giovedì 26 aprile 2012

Robbie Williams - Morning Sun

Ogni volta che ti ho cercato...

Quando non si butta mai via quello che si è accumulato non c'è da sorprendersi se un giorno capita di imbattersi in qualche memoria passata. La memoria in questione non è solo quella che porto con me ogni giorno ma è quella del mio vecchio cellulare. Scorrendo tra i vari tasti ce n'è uno legato all'archivio. E' lì che ho fatto andare tutti i messaggi che ti ho mandato. Un luogo nascosto alla vista, un custode fidato, per evitare di buttare via così in un click le cose che sentivo e che ho sintetizzato in meno parole possibili per farne dei messaggi. Ho riletto più volte le cose scritte e ho visto di me cose che non avevo visto prima. Cose da salvare e cose da gettare, come accade ogni volta che ci si occupa di rivedere quello che si è accumulato lì da qualche parte. Quando si vive ciò che si sta provando non si ha quasi mai il potere di astrarsi abbastanza da potersi rendere conto di quali siano i limiti, così si cammina magari anche calpestando... Ho sempre avuto il passo pesante... Rivedendo tutti insieme quei messaggi ho visto con quale forza ti ho sempre cercato nel tempo e ho capito che questa forza era fatta di tante cose mescolate insieme in modo talmente stretto da non saperle distinguere. Mi stravolge un po' questo tuffo nell'anima e nel cuore che sento comprendendo le singole parti di questo groviglio. Ti ho cercato perché mi sembrava magnifico avere una seconda occasione per conoscerti e l'insistenza era la voce della paura di perderla di nuovo. Ti ho cercato perché a scatola chiusa ho sempre pensato bene di te e volevo sfamare la curiosità per avere eventuali conferme al mio intuito. Ti ho cercato perché, anche se non lo sapevo gestire, tenevo così tanto a te... e fidandomi di ciò che sentivo pensavo che sarebbe stato facile fare amicizia con te. Ti ho cercato per la paura costante di perdere il sottilissimo filo di dialogo che in qualche occasione c'è stato. Ti ho cercato per dirti quello che sentivo senza badare al fatto che in quel momento non avevi voglia di ascoltare un discorso del genere e non ho mai azzeccato nessun momento... Ti ho cercato talmente tanto da rendermi ridicola e fastidiosa per l'incessante bussare. Oltre al passo pesante ho anche la testa dura... Ti ho cercato sempre perché quello che c'è in te, c'è solo in te, così com'è. Semplicemente tu sei tu... e non si può cercare qualcuno altrove se non dove si sa che c'è. Ti ho cercato con tutto il mio cuore pensando troppo a te, questo è vero, ma se questo è un errore riparabile, prenderne atto insegna a crescere e a migliorare se stessi. Ciò che si prova dentro al cuore è qualcosa che il più delle volte ha bisogno di una vita intera per essere compreso pienamente e di esso si sa solo come ci fa sentire, non si sa mai perfettamente che nome dargli e come classificarlo materialmente. Si sa che sta lì, dentro, e nonostante tutto permane, e ci fa agire anche sbagliando. E' lo slancio con o senza rincorsa che fa fare il salto per tuffarsi nella pienezza di se stessi quando si riconosce di essere innamorati. Il mio slancio esagerato mi ha fatto mancare per un pezzo la piscina ma la forza che lo animava era un palpito profondo del mio cuore, emerso ogni volta che ti ho incontrato. Ti ho cercato evitando di guardare davvero alla realtà che tu non vedi lo stesso di me. Ti ho cercato sperando sempre che qualcosa cambiasse, non posso non ammetterlo, ed ogni volta ho dovuto cercare di piegare il capo per arrendermi all'evidenza combattendo tra il rispetto assoluto che si deve alla libertà di scelta altrui e tutto quello che c'è nel cuore. Ogni volta che ti ho cercato volevo coinvolgerti in qualche chiacchiera e volevo che tu facessi lo stesso con me, perché so che sai essere divertente e spiritoso oltre che sagace. Ti ho cercato perché mi intrigava conoscere cosa c'era sotto la superficie e, abituata com'ero a calibrare le risposte altrui su me stessa, non ho messo in conto la tua riservatezza e il fatto che non ti confidi con chi ti chiede di farlo. E solo il Cielo sa quanto avrei voluto stare lì ad ascoltarti se avessi avuto qualcosa da raccontare o da dire. Ti ho cercato perché ho creduto che pescare nel tuo silenzio facesse emergere quella parte di te che sa sorridere e sa affrontare con disinvoltura la vita, e chissà che adesso, lontano dai miei messaggi, tu non sia già capace di farlo nonostante tutto. Ed ogni volta che ti ho cercato, le volte che mi hai risposto, mi hanno sorpreso, il mio piccolo tuffo nel cuore pieno di gioia perché c'eri. Oggi ho un archivio pieno di ricordi e una memoria nuova dove vorrei poter registrare nuovi messaggi, anche tuoi, momenti divertenti, battute, semplici ciao per fare pace, o solo per imparare a non soffermarsi troppo nelle nicchie del rancore o dell'indifferenza assoluta. Tutti abbiamo da imparare a gestire ed a convivere con i propri sentimenti positivi, negativi o sconvolgenti che siano, ma se si smette di credere che sia possibile dialogare allora si perde qualcosa. Ed io non vorrei perdere te né questo qualcosa che rende gli esseri umani tali.

