martedì 26 febbraio 2013

Giovanni B.

Solo il nome, con l'iniziale del cognome. Solo il nome perché il cognome definisce il personaggio pubblico e qui, in questo spazio che gli dedico, vorrei raccontare la sensazione che mi è giunta vicino avendolo incontrato, senza badare al resto. Non posso dire di conoscerlo ma ciò che si sente in sua presenza è stato sufficiente per suggerirmi di ascoltare. Di ascoltare senza guardare, per non giudicare, per non filtrare i pensieri tramite le maglie di un chi è. Giovanni, come molte altre persone, è qualcuno che si conosce per il lavoro che svolge. Ma è anche, e prima di ogni altra cosa, un uomo come tutti gli altri. Il suo passo è leggero ma la sua impronta non svanisce, resta lì e ti fa ancora pensare all'uomo e non al personaggio intriso del suo mestiere. E questo accade quando una persona ha dentro di sé la sostanza che sublima dal cuore. Lo spirito non manca e si diffonde tra la gente che gli sta intorno. Lui c'è per amore e per passione, se ho letto bene nella forma della sua impronta, e credo sia per questo motivo che ciò che dà di sé resta nella memoria altrui. Come accade un po' a chiunque, ci saranno quelli che lo amano e coloro che non possono soffrirlo ma questo credo sia  l'aggancio con la realtà che non si dovrebbe mai dimenticare, ossia che non ci sono mai realmente personaggi ma persone. Parlo di lui perché mi ha fatto tornare in mente qualcosa in cui credo fermamente, credo che sia importante guardare le persone al di là della loro superficie esterna, sia che questa venga costruita ad arte, sia che esista da sola come frutto delle reazioni del carattere. Poi accade di incontrare qualcuno come Giovanni che con la sua sola presenza in una stanza te lo rammenta. Direi di lui le stesse cose anche se non sapessi ciò che so del suo lavoro, quindi tengo a bada questa annotazione a margine e vado avanti. Ho visto un uomo che scrive parole bellissime, che fluiscono da un distretto dell'anima o anche del cuore, e le dona per amicizia anche se giurerei di aver visto solo un dono al di là dell'amicizia. Navigare tra le parole che i poeti conoscono, portarle a toccare la musica, unirle, mescolarle per farne melodia per tutti o solo per qualcuno, è l'attitudine interiore di un uomo che ha molte cose dentro da raccontare. Vale la pena, anzi, direi che è solo un piacere ascoltarlo. E un uomo, il cui guscio conosciuto può servire a molti per definirlo, che non si serve di esso per definirsi, si aggiudica un posto tra coloro che fanno l'esempio. Non l'idolo, non propriamente il modello su cui plasmarsi, ma una luce di riferimento. Riuscire a rimanere se stessi significa anche, in qualche modo, coltivarsi dentro piuttosto che fuori. Giovanni ha le sue timidezze, i suoi momenti migliori e peggiori, come tutti, ma sono sicura che la radice che lo contraddistingue sia profonda nel suo cuore.

lunedì 25 febbraio 2013

Rimanere umani

Stay human. Ho un'amica che ogni giorno pensa e scrive su facebook queste semplici e potenti parole la sera prima di dormire. Non si stanca mai di rammentarlo a chiunque. Ha ragione ed è da ammirare per questa sua costanza e perché il suo cuore, così, batte sempre anche per chi non è tutelato dallo stesso pensiero e modo di essere, per chi magari intorno non ha lo stesso raggio di cuore che possa permettergli di esistere. Semplicemente e basilarmente di esistere con tutto se stesso e con tutto ciò che è e che può essere ma, soprattutto, con ciò che potrebbe diventare se fosse possibile creare  opportunità di crescita e sviluppo personale. Ecco perché essere umani comprende non solo usare sempre il cuore ma anche pensare di creare spazi e opportunità per imparare. Essere umani è rendere liberi dentro. Essere umani è crederci sempre e dialogare. Uno dei miei sinonimi personali per definire il rimanere umani, e dunque l'esserlo pienamente al meglio possibile, è il concetto del venirsi incontro. Laddove vedo che ciò non accade, per me, non c'è umanità. Nella burocrazia che si ritiene costretta a mostrare di non poterci fare nulla non c'è alcun venirsi incontro. Nelle carte, se si fanno parlare solo ed esclusivamente loro, anche quando è palese la richiesta di aiuto da parte di qualcuno che sta davvero male, non c'è alcun cuore a meno che tra quelle righe non vi siano state scritte parole che inizialmente siano discese da esso. Rispettiamo dunque le leggi ma non smettiamo di ascoltare le persone. E le persone, anche se è faticoso riconoscerlo, sono casi singoli, non massa da trattare con la vista sfuocata che renda irriconoscibili i lineamenti di ciascuno. Guardare in modo superficiale le persone non comprende umanità. Tutti abbiamo bisogno di molte cose diverse e se non esiste il venirsi incontro esisteranno sempre discriminazione, preferenze, ingiustizie, definizioni di casta che ragionando a livello di cuore non hanno significato costruttivo alcuno. Dedicato a Terry. RBB

