sabato 30 aprile 2011

Libri abbandonati recuperati

Un paio di giorni fa, tornando a casa, ho visto che avevano lasciato dei vecchi libri al cassonetto per la raccolta della carta. Mi sono fermata, sono tornata indietro di qualche passo e ne ho preso in mano uno, erano dei vecchi romanzi degli anni Quaranta. Libri di quasi settant'anni fa. Qualcuno aveva la copertina sciupata, macchiata, con cicatrici dovute all'umidità, ad un paio di loro mancava, lasciando le prime pagine senza protezione adeguata. Non sono riuscita a ignorare il loro richiamo. Non sono riuscita a lasciarli lì, e se lo avessi fatto ora sarebbero solo carta da riciclare. Incontrandoli ho cambiato il loro destino. Li ho portati a casa con me. Seppure malconci, tutte le pagine sono ancora leggibili. Dovrò sistemarli, ma credo che poi sapranno regalarmi momenti interessanti in compagnia del loro contenuto. Erano libri abbandonati. Qualcuno, forse, ha giudicato che non fossero più interessanti. Un libro non smette mai di essere se stesso nemmeno quando è ridotto male, come un essere umano. Il valore che uomini e libri custodiscono al loro interno è la loro essenza e il loro messaggio, la loro voce, le loro parole, i loro pensieri. Non è sufficiente mai, in nessuna circostanza e in nessun modo, un difetto, per renderli abbandonabili. Forse, chi abbandona, sente di essersi liberato di una sorta di peso, ma il soggetto abbandonato soffre. In questo caso, la sofferenza di un libro è la sua sottrazione alla conoscenza, in tal modo il libro non può più contribuire a svilupparne, in coloro che leggono. Se si abbandona un libro lo si riduce al silenzio, e lui non potrà neppure rallegrarsi di ciò che contiene, non potendo leggere se stesso. La gioia di un libro è poter servire, è farsi leggere, è permettere di rammentare le cose, è insegnare, è tramandare. E non dimentichiamo la splendida potenzialità di un libro, lui, se un giorno mancasse la corrente elettrica, potrebbe ancora essere letto, a differenza di un testo conservato in una memoria elettronica. Un libro sa seguirti in qualsiasi luogo ed occasione e non servono altro che un po' di tempo, di silenzio e di cuore, per stringere con lui un'amicizia imperitura.

venerdì 29 aprile 2011

Unione reale



Il 29 aprile 2011 è la data del matrimonio tra due persone. Queste due persone sono il Principe William del Galles e Catherine Elizabeth Middleton, da oggi Duca e Duchessa di Cambridge. Il matrimonio avvenuto in mattinata nell'Abbazia di Westminster (Londra, UK) è stato ripreso dalle telecamere delle tv e trasmesso in diretta mondiale. Eppure, si è trattato soltanto di un matrimonio, una unione tra due persone che hanno scelto di camminare fianco a fianco nella vita. Né più né meno di quello che, ogni giorno, viene scelto come cammino comune da migliaia di altre persone. E' stato fatto il conto alla rovescia, in tv, nei dieci giorni precedenti l'evento, ogni giorno rammentando che ci si stava avvicinando alle nozze; si è tagliato e cucito verbalmente su tutto il contesto e i protagonisti; si sono fatte scommesse su quasi ogni cosa; si sono usate le immagini degli sposi per creare gadget vari; si è fatto business, eppure loro, William e Kate, sono solo due esseri umani che si sono sposati. Se mi lasciassi offuscare da tutto il contorno, quasi si trattasse di una nuvola di fumo, dimenticherei che un uomo e una donna si sono presi per mano e hanno unito i loro cuori. E' anche possibile che qualcuno si scandalizzi per il mio pensiero romantico, ne sono consapevole, ma nulla toglie la realtà del fatto, che loro sono soltanto un uomo e una donna che si amano, e credo che, nonostante le malelingue, avendo vissuto insieme tanti anni, il sentimento tra loro ci sia. Così, pensando che la loro unione non sia soltanto Reale, ma semplicemente reale, dedico loro una canzone dei Queen, tratta dall'album A DAY AT THE RACES (1976) "Teo Torriatte (Let Us Cling Together)". Teo Torriatte è in realtà tewo toriatte che in giapponese significa "uniamoci". Al seguente indirizzo potete leggere il testo della canzone e la sua traduzione.

http://www.tydany.it/Queen/Testi/Teotorriatte.htm

mercoledì 27 aprile 2011

Due tipi di specchio

L'essenza di uno specchio, o di una qualsiasi superficie riflettente, è rimandare l'immagine che vi si proietta. Se mi guardo allo specchio vedo le fattezze del mio volto, o del mio corpo, e uso questo oggetto per controllare il mio aspetto esteriore. Lo specchio è lo strumento che abbiamo a disposizione per compiere questa azione. Se non ci interessasse controllare come appariamo esteriormente non cercheremmo uno specchio. Sarebbe sufficiente, in questo caso, ascoltarci e osservarci da dentro. Solitamente uno specchio è fatto di vetro e una delle sue facce è trattata in modo da creare una superficie lucida che assolva il compito che le viene richiesto, riflettere un'immagine. Questo tipo di specchio interpreta la spietatezza della realtà, poiché nulla nasconde né modifica, se si escludono quei tipi di specchio deformanti. Lo specchio, con la sua superficie piana, descrive in silenzio, senza alcun tipo di emozione, come siamo fatti fisicamente. E' vano discutere con lo specchio perché la sua sordità è proverbiale. Se apprezziamo la sua sincerità nobilitiamo la sua natura. I suoi servigi però si fermano alla nostra superficie, più oltre non sanno andare, per indagare quel che si trova dentro ognuno di noi. E qui entra in gioco un altro tipo di specchio. Non è un oggetto, ma è assai più prezioso di qualsiasi altra cosa conosciuta. Sono gli occhi delle persone che ci amano. In questi tipi di specchio troveremo la nostra immagine riflessa, non quella comune che tutti possono vedere, no, qui troveremo la nostra vera immagine, quella composta da ciò che siamo e da ciò che vorremmo essere. Per ciascuno gli occhi sono lo specchio della propria anima, così si dice che sia, ma è quando divengono lo specchio di un'altra persona che acquisiscono la loro connotazione più preziosa. Quante volte capita di essere in difficoltà senza rendersene conto o di aver perduto un po' la capacità di vedere la strada, o altre volte di essere accecati, con l'anima in disordine e il cuore nascosto, o ancora, di essere fuori di noi e di non saper come rientrare, ecco, in tutti questi casi, se capita di trovarsi vicino alla persona che ci ama, anche se non è detto che la cosa sia reciproca, possiamo rivedere meglio noi stessi attraverso le sue parole. Qualche volta gli occhi altrui possono parlare ma, se non fossimo capaci di leggerci l'immagine che noi, lì, proiettiamo, sarebbero le parole a doverci restituire le nostre sembianze interiori del momento. E le persone che ci amano parlano, solitamente non scelgono il silenzio, perché non possono fare a meno di esprimere ciò che vedono di noi, dato che ci amano. Questo tipo di specchio è essenziale per migliorare la qualità del percorso, sempre che si sia disposti ad accettare di vedere noi stessi, così come faremmo nel caso in cui ci volessimo specchiare, per controllare che l'abito indossato ci stia bene. La questione saliente, in entrambi i casi di rimando della nostra immagine, sia che ci specchiamo negli occhi altrui, o che utilizziamo una superficie riflettente, è quella dell'accettare, o del non accettare, ciò che vediamo. Prendere coscienza di come siamo, se trovassimo dei difetti, non è atto immediato né indolore. L'impatto con l'ego rimette in discussione tante cose e se, nel caso di un semplice specchio, non accettando l'immagine riflessa, potremmo disfarci di esso, nel caso degli occhi, del cuore e della voce delle persone che ci amano non possiamo, non accettando il responso, disfarci di esse in alcun modo. Lo specchio che custodiscono le persone che ci amano, è l'unica ancora di salvezza, quando siamo abbastanza disperati da smettere di vedere anche la  nostra semplice immagine riflessa da uno specchio comune. Qualche volta fa male rivedersi attraverso gli occhi di qualcuno ma qualche altra riesce a renderci la vita più facile. Nessuno è mai solo davvero, tutto sta nel dove e nel come ci guardiamo intorno.

La strada che ha un cuore. Dedicato a Carlos Castaneda

C'è un libro di Carlos Castaneda "Gli insegnamenti di don Juan" dal quale estraggo queste parole:

"Ti avverto: osserva la strada da vicino e senza fretta, provala tutte le volte che lo ritieni necessario e poi rivolgi a te stesso, e a nessun altro, questa domanda: Questa strada ha un cuore? Le strade sono tutte uguali: non portano da nessuna parte. (...) Posso dire di aver percorso strade molto lunghe nella mia vita, ma non sono mai arrivato da nessuna parte. La domanda del mio benefattore ha un senso soltanto adesso. Questa strada ha un cuore? Se ce l'ha, è la strada giusta; se non ce l'ha, è inutile. Nessuna delle due porterà da qualche parte, ma una ha un cuore e l'altra non ce l'ha. Una rende il viaggio felice, e finché la seguirai sarete una cosa sola. (...) Una ti farà sentire forte, l'altra ti indebolisce."

Quello che ho compreso di questo insegnamento è il mio relativo punto di vista su questo argomento. Questo è ciò che ho scritto.
Quasi ogni giorno, se non in ogni momento, ci troviamo ad operare delle scelte. Piccole o grandi che siano richiedono pur sempre un atto di volontà diretta verso qualcosa. L'essenza dello scegliere è accettare di attivare questa volontà e, conseguentemente, compiere il passo. In sostanza non è altro che un movimento di tutta la nostra consapevolezza, se ci si pensa bene. E noi, con tutto il bagaglio di pensieri vari, ipotesi, dubbi, certezze, sentimenti e ricordi siamo al seguito di questa consapevolezza.
Quindi se ne deduce che compiere una qualsiasi scelta sia un atto importante.
Ci sono scelte che non necessitano di valutazione poiché non comportano rischi ma, in questo caso, deve permanere attiva l'attenzione verso i particolari, comunque. Decidere come vestirsi per la giornata, con un capo invece di un altro, è un atto di volontà, quindi una scelta. Tutti i piccoli atti di volontà quotidiani, intesi a qualsiasi livello, danno forma alla giornata, la colorano, o la ingrigiscono, ma sempre e comunque contribuiscono a disegnarne il percorso. Il ritmico susseguirsi delle giornate vissute compone la vita intera. Le piccole scelte contribuiscono al risultato più ampio.
Ci sono poi le scelte il cui risultato è meno immediato nel tempo. Possono essere ipotesi panoramiche o future certezze di una realtà ancora da costruire. Questo tipo di scelte sono strade. Ed ogni volta siamo noi a condurre il passo, scegliendo una cosa o una situazione invece di un'altra. Da qui l'importanza di riconoscere su quale via cammina la scelta. Per mia natura, per esempio, non ho paura di scegliere, eppure cerco di valutare sempre pro e contro, rischi e conseguenze perché la mia mente ama controllare tutto. Mi accorgo però di una cosa, mi rendo conto che maggiore è la valutazione e meno sono coinvolta emotivamente nella scelta. Infatti, quando entra in gioco la vibrazione del cuore, le valutazioni perdono di efficacia, la loro forza si affievolisce, e diventa possibile lasciare che la volontà sia guidata dall'istinto. Tuttavia, qualsiasi strada intrapresa, in veste di scelta compiuta, ha pur sempre una sua essenza, fatta di potenziali conseguenze come sue diramazioni caratteristiche. La strada scelta, dunque, può avere o meno un cuore nel senso che in essa  vi siano o meno potenzialità positive relativamente a noi. Il cuore è simbolo di luce e d'amore e se si riconosce che la via intrapresa ne ha uno, si può star certi che l'atto di coraggio nell'averla scelta, o meglio riconosciuta, verrà ripagato con il dipanarsi degli eventi che portano nuova conoscenza. La via che ha un cuore porta ben più lontano di quella che non ne ha, al pari di un ramo pieno di gemme che produrrà una fronda robusta a confronto col ramo secco. E se la strada, o la scelta compiuta, ha un cuore, il nostro stesso cuore saprà aiutarci nel procedere di passo in passo, alimentando la fiducia. La via che ha un cuore si aspetta di essere percorsa con lealtà verso se stessi, e con la consapevolezza della responsabilità che ogni scelta conduce con sé, laddove la responsabilità non sia mai un peso ma un arricchimento del percorso umano.