Avere cura di qualcuno

Non è solo un pensiero, è anche un'attività che richiede partecipazione. E, prima o poi, a meno che non si sia totalmente soli e isolati dal mondo, capita di occuparsi di qualcun altro a parte noi. E potrebbe accadere lo stesso anche se non avessimo cura di noi stessi. Perché avere cura di qualcuno insegna anche a rivolgere quanto si impara verso di noi. La partecipazione può essere spontanea o suggerita ma ciò che non cambia in fondo all'esperienza è quello che otteniamo. Nel concetto di partecipazione risiede quello di presenza in ciò che si sta facendo, mentre per il coinvolgimento emotivo serve un discorso a parte. Perché, sì, si può essere la persona più efficiente del mondo nell'occuparsi materialmente di qualcuno, sempre vigili, presenti e competenti, ma ciò che si prova durante questo tempo può avere varia sorte. Si può costruire un semplice recinto attorno al cuore per evitare di coinvolgerlo troppo o, se la paura di affezionarsi fosse grande, si potrebbe costruire ben più di un recinto, magari una fortezza. Oppure si potrebbe lasciare che tutto il vissuto diventasse nutrimento per l'anima che desidera, più di ogni altra cosa, condividere le esperienze e le emozioni che sente. Se la partenza avesse solo un'iniziale efficienza e poco sentimento ci si potrebbe sorprendere ad osservare noi stessi sotto una luce diversa dal solito, perché potremmo accorgerci di avere abbassato, senza rendercene conto, la dimensione delle barriere attorno al cuore. E se così fosse mi sentirei di suggerire di non spaventarsi per l'accaduto se questa consapevolezza incidesse sul cuore più del previsto. Direi di lasciarsi andare per un momento per prendersi il tempo necessario per assaporare la sensazione che scalda dentro. Scoprire di essersi affezionati alla persona di cui ci stiamo occupando ci dipinge ai nostri stessi occhi in modo diverso da come ci conosciamo di solito ma è proprio qui che possiamo imparare qualcosa di più su di noi. Se riusciamo ad accettarlo allora avremo vinto la battaglia interiore per sciogliere qualche nodo. Divenire consapevoli di sapersi affezionare anche quando ci si impone di non farlo, allarga la strada sulla quale camminiamo per fare spazio ad un compagno di viaggio spesso scomodo, la consapevolezza di quello che si chiama legame e del fatto che un giorno, in qualche modo, si potrebbe soffrire sentendo le scosse su di esso. Amare qualcuno è l'accettazione che questa gemma di affetto possa diventare una pianta intera e la cura, che avevamo anche prima del coinvolgimento emotivo, è l'acqua che portiamo alle sue radici. E la paura di non essere più infallibili, poiché ci sembra di perdere di efficienza dato il coinvolgimento del cuore, fa tremare ogni volta che la persona della quale ci curiamo soffre per un qualche motivo. Così nascono un mare di domande, alcune anche scioccamente esagerate, su come, cosa, quando fare tutto il possibile per mantenere fede al compito assegnato che ora è diventato qualcosa di più. Sì, è vero, amare fa soffrire proprio perché coinvolge, ossia ci rende partecipi e, mentre lo fa, riusciamo a vincere di nuovo un'altra battaglia, quella più dura contro l'egoismo, che è la cura di noi stessi senza vedere altro. R.B.Between

lunedì 23 aprile 2012

Speranza e Pazienza

Scritte con la maiuscola perché sono vive abbastanza da insegnare qualcosa a chiunque sia disposto ad ascoltarle. Della Speranza si sente dire che sia l'ultima a morire mentre della Pazienza si sa che chi la possiede o, meglio, ne è accompagnato, riesce ad affrontare il cammino con la lentezza necessaria affinché certi particolari non vadano perduti con la fretta o l'incuria data dallo spazientirsi. Poi mi soffermo a riflettere su ciò che alcune persone dicono. "Sto perdendo la pazienza!", "Ho perso la pazienza!"; "Non ho più speranza...", "Ho perso ogni speranza". In queste frasi io credo che non ci sia l'affermazione di una realtà se non quella che il soggetto percepisce. Mi spiego meglio. L'affermazione di una realtà è come una fotografia non ritoccata, una semplice istantanea, un'immagine esatta di quello che è lì sotto gli occhi di tutti e non cambia la sua verità a seconda del punto di vista di ciascuno. Mentre la realtà percepita dal soggetto discende da ciò che prova il soggetto stesso e dunque si modifica a seconda del soggetto. La Speranza e la Pazienza sono due qualità umane, due attitudini dell'anima e del cuore che nascono dentro per vari motivi, ma una volta che sono nate esse vibrano pienamente di ciò che rappresentano con tutta la loro forza vitale e la comunicano a chi le ha in sé. La Speranza e la Pazienza in virtù della loro essenza non si esauriscono mai, ciò che viene meno, in determinati casi, è la resistenza umana. Mancata resistenza fisica o morale che dà voce al malessere percepito. E' sempre questione di spazi occupati da qualcosa. Se il dolore o il dispiacere o lo scoramento o la rabbia o qualsiasi altro sentimento prevale sul ricordo della Speranza e della Pazienza che abbiamo in noi,  diventa facile dare voce alla sensazione che né l'una né l'altra siano ancora lì a riempire il vaso di positività. Speranza e Pazienza servono proprio nei momenti più difficili. La Speranza sa accompagnare lungo il sentiero tenendoci per mano e prestandoci un lembo del suo mantello quando piove. La Pazienza guida la mano nei lavori più complessi, accompagna l'attenzione nel risolvere i problemi per evitare di trascurare qualche dettaglio importante, e culla, assieme alla Speranza, durante lunghe attese. Dunque, in base a queste caratteristiche, non ho mai creduto al fatto che siano loro ad esaurirsi o ad andarsene lasciandoci in balìa degli eventi a combattere da soli. Piuttosto, osservando bene ciò che è dentro l'essere umano, vedo in quest'ultimo la sua debolezza, fatta del cedere alla strada più rapida, dove è più facile perdere sia la Pazienza che la Speranza. Quando si perde la Pazienza ci si arrabbia e lo scoppio di energia ha il potere di spinta, magari quello necessario per uscire da una qualche situazione, e questo non è negativo in sé, poiché in certe occasioni serve anche che le cose siano così. Quello che va meno bene è perdere spesso la Pazienza, il che rende instabile il proprio equilibrio e fa stare male tutti coloro che ci sono vicino. Se si perde la Speranza si rischia di lasciare libero il posto per la malinconia, che porta a sua volta tristezza e depressione. Come un fiore che prima era turgido d'acqua e stava orgogliosamente in piedi in mezzo al prato e poi si accascia privo della forza che lo sorregge, seccandosi lentamente. Eppure credo che, se anche per una sola volta abbiamo compreso in noi ciò che danno sia la Speranza che la Pazienza, queste due presenze luminose restino per sempre dentro chi le ha provate. L'impronta è indelebile come la forza della loro essenza e poiché non sono quantificabili non possono neppure diminuire né perdersi. Se abbiamo Speranza e Pazienza, o solo l'una o l'altra, le avremo sempre. Sta a noi, nei momenti in cui la vita ci propone circostanze che mettono alla prova entrambe, puntando il dito verso i nostri punti deboli, riuscire a ricordarci della loro esistenza usandole e mescolandole a ciò che siamo, a chi siamo, per temprarci. E con questa forza potremmo camminare riconoscendo che c'è sempre una possibilità in più rispetto a quel che crediamo, sarà cura della Speranza farcela vedere mentre il compito della Pazienza sarà quello di ritagliare lo spazio nel tempo per rendere il tutto possibile.

domenica 22 aprile 2012

Come sarebbe stato...