Guardare il male e non vedere il bene

Accade spesso, e non si capisce mai se avviene perché siamo portati a vedere le cose in questo modo per carattere oppure per abitudine. Se ci si basasse sui notiziari quotidiani sarei portata a pensare che è maggiore il male del bene un po' ovunque, ma non credo sia vero, poiché di avvenimenti positivi ce ne sono ogni giorno, fosse anche in ugual numero di quelli negativi. Il fatto è che forse non incidono le menti e i pensieri così come riescono a fare le notizie di natura negativa. Dunque la risposta potrebbe essere che l'abitudine a tanto male raccontato può arrivare a plasmare un po' il carattere. Il carattere come nota personale che, data la mole di fastidio generato dalla consapevolezza dell'esistenza di cose negative, invece di ribellarsi producendo luce per tentare di contrastare il buio, accetta inconsapevolmente e si adegua a ragionare in un dato modo anche e soprattutto per stanchezza. Questo è il mio ragionamento personale per capire per quale motivo ci siano persone che si focalizzano sul male, invece di ricordare sempre il bene per innescare un tipo di evoluzione interiore che porti a comprendere il senso del perdono, rivolto a se stessi e agli altri, e all'esercizio dell'umanità del cuore. Ovviamente dipende sempre dal punto di vista di partenza e dalle inclinazioni personali che trovano, intorno a loro, il terreno più o meno adatto a sviluppare le idee che già hanno in germe. Ci si concentra dunque sul male perché fa male? Potrebbe essere anche questo e di solito ci si arrabbia maggiormente con le persone che amiamo e che ci fanno stare male in qualche modo. Le ferite inferte da un amico fanno più male di quelle inferte da un qualsiasi sconosciuto. Solo che una volta accusato il colpo come si fa a non cercare di distendere il clima proprio in ragione dell'amicizia? Sempre che l'amicizia in questione coinvolga davvero il cuore. Dove c'è affetto e sincerità il dialogo non dovrebbe mai mancare. Offendersi e smettere di vedere i momenti positivi pieni di affetto o d'amore a favore della concentrazione del pensiero su un solo istante di dolore è inizialmente una reazione personale, da analizzare volendola in seguito affrontare, ma se continua diviene una scelta. E guardare il male con impeto e determinazione da offesa, fatte salve le ragioni che portano a ciò, resta la nuda verità del fatto che del bene si sospende l'osservazione e il ricordo. Oggettivamente un cuneo di dolore cancella un oceano di bene. Ma solo se glielo lasciamo fare. E questa temporanea cecità vale a livello singolo o globale. Il vero lavoro che inizia a fare il cuore, dal momento doloroso, è quello di non lasciare all'ego lo spazio per amplificare la ferita o per dipingerla con colori diversi da quelli con cui è stata disegnata. Perché si può partire per la tangente con la mente anche in questo caso e non solo quando si ricama su emozioni positive. L'una e l'altra parte, quando siamo colpiti dentro in qualche modo, innescano vortici di pensieri che si orientano verso la luce o verso l'ombra a seconda di come ci sentiamo. Cose buone fanno sognare e cose non buone fanno odiare. Quindi se intorno troviamo spesso notizie globali piene di male questo non dovrebbe essere la scusa per assorbirne l'influenza negativa dimenticando, per questa inerzia indotta, di credere sempre che il bene esiste, e può esistere a partire da noi che continuiamo a volercene ricordare nonostante tutto. Così in grande, per nutrire positivamente l'atteggiamento nei confronti della vita, un po' anche per non disilludersi continuamente ma soprattutto per non lasciare che accada causa terzi che neppure ci conoscono, così in piccolo, in famiglia o in amicizia o in amore per trovare il punto d'incontro e non gettare via in un lampo tutto quanto è stato, nato e vissuto coinvolgendo il cuore. RBBetween