martedì 26 aprile 2011

La conquista di una vetta

E' notizia di oggi il raggiungimento della vetta dell'Annapurna (8091 m, Himalaya, Nepal) da parte della guida valdostana Abele Blanc; vetta raggiunta senza ossigeno supplementare.
Quando ho sentito questa notizia mi sono sentita proiettata lassù, insieme a questa persona, che non conosco personalmente, ma che riconosco come parte del popolo umano. In virtù di questa "fratellanza" sento il valore della sua impresa. Ciascuno di noi ha una sua particolarità, o più di una, una sua abilità che permette al popolo umano, se visto nella sua globalità, di esprimere tutte le sue infinite potenzialità. Pochi sono coloro che riescono nell'impresa di raggiungere vette così alte e l'esempio è l'aver dimostrato che è possibile. L'esempio è anche, secondo me, che, se un componente della comunità umana, vince la sua sfida personale, permette a tutti noi, che non abbiamo affrontato la stessa sfida, e magari non l'affronteremo mai nelle stesse circostanze, di sentirci parte della sua avventura. Questo è possibile perché siamo tutti esseri umani, al di là di qualsiasi tipo di distinzione, e perché, vedendo le cose da questo punto di vista, possiamo appianare alcune vette dell'ego personale. In un certo senso potremo pensare di avere raggiunto una vetta anche noi, tanto dentro in profondità quanto più ardua è stata la conquista. Mi spiego meglio. Se per un momento non ci sentiamo più unici, nel senso di isolati, come se avessimo un mondo personale che non ha niente a che spartire con gli altri, dove ogni cosa che facciamo appartiene soltanto a noi, senza riconoscimenti o condivisioni verso l'esterno, la visuale appare ristretta e la sensazione è che il mondo giri intorno a noi piuttosto che il contrario, ecco, se si riesce a sospendere un momento questo modo di pensare e di sentire, e lasciamo che l'impresa altrui, o la vittoria altrui, diventi parte di noi, siamo riusciti a conquistare qualcosa di speciale. Riuscire ad andare oltre il proprio orizzonte personale non è impresa facile. E dunque, se viviamo la vittoria, che non abbiamo conquistato personalmente, senza invidia, ma solo come riconoscimento della possibilità di farlo, anche se quella data cosa non la faremo mai, per varie ragioni, abbiamo vinto anche noi. Senza invidia si viaggia più leggeri, poiché il sentiero per il raggiungimento della vetta è in salita, e questa zavorra non è necessaria né auspicabile. Per arrivare lassù servono costanza e resistenza, volontà e conoscenza, e il silenzio che si fonde all'ossigeno rarefatto, permette di aggiungere un passo all'altro, non per vincere, perché credo che in quei momenti, se si pensasse soltanto alla meta, si potrebbero commettere errori fatali dimenticando di stare attenti al percorso, bensì per essere riusciti a portare a compimento l'impresa. Sono certa che la meta sia ben presente nella mente ma la vera conquista è sempre il percorso, se vogliamo usare tutte queste parole per creare una metafora.
Abele Blanc, oggi, ha conquistato quella vetta in Nepal anche per noi, non solo per se stesso.

domenica 24 aprile 2011

Sorprese

Ciò che non ti aspetti che accada, specialmente se si tratta di una cosa positiva, ti sorprende. Ti fa stare bene. Ti fa sentire come quando il vento insistente si placa e lascia nell'aria la dolcezza della primavera. Ti fa sentire come quando, sulla riva del mare, le onde giungono alla spiaggia lentamente e l'acqua è limpida, mentre il sole splende e sembra che non tramonterà più, per fermare nel tempo la felicità che ha iniziato a scorrerti dentro. Presenza inaspettata in un giorno speciale, come piccolissimo granello di un qualcosa che vorresti fosse più grande, ma sai che, per stare bene davvero, devi accettare quello che c'è, ciò che ti è stato offerto. La mia sorpresa di oggi vedere una persona speciale che non vedo mai. Null'altro che la presenza, pur senza parole e fugace incontro lungo la via, ma prezioso tempo di oggi. Domani, questo, non ci sarà più, ci sarà solo un appunto profondo nel cuore e copia di esso, con tutti i suoi colori e sensazioni, nella memoria.

Uova e origini

Facendo una piccola ricerca sul web, ho trovato notizie sull'origine dell'usanza della sorpresa in un uovo pasquale. Nel 1885, lo zar Alessandro III e sua moglie Maria, nel giorno di Pasqua, festeggiavano il loro anniversario di matrimonio. Lo zar volle regalare alla moglie un oggetto di oreficeria, che commissionò a Peter Carl Fabergé. L'orafo progettò, per l'occasione, la prima delle sue famosissime uova. Fu lo zar a volere che l'uovo contenesse una gallina, al cui interno doveva trovarsi una corona imperiale con,  all'interno di quest'ultima, un ciondolo con due rubini a forma di uova. L'uovo era l'involucro prezioso per una sorpresa altrettanto preziosa. La zarina apprezzò molto il dono e lo zar decise che da quel momento in poi, ogni anno, a Pasqua, si sarebbe ripetuta la commissione a Fabergé di un uovo con sorpresa. La tradizione durò fino all'anno 1917. Questa sembra sia l'origine della sorpresa nell'uovo di Pasqua.
E lo stesso uovo è simbolo di origine. L'origine della vita passa dall'esistenza dell'uovo. Nascere dall'uovo è simbolo anche di ulteriore nascita, ossia rinascita, ogniqualvolta che dal proprio involucro riusciamo ad uscire. Il guscio dell'uovo, pensando a quello degli uccelli, è robusto per proteggere la futura vita che si sta formando al suo interno. L'uovo che dà origine ad un essere vivente all'interno del corpo della madre non ha lo stessa simbologia legata al guscio, seppure nella sua sembianza di maggiore delicatezza è pur sempre capace di riportare la mente alla custodia della vita. L'uovo racchiude tutto ciò che serve per innescare un inizio. E l'inizio di qualsiasi cosa è un'origine. Dentro l'uovo l'ambiente è sicuro e questo permette la corretta formazione del nuovo che verrà. L'uovo è nutrimento completo, metaforicamente parlando e, nonostante tutto, la sua contemporanea essenza di forza e fragilità, lo rende prezioso. Servono consapevolezza e responsabilità per maneggiare un uovo, così come servono per gestire qualsiasi altra cosa della quale intuiamo la natura delicata. In questo pensiero c'è un'altra origine, quella che porta verso il riconoscimento della strada che possiede un cuore.

sabato 23 aprile 2011

Tempo

Il Tempo non aspetta niente e nessuno. Prosegue il suo cammino incurante di chi incontra e non ha pietà per chi lo supplica di restare. Il Tempo non si ferma mai, solo la memoria riesce a fissarlo nel suo mondo fatto di ricordi di immagini e sensazioni, emozioni, vicende, amicizie, amori. Null'altro può fermare il Tempo. E che non sia sacrilegio maledirlo, quando si è commesso un errore, perché il dolore è l'unico che può permettersi di farlo, fa parte della natura umana. E il Tempo questo lo sa, ma prosegue oltre. Scorre come un nastro sul quale si registra tutto, vi si incide la vita, e si continua ad andare. Nessun tasto pausa da premere. E se qualche volta si incontra il tasto stop siamo solo noi a fermarci, non è il Tempo a farlo. E di Tempo ce n'è sempre poco per fare le cose che ci piacciono, o ci fanno stare bene, mentre ne avanza quando abbiamo a che fare con faccende complicate. In fondo lo giudichiamo con il nostro personalissimo metro fatto di percezione emotiva. Il Tempo non passa mai se ci si annoia, quasi stesse rallentando per fermarsi, ma siamo solo noi a ristagnare. Il Tempo vola, ma la rotazione della terra è sempre la stessa, non muta il suo ritmo. E in ultimo, se il Tempo fosse consapevole di non aspettare nessuno, credo che, forse, farebbe questo per spronarci, per suggerirci di cogliere l'attimo, poiché tutto passa perché lui lo porta con sé. E vorrebbe che la smettessimo di rimandare a domani ciò che potremmo affrontare oggi, se già oggi ci sentiamo capaci di affrontare la questione. Se avessimo paura il Tempo ci donerebbe l'integrità del suo coraggio di continuo andare ma, se rimandassimo per fatica, lui ci lascerebbe indietro a piangere, il più delle volte, sulle cose perdute. E tra queste lacrime non riusciremmo a vedere che invece il Tempo sta aspettando, a modo suo, che noi ci svegliamo per proseguire il cammino sulla sua scia, o cavalcandolo di nuovo. E non crediate che il Tempo non sappia vedere il dolore per gli affetti perduti, nella sua spietatezza lui percepisce tutto comunque, ma a nessuno può confidare ciò che sente. Ecco perché il suo migliore amico è il cuore umano, perché lì trova il conforto della pazienza per l'attesa che venga il tempo giusto. In fondo se il Tempo riuscisse a vedere completamente se stesso, nella sua spietata forma di incessante andare, potrebbe desiderare di accartocciarsi, di annodarsi per fermare la sua stessa aridità. Il Tempo sa che la sua amicizia con il cuore umano potrebbe un giorno svelargli questo ma accetta lo stesso tutto quello che è in lui. E prega, il Tempo, che ogni essere umano si ricongiunga al proprio cuore, da dove potrebbe comprendere meglio il valore del tempo e dell'attimo presente per non lasciare più scivolare via cose preziose. R.B.Between