C'è un punto dentro di noi dove credo esista una specie di ritrovo tra sentimenti. Non un punto qualsiasi né un ritrovo qualsiasi ma un luogo dove la consapevolezza di tutto ciò che fa parte del presente sta faccia a faccia con ciò che avrebbe potuto essere se le cose fossero andate in un altro modo. Me lo immagino come uno specchio magico dal quale si possa vedere oltre la superficie paradossalmente riflettente e trasparente. Una sorta di follia, un'aberrazione della mente, innescata da un ricordo che nasce nel cuore e lo strappa perché il ricordo si lega ad un affetto mancante. Questo pensiero mi è nato il giorno in cui ho deciso di prendere con me una "diavoleria moderna ipertecnologica", così come avrebbero detto i miei nonni vedendomi con un cellulare "che fa tutto tranne il caffè". Pensando alla potenzialità stupefacente di poter fare delle fotografie di ottima qualità ho attirato i ricordi di quella che era la passione di mio padre. Sono già volati in un soffio dodici anni dal giorno in cui mi ha lasciata con tutte le sue fotografie, la storia della famiglia in immagini. Mi sono trovata a pensare a come gli sarebbe piaciuto poter vedere questo aggeggio elettronico anche se lui era abituato a quelli meccanici. Me lo sono immaginato sorridente ed ho scattato una foto con la mente, a questo vecchietto con i capelli bianchi ma sempre vispo come un bambino; sarebbe stato così se non fosse andata come è andata. Eccoci di fronte allo specchio magico paradossale, mi vedo riflessa in trasparenza, sospesa tra il presente e tutto quello che avrebbe potuto essere. Lo scontro c'è ma non lo si vede riflesso perché sta dentro al cuore, mentre si crea un vuoto che attira altri pensieri che hanno radici in comune. Praticamente impossibile non pensare a tutti coloro che hanno perso qualcuno che amavano (e amano tutt'ora, poiché non si smette di amare, perché ancora e sempre si accarezza con il cuore il ricordo di chi ha smesso di camminare sulla terra) mentre si annaspa un po' nella corrente forte che si forma. Perché, anche se cerchiamo di convincerci che il presente è la cosa alla quale si deve rispetto e che ci permette di non soccombere nei momenti di sconforto, la costruzione di come sarebbe stato inizia da sola. Se si riesce a non piangere troppo, se si è abbastanza forti, dunque, da mantenersi eretti pur con gli occhi lucidi, si può viaggiare in un tempo astratto dove siamo noi a colorare gli eventi e a dar loro forma e contenuto. E qui, loro ci sono, ci sono tutti coloro che amiamo e i loro volti ci guardano, anche se non avremo mai la certezza assoluta che questo sguardo verso di noi sia solo il frutto del desiderio intenso che proviamo o se dentro questo, indistinguibilmente legato, si trovi anche qualcosa in più. Che sia una altrettanto paradossale impercettibile percezione di un battito dei loro cuori trasferito nell'etere e nel cielo? Non lo so ma preferisco lasciare uno spiraglio aperto a questa stramba possibilità assai poco terrena. Non mi costa nulla accogliere, quanto piuttosto mi costerebbe il negare senza appello solo perché voglio credere esclusivamente ai miei occhi fisici. Solo un pensiero... Così il "come sarebbe stato" si trasforma in una piccola oasi dove, se si riesce a vietare l'ingresso alla malinconia, si ha un tempo in più per far respirare il cuore che talvolta non si dà pace, perché conoscere bene il presente non concede spesso ciò di cui avremmo maggiormente bisogno quando inciampiamo su certi pensieri. E questo vale sempre quando ci si trova nella situazione di far incontrare la consapevolezza del qui e adesso con l'ipotesi di una strada diversa che però non è stata imboccata.

domenica 15 aprile 2012

Rivelare i propri sentimenti

La dichiarazione d'amore nasce nel momento in cui tutto quello che si è accumulato dentro al cuore diventa incontenibile. Non credo sia perché il cuore è troppo piccolo per ospitare ciò che si prova, solo che arriva un momento nel quale non si riesce più a tacere perché questa forza, che scorre prepotentemente, travolge tutto. Sostanzialmente si arriva al momento della dichiarazione perché si è convinti e si sa cosa si prova per l'altra persona. Nonostante tutto, una dichiarazione d'amore non è mai una cosa di poco conto, anche se l'eventuale imbarazzo potrebbe sminuirne il valore. Si tratta di dare voce a quei colori interiori che rimangono dentro come sorgente di gesti o sguardi. Spesso la timidezza non fa affiorare le parole, lasciando che tutto si mostri attraverso la tenerezza e il calore che offriamo. Chi vive di parole, però, le userà come mezzo per raggiungere l'altro in modo più immediato e inequivocabile. Chi vive usando i silenzi, facendo della riservatezza un'arte che dona eleganza, adatterà la sua dichiarazione al proprio modo di essere ma, in entrambi i casi, se si giunge alla dichiarazione d'amore, si diventa consapevoli dell'urgenza del cuore. Se poi non si conosce cosa prova l'altra persona per noi, rivelare i propri sentimenti diventa un tuffo nell'ignoto. Dovrei ammettere, dunque, che una dichiarazione d'amore, in questo caso, è anche una prova di coraggio perché ci si mette in gioco, anche se, nemmeno per un istante, si pensa che quello che stiamo vivendo sia un gioco. Lì, in quel momento, teniamo in mano noi stessi per offrirci ed è la paura di un no che fa stringere lo stomaco. Eppure siamo impavidi nel cuore che palpita e palpita. Abbiamo preso una decisione non da poco, nel momento scelto ci esporremo e cercheremo di aspettare il verdetto con dignità. Solo un pensiero, solo un proposito ma la verità è che, pur nella sicurezza del sentimento provato, diventiamo insicuri per timore di quella che potrebbe essere una risposta negativa. Oppure potrebbe anche accadere che questa paura non ci sia. Ovviamente, se la frequentazione fa intuire del tenero in entrambi, la dichiarazione si veste di meno aspettative passibili di disillusione. Si camminerebbe su di un terreno quasi conosciuto e questo porterebbe a vivere il momento con minore tensione. Eppure, quando si sceglie di rivelare i propri sentimenti a qualcuno, nessuno o nessuna cosa ci obbliga, anche se i sentimenti premono e si ha la sensazione che il cuore possa esplodere. Quando ho provato ciò che ho provato per qualcuno, mi sono dimenticata delle convenzioni che vorrebbero il galateo femminile attendere la mossa del cavaliere di turno. Primo, perché non è nel mio stile essere tanto leggera nei modi, né so gustarmi i tempi, così, senza aspettare nulla, ascoltando l'enormità di ciò che avevo dentro, mi sono lanciata e, secondo, perché non avevo un ideale cavaliere ma un ragazzo che mi faceva battere il cuore a mille. Ma il lancio è stato disastroso, perché non ho controllato la velocità e non mi sono curata di verificare se l'ignoto, nel quale avevo scelto di tuffarmi con tutte le scarpe, era anche, solo per un'inezia, abbastanza morbido da attutire un'eventuale caduta. Mi sono così spiaccicata su di una magnifica lastra di granito non una, ma due volte. In una, avevo dalla mia parte l'ingenuità di un'adolescente che si innamorava per la prima volta. Nella seconda, avevo il carico di sentimenti mai perduto nella prima e molte altre speciali sensazioni splendide, e indescrivibili anche per una, come me, abituata a descrivere tutto. La lastra di granito era la stessa in entrambi i casi. Mi sono chiesta una cosa. Mi sono chiesta se rimpiango le volte in cui mi sono dichiarata... La risposta è no, non lo rimpiango, anche se, molto umanamente, qualche volta, quando ripenso al fatto che potevo godermi una lenta conoscenza, laddove poteva instaurarsi amicizia, con la rivelazione di ciò che provavo, ho bruciato il cammino ed ho ottenuto l'effetto contrario, un allontanamento invece di un avvicinamento. Vedete, con una dichiarazione d'amore, oltre la paura di lanciarsi, si evita volentieri di mettere in conto un rifiuto o un allontanamento così, quando accade, se accade, cercate di tamponare tempestivamente la ferita nel cuore, ricordando che ciò che provate è la vostra forza e fa parte di voi anche se non venite accettati. Se non piacete, pur provando tanto dentro di voi per la persona alla quale vi siete dichiarati, non lasciate che questo fiacchi la stima che avete di voi stessi. Le esperienze insegnano molte cose, la più importante delle quali è provare amore per qualcuno, indipendentemente dalla risposta che avrete in seguito alla vostra proposta. Perché ciò che porterete sempre con voi è la capacità del vostro cuore, null'altro che questo. R.B.

