permesso di rivolgere uno sguardo all'esterno e avevo in me la consapevolezza di fondo che siamo tutti parte di una unità. Se non avessi avuto tali premesse dentro di me quell'uomo non mi avrebbe lasciato lo stesso segno, forse non mi sarei neppure accorta della sua presenza, o lo avrei osservato senza vedere nulla, anzi avrei potuto commentare che mi faceva pena in tale situazione, ma non è stato così. La differenza tra il pensare in un modo o nell'altro la facciamo noi con la qualità di ciò che siamo e che ogni giorno coltiviamo di noi stessi. Così per il pensare, così per l'agire di conseguenza. RBBetween

mercoledì 27 agosto 2014

Convivere con il dolore

Sappiamo che il dolore è sostanzialmente di due tipi: fisico l'uno e appartenente alla sfera dei sentimenti l'altro. Entrambi fanno male e qualche volta i loro estremi si toccano fino a confonderci sulla posizione del loro confine. Un dolore dell'animo può essere somatizzato e un dolore fisico può arrivare a incidere l'anima.
Il dolore è una presenza scomoda, ti consuma le forze, ti piega i pensieri e ti rende sofferente.
Io, da qualche anno, vivo con addosso del dolore, fisico soprattutto. Il rumore di fondo che mi accompagna ogni giorno, ogni minuto mi fiacca ogni volta che mi lamento ma mi fortifica quando decido di resistere e combattere. Qualche volta, è vero, vince il dolore, ma qualche altra vinco io e si va ancora avanti. Qualche altra volta ancora sospendo i combattimenti e mi riposo perché ne sento il bisogno ma mi chiedo anche se, in queste occasioni in cui getto la spugna temporaneamente, se invece continuassi a combattere a spada tratta, cosa otterrei? Mi stancherei di più fino a non saper come uscirne oppure diverrei invincibile? So soltanto che se volessi davvero scoprirlo dovrei provare.  Per ora penso che aver cura di me sia non esagerare, sia fermarmi prima che sia tardi ma in fondo ho paura. Se guardo indietro, nel passato, vedo il tempo in cui combattevo e basta perché volevo scoprire cosa c'era oltre il muro, la barriera che la mente crea o prende in prestito dalle opinioni altrui, vivevo per guardare oltre. Adesso il dolore mi frena e mi fa perdere la voglia di combattere finché non mi scrollo di dosso la sensazione della fatica immane da affrontare. Ogni giorno, quando mi alzo, la prima cosa che sento è il dolore e se guardo la giornata che mi aspetta sento in prospettiva tutto il male che mi starà attaccato e questo mi toglie il respiro per un attimo, poi mi alzo e ricerco la forza del cuore, il suo sorriso interno, il suo calore. Guardo nel mio cuore e vedo che ce la posso fare a fare altri passi anche se fisicamente spesso sono dolorosi per me. E' il cuore che insegna a convivere con le difficoltà sia fisiche che non anche quando è proprio il cuore a provare dolore.
Ammiro chi riesce ad andare ancora oltre avendo menomazioni gravi o chi custodisce dolori nell'anima e sa sorridere e non fa pesare mai se stesso agli altri.
 La sofferenza unita alla solitudine spesso fa gridare per attirare attenzione perché in fondo tutti abbiamo bisogno di un abbraccio, di carezze del cuore, così non sempre si sa essere eleganti nel dolore. Per convivere col dolore a due cose principalmente si deve prestare attenzione: la prima, a controllare il proprio grido fino a trasformarlo in sorriso non solo delle labbra bensì anche degli occhi e per far questo servono tenacia e coraggio nonché si deve saper imparare a chiedere aiuto senza disperazione quando serve davvero; la seconda, se ci si lascia andare, che lo si faccia ricordando di stare in guardia per capire il punto laddove rimettersi in piedi diventa estremamente difficile così da rifiorire in tempo, come è nella natura di ciascuno fare nonostante tutto.
RBBetween

venerdì 8 agosto 2014

Tra il pesce pescato e l'insegnare a pescare

Fin dal giorno in cui conobbi la storia che raccontava come fosse più saggio, se non lungimirante, insegnare a pescare, invece di fornire solo il pesce già pescato a qualcuno che aveva bisogno di mangiare, sono stata convintissima sostenitrice dell'insegnare. Ho sempre vissuto, da quel momento in poi lottando per insegnare. Se sapevo qualcosa che poteva tornare utile anche ad altri ai fini della conoscenza, la prima cosa che facevo, senza pensarci su un attimo, era condividere il mio sapere. Ho sempre fatto così. Tuttavia, quando fai qualcosa in cui credi fermamente, non ti chiedi mai se ciò che fai è davvero giusto. Sai a grandi linee che lo è perché a monte hai già indagato e sai anche che sostieni la cosa giusta ma non ti passa certo per la mente che il tuo insegnare, in certe occasioni, può non essere la cosa giusta, non almeno per quel momento o per quella circostanza. Così la tua scelta del bene, dell'insegnare per condividere la tua conoscenza, per insegnare la via per trovarla, in certi momenti può essere un atto di violenza o di egoismo. Ripeto, in certi momenti, perché è qui che sta la differenza, nel riconoscere tali momenti. Nessuna delle due parti dell'azione, fornire il pesce pescato e insegnare a pescarlo allora, se comprendi e riconosci il momento adatto, è migliore dell'altra. La differenza la fa il cuore che insieme all'intelletto capisce il tempo e ciò che possiamo fornire. La morale della storia è incentrata sull'affermare che se fornisci il pesce pescato a qualcuno, in certo qual modo, lo rendi dipendente da te e lo lasci inetto per il suo futuro; se invece gli insegni a pescare lo rendi libero perché da quel giorno in poi saprà cavarsela da solo, potrà mangiare anche se tu non sarai lì a fornirgli il pesce di cui ha bisogno per vivere. Il messaggio è chiaro ma arriva un giorno, come è accaduto a me, in cui ti vedi e ti chiedi se tutte le volte che hai scelto di insegnare la tecnica per pescare a qualcuno, chicchessia, gli hai fatto un favore. Quante volte, forse, non era compito nostro né il momento adatto per usare quel tempo a disposizione fornendo mezzi e parole bensì era il tempo solo di donare il pesce pescato. Personalmente ricordo le volte in cui ho insistito per insegnare piuttosto che dare il cibo e in quel momento la mia totale convinzione di compiere del bene mi ha impedito di vedere chi avevo di fronte. E questa è una dimenticanza grave quando si trasferisce la propria consapevolezza nel cuore. Se non riusciamo a vedere chi abbiamo vicino come possiamo averne cura? Troppo bene è forse perdonabile ma ad un certo livello di consapevolezza troppo bene o troppo male si equivalgono perché sono atti che danneggiano l'altro. Il cuore questo non lo permette. Così, se qualcuno ha bisogno del vostro aiuto, guardatelo bene col cuore e chiedetegli cosa desidera. Se quel giorno la sua fame ha bisogno del pesce per placarsi non discutete, andate a pescare e donategli il cibo, capirete in seguito se chi avete vicino ha bisogno di imparare a pescare oppure no. E a quel punto se custodite in voi la sapienza del pescare potrete condividerne i segreti oppure, se non è così, potrete cercare insieme di imparare a farlo. RBBetween