venerdì 22 aprile 2011

La giornata della Terra

Il 22 aprile si celebra la "giornata della Terra". Si celebrano le foreste, i mari, i fiumi, le montagne e le pianure, i deserti, i ghiacciai, i vulcani, le fosse oceaniche, e ogni forma di vita, vegetale o animale, che abita sulla superficie terrestre o nelle sue acque, dolci o salate. Tutto. E la celebrazione viene fatta dall'Uomo, che ne fa parte, ma si dimentica spesso di celebrarla ogni altro giorno, purtroppo. Eppure credo che la Terra continui ad essere generosa con l'Uomo.
Voglio provare a celebrarla immaginando una cosa. Voglio connettere le mie conoscenze scientifiche, le une alle altre, e voglio colorarle con i colori disponibili nel distretto del cuore, lì tra le fasce dell'arcobaleno, nella casa della speranza con la consapevolezza che sento.
Mi serve una stilla di silenzio nella mente, per un attimo, quanto basta per un avvio. In questo silenzio c'è abbastanza spazio per dare inizio ad un movimento. Sono qui, tra le particelle subatomiche, e l'energia è talmente forte che non posso negarla. Inizio allora il viaggio per modificare la visuale. Voglio comprendere di più e mi "allontano" dal nucleo atomico che se ne starà là, con il suo numero di protoni e neutroni, "circondato" dalla nube elettronica. So che se cambia il numero di protoni cambia l'elemento chimico, ma non li ho contati, non importa. Qui, è il viaggio sulla pista dell'immaginazione a contare. Ecco dunque che lo spazio, laddove si sa che ci sono elettroni, ma se ne ipotizza la posizione, si dimostra disponibile ad accogliere la mia presenza. Sono lì perché immagino di essere lì. E' un percorso emozionante. Ma sono solo all'inizio, la meta è rivedere il mondo così come sono abituata a conoscerlo, allora mi "allontano ancora un po', e vedo che gli atomi si uniscono fra loro per creare le molecole. Qui bisogna imparare a distinguere dove si è. Potrei essere un gas che si rende bolla dentro la lava fusa e, il giorno che si fredderà abbastanza per divenire roccia o minerale, apparirò come un'intrusione infinitesima; o potrei essere la sfumatura di colore di un cristallo, se fossi una molecola di una sostanza diversa da quella che darà il minerale. Potrei essere una proteina o un frammento di DNA; potrei essere la molecola della cellulosa; potrei essere appena un po' più grande e complessa e sarei le pareti di una cellula, o il capside di un virus; e ingrandendomi ancora, espandendo questa mia coscienza che viaggia assieme all'immaginazione, potrei essere una struttura elementare, un batterio completo oppure un'ameba, potrei essere un'alga o un fungo, potrei essere un cristallo intero o un geode, una roccia, e potrei seguire nei millenni le trasformazioni che mi sono proprie, mi sedimenterei e potrei tornare all'interno della terra. Potrei essere il seme che ha generato l'albero che darà altri semi, o l'uovo che porterà un altro essere vivente più complesso di un organismo unicellulare. Potrei anche trovarmi nel mare e spostare la mia immaginazione dal plancton, a ogni forma di pesce o crostaceo o mollusco fino alla complessità strutturale di atomi e molecole che compongono una balena. Eppure sarei sempre dentro la materia vivente, sarei sempre nello spazio tra gli atomi che la compongono. E così dicendo, se tutti sono atomi, seppure disposti in modi e accoppiamenti differenti, io davvero non vedo più la differenza tra una roccia, la terra, un albero, le alghe, un insetto o un elefante. Che cosa importa conteggiare il tempo per ciascuno e definire "vivo" solo ciò che si muove entro un tempo che l'essere umano può percepire, cosa importa? Tutto è connesso, tutto è collegato e se celebriamo la Terra, oggi, non possiamo dimenticare questo. Le cose che sono interconnesse fra loro influiscono anche le une sulle altre e la cura, che l'Uomo deve a se stesso, la deve anche al pianeta che lo ospita lungo il corso della sua vita, non meno della cura che impiega nel mantenersi vivo. Salvaguardando ciò che c'è intorno si permette la continuità della vita di qualsiasi materia sia fatta, siano esse rocce, cristalli, animali o vegetali, andando oltre la forma con la quale si manifesta.

giovedì 21 aprile 2011

Mani che si incontrano

Non dimenticherò mai il giorno nel quale, da bambina, ho messo le mie mani nella terra per raccogliere le patate, in un giorno di sole. Ricordo benissimo la sensazione che provai a contatto con la terra calda e leggera, asciutta, un po' sabbiosa, che scorreva tra le mie dita. Era solo un gioco aiutare a raccogliere i tuberi che avremmo mangiato a pranzo, ma il ricordo è rimasto vivo. Purtroppo, se qualcuno mi chiedesse di collocare in un tempo preciso questo ricordo, a questo qualcuno non saprei rispondere. So che ero bambina, e forse ero da parenti, ma non ricordo queste informazioni altrettanto bene delle sensazioni. Se seguo il ricordo mi ritrovo lì, china a scavare con entrambe le mani e il sole che mi scalda la schiena. Ricordo anche il sapore delle patate che poi mangiammo lessate per pranzo, sapevano di sole e di Terra. Devo questo ricordo alla presenza delle mie mani.

Chiunque abbia bambini piccoli, una volta o l'altra, avrà sicuramente visto quei libri, con parti di pagine fatte in materiali differenti, usate per insegnare ai bimbi a distinguere le varie consistenze, tramite il senso del tatto. Il tatto dunque, che vede come sua sede i recettori appositi nella pelle, è un senso importante per costruire delle basi nello sviluppo mentale. La vista raffina l'osservazione della materia ma il tatto distingue a sensazione. E le mani, che sono di noi solo un'appendice, praticamente in ogni momento, dai gesti materiali a quelli metaforici, diventano la nostra stessa sintesi. Così si potrebbe dire che l'essenza di un uomo passa dalle sue mani, anzi, è le sue mani e come le usa. Voglio credere allora, se questo è vero, che ogni carezza custodisca il battito di un cuore che ama, così come ogni abbraccio già ne è manifestazione, e voglio anche credere che nessun pugno avrà più il coraggio di uscire dal corpo di un uomo guidato dalla sua rabbia e dalla sua cecità. Le mani possono anche essere il simbolo dell'amicizia quando si stringono fra loro, quando qualcuno prende per mano qualcun altro e gli indica la strada o lo accompagna per un po'. Sostegno e protezione. Amore quando le dita si intrecciano e due battiti e due respiri si fondono in uno solo. Mani che chiedono quando, vuote, si mostrano all'altro che passa o quando gridare aiuto non basta più. Mani abili che lavorano e condividono ciò che hanno imparato, insegnando a loro volta, per non interrompere il legame e la continuità della conoscenza. Mani che curano tutto ciò che ha bisogno di essere curato. Mani che si incontrano e si stringono in segno di saluto o in segno di pace. E ad ogni mano è legato un essere umano. Ed essere esseri umani comporta passi incerti, ma se lasciamo che il cuore ci guidi nel gesto di porgere la propria mano per venirsi incontro, e per cercare un punto comune, possiamo dire di essere umani davvero.

mercoledì 20 aprile 2011

Momenti magici

Un momento magico è un'interpunzione nella frase del tempo corrente, una nicchia dove la pace sospende gli affanni quotidiani e quelli antichi in egual maniera. Qui tutto si sistema e ogni cosa acquisisce un significato più profondo. Nel momento magico le pareti del tunnel del tempo si dilatano per creare una culla dove c'è spazio per l'amore. Ogni momento magico può essere scelto col cuore, lasciando che il desiderio di esso cresca senza fretta. Poi, un giorno, il momento magico è pronto per mostrarsi, così nasce, e niente potrà mai distruggerlo davvero. Non che non ci siano contrattempi, spesso infatti ve ne sono, e il momento magico può svanire ma se, anche solo per un istante, è esistito, rimarrà eterno. E' la meraviglia che custodisce in sé il momento magico; è sufficiente che nasca e si manifesti per essere immortale, perché chi lo vive non lo dimenticherà mai, comunque sia. Ogni momento magico, per alimentare la sua memoria, sa legarsi anche al più piccolo e insignificante particolare che ha partecipato alla sua costruzione, sia nel cuore, che nella mente di coloro che lo hanno vissuto. Un suono, una musica intera o una semplice nota, una profumo o un frammento di esso, una sensazione fugace, ma pur sempre rintracciabile seguendo la sua radice fino al cuore, ecco, questi sono i semi che rendono eterno il momento magico. E la luce della luna piena, qualche volta, dialoga segretamente con i nostri cuori per permettere che si riformi, nel suo tempo giusto, un altro momento magico. E che non si venga tratti in inganno dal sapore di perfezione dell'essenza del momento magico, perché esso è soltanto lo spazio prezioso di una piega del cuore, dove il nostro sogno più grande, o il nostro desiderio più sentito, riposano in attesa di essere svegliati per essere vissuti.