venerdì 8 febbraio 2013

Quando il cuore si strappa

Accade. Talvolta accade e la sensazione che si prova è orribile. Rimanere vivi con tale ferita dentro strazia. E quando provi una cosa del genere, in quel momento, non hai parole per descrivere come ti senti. Si può scegliere di non parlare o si può parlare finché la voce non se ne va così da credere di poter mostrare almeno un granello di ciò che si prova. In realtà quasi nulla serve quando il cuore si strappa. Servirebbe che le cose tornassero a posto da sole come quando ci si sveglia da un incubo e si è felici di aprire gli occhi per vedere e toccare tutte le cose conosciute che ci confortano. Sarebbe semplice e sarebbe sufficiente, solo che purtroppo non accade. E noi con il cuore strappato ci ritroviamo da qualche parte a piangere come se le lacrime fossero il sangue e forse le lacrime sono il sangue del cuore. Il sangue dell'anima del cuore. Ce ne stiamo in un luogo distante dagli altri mentre stiamo così vicini a tutto e tutti ma separati da un muro trasparente su cui rimbalza l'anima. E non si smette di piangere. Si vorrebbe ancora sentire il calore, la vicinanza, l'allegria condivisa nei momenti spensierati. Ogni brandello di cuore strappato cerca l'altro capo aggrappandosi a tutto ciò che trova nella memoria per contrastare il rifiuto che in quel momento occupa tanto spazio dentro. Ma il non accettare la realtà dei fatti so, per esperienza, che è solo una fase e che se ancora una sola fibra di quel cuore strappato batte, vibrando dell'amore provato, la fase più dura e scura lascerà il posto all'inizio della guarigione. In questa guarigione speciale, però, ciò che rimane dentro al cuore, che si rigenera tramite l'amore che continua a provare, è un segno. Non è una cicatrice uguale a quelle che possiamo vedere sulla pelle quando ci facciamo male, è diversa, perché in essa custodiamo tutto quello che credevamo perduto e poiché le cose stanno così brilla di più. Ciò che passa attraverso la tempesta si offre al dopo come l'aria piena di goccioline che aspettano che la luce del sole le colpisca per renderle arcobaleno. Se qualcosa può essere fatta per chi soffre, quando si strappa il cuore, oltre alla vicinanza che faccia sentire il calore dell'affetto, si può offrire, come sto facendo adesso, parole che rammentino che non si è mai soli con tali sofferenze, poiché in molti più di quelli che crediamo le provano o le hanno provate. Sebbene per ciascuno l'intorno sia differente, in realtà le somiglianze eventuali non saranno altro che le sfumature che permetteranno di avvicinarci gli uni agli altri, abbastanza da sentirci capaci di abbracciarci per stemperare il dolore provato. Una cosa in cui credo, anche se per qualcuno discutibile, è che chi abita il nostro cuore è solo quello che é, al di là della sua forma o della sua natura. Il linguaggio che lega i cuori non conosce distinzioni, secondo me, e va oltre ogni apparenza rendendo chi amiamo solo e sempre chi amiamo. Punto. E se perdiamo chi amiamo il cuore si strappa. Punto. Il respiro dell'amore che rimane dentro di noi saprà sempre come rianimarci nonostante tutto. Da soli ce la possiamo fare ma serve una incrollabile forza di volontà, ciò che invece è meglio è non affrontare le cose da soli. Cercate chi può darvi una mano metaforicamente e materialmente e accettate ogni abbraccio che vi viene offerto se qualcuno ve lo offre. Se non siete così fortunati sappiate almeno che non siete soli mai perché, anche se in quel momento non vedete niente e tutto sembra orribile e scuro, qualcun altro da qualche parte nel mondo potrebbe avere il cuore strappato come il vostro o ridotto in peggiori condizioni. Che questo faccia parte della vita lo raccontano i saggi e coloro che lo hanno provato anche se si potrebbe dire che se ne potrebbe volentieri fare a meno per vivere la vita con più felicità. E la felicità è così effimera, in certi casi, che passare il resto del tempo a maledire l'accaduto non porta nuova felicità. Può far sfogare per un po' ma non è la soluzione. Quando passano davanti agli occhi le immagini dei momenti che non saranno più si sente tutto il flusso della malinconia mista al dolore. Farsene una ragione, in quei momenti, quando la ferita è fresca, non è possibile. Piangete se dovete, se quello è ciò che vi sembra giusto, ma rimanete con un dito del piede ancorati a terra per non morire, rischiando di farvi trascinare via dal fiume di lacrime. Non smettete di ascoltare il mondo, nonostante la sofferenza, e ricordate sempre che ciò che rimane nella memoria, anche se nei momenti peggiori scotta maneggiarla, è anche e soprattutto dentro al cuore che credete strappato irrimediabilmente. Ricordarmi di questo mi ha aiutato a trovare un po' di pace per sperare di non piangere immediatamente alla menzione di alcuni ricordi. Forse ciò che si ottiene col tempo è proprio il tempo, così da non piangere subito ma solo un po' dopo. Rita Buccini Between