sabato 14 aprile 2012

Idiomi

Questa parola è solo un sinonimo per indicare le diverse lingue di diversi Paesi. Eppure vorrei usarla per approfondire il concetto della comunicazione in genere, tra persone che parlano una stessa lingua. La prenderei in prestito per sottolineare che molto spesso, pur emettendo gli stessi suoni conosciuti, non ci si capisce. La radice di tutto sta nel fatto che la parola è il mezzo per esprimere il pensiero, non è il pensiero stesso. E la parola, come mezzo espressivo, è fatta di codici vocali riconoscibili e conosciuti in modo comune da chi condivide lo stesso luogo di nascita. Questi suoni, codificanti in modi diversi il pensiero, sono detti lingue. Ma torniamo nell'ambito di uno stesso idioma. Ci si dovrebbe comprendere chiaramente poiché viene stabilito prima il significato da attribuire alle parole, così  da fare riferimento a ciò che si impara, per  rappresentare il concetto o l'oggetto. E' in questo modo che  può avere luogo lo scambio di parole nel senso di dialogo. L'uno esprime qualcosa, l'altro ascolta e risponde, partecipando alla discussione. Qui, però, potrebbe iniziare il problema, qualora, nonostante l'uso della stessa lingua, fosse il pensiero di ciascuno quello su cui porre l'attenzione. Non raramente mi è capitato di assistere a discussioni nelle quali ognuno dei partecipanti, solo apparentemente, dialogava con l'altro, poiché questi seguivano, non un filo comune di pensiero, ma ciascuno seguiva il suo. Strano a dirsi, sembrava che si capissero ma, alla resa dei conti, non era affatto così. Se fosse stato chiesto loro di fare un riassunto del dialogo, citando correttamente cosa volesse esprimere l'altro con le parole usate, non si sarebbe ottenuta una risposta soddisfacente. E questa è sempre la riprova del fatto che, pur credendo di partecipare ad un dialogo, costruiamo e mettiamo in scena solo un monologo. Il più delle volte. Non fraintendetemi, la differenza di pensiero è un punto stimolante per dialogare e insegnarsi cose reciprocamente, ma se ciò che abbiamo dentro è la convinzione che il nostro pensiero vada già bene così com'è, senza passare da un qualche filtro mentale di controllo, per capire se stiamo capendo chi ci sta davanti che ha, come noi, l'intento di esprimersi su di un dato argomento comune, non saremo davvero in grado ci comprendere "l'idioma" altrui. E' il pensiero la radice da cui passa tutto quanto, così non mi meraviglierei nel vedere che, invece, possono intendersi alla perfezione due persone di differenti nazionalità che non conoscono, ciascuno,  nemmeno una parola dell'altra lingua. Tante incomprensioni nascono dal fatto che crediamo di capire, senza interrogarsi, una volta in più, per riassumere ciò che ci è stato affidato mentalmente da chi ci ha parlato. Rielaborare ciò che si pensa di aver capito ha bisogno di conferme, anche quando è chiaro, giusto per non sbagliare. Ma questo non si fa quasi mai, anzi. Quanti non lasciano che l'altra persona finisca la frase perché credono di aver capito tutto già dalle prime parole? Neppure io ne sono immune qualche volta, pur conoscendo il valore del comprendere esattamente le cose in modo inequivocabile. Così mi metto ad osservare chi dialoga nei talk-show, per cercare di capire se si stanno comprendendo e debbo constatare che, il più delle volte, è come stare a guardare dei fili che corrono paralleli tra loro, raramente incrociandosi, ricordando che è nel punto di incrocio di questi fili che nasce la comprensione comune. Tanti scontri verbali per divergenze di opinione, sono il risultato della non consapevolezza che ciascun essere umano ha il suo idioma personale nato e cresciuto con il suo punto di vista. La chiave di tutto, secondo me, è poter comprendere questo, poter capire che, sì, siamo diversi e aventi diritto al proprio punto di vista ma ricordando che, poiché si partecipa in mezzo ad altri, questo non è, né sarà mai, l'unico e universale. Comprendere ciò, però, sconfina nel personale territorio di combattimento contro l'ego che preferisce ascoltare se stesso entro i propri confini, oltre i quali perderebbe di forza e significato. Apparentemente. Ma questa è un'altra storia.

venerdì 13 aprile 2012

Vorrei farti stare bene...