lunedì 18 aprile 2011

Credo in te. Dedicato a chiunque ami

Mi sono raccolta nel cuore. Ho convogliato lì ogni ricordo di te, le cose belle e le cose meno belle, e ho fatto una scelta. Ho scelto di essere me stessa e da questo ho distillato la forza per continuare a credere in te. A credere che sia possibile che ritrovi il tuo sorriso più profondo anche quando ti senti abbattuto dagli eventi; a credere che il prossimo passo sia più lungo e disteso del precedente anche se zoppichi ancora; a credere che la tua forza ci sia sempre anche quando ti senti debole; a credere che la tua memoria riesca sempre a mantenere vivi i ricordi dei quali hai più bisogno per lenire il dolore; a credere che quello stesso dolore un giorno venga talmente diluito da trasformarsi in una nuova sorgente dal sapore più dolce; a credere che se un giorno sarai stanco avrai ancora uno spazio nel cuore per far risorgere la tua scintilla vitale; a credere che se tutti ti saranno contro tu riuscirai a non soccombere; a credere che saprai sempre dove guardare per non perderti, se verranno meno i segni per orientarsi; a credere che riuscirai a sentirti te stesso con sempre maggiore chiarezza affinché nulla ti rubi più al tuo cuore più vero; a credere che ti sia sempre possibile cavartela in qualsiasi situazione perché so che non sarai mai solo; a credere che se dovesse accadere che fossi solo questo stato di cose non durerebbe altro che lo spazio di un millesimo di secondo; a credere che il tuo cuore sia sempre luminoso come l'ho sentito essere la prima volta che ti ho incontrato; a credere che saprai sempre qual'è il valore della giustizia anche se dovessi trovarti vittima d'ingiustizia; a credere che il tuo orgoglio non prevarrà mai su di te in modo da oscurarti il cammino luminoso del cuore; a credere che non avrai paura a sentirti uomo anche se dentro puoi non sapere bene chi sei; a credere che le tue scelte anche se fossero sbagliate e ti portassero lontano da te stesso poi non riuscirebbero davvero a sconfiggerti; a credere che il tempo per rimediare non ti mancherà se saprai riconoscerne in te la costante presenza silenziosa; a credere che l'amore che ti scorre dentro un giorno saprà trovare la strada per riconoscersi attraverso i tuoi occhi, o negli occhi di chi ti ama; a credere che un giorno, se vorrai cambiare qualcosa di te, tutto sarà pronto per questo cambiamento; a credere che se un giorno dovessi mentire, anche lo facessi a fin di bene, tutto poi si potrebbe aggiustare nel migliore dei modi; a credere che i fantasmi del passato diventino sempre più deboli ed evanescenti per permetterti di riconquistare il tuo spazio; a credere che ogni ferita possa guarire velocemente, poiché qualcuno che ti ama ci sarà sempre per alleviarne la sofferenza; a credere che riusciresti a condividere la parte più delicata di te, seppure con le tue regole e con i tuoi tempi; a credere che sapresti raggiungere le vette più alte vincendo ogni paura del vuoto; a credere che sapresti chiedere aiuto anche se la tua voce stesse per svanire, perché ami la vita e non lasceresti che il buio te la portasse via senza lottare con rinnovato coraggio; a credere che questo stesso coraggio si possa riattivare in te, anche se credi di averne smarrito l'indirizzo; a credere che un solo sorriso che ti viene rivolto possa scaldarti il cuore fin nel profondo; a credere che il perdonare e il comprendere facciano parte di te; a credere che per ogni sogno che fai una luce vada ad abitare dentro ad un fiore che desidera con tutto se stesso sbocciare; a credere che, se deciderai di abitare nei ricordi più che nel presente, saprai anche tornare qui, ogni tanto, per non dimenticarti di chi ti ama; a credere che anche se fossi testardo da lasciare che il tempo scorresse via e portasse con sé gli attimi preziosi per ritrovarsi, tu poi sapresti vedere tutto questo imparando ancora; a credere che se avessi sempre bisogno dei tuoi silenzi e dei tuoi spazi nessuno, nemmeno chi ti ama, potrebbe invadere il tuo territorio sacro, perché la vita stessa lo è dal momento in cui si è compreso questo valore; in ultimo, ma non meno importante, credo in te in tutto e con fiducia, anche se la vita mostra aspetti diversi del nostro modo di essere e di porsi. Credo in te perché l'amore fa essere così, semplicemente, anche se un abisso ci dovesse separare. Credo in te, sempre, nonostante tutto.
Dedicato a tutti coloro che amano qualcuno credendo in lui, o lei che sia. R.B.Between

Posso volare, se ci credo davvero

Ispiratrice di questo post è stata la canzone di R.Kelly "I believe I can fly".
Mi sono lasciata trasportare da queste note che hanno risvegliato le mie ali interiori. Il titolo racchiude un mondo intero di concetti che scivolano dal cuore come una cascata preziosa. Già il tema del volo porta in alto, fa sentire senza confini, liberi di essere ciò che si vuole essere, poiché lassù nel cielo, a parte l'azione delle correnti più forti, si può spaziare in ogni direzione. La leggerezza è un requisito necessario, ma non poi così indispensabile, quello che conta davvero è il credere di poter volare. E' la volontà che permette di liberarsi dalle maggiori pesantezze che noi stessi ci carichiamo addosso. Se crediamo di non essere capaci di fare qualcosa, quasi mai riusciremo a farcela. Credo che a tutti sia capitato, prima o dopo, di rendersene conto. E qualche volta, quando si incontra l'amore vero, qualcosa cambia dentro e ci sentiamo capaci di qualsiasi cosa. L'attimo prima sembrava di stare affogando nelle faccende quotidiane, mettendo un piede avanti all'altro per compiere il seguente passo, magari senza convinzione, solo per inerzia, e l'attimo dopo, avendo incontrato qualcosa di speciale, ci sentiamo capaci di volare fin nell'infinito. Vibra nel vento ogni piuma delle ali appena acquisite e le correnti, da nemiche, si trasformano in corridoi che agevolano l'andare. Tuttavia, sono convinta che il senso più profondo del credere di potere sia il preservare la speranza; senza di essa mancherebbe il fuoco che alimenta la volontà di andare avanti comunque, anche quando tutto sembra contro. Volare si può, se ci si crede davvero, basta liberare abbastanza il proprio cuore dai vincoli creati da coloro che hanno paura di volare e ti dicono che non è possibile. Serve solo riconoscere ciò che ci appartiene da ciò che non ci appartiene. E la maggior parte dei pensieri nei quali siamo immersi, se ci si pensa bene, non provengono tutti quanti dalla nostra testa. Per volare serve dimenticarsi per un momento di tutto questo, ecco perché l'amore aiuta. Tramite l'amore, a qualunque livello lo si intenda, si riesce a fermare il tempo, e in quell'istante, in quell'istante di silenzio si riesce a percepire la capacità che abbiamo di essere sufficientemente liberi per poter volare. Per essere se stessi, accompagnati dal coraggio ritrovato durante il volo.

domenica 17 aprile 2011

Un ricordo di tanto tempo fa

Oggi è una splendida giornata di sole, qui. Sfogliando un vecchio raccoglitore, cosa che sto facendo già da qualche tempo, ho la possibilità di rileggere cose che ho scritto nel 2008. Oggi vorrei condividere questo breve racconto di un ricordo.

I.n°7.
Avevo più o meno sei anni, forse sette. Dalle fotografie deduco che fosse estate. Indossavo una camicettina di cotone a mezze maniche e una gonna di jeans. Se mi lascio assorbire dall'immagine, riesco ad agganciarmi alla memoria di quel momento. Scivolo appesa ad ogni sensazione, che rivivo sulla mia pelle. Ci sento il calore del sole. Ogni tanto un alito di vento fresco dona sollievo dalla canicola. Siamo in alto, quasi montagna. Ho i capelli corti nerissimi, dello stesso colore delle more che sto raccogliendo. Anche senza guardare la foto ricordo i movimenti. Mi allungo più che posso, sistemando il piede in un anfratto del terreno secco, in salita, e mi slancio veloce per prendere quelle belle bacche mature che pendono da un ramo alto, ma sporgente. Perché accontentarsi delle more polverose troppo vicine alla strada? Una sbucciatura al ginocchio non mi può certo fermare. E' un tempo sereno, da passare insieme ai miei genitori, che pazientemente raccolgono more con me, mentre badano che non mi faccia male in questa piccola avventura. Per ogni manciata raccolta, almeno un paio di quei dolci frutti mi finiscono in bocca. Ho le guance rigonfie. E labbra e mani macchiate di nero violaceo. Golosità e libertà. Non passano tante macchine lungo la strada. Quel ciglio ricco di prelibatezze è solo nostro... almeno fino all'arrivo di altri villeggianti golosi come noi!
A casa, poi, la mamma faceva la marmellata. E' così che mi ricordo il sapore di una cosa genuina, perché fatta con sentimento. Quella marmellata non sapeva solo di more, portava con sé altri sapori; quello del sole caldo di quel giorno; quello dello sforzo dei muscoli che si tendono per raccogliere i frutti; quello dei piccoli graffi sulla pelle a testimoniare la protesta dei rovi depredati; quello del peso trasportato fino a casa, attrezzandosi per proteggere il sacchetto con il suo contenuto dalle scosse, mentre lo si trasporta nel bagagliaio dell'auto; quello dell'attenzione messa nel controllare che in pentola non ci vadano anche le foglie o le more sciupate, o qualche insetto che prima non avevamo visto; quello del tempo necessario a far cuocere le more con lo zucchero, mescolando spesso perché non si attacchi al fondo del pentolone, o quello del tempo in più impiegato per passare al setaccio, con tanta pazienza, la marmellata ormai cotta, per renderla liscia al palato, senza semini. Quanti sapori c'erano. Mi piace ricordarli in punta di lingua perché avevano il gusto di un tempo più umano, ritmo naturale, dove aveva un senso fare qualcosa con le proprie mani. Non ci si annoiava. Oggi, solo un sapore non mi basta. Non ho faticato nemmeno un po' per avere il vasetto di marmellata che ho comprato al supermercato. Dov'è il sapore del rispetto che devo a quei frutti, ai loro semi e alla loro potenzialità di riprodursi? La battaglia deve essere leale. Mi mancano un po' quei graffi, in fondo leggeri, come lotta tra me e il rovo per la conquista, non solo delle bacche succose, ma anche per l'insegnamento. Semplice osservazione. Da un intricato groviglio spinoso e resistente alle intemperie può nascere qualcosa di dolce e delicato, a dispetto dell'apparenza. 

venerdì 15 aprile 2011

Il valore di una vita

Se le notizie che esistono fossero gocce ci troveremmo a nuotare in un mare vasto e profondo. Poi accade che, per qualcuno che siede sulla riva di questo mare, l'arrivo dell'onda, non sempre sia piacevole. Specialmente se la notizia è una sentenza senza appello. Venire a conoscenza che una persona cara non c'è più e che la sua vita è stata strappata brutalmente, è un colpo innegabile. L'impatto è devastante e altrettanto innegabile è il fatto che questo vale per ogni essere vivente, poiché tutti siamo interconnessi. Se non è padre, madre, o figlio, o fratello, o parente, è amico, o conoscente di conoscente. La rete è fitta anche se non sembra e tu, che ascolti la notizia, anche se in quel momento non ti riguarda personalmente, ti ritrovi a pensarci. Stai facendo qualcosa, ma ti fermi un attimo per pensare. E ti chiedi perché qualcuno, in qualche parte del mondo, dove sembra che non si conosca altro linguaggio alternativo se non quello della guerra, rapisce qualcun'altro e lo rende mera merce di scambio. Quell'atto trasforma una vita in una cosa. Il rapitore dimentica il fratello, che potrebbe subire la stessa sorte in altre circostanze ed altri tempi. E poi, come fai a pensare di ottenere davvero ciò che in quel momento ritieni di dover ottenere, con mezzi simili? Forse non pensi più...
Il cuore si sospende. Il cuore di chi ha perduto la persona cara sanguina, trovando la vita senza prezzo, di valore inestimabile e non si dà pace per questa morte. Il cuore di chi compie la barbarie forse è rimasto sospeso in una dimensione diversa, non è presente, non esiste, e la mente gestisce quella vita che ha tra le mani mercificandola in qualche forma.
E ciascuno vive un freddo diverso. Per chi ama, e perde per sempre, il gelo è cosa reale che si sente fin nel profondo; per chi odia e nulla ha valore, neppure la vita, né la propria né l'altrui, il gelo che si crea non è percepibile: essi stessi si trasformano in gelo che non sentono più.
Il valore della vita è la possibilità di proseguirla, è l'amore che in essa si trova, ma è anche la forza di non cedere all'odio verso coloro che, accecati da questo stesso sentimento, la riducono ad un niente senza valore.
Eppure credo che, in questo caso, seppure una vita sia stata strappata e negata la sua essenza in termini di legami e affetti, il vero suo valore sia rimasto, e rimarrà nella memoria, ricordando l'intensità e l'impegno di un uomo per il quale la vita aveva un valore. Per un uomo, Vittorio Arrigoni, che non c'è più.