Questo è un pensiero che non mi ha mai lasciata anche se ci sono stati errori in mezzo. E' un sentimento comune per chi prova qualcosa per qualcuno, sia che esistano legami di parentela o meno tra le persone coinvolte. Un genitore lo desidera per un figlio e viceversa, nonostante i soliti conflitti generazionali. Gli amici lo provano nei confronti gli uni degli altri e lo provano le persone che si amano. E' la cura fatta di coinvolgimento e attenzioni. Si ricordano le cose che piacciono e quelle che non piacciono all'altra persona. Qualche volta si rinuncia a qualcosa per noi in favore di chi amiamo, come sanno fare i genitori con i propri figli e viceversa, quando un figlio, ormai adulto, comprende il suo passato. Questo proposito nasce in profondità dentro e sale in superficie per mezzo delle azioni che rivolgiamo all'altro. Le azioni rendono visibile e tangibile il sentimento provato e non mentono. Poi ci sono gli errori, anche se qualche volta non si riesce a definirli soltanto con questa parola, specialmente se l'errore è pesante. Più dolente e delicato è il punto che ha visto la presenza dell'errore e maggiore è la difficoltà per sistemare la comprensione in quello stesso punto. Perché, chi sbaglia senza rendersene conto, in seguito comprende di aver sbagliato ma tende a vedere l'errore con meno intensità perché desidera con tutto se stesso, consciamente e inconsciamente, di rimediare. La mente torna come un boomerang nel cuore del proposito che si è perduto nel gesto o nella parola sbagliata e si sta male. E si fa così un danno peggiore, cercando di discolparsi. La persona che vorremmo stesse bene non sta bene e ne siamo responsabili. Aumenta il carico del senso di colpa. L'altro, che sta male, che è deluso, che vive un carico di pensieri diversi dal nostro in quello stesso momento, si difende come meglio crede, come gli riesce meglio. E noi possiamo rimanere fuori dai nuovi confini eretti dall'altro per difendersi dal dolore. Solo che in quel momento, quando tutto ti crolla addosso, si dimentica che per far stare bene qualcuno si deve saper accettare la reazione altrui, senza criticarla, possibilmente. Se, poi, un giorno, le cose migliorano si può guardare indietro nel passato con occhi diversi, con la consapevolezza nel cuore che le cose che credevamo irrimediabili hanno solo bisogno di un tempo più lungo di cicatrizzazione. Se però lo strappo permane, allora, in virtù del proposito che vibra ancora nel cuore, si deve raccogliere di nuovo la forza per accettare questa strada. Qualche volta, sappiate, le cose torneranno a posto, sia che smettiate di crederci sia che continuiate a sperare e, se accadesse, potreste scoprire il significato della pace, da questo specifico punto di vista. Mettete in conto, però, che tutto si fermi lì e non prosegua oltre, nonostante il vostro cuore desideri far sapere al cuore altrui che nulla dell'accaduto è mai stato intenzionale, nemmeno per un momento. Potreste trovarvi nella situazione di chi, per far stare bene la persona ferita, si debba arrendere alla distanza già creata dalla spaccatura, se la presenza dovesse risultare irritante. Sappiate però un'ultima cosa, che questo atto è una delle cose più difficili da chiedere ad un cuore che ama.

giovedì 12 aprile 2012

L'abito per un'occasione speciale

Qualche anno fa sono stata in un negozio di abbigliamento molto grande. Mi sono divertita a guardare ogni singolo vestito appeso immaginando come mi sarebbe stato, anche se non era della mia misura. L'immaginazione non si ferma di fronte a questi problemi. Poi ne ho visto uno davvero splendido. Così ho osato pensare di poterlo avere anche se era costoso. Il passo successivo è stato controllare se c'era la mia taglia. Me lo sono provato e mi sono piaciuta perché vedevo di me una persona quasi sconosciuta in tale veste insolita. Si trattava di un vestito da sera di raso pesante rosso. Nel mio quotidiano vesto sempre in modo assai ordinario, sportivo, perché per ciò che faccio non è importante vestirmi in modo ricercato né mi sarebbe comodo, anzi mi intralcerebbe. Però, al di là della constatazione della realtà dei fatti sulla forma del mio fisico, nella mente non ho difetti che impediscano di indossare con grazia un abito elegante. Un comune sogno femminile, o forse anche maschile, è quello di essere belli, affascinanti con un abito che metta in risalto come siamo fatti nel modo migliore, nascondendo magari quelli che vediamo essere dei difetti. Chi non desidera piacere o godere del fatto di essere riusciti nell'intento? Specchiarsi negli occhi altrui, quando siamo al meglio di noi stessi, è una sorta di vittoria sul quotidiano, specialmente se questo è abbastanza incolore. Forse per questo mi ha colpita il colore rosso di quel vestito. Un mio difetto è quello di mettere da parte per il domani, sognando qualcosa di speciale, poi torno con i piedi per terra portando con me l'appunto nella memoria che mi lega a tale desiderio. Questo è un difetto, perché così non si vive il presente con la forza dei propri sogni, posto che questi siano davvero realizzabili, lo si vive solo adattandosi con quello che c'è. La mia natura poco intraprendente e poco competitiva mi fa fermare sulla soglia del sogno, magari per guardarlo da lì, per respirarlo, ma non per tuffarmici, pur conoscendo quanto valore abbia avere il coraggio di vivere pienamente quei sogni che farebbero stare bene. Non so perché ma anche da piccola amavo gli abiti da sera, possibilmente luccicanti. Adesso ho con me il mio abito rosso, se ne sta lì nell'armadio entro la sua custodia di plastica, custode esso stesso del mio momento magico speciale, incognita del futuro che potrebbe esserci come non esserci. Riflettendo, comprendo che, nonostante il fatto che un desiderio si realizzi o meno, il vero abito da indossare dovrebbe essere quello che nasce dalla propria sincerità. Non a torto si dice che la vera bellezza di ciascuno venga da dentro, perché ciò che splende poi illumina tutto il resto. Non so se indosserò mai il mio vestito rosso, ma non rimpiango di averlo acquistato. Quello su cui vorrei poter lavorare è imparare a non fare lo stesso con cose più importanti e meno materiali. Di questo ho sempre paura, di non avere abbastanza attenzione per vivere nel presente le cose speciali che ho desiderato e che, qualche volta, ho ottenuto. Non vorrei mettere da parte quello che ho nel presente solo perché mi spaventa affrontarlo e viverlo. Un motivo per cui parlo delle cose che comprendo, qui in questo spazio virtuale, è anche per non dimenticarmele, per non lasciarle chiuse nell'armadio. E non crediate che chi veste ogni giorno con abiti eleganti e costosi, magari scomodi, non pensi qualche volta di indossare, come proprio abito per un'occasione speciale, un paio di jeans e una maglietta con scarpe da ginnastica. Non ho certezza che qualcuno pensi questo ma credo sia possibile, se non altro per dire che l'abito per l'occasione speciale sia solo la conferma che l'occasione speciale è semplicemente un'occasione per sentirsi diversi da come siamo di solito.

Alla ricerca di calore

Credo di non sbagliare dicendo che più o meno tutti conosciamo il dolore, sia fisico che interiore. Quello che mi è sempre sembrato utile, per smorzare tale sofferenza, è il calore. Un dolore fisico costante di fondo, come quando le articolazioni non si muovono tanto bene, ha bisogno di calore. Un dolore nel cuore o nell'anima, dovuto a dispiacere o per qualsiasi altro motivo lo si avverta, ha ugualmente bisogno di calore. Quando fa freddo si cerca il calore e quando si ha freddo dentro la ricerca di calore si intensifica. Non ho ancora capito esattamente dove stia il confine tra il potere del calore fisico e quello del calore affettivo, credo che si mescolino spesso poiché il bisogno di calore è più ampio di ciò che si possa credere. Credo anche che proprio in questo punto si riesca a percepire meglio il significato dell'amore. La medicina universale che accompagna l'eventuale obbligo di consumo di medicine chimiche. La chimica o l'intervento materiale come un'operazione chirurgica risolve ma non si spinge oltre e poco arriva fin dentro l'anima e il cuore per nutrire l'immenso bisogno di calore a questo livello. Nessuno strumento materiale sa arrivare in profondità. Il calore di una carezza, di un abbraccio, la presenza, le parole, la compagnia, il contatto umano anche solo fatto dello stare fianco a fianco, fornisce una dose di calore benefica che aumenta l'intensità curativa di qualsiasi medicina. Solo che questo calore non è in vendita e soprattutto l'averlo dipende dalla capacità personale di accettarlo e di mantenerlo. E se non è in vendita neppure lo si può mendicare perché ottenerne un po' dipende da come siamo fatti e da come ci comportiamo. Se risultiamo interiormente ispidi pochi si avvicineranno ma se accadesse che, nonostante l'essere rigidi e magari pretenziosi, qualcuno si avvicinasse, dovremmo poter vedere che in questa persona c'è molto amore per noi. E quando qualcuno prova per noi qualcosa, è qui che troviamo calore. E se non ricerchiamo calore perché pensiamo di non averne bisogno potremmo almeno soffermarci a riflettere a quanto prezioso sia il calore che accompagna l'amore. Il calore dato dall'amore è sempre alla sua costante temperatura a meno che non aumenti intensificando il legame tra le persone. Questo tipo di calore non si disperde nemmeno nel caso non venga accettato, se lo si sa mantenere vivo rimane dentro chi sta amando, basta non volere nulla in cambio, anche se questa opzione è la più difficile da attuare. Per scaldare se stessi è, sì, sufficiente stimarsi e avere cura di sé ma resistere a lunghi periodi in questo modo fa disperdere un po' questo calore. Ecco perché, se non la si rifiuta a priori, si cerca la compagnia, per cancellare la solitudine dal calore moderato. Qualche volta una borsa dell'acqua calda fa stare bene ma anche il fisico, poi, riconosce la qualità del calore che gli viene presentato. Così, ecco che la ricerca del calore continua, finché anche cuore e anima si sentono bene.

RHCP - The Zephyr Song

Potenzialità

L'idea che mi sono fatta del concetto di potenzialità riesco a spiegarmela meglio se la rendo un'immagine. Rimanendo in tema di primavera, direi che le potenzialità che ciascuno di noi ha sono come i punti in cui si formeranno le gemme sui rami. Prima che la gemma si sviluppi in un fiore oppure in una foglia o in un nuovo ramo, non sappiamo cos'è. Solo l'albero lo sa. Anche noi possiamo sapere in cosa potremmo trasformarci se impariamo ad ascoltare chi siamo. Le potenzialità esistono ma spesso non sono così facili da vedere. Talvolta si scoprono per caso mentre siamo impegnati in qualcosa di completamente differente. E' qui che si manifesta l'importanza del vedere come siamo fatti, per accorgerci di ciò che abbiamo trovato. E per vedere come siamo fatti, strano a credersi, bisognerebbe ascoltarsi. L'ascolto è un'attitudine innata ed è come l'atto del tendere l'orecchio verso qualcosa non all'esterno di noi ma all'interno. L'attenzione, nel senso di essere vigili, è strettamente correlata all'atto dell'ascoltare, sia che si tratti di ascoltare suoni captabili con l'orecchio, sia che si stia prestando ascolto nei confronti del nostro personale rumore di fondo. Dunque si ascolta se stessi per poter vedere il punto dove nasce la potenzialità. Una potenzialità è un nucleo concentrato dove c'è tutto quel che potrebbe essere e, come ogni cosa concentrata, per comprenderla e vederla, deve essere diluita, ossia lasciare che si manifesti per ciò che è. Vedere in qualcuno delle potenzialità è vedere queste gemme e chi assiste a ciò, quando sente che tali gemme possono dare splendidi fiori e, di conseguenza, frutti speciali, inizia a credere nella persona che ha appena visto. Ma, al di là del fatto che sia qualcun altro a vedere le nostre potenzialità, compito personale dovrebbe essere, in base alla percezione delle proprie potenzialità, credere in noi per imparare ad osare, ossia a spiegare le ali per imparare a volare. O, se preferite avere i piedi per terra, o soffrite di vertigini, per imparare a camminare senza mostrare passi esageratamente incerti. Un figlio stesso è in potenzialità un essere umano con molte scelte a disposizione, e come ci sviluppiamo dipende anche da noi e dalla nostra volontà benché qualcuno sia portato a pensare che non sia così. Si sa tutti che le eccezioni ci sono ma in linea di massima il timone della nostra vita lo abbiamo in mano noi, quello che risulta difficile è ricordarselo. Se vogliamo, anche le potenzialità che riconosciamo far parte di noi ci descrivono e ci permettono di ricordare che il comando passa da qui, da quello che c'è dentro ciascuno. Ecco perché è importante credere in se stessi, perché questa energia di consapevolezza è il carburante del quale abbiamo bisogno per andare avanti. E non è tutto, secondo me. Credo anche che, se riconosciamo esistere più potenzialità diverse fra loro in chi siamo, potremmo comprendere, da un altro punto di vista, il significato del potere di scegliere, non ultimo dello scegliere come dirigere la nostra vita. Scegliendo dove applicare la nostra attenzione e la nostra cura, per permettere alla potenzialità, che abbiamo scelto per interpretarci, di dipanarsi nel percorso che intanto c'è, poiché lo stiamo percorrendo, automaticamente fa scegliere la vita che vorremmo. Dopo questa scelta consapevole inizia il combattimento per difenderla dalle varie intemperie. Se poi credete nella forza e nella dignità di un albero, e vi piace pensare che possa essere un valido esempio per guidare voi stessi nel temprarvi, non dimenticate mai che i rami sono flessibili e le gemme sfidano le piogge più violente e, anche se qualcuna soccombe nella tempesta, sicuramente un albero non lascerà mai sguarnito nemmeno il più piccolo dei suoi rami di foglie o fiori.