mercoledì 13 aprile 2011

Nodi immateriali

Quante volte lo scorrere si inceppa. Quante volte ci sentiamo addosso un peso che non sappiamo capire di che natura sia, ma è ben presente e si fa sentire. Quante volte l'iniziale senso di smarrimento si trasforma in angoscia più profonda. Quante volte il dubbio si attacca a quella parte di noi che il dolore lascia esposta. Quante volte si gira e si rigira affannandosi nella ricerca di quel qualcosa che è venuto a mancare all'improvviso. Quante volte ci si ostina e si nega un'evidenza. Quante volte stiamo lì col pensiero sospeso, in attesa che il senso di oppressione cambi e si sciolga per ritornare a scorrere anche noi insieme al ritmo del respiro. Quante volte il respiro stesso si blocca per paura e l'anima si contorce in quest'apnea. Quante volte non corrisponde a realtà ciò che vorremmo e, in questo confronto, che dovrebbe generare consapevolezza, perdiamo la dignità dell'accettare le cose come si presentano. Quante volte continuando a desiderare quello che non possiamo desiderare ci blocchiamo nell'orgoglio e generiamo nuovi passi falsi. Quante volte manchiamo di rispetto e otteniamo lo stesso trattamento con il risultato di annodare ancora di più i sentimenti già annodati. Quante volte inciampiamo sui confini della libertà altrui provando a oltrepassarli, magari a fin di bene, ma in realtà facendo del male. Quante volte nel comportarsi seguendo l'impulso di dentro, senza averne chiesto consiglio alla mente, andiamo addosso al prossimo. Quante volte si continua a chiedere a se stessi il perché di qualcosa e si resta fermi un turno, come nel gioco dell'oca. A volte anche di più. Quante volte si cerca la soluzione che doni pace e invece si ottiene il contrario. Quante volte si promette qualcosa e non si riesce a mantenere. Quante volte ci sfuggono di mano le redini di ciò che stiamo conducendo. Quante volte si bussa ad una porta dietro la quale sta qualcuno al quale teniamo e nessuno risponde perché abbiamo sbagliato a bussare troppo. Quante volte incontriamo un guizzo di bene e lo distruggiamo maldestramente. Quante infinite volte ci sentiamo in colpa per come sono andate le cose e, tutte queste volte, si forma un nodo dentro. Qualcuno di questi nodi, di quelli meno robusti, riesce a sciogliersi col tempo e con la comprensione. Qualche altro nodo, invece, richiede applicazione, richiede che con le proprie mani, e con il cuore in esse, si inizi a cercare di scioglierlo attivamente. Se un litigio grave ha generato un nodo, non solo il tempo serve per provare a scioglierlo, serve una nuova disposizione al dialogo. Serve impegno per disancorare il rancore dai fili annodati. Servirebbe amore come emolliente speciale per ammorbidire la durezza della posizione presa. Ogni nodo ha la sua forma e da quanti fili è composto dipende da quanta sofferenza ha partecipato alla sua costruzione. Purtroppo, nella maggioranza dei casi è stato il cuore a creare questi fili che poi si sono annodati con l'evento accaduto. Eppure i fili in origine sono fatti di luce e anche se, quando formano il nodo, si ingrigiscono, in realtà sono ancora luminosi. Basta liberarne qualcuno e il sollievo per aver rimediato in qualche modo all'errore commesso o vissuto lo fanno risplendere di nuovo. Ma non sempre è tutto così facile, no, non lo è. Da tempo anch'io cerco il modo per sciogliere un nodo, ma ogni volta sbaglio approccio. Lascio che il tempo passi ma quando mi capita di inciamparci sopra, uno di quei fili sottili che si sono intrecciati risuona di tristezza e richiama lacrime. Se le lacrime fossero state capaci di allentare un po' questo nodo adesso del nodo non rimarrebbe traccia alcuna. Mentre ricerco la soluzione ignoro il nodo sperando di non inciamparci troppo spesso. Per ora non posso fare altrimenti. Posso solo sperare che un giorno l'altrui pensiero muti e una mano, solo una mano, venga tesa per aiutare a disfare questo nodo, anche se l'altro non ne ha traccia in sé.
Io non ho saputo ascoltare l'altro perché ascoltavo solo me stessa. Oggi sono inciampata in questo ricordo...

martedì 12 aprile 2011

Le gobbe della luna

C'è un detto che aiuta a capire se la luna è crescente oppure calante.

"Gobba a levante, luna calante. Gobba a ponente, luna crescente."

Ossia se la curva convessa della luna è rivolta ad est, levante, la luna sta calando, mentre se la "gobba" è rivolta ad ovest, ponente, la luna è in fase crescente.
Ricordo che mi fu insegnato, quando ero piccola, dai nonni. E' un detto che mi è sempre rimasto impresso e lo applico per capire in quale fase sia la luna, quando la vedo splendere lassù nel cielo, tra le stelle.

Credit: Free images from acobox.com

Macrocosmo in microcosmo

Glicine

Questo breve pezzo l'ho scritto il 10 aprile del 2008.

GLICINE
Quando lo comprai era alto più o meno quanto me. Stava in un vaso di medie dimensioni e il suo fusto era sottile e flessibile. Aveva ancora qualche grappolo di fiori viola e poche foglie verde chiarissimo. Decisi di cambiarlo di vaso e di lasciare che crescesse nell'angolo in fondo al giardino. Sapevo che si sarebbe arrampicato per trovare la sua strada su per il muro e ben oltre questo confine. Il glicine è una pianta robusta. Avete mai visto quando il tronco si ispessisce e ingloba anche le inferriate che circondano certi giardini? Sembra impossibile. Sembra quasi il corpo di un serpente che circonda la sua preda. E' irriverente per  la sua libertà di andare dove vuole, non conosce ostacoli. Vive. Puoi potarlo per farlo andare dove vuoi tu, ma non si arrende facilmente e appena ributta fuori un ramo si attacca e prosegue il suo percorso. Lo si potrebbe definire invadente, ma sarebbe solo un'opinione dettata dalle regole alle quali sottostiamo per ottenere un giardino curato. Al glicine non importa di apparire aggraziato nella forma. Tuttavia lo è quando mostra la sua magnificenza nella fioritura primaverile. A questo punto gli si perdona tutto. Satura l'aria di profumo per sottrarci la mente alla percezione dei gas di scarico cittadini. Grazie per questo, e per il colore che solletica il ricordo della tenerezza. Tenue come la gentilezza. Dobbiamo goderci questi giorni di fioritura, poi sarà lasciato spazio al verde e il ciclo della vita proseguirà. 
Un rampicante è difficile da uccidere. Ha radici forti e profonde come quelle che sa forgiare la volontà di chiunque preferisca la vita alla morte. Se il viaggio delle esperienze lungo il cammino sapesse attaccarsi anche all'appiglio più piccolo, come un ramo di glicine, avremmo più memoria alla quale attingere, per trovare la forza di combattere contro chi taglia parti di noi per renderci più simili gli uni agli altri. In questo giardino globale veniamo coltivati, estirpati o potati delle identità pericolose che possono minacciarne l'aspetto uniforme. Ma la realtà della nostra natura è più forte di qualsiasi potatura e la bellezza della nostra potenzialità di fioritura è innegabile. 


Album di fotografie

Vicino al mio letto tengo un cuscino che ha più o meno la mia età. Sopra questo cuscino c'è stampata una fotografia di quando ero piccola e giocavo con i sassolini del giardino. Avevo circa un anno lì. L'immagine è in bianco e nero e il tempo ci ha lasciato qualche segno. Non ricordo se ho mai usato quel cuscino quando ero bambina, ricordo soltanto che alcune volte, da grande, l'ho usato con molta cura per non sciuparlo. Ho sempre pensato che fosse un ricordo prezioso. E per questo devo ringraziare i miei genitori. Ogni sera, quando vado a letto, lo guardo di sfuggita poiché l'abitudine porta questo con sé, fare le cose senza pensarci troppo. Un rapida connessione con il ricordo che viene stimolato dall'immagine e, via, si passa ad altro. Ieri sera, però, mi ci sono soffermata più a lungo. Spesso, la tranquillità del silenzio a tarda notte, concede momenti in cui si può oltrepassare la cortina delle solite cose e dei soliti pensieri. Rallentando il ritmo anche la mente riesce a respirare con più profondità. E i ricordi, legati gli uni agli altri come le perle di una collana, ti passano vicino. Se concedi loro di soffermarsi li riattivi e, qualche volta, si possono scoprire frammenti dimenticati di noi. Una sorta di pesca che nutre l'energia stessa che ci compone. Ogni ricordo, credo, ha una copia della sua struttura emozionale sia nella testa sia nel cuore. Come riviviamo il ricordo dipende da dove decidiamo di sintonizzarci in quel momento o da come siamo abituati a vivere. Così, ieri sera, guardando un immagine di me di quasi quarant'anni fa ho capito più a fondo il valore delle fotografie. In quella sola foto c'è il mio mondo di allora, nel mio sorriso spensierato c'è ogni piccola scintilla di quell'avvenire che non conoscevo ancora, ma che adesso conosco, fin qui nel tempo presente, come altrettanti ricordi di sentimenti e immagini. Il mio album di fotografie è l'archivio che custodisco in me, con tutto ciò che ho vissuto sin qui. Molte cose però so che si sono trasferite in uno strato di me il cui recupero di memoria richiede tempo, non è immediato come il richiamo che si ottiene guardando una foto. Ecco perché una fotografia è importante. Mio padre era appassionato di fotografia, così mi restano tante immagini che posso consultare per rimettere in fila i ricordi capricciosi che hanno preferito andare di qua o di là senza che vi badassi troppo. Uno dei miei difetti è sempre stato quello di preferire i ricordi in sé, legati alla conoscenza o alle emozioni, invece che all'esatta cronologia con i quali si sono susseguiti. Ho conosciuto persone che riuscivano a raccontarmi dei loro ricordi collocandoli perfettamente in un dato giorno, mese ed anno. Qualche volta mi sarebbe piaciuto ricordare le cose in questo modo, con un ordine cronologico rigoroso invece, qualcosa dentro, mi ha sempre portato oltre questo tempo memorizzato alla perfezione. Eppure non dimentico facilmente, ricordo volti, luoghi, immagini ma soprattutto sensazioni, luci e colori associati a tutte queste cose. Non ricordo mai le citazioni, le frasi scritte da altri così come sono state enunciate, ricordo il concetto, la sintesi, in breve riesco a ricordare il "nutrimento mentale" che mi dà, pur dispiacendomi per non poter rendere onore a coloro che sono autori di frasi importanti. Una fotografia per me è un valido aiuto per completare il quadro del ricordo. Mi piacciono le fotografie per questo, ora che ne comprendo meglio il significato. Quando nasce un album di immagini, gli scatti, che segnano incontrovertibilmente la vita che è stata, sono una memoria preziosa, tanto più quanto si riesce a "rubare" gli scatti, per immortalare i momenti in cui il soggetto è davvero se stesso e non si è messo in posa. Un sorriso sincero che tramanda tutta la forza che esprime rimane solo se si riesce a catturarlo al volo. Così la fotografia non è solo un ritratto composto da linee e colori è anche anima. Ci sono tanti motivi per far nascere un album di foto. Per creare un luogo, un archivio per la storia di un amore, o di una nuova vita, o per ricordare per sempre qualcuno che non c'è più, o per mille altre storie da raccontare. Quasi volessimo fare una copia della nostra memoria, non perché non ci si fidi di essa, bensì perché, quando non ci sentiamo, o non siamo capaci, di trovare la pace necessaria a ricordare, possiamo accederci liberamente. Qualche volta abbiamo nodi tali, dentro, da disconnettere tutti i ricordi così, senza di essi, ci sentiamo perduti ma ci basta ricordare una sola cosa: dove abbiamo messo l'album di fotografie che abbiamo fatto con tanta cura. Lì sullo scaffale, o dentro al cassetto, l'album attende che lo consultiamo per rammentarci di noi stessi durante il tempo trascorso; per vedere come siamo cambiati e come possiamo ancora cambiare; per piangere un po' guardando il passato, per i nostalgici; per non smettere mai di ricordare coloro che sono vissuti prima di noi e coloro che, a parte lo spazio che occupano dentro al nostro cuore, rimangono solo come un'immagine.