martedì 10 aprile 2012

Presbiopia in amore

Un giorno, una persona mi ha fatto notare che la mia capacità di vedere in profondità le persone, diciamo tramite quella che vanterei come sensibilità personale, è venuta meno proprio nel momento in cui doveva essere usata. Oggi, non so bene come, mi è tornata in mente questa "accusa". Ho messo fra virgolette la parola accusa perché in realtà è una cruda lettura della realtà dei fatti. Quindi cade l'effetto accusatorio che  percepisco in me. La pura verità non può essere un'accusa, è solamente la verità e questa si regge bene da sola sulle proprie gambe. Se si interpreta la verità come un'accusa si entra in un luogo dove tendenzialmente si vuole negarla, preferendo sentirsi vittime piuttosto che riconoscere il dato di fatto per ciò che è. E riconoscere il dato di fatto per quello che è, è assumersi la responsabilità, facendosi carico del peso stesso della verità. Dunque, alla base di questa verità, c'è stato un fenomeno che credo non sia così raro ma che ha molte motivazioni diverse all'origine. Quando si è presi da qualcuno accade qualcosa alla vista. Non mi riferisco alla vista fisica ma agli occhi dell'anima o, nel caso specifico dell'amore, agli occhi della mente che si lascia influenzare dal cuore. Si modifica la capacità di vedere distintamente le cose e questo effetto è maggiore quanto maggiormente profondo è il coinvolgimento emotivo nei confronti di qualcuno per cui ci batte il cuore. Al di là del fatto che in certe occasioni potrebbe essere positivo smettere di vedere con la chiarezza tagliente della mente, non è altrettanto vero  avere poca cura della persona che diciamo di amare, smettendo di vederla chiaramente. Se il palpito del cuore dipinge di colori pastello le cose quotidiane rendendole piacevoli, va bene, ma chi abita nel nostro cuore dovrebbe avere un trattamento speciale, dove si riversa tutta la nostra attenzione per non sbagliare malamente. Ma è qui, in questo punto critico, che tutto può cambiare a seconda delle dosi. Troppa attenzione fa calare la potenza visiva così, quando si è vicini all'altra persona, le sfumature delicate che dovremmo percepire passano, invece, inosservate. Troppa attenzione è come troppa tensione su di una corda elastica, vibra tutto e la messa a fuoco si perde. Tutto questo, però, non accade per cattiveria, anzi, potendolo capire mentre accade, permetterebbe di modificare immediatamente la messa a fuoco, così da colmare quel vuoto nel cuore, che esiste sempre quando ci si rende conto di fare male a chi amiamo. Dopo la disattenzione, più o meno grave, ti resta la colpa conficcata dentro finché non si è perdonati...
Questa sorta di presbiopia da soffocante eccesso di attenzione è curabile, serve solo rendersi conto da soli oppure ascoltando le parole di chi vede ciò che noi non vediamo in quel momento. E non è troppo amore ma solo incapacità di guidare correttamente il mezzo che abbiamo a disposizione per amare, ossia noi stessi, paure comprese. L'amore è uno ed è ciò che si prova con la sua intensità luminosa. Imparare ad incanalare correttamente questa forza, per non prevaricare e rispettare chi amiamo, è un compito non esattamente facile né automatico come respirare. Ringrazio dunque chi, un giorno, mi ha messo di fronte alla verità seppure questo sia stato pagato a caro prezzo. Mi dispiace...

domenica 8 aprile 2012

La mia Pasqua

Questa mattina mi sono alzata con l'idea di andare a vedere lo "Scoppio Del Carro", manifestazione tradizionale del giorno di Pasqua qui a Firenze. Il cielo non prometteva sole ma, inizialmente, neppure pioggia. Quando sono arrivata nella piazza dove c'è il Duomo, con un'ora di anticipo sull'evento poiché volevo per una volta assistere se non in prima fila almeno in terza, ha iniziato a piovere. Non avevo scelta, così mi è venuto in mente di rifugiarmi sotto il portico di una chiesa lì vicino. Una volta all'asciutto mi sono detta perché non entrare un attimo. Dentro non c'erano molte persone ma nei minuti successivi ne sono entrate altre perché stava per essere celebrata la Messa. Ecco che mi sono ritrovata entro un qualcosa che non avevo previsto per oggi. Ho deciso di rimanere per la Messa. Mi sono seduta su di una panca delle ultime file, la solita soggezione... Mi sono detta, va bene, proviamo a rilassarci e prendere ciò che c'è stamani. Poi, ascoltando le parole del prete, mi sono trovata a riflettere. Il tema era la Resurrezione e con esso tutto ciò che possiamo trovare simile nella vita di ogni giorno. La "resurrezione", al di là del riferimento religioso, è una rinascita. Quando ha parlato del fatto che le persone che perdiamo rinascono nel nostro cuore mi ha fatto pensare al dolore che c'è sempre quando si perde qualcuno, e lui a questo proposito ha cercato di rassicurare che solo pensando alle cose positive si riesce a ricordare meglio anche chi non c'è più. La mente che si sofferma spesso nel punto di dolore o nel punto di odio, per continuare ad alimentare lo scontro o l'attrito, o tutto ciò che è negativo, è talmente impegnata in questo da non lasciare spazio al potere di ricordare e all'accogliere le cose positive, i ricordi belli, le stesse potenzialità di pace e di rinascita. Ha ragione. Il prete sosteneva nel suo discorso che dovremmo riuscire a fare come fanno i bambini che dopo aver litigato dimenticano entro breve il litigio per continuare a giocare, a divertirsi con il bambino con cui hanno litigato, perché è la vita stessa che continua a suggerire che è possibile questo. Solo da adulti dobbiamo decidere con la mente o con il cuore se smettere di alimentare il negativo, da bambini viene naturale farlo. Non ha torto nel sostenere che è questione di spazio dentro di noi e di scelta di cosa mettere in questo spazio. La rinascita è possibile non solo per chi ha fede e per chi è religioso, è per tutti, basta volerlo e impegnarsi a far sì che si realizzi. Il mio cuore ha ascoltato e ho sentito più prepotentemente quello che provo e il mio onnipresente desiderio di recuperare la voce di una persona alla quale voglio bene, nonostante tutto. Così mi sono trovata, mio malgrado, a piangere in silenzio, da sola, in mezzo a sconosciuti, in penombra in un luogo che non mi è familiare, in un giorno di festa e con il ricordo dell'anno scorso, quando a sorpresa rividi dopo lungo tempo questa persona... Ma la Messa è andata avanti, come accade per ogni cosa inesorabilmente. Quando dovevamo scambiarci un segno di pace, ho provato a girarmi verso le persone dietro di me ma si stavano abbracciando fra loro così ho guardato davanti ma ero troppo distante così ho perso l'attimo per qualsiasi cosa. Solo un ragazzo, da solo in un'altra panca davanti, mi ha fatto un gesto di saluto con la testa che ho ricambiato, ma anche questo mi ha colpito. Chi mi impediva di fare qualche passo verso quelli più distanti? Talvolta faccio così anche nella vita quotidiana, me ne sto lì, non sempre ad aspettare che qualcuno mi venga incontro, ma rimanendo ferma perché mi sento in imbarazzo, anche senza ragione, in una situazione che non so padroneggiare. Scioccamente... Non è facile avere a che fare con se stessi specialmente se lo si desidera per imparare a condurre i passi nella vita di ogni giorno. Si vorrebbe che tutto fosse facile e liscio come l'olio, senza intoppi o beghe varie da affrontare, ma la vita si sa che non è così e se ne ha la riprova in ogni istante. Riuscire ad apprezzare che questo è il substrato che ci accompagnerà sempre talvolta fa venire voglia di desistere. Fa venire voglia di arrendersi, di mandare tutto in un certo posto soprattutto quando ci si sente stanchi. E, questo lo aggiungo io, se la storia di Gesù insegna qualcosa universalmente per chiunque la voglia ascoltare, direi che il riferimento al percorso fatto con la croce sulle spalle sia esemplare e non difficile da comprendere a livello metaforico. Per ricordare che si può andare avanti anche con la consapevolezza che il tipo di salvezza che vorremmo non sempre sarà da qualche parte ad aspettarci. L'accettazione totale di ciò che abbiamo nella misura in cui lo abbiamo è solo ciò che ci fortifica per creare la base su cui costruire una nuova forza che permette di iniziare a modificare quello che crediamo essere il destino. E se anche questo argomento porta con sé mille discussioni, comunque resta vero il fatto che noi stessi possiamo essere il primo punto di partenza per qualsiasi rinascita, amando sempre davvero, con la parte più profonda di noi che si espone anche se arrossisce mettendosi in gioco.