lunedì 11 aprile 2011

Alberi e desideri

La prima volta che ho sentito parlare di un "albero dei desideri" è stato poco tempo fa. Un'amica mi ha detto che l'albero dei desideri, secondo la cultura Hindu, ha il potere di realizzare qualsiasi desiderio espresso vicino a lui. Ho cercato sul web un riferimento ed ho trovato la parabola corrispondente. In essa si narra la vicenda di un uomo che, durante il suo viaggio, entra in paradiso e lì trova riposo sotto le fronde di un albero speciale. L'uomo si addormenta e, quando si sveglia, ha fame ed esprime questa sua necessità a voce alta, desidera mangiare. Subito appare del cibo, e lui mangia senza interrogarsi sulla sua provenienza. Poi desidera bere e, com'è accaduto per il cibo, appare la bevanda. Anche di questa apparizione non si accorge, beve a basta. Dopo essersi ristorato con cibo e vino, si rilassa, ma comincia ad interrogarsi. Si chiede se sta sognando, se sta succedendo qualcosa, se dei fantasmi stiano giocando malignamente con lui. Subito compaiono dei fantasmi orrendi e feroci. A questo punto il suo pensiero è la convinzione che questi fantasmi stiano per ucciderlo. Così accade, all'istante. Coloro che riportano questa parabola aggiungono dei loro commenti, che ne spiegano la morale. Il senso di tutto ciò è un monito nei riguardi di ciò che desideriamo. Ma soprattutto è un appunto sul potere della propria mente. Questa è la storia legata all'albero dei desideri.
L'albero dei desideri che ho visto io, nell'ambito di un incontro tra persone che sentono fortemente il legame con la Terra e le sue creature vegetali, era la rappresentazione di una speranza e di una celebrazione. Il desiderio principale ad esso legato era il rendere omaggio alla vita vegetale, ma anche alla vita in genere. Per l'occasione era stato allestito un ramo al quale erano stati legati i desideri, scritti su dei foglietti di carta, desideri di tutti i partecipanti all'incontro. Il 27 marzo 2011 è stato piantato un mandorlo che ha portato con sé tutti quei foglietti pieni di desideri. Il simbolo di una speranza. La speranza di ciascun essere vivente, che non smette mai di credere che le cose siano possibili nonostante tutto. Per non dimenticare il senso dell'armonia con tutte le cose viventi. Più semplicemente, secondo me,  per provare ad essere meno egocentrici.
Un albero è un essere vivente, che ha viaggiato con il pianeta per un numero di giorni che nemmeno riusciamo a considerare. La lentezza della loro crescita comunica pace e insegna la riconnessione con il cuore. Il respiro di un albero dona migliaia di respiri a noi. La loro saggezza è l'accettazione di tutto ciò che accade dintorno.
Un giorno ho pensato a cosa potrei provare se fossi un albero. Ebbene, se fossi un albero, avrei molti desideri. Vorrei che l'uomo, che si riposa con la schiena appoggiata al mio tronco secolare, potesse ascoltare il mormorio delle mie foglie, mosse dalla brezza gentile, che in primavera risveglia le gemme, per fargli capire che questo è anche il tempo per risvegliare le sue gemme nascoste. Se fosse estate, vorrei poterlo rinfrescare con la mia ombra, per fargli capire che non sempre l'ombra è un luogo oscuro, ma bisogna conservare se stessi per non soccombere alle proprie ombre. Se fosse autunno, vorrei insegnargli la dignità con la quale vestirsi in caso di perdita poiché, quando cadono le foglie, il mio insegnamento è saper lasciare andare. Fanno parte della vita anche la morte o l'abbandono, sebbene il fiume di lacrime sia difficile da placare. Le prime piogge d'autunno cercano di alleviare questo dolore. Lacrime di cielo. I colori di cui mi vesto, imitano quelli del tramonto, e vogliono cullare con più dolcezza possibile l'andare verso la prossima stagione. Se fosse inverno, e i miei rami fossero spogli, vorrei poter donare alcuni di questi per riscaldare l'uomo che ha l'anima nuda, e sente ancora freddo, nonostante abbia una casa. Se, invece, i miei rami fossero sempreverdi, vorrei sorreggere la neve per dare rifugio a chi ne ha bisogno, per ricordare che nel silenzio invernale la vita è tanto forte da manifestarsi ancora con il suo abito di sempre. Verde. Se fossi un albero, vorrei che l'uomo potesse congedare la mia anima, spesso impercettibile per lui, quando si appresta a tagliarmi. Vorrei che, anche se non mi ringrazia per il mio contributo al suo mondo, mi usasse con consapevolezza così, magari, ogni volta che leggerà un libro fatto di carta, o abiterà in case fatte di legno, o quando mi userà per creare una scultura, o in qualsiasi altro modo mi terrà accanto a sé, sentirà che gli ho donato la mia vita senza portargli rancore. E che usasse la carta di un libro per scriverci parole che nascono dal suo cuore, o dalla saggezza, e che non siano sterile bla bla, ma che possano servire per condividere storie, che possano ampliare gli orizzonti della conoscenza di ogni persona. Se fossi un albero potrei svettare nel cielo, e potrei vedere lontano, fin nel cuore delle foreste o delle città e potrei ascoltare milioni di discorsi. Se fossi un albero, infine, direi grazie a tutti coloro che si prendono cura di me e mi difendono, che mi sanno ascoltare con il loro cuore. I miei rami avrebbero sempre, per queste persone, la forma di un abbraccio.

sabato 9 aprile 2011

Sincerità e maschere

Per essere sinceri occorre imparare a spogliarsi di tanti orpelli accumulati nel corso della vita. Una nudità che ci rende speciali. E la sincerità, per definizione, è assimilabile alla nuda verità, pur non necessitando di essere brutali nell'esprimerla. La sincerità mi suggerisce trasparenza e semplicità, questo è quello che ho sempre pensato di lei. Non sempre, però, è una compagnia facile, poiché ella richiede dedizione e costante pulizia interiore ma, soprattutto, richiede di non mentire a se stessi. Se non si mantiene la connessione con la volontà di trasparenza verso quello che abbiamo dentro, ciò che rimandiamo agli altri è una menzogna. E questo avviene perché, per primi, non si è sinceri con noi stessi ma, se accade di non essere onesti fino in fondo, ciò che si ottiene è che non siamo davvero noi a presentarci, bensì una forma di noi che ci somiglia soltanto. L'involucro che si fa maschera. Quante volte capita di pensare qualcosa e, interrogati, diciamo tutt'altro. Neppure ci si bada. Eppure, quella sottile vibrazione distorta di una verità, che vorrebbe splendere per se stessa, soffre, secondo me, ad uscire vestita con un abito che non le appartiene. E ne soffriamo noi, anche se, da principio, non ce ne rendiamo conto. C'è chi dice che piccole bugie a fin di bene siano inoffensive, un niente che può essere concesso nel corso dell'andare. Specialmente se vi si trova una valida giustificazione. E, tuttavia, la valida giustificazione, qualche volta, si trasforma in alibi. Anche da una piccola bugia può originarsi un'impalcatura di falsità interconnesse, che un giorno, magari, è destinata a soccombere per una sola folata di vento improvvisa. Potrebbe succedere. I confini tra le definizioni, e le singole vicende che vedono protagoniste la sincerità e la menzogna, sono ricchi di sfumature. Personalmente trovo che la sincerità sia anche uno strumento per mostrare se stessi così come si è, per donare una forma all'essere, il contrario di quel che fa una maschera, che nasconde, e fa apparire qualcosa di diverso per distrarre l'attenzione dall'essere. Ma serve coraggio per potersi "mostrare" così come si è, anzi, sto usando il verbo sbagliato, dovrei dire per poter "essere" come si è, per sottolineare il concetto dell'integrità, che mi sembra sempre accompagnare l'essere onesti. Quando mi guardo allo specchio, lo faccio per controllare che tutto sia in ordine, non voglio certo farlo nascondendomi, altrimenti con quale scopo mi sto guardando? Non voglio veli né, tanto meno, maschere, per rivedermi, o meglio per vedermi davvero, scelgo la sincerità di uno specchio. Quindi la sensazione che cerco, l'essere onesta con me stessa, viene da dentro di me, è frutto della mia volontà. Se avessi paura di svelarmi di fronte alla superficie riflettente potrei pensare di avere paura e, qualche volta, accade che sia così. In questo caso basta rivolgere altrove lo sguardo, mentre le palpebre fanno il resto del lavoro, nascondendo la luce dell'anima che custodiscono, proteggendo gli occhi che ne sono sede. E' vero, qualche volta ho mentito a me stessa, ed è successo tutte le volte in cui non volevo confrontarmi con tutto quello che sentivo risalire dal profondo. Ho tradito la sincerità in favore di un comodo rifugio dove la sofferenza veniva attutita. Ho preferito una maschera che mi celasse a me stessa, per non pensare. Poi ho camminato ancora un po' con questo strano peso sul volto, che stava cominciando a modificarne i connotati sottostanti e, prima che fosse troppo tardi, ho deciso di gettare via la maschera. E' stata una battaglia muta tra me e me, per non smettere di ascoltare la verità, quell'impeccabile combaciare di ciò che nasce nel cuore, principalmente, con il pensiero che lo avvolge e lo veicola all'esterno. Ma non si tratta solo di questo, c'è molto di più. C'è la riflessione che lo specchio sa insegnare e c'è il percorso di accettazione che, piano piano, va sgretolando la maschera che ci siamo costruiti. Mille sono i motivi che portano alla costruzione di una maschera, ma tutti, secondo me, hanno radice comune nel desiderio di protezione. Percepire la propria debolezza, o dolcezza, avendola confrontata con la forza selvaggia della realtà spietata di ogni giorno, crea una risposta quasi immediata, il desiderio di creare un rifugio sicuro, che permetta di continuare a vivere nonostante tutto. Una necessità primaria che fa parte dell'istinto di conservazione animale. In questo senso nulla è condannabile, si può soltanto prenderne atto per aggiungere consapevolezza. Quello che la luce del cuore vorrebbe è la pace e la libertà che deriva dall'aver compreso il ruolo di ogni cosa che ci appartiene o ci sfiora. Solo così ci si può affrancare con animo alleggerito dalla pesantezza di una maschera, qualsiasi essa sia e per qualsiasi motivo sia nata. Se il tuo tempo presente ha ancora bisogno di una maschera, vivilo, ma, se puoi, comprendine il perché, per non divenirne schiavo. Questa è la voce della sincerità con se stessi.

giovedì 7 aprile 2011

Ritorno al cuore

Non ci sono mappe che contengano le infallibili indicazioni per ritrovare la strada che porta al cuore. A ciascuno è affidato questo compito da cartografo. Ma prima, si narra, si deve aver viaggiato abbastanza, altrimenti non si può apprezzare il punto da cui siamo partiti. E credo che tutti si parta dal cuore, fin dalla nostra nascita. Mi piace pensare che lì dentro l'utero, in quell'ambiente acquatico, a pochi centimetri dal cuore materno, si riesca ad assorbire, insieme alle sostanze nutrienti, il ritmo vero della vita. E la pace che pervade quel silenzio, mentre le cellule crescono e si moltiplicano, impregna l'essere che nascerà. Il cuore è un organo fisico la cui funzione è pompare il sangue per mantenerne il movimento. La circolazione è sempre attiva per tutta la vita, viaggia assieme a noi e alle nostre emozioni, alle nostre conquiste, alle nostre sconfitte. Ma il cuore è anche una metafora dai molteplici significati, a seconda del punto di vista con cui inquadriamo il concetto. Il cuore è un centro dove è plausibile immaginare di trovare i componenti principali dell'equilibrio. Il cuore delle cose è l'espressione del punto profondo dove risiede l'essenza. Il cuore di un oggetto è assimilabile al suo baricentro, ancora un altro equilibrio. Il cuore è la sede dei sentimenti, il luogo da cui partono e arrivano tutti i legami con persone che ci sono care. Vi si raffina l'emozione e vi si immagazzina l'amore. Il cuore è il centro della nostra personale metropoli. Qui, sarebbe bello pensare di edificare la residenza principale di ciascuno. E, tuttavia, il cuore da solo, senza l'ausilio della mente, la parte razionale, non avrebbe la stessa forza per esprimersi con saggezza. Il cuore da solo vagherebbe, galleggiando tra flutti senza una meta precisa, poiché non conosce bene l'orientamento, dato che per sua natura, il cuore, preferisce mantenere aperte tutte le sue infinite strade, senza preferirne una. Ma se il cuore senza il sostegno della mente, presa a consiglio per la sua caratteristica di potersi orientare, non potrebbe sopravvivere alle tempeste, anche la mente senza il cuore sarebbe sterile manifestazione di forme, linee, oggetti della memoria, privi di dolcezza e fluidità. In questa stessa collaborazione c'è un cuore, un'essenza speciale che permette di ritrovare la via verso il momento e la cosa giusta. Ogni scelta che si compie, o ci si accinge a compiere, richiede che si sia stati almeno un po' di tempo in questo cuore, per provare a ridurre al minimo gli effetti collaterali di una scelta che, comunque, non è mai immune da errore perché, in un modo o nell'altro, non siamo esseri isolati e, dal momento che ci muoviamo, possiamo toccare ciò che non ci appartiene, anche non volendo. Ma non si deve stare fermi, lo suggerisce il cuore stesso con la sua circolazione eterna; se si accetta di muoversi si accetta anche di poter sbagliare e di essere responsabili di qualsiasi movimento compiuto. Fare pace con il proprio cuore, credo sia, in ultima analisi, una delle porte di accesso per poter ritornare al cuore, al luogo speciale che tutti hanno indistintamente, anche se, momentaneamente, sembra di non riuscire a ritornarvi. La musica rilassante e le immagini di questo video, se ascoltate e osservate senza fretta, senza pensare che dopo c'è da fare la tal cosa, ma vissute nel qui e adesso, nel presente, suggeriscono la predisposizione necessaria per riprendere almeno in parte il viaggio del cartografo del cuore. Buon viaggio a tutti. R.B. Between.



mercoledì 6 aprile 2011

Scrivere

Scrivere è uno strumento al servizio della mente umana. Percepiamo attraverso i sensi, integriamo le varie informazioni acquisite e, qualche volta, ci troviamo a comunicare, naturalmente a voce, altre volte scrivendo. Se non si sceglie il silenzio, quello dove le parole vengono mantenute vibranti dentro di noi, in attesa o meno di uscire fuori, rimane la volontà di espressione. Scrivere è una forma di espressione. Per me fu una necessità, date le tante cose che galleggiavano sulla superficie dell'anima. Volersi esprimere è anche desiderare di connettersi agli altri, non necessariamente farsi notare. Parlare è più immediato e la mente guida la fuoriuscita dei concetti dalle labbra, tramite la voce, con semplicità. Più o meno tutti sappiamo parlare anche se non ci sentiamo capaci di scrivere. Eppure provare a scrivere insegna qualcosa di importante, secondo me. Per scrivere c'è bisogno di tempo, e di capacità di ascolto. Ascolto che va diretto verso i propri sentimenti. Se non li sappiamo riconoscere, quanto basta per non confonderli gli uni con gli altri, otteniamo solo la sensazione di un nodo che rimane lì, insieme alla pagina bianca. Non si scrive di soli sentimenti o sensazioni, è vero, un bravo scrittore sa ben descrivere le cose che vede o quelle che utilizza per fare da scenario per l'ambientazione della storia che sta raccontando. Bisogna saper essere dei buoni osservatori. E come ci mettiamo ad osservare oggetti o scenari, possiamo rivolgere lo stesso sguardo all'interno. Quello che talvolta manca è il farlo abbastanza spesso perché diventi facile, come avere muscoli allenati per un determinato esercizio fisico. Se diciamo che è difficile, e si pensa che non ci riesca fare qualcosa, ci mettiamo da soli un limite che, in realtà, nessun altro ci mette addosso. All'inizio, scrivere una sola frase semplice, che rispecchi il nostro stato d'animo, può risultare incompleto, perché ci rendiamo conto che, tutto quello che sentiamo, non è riuscito a uscire fuori e, sulla carta, c'è soltanto un frammento, come un balbettio. E' così che si inizia qualsiasi cosa, anche un bambino che inizia a parlare pronuncia singole parole e prima ancora soltanto suoni. Le frasi verranno in seguito. La stessa cosa vale per lo scrivere. E si può imparare. Usare lo scrivere per esprimersi è una scelta come un'altra, poiché vi sono anche altre forme di espressione, e l'arte è una di queste. L'arte veste le sue mani di materia, di colori, di ingegno, ma in tutte queste forme di espressione rimane la radice comune: comunicare ciò che vediamo o sentiamo. Il proprio punto di vista, che vogliamo difendere, o quantomeno proporre, perché in fondo ci sentiamo unici. Poco importa, in fin dei conti, nel momento in cui ci si esprime, che si dimentichi quella punta di ego in più; qualche volta, magari, è proprio questa punta inconsapevole a far vibrare la passione, che permette di dare agli altri tanta parte di noi. Ma, come sempre, credo che siano solo sfumature di un tutto talmente grande che non può, realisticamente, essere catalogato, si può, a mio avviso, soltanto esplorarlo e usare, ciò che si incontra, per confrontarsi e comprendere quello che in quel momento abbiamo bisogno di comprendere. Scrivere, allora, può essere come avere una tavolozza fatta di vocaboli che rappresentano le infinite sfumature di un concetto, e l'artista colora forme di pensieri per far rivedere agli altri ciò che lui vede o intende. Parlare in modo differente, con mezzi espressivi diversi, non annulla i concetti che stanno alla base poiché i sentimenti, pur con le loro infinite sfumature, provengono dal cuore, e dai sensi, e questi sono comuni a ciascun essere umano. Scrivere è il mio modo per dipingere con un mezzo diverso dai soliti colori e pennelli. E se riesco a ricreare l'emozione che io stessa ho provato vedendo luci, colori, profumi, persone, pensieri, tempo e spazio, posso dire che imparare a scrivere ha avuto un senso, e ringrazio chi, un giorno, me lo ha fatto ricordare.

martedì 5 aprile 2011

Un po' e un pò

Ecco una piccola cosa che mi ha fatto venire voglia di riflettere. Nella lingua italiana ci sono molte regole, e ammetto di non conoscerle tutte, ma da quando uso una tastiera per scrivere, invece della penna, ho a che fare spesso con la correzione ortografica automatica. Se scrivo "un po' " con l'apostrofo mi viene evidenziata la parola come sbagliata. Non è vero. L'errore è scrivere "un pò" con l'accento. Po' significa "poco" e la regola vuole che sia l'apostrofo a significare l'elisione delle ultime due lettere della parola. Non so bene perché la correzione automatica dia corretto pò con l'accento. Talvolta vedo scritto "pò", non solo qui sul web, ma anche in articoli di giornali, carta stampata. Allora penso che, se sempre più spesso ci si fida di una correzione automatica, invece di usare la conoscenza, si viaggia verso la perdita di una memoria. Certe regole ortografiche e grammaticali si studiavano alle elementari e si scriveva con la penna sulla carta. Ricordo ancora l'odore che avevano le pagine dei quaderni e l'inchiostro delle penne a sfera che qualche volta sbavava e ti macchiava le dita... Ricordo che non era facile tenere correttamente la penna in mano, per imparare a scrivere, e vesto questo ricordo con un po' di nostalgia, se lo confronto con le sempre più frequenti digitazioni. Ancora una volta sono "tra" qualcosa, e questo è uno dei motivi per cui il mio nickname è Between. Sono "tra" un tempo in cui le cose si facevano con le mani, e ci si rendeva conto con maggiore realismo di ciò che ci circondava, e il tempo di adesso, dove con un semplice tocco si arriva quasi ovunque. In verità sono entrambi tempi che hanno un loro significato, ma il mio cuore sta, e starà sempre, tra le cose che si possono toccare. Che mi si perdoni il tradimento, mentre scrivo il post per il mio blog, digitando sulla tastiera del portatile con solo tre dita. La distrazione, in tempi dove tutto è facilitato è naturalmente comprensibile, ma la testa credo che la avremo sempre attaccata al collo e, di conseguenza, credo sia sempre possibile, in ogni momento, scegliere e decidere di recuperare l'attenzione. Una correzione automatica aiuta, ma non vale quanto l'aver trascorso del tempo sulle pagine di qualche libro, studiando per capire come si fanno le cose, o come si scrivono. Dipende anche da questo come ci si pone poi nel mondo e con gli altri. Leggere per non dimenticare, o meglio, per ricordare non solo i concetti, ma anche i segni che li veicolano. Un po' di attenzione è tutto ciò che serve assieme alla voglia di conoscere.

lunedì 4 aprile 2011

Alba

Molti anni fa, quando andavo a scuola dovevo alzarmi presto. Potevo vedere il sorgere del sole ogni giorno per tutto l'autunno, l'inverno e la primavera. Ricordo, però, che allora non ci facevo attenzione, non perché non mi piacesse o non mi interessasse, ma soltanto perché dovevo prepararmi per andare a scuola. Qualche volta ero di fretta, perché mi ero svegliata tardi, e allora ignoravo totalmente il sorgere del sole. Però, se ci ripenso adesso, mi ricordo delle sensazioni che provavo guardando il cielo con i suoi irripetibili colori, che sono diversi giorno dopo giorno. E' pur vero che certe mattine il cielo era coperto di nubi, o pioveva, ma tante altre volte quei colori pastello erano lì. Questa mattina, rara mattina in cui mi sono svegliata prima del sorgere del sole, sono qui, sveglia come più di vent'anni fa e, strano a dirsi, non mi pesa essermi alzata così presto. Di solito mi sveglio e mi alzo molto più tardi. Per molto tempo, finito il periodo scolastico, mi sono rifiutata di svegliarmi presto, come se fare così mi permettesse di prendermi una rivincita sull'obbligo avuto per tutti quegli anni in cui non avevo avuto scelta. Forse, penso oggi, mi sono persa qualcosa. Ci sono anche volte nelle quali la vita ha assorbito molto, a livello psicologico, per cui, altrettante volte, mi sono ritrovata a desiderare di dormire, soltanto dormire, per non pensare, per non agire o solo per stanchezza mentale, più che fisica. Ritrovarsi ad alzarsi la mattina, senza avere uno scopo, non è semplice. E scegliere di vivere solo un giorno alla volta rende tutto questo ancor meno semplice. Magari l'impegno per la giornata c'è, ma se ti senti obbligato a farlo, poco a poco, l'anima si fiacca. Ma è solo questione di come si vedono le cose. Se non hai un lavoro fisso avverti con più intensità l'instabilità del terreno sotto ai piedi, e rischi di preferire la comodità di un letto morbido, piuttosto che la durezza della realtà. E, bene o male, anche se credi di preferire, e di saper vivere, la giornata, da qualche parte dentro di te, avverti la mancanza di prospettive future. Se poi accadono cose più gravi che procurano uno shock, dopo, per recuperare se stessi, si desidera calma, pace, dolcezza, calore, soprattutto calore, che io stessa ho associato al dormire più che potevo. Il tepore di una coperta era ciò che desideravo di più, per cercare di stare di nuovo bene. Comunque sia, al di là di ogni storia personale e di ogni scelta, questa mattina, mi sono alzata presto e, ciò che mi ha sorpreso maggiormente, è stata l'assenza di fatica nel farlo. Non so dire se domani sarà lo stesso, ma oggi è oggi, unico e irripetibile giorno con il suo carico di potenzialità e, perché no, di speranza. Se guardo fuori dalla finestra vedo che il colore del cielo, verso l'est, è un pallidissimo giallo diluito con del rosa e il resto del cielo non è ancora azzurro, è un particolare punto di celeste chiarissimo, come il colore del ghiaccio che, sotto un cielo limpidissimo, ne riflette l'azzurro. Direi che oggi è un'alba dorata, fresca nei colori e nella temperatura. Oggi sono qui e posso vederla. Questa, per me, è l'essenza del presente.

domenica 3 aprile 2011

Recuperare qualcosa cui teniamo

Avevo commesso un errore, ne sono consapevole, ancor di più a mente fredda. Una sciocchezza nata dall'inesperienza, ma che forse sciocchezza per qualcun altro non era. Mi sono creduta capace di fare, ma mi mancava la possibilità di controllare se stessi facendo bene. Non mi sono saputa fermare in tempo, in quell'attimo prima, tanto prezioso, che determina la svolta. Può succedere. Qualche volta l'errore non è grave come sembra ma altre volte, purtroppo, lo è. Quello che ti accade dentro, nel momento in cui ti rendi conto di avere perso una cosa, o una persona, speciale, è simile ad una esplosione che ti manda in frantumi. Frammenti di te cominciano a spargersi dovunque nello spazio che c'è oltre noi, eppure dentro di noi. La sensazione non è facile da descrivere. L'impatto è strano da metabolizzare, ma passa, e si dissolve l'effetto in breve tempo se si tratta di una sciocchezza. Nel momento in cui sparisce all'improvviso il lavoro in cui hai messo tanto di te, ti senti l'essere più stupido sulla faccia della terra, e l'intensità con cui pensi questo dipende da quanto ti senti responsabile. Tutto questo mi ha fatto pensare anche ad altre cose. Ho pensato a chi ho perduto. Ho pensato al fatto che indietro non si torna, almeno non nell'esatto modo in cui si vorrebbe che fosse questo tornare indietro, per poter rimediare in qualche modo. C'è chi dice che dai propri errori si debba trarre insegnamento per il cammino a venire, lo condivido, ma penso anche che, qualche volta, avendo a disposizione una seconda possibilità, sia importante tenerne conto e non sprecarla, continuando a pensare come prima, solo per credere di essere coerenti con se stessi. Si dice che un Uomo intelligente sappia anche modificare il suo pensiero, e non per adeguarsi alle circostanze, bensì per dimostrare che cambiare qualcosa dentro di noi è possibile, se si è capito davvero. E qualche volta, magari rara, si ha la possibilità di recuperare la cosa che credevi perduta, o la persona. La stessa cosa e la stessa persona che sono comunque lì, se si sa spegnere l'orgoglio, per riprovarci. Purtroppo perdere una persona e poi recuperarla è difficile perché non dipende solo da te. Ma se la base della pace concede seconde occasioni, resta a noi la scelta. E serve tempo, tempo prezioso da utilizzare per interrogarsi se i presupposti, che hanno portato all'errore, adesso sono stati visti e conosciuti e un domani, se dovesse presentarsi la seconda occasione, saremo pronti a cogliere l'attimo. Dispiace sbagliare, ma dilania il cuore sbagliare facendo stare male qualcuno che si ama, e per questo non basta il tempo, serve l'amore, serve un abbraccio, serve un sorriso, ma soprattutto serve il perdono da parte dell'altro. Mia madre un giorno mi ha detto una cosa: "Il passato è passato, ecco perché si può perdonare."

venerdì 1 aprile 2011

Nascite e desideri

Anche oggi è nato qualcuno. Piccola creatura attesa per nove mesi, e innegabile presenza dentro al corpo della madre, e dentro al cuore del padre. Ogni giorno nasce qualcuno, in qualche parte del mondo, e commuove sempre ogni respiro che ha nutrito il desiderio di arrivare a questo evento. Purtroppo non sempre l'evento è lieto se desiderio non c'è stato, ma c'è stato dolore al suo posto. Può essere anche, però, che dal dolore iniziale il percorso si sia evoluto verso il risplendere di un seme di felicità, che giorno dopo giorno ne porterà altra. Può essere. E' necessario crederci. Provo a pensare a tutte le sfumature contemporaneamente. Vedo inizi pieni di speranza che la vita ha poi piegato con crudeltà; vedo grandi o piccoli dubbi che portano a scelte che sembrano inizialmente quelle giuste, e forse, in qualche caso, lo sono state, senza doverle giudicare, mentre altre volte il cuore ha sanguinato per il perduto che non può più ritornare; vedo gioventù scegliere consapevolmente di portare avanti con coraggio gravidanze contestate e giudicate immature che poi, invece, si sono rivelate ben più mature di quanto si fosse creduto; vedo l'assenza di un genitore per qualsiasi causa si riesca a pensare, poiché le sfumature delle vicende della vita sono innumerevoli; vedo difficoltà nell'affrontare, e vedo amore infinito nell'accogliere, nuovi nati con problemi di salute; vedo tentativi pieni di speranza per il desiderio di nuova vita che rimangono inascoltati ma non spengono la fiammella della speranza stessa; vedo doni per coloro che ci saranno, fatti da coloro che sanno che non potranno rimanere; vedo quantitativi d'amore sufficienti per accogliere vite abbandonate soffocati dalla burocrazia; vedo mani tese e cuori aperti per spiccare il volo in zone sconosciute per portare aiuto a chi è nato e non sa se riuscirà a sopravvivere; vedo tutte le gamme di sentimenti possibili, vedo rifiuto e accettazione ma, in tutto questo, vedo una cosa che spicca sopra ogni cosa, vedo il desiderio che alimenta la forza della vita. Che questo mondo, e questa vita che abbiamo, siano unici, nessuno dovrebbe dimenticarlo e credo che, nonostante tutto, anche se sembra che si vada cercando la distruzione piuttosto che la costruzione, l'immensa voglia di continuare a vivere di ogni essere vivente venga dimostrato tramite i fatti. Ogni volta che ci crediamo, e nutriamo il desiderio di mandare avanti una parte di noi, è come se gridassimo che amiamo la vita. Voglio pensare che chi fa del male a se stesso sia perché ha smesso temporaneamente di ascoltare il suo cuore a causa della percezione del dolore, del suo specifico dolore. Un grido muto è difficile da ascoltare ed il dolore diventa insopportabile quanto più si desidera stare bene, ecco perché penso che sia importante ascoltare i cuori delle persone, in egual misura dell'ascoltare le parole che esprimono i pensieri, se queste sono sincere. Se mentiamo, la maschera che usiamo per proteggerci finisce con l'isolarci, ma il cuore non mente mai, suo malgrado. Ma il desiderio di vita, di tramandare se stessi, di rendersi tramiti di vita essendo genitori, rimane uno dei desideri più forti che ci siano. La sua radice è grande e profonda dentro il cuore di ciascuno, e posso augurare di poterla sempre vivere illuminandola, fin nelle sue appendici più sottili, per poter affrontare, nel modo migliore, ogni accadimento che la vita riserva.
Nascere è proseguire un discorso iniziato in un tempo remoto, e desiderare la vita, invece del dolore, è la luce che nutre ogni giorno questo discorso. Salvaguardare un bambino è avere cura di noi stessi e rendere omaggio a chi ci ha preceduto, e ha dovuto affrontare sacrifici per permetterci di andare avanti. Specchiarsi in una nuova vita che arriva è anche ricominciare a dialogare con se stessi, per rimettersi in gioco e poter rivedere il mondo con occhi rinnovati. Ciò che abbiamo imparato dobbiamo poi insegnare ma ciò che una nascita, o rinascita metaforica che sia, ci insegna, è riconnettersi col proprio cuore, per sorridere di nuovo, nonostante tutto, con un po' di consapevolezza in più.