venerdì 6 aprile 2012

Volere ma non potere vs potere ma non volere

Le parole sono le stesse ma il significato cambia moltissimo a seconda di come viene costruita la frase. Volere è potere, qualcuno dice, ma questa è, per ora, un'altra storia. Il "non potere" rappresenta l'impedimento esterno che si fa barriera nei confronti del volere. Volere non è la forza di volontà, benché ne abbia in sé come comando ad agire, volere nasce dal desiderare e dalla facoltà di pensare. Non potere fiacca la forza di volontà se non la nutriamo ogni istante mantenendo vivo il fuoco che fa andare. Mille ragioni inducono a combattere anche senza sosta continuando a volere e sicuramente la lotta è molto più dura se qualcosa impedisce l'andare. Cosa vedete voi di qualcuno che vuole ma non può? Se ne doveste fare il ritratto, che colori usereste o, se foste scrittori, come descrivereste queste persone? Io vedo qualcuno che, per un motivo o per un altro, si trova nei panni di un guerriero coraggioso che deve confrontarsi, oltre che con le circostanze, con pensieri e sentimenti che si svegliano e si agitano dentro avendo a che fare con gli ostacoli. Non è facile stare qui, perché la vita richiede di andare comunque avanti nonostante tutto. E in questo "nonostante tutto" c'è quello che serve, posto che lo si veda e lo si accetti, per mantenere viva la forza di volontà. La vita chiede di rivedere le cose in modo da adattare la soluzione cosicché la risposta possa un giorno esistere. Vedo persone che devono mettersi in gioco con tutto ciò che hanno per non soccombere, vedo dunque coinvolgimento pressoché totale. Fare in modo che la vita continui a scorrere nonostante tutto, anche se sembra una banalità dirlo, è voler vivere. Tutto sommato il ritratto è positivo, a mio avviso. Metterei quindi, in questa categoria, tutti coloro che combattono con dignità contro impedimenti fisici permanenti o temporanei che siano, e tutti coloro che hanno ricchezza interiore, idee, qualità e potenzialità ma non hanno denaro per realizzarsi in seno alla società. E non dimentico chi, pur volendo e non potendo, si ritrova un giorno a gettare la spugna per troppo carico. 
Poi c'è il potere. Questo strano stato dell'essere interiore fatto di energia e consapevolezza o, a livello materiale, fatto di forza fisica, nel caso si parlasse della sfera personale, o ancora, l'avere disponibilità di denaro, godendo più o meno di privilegi riconosciuti dal gruppo. In presenza del potere, o di potere, si hanno sempre delle scelte da effettuare, cosa che manca nel caso del volere ma non potere. O meglio, ritengo che le scelte esistano dovunque, anche in quelle situazioni che apparentemente non le permettono. Penso che, mantenendo viva la mente, non dando nulla per scontato, si possano incontrare  spesso situazioni che richiedono una riflessione e, di conseguenza, si debba fare una scelta e molto, in questo punto cruciale, dipende da ciò che crediamo possibile o meno per noi. E' comunque un grande esercizio di volontà scegliere, premesso che si stia ragionando entro un ambito in cui le scelte sono permesse agevolmente. Ammettiamo dunque che non ci siano impedimenti esterni. Dunque l'unico eventuale impedimento dipende dal comando interiore, laddove si esercita il volere tramite la propria forza di volontà. Scegliere cosa si vuole o non si vuole dipende da cosa la vita propone e da cosa noi rispondiamo a questa proposta. Tuttavia potere ma non volere non sempre è cosa negativa. Vedo anche chi ha bisogno di astrarsi dal continuo flusso del mondo o chi conserva parti di se stesso per paura o per lungimiranza. Scegliere di non volere, se ponderato con saggezza e non nascondendovi l'orgoglio ferito, o non si tratti di rivalsa per offese varie o vendette, o non siano tronfi trionfi per suscitare invidia altrui,  comporta un discreto carico di responsabilità. Responsabilità perché in qualche modo non si agevola più lo scorrere di alcune situazioni e spesso ciò conduce ad un cambiamento. Magari così si crea una diramazione che anche in questo caso dovremo valutare per poter operare nuovamente una scelta. Potere ma non volere è talvolta parte di chi ha paura di tuffarsi o di chi crede nel detto che recita così: "chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia ma non sa quel che trova". Meglio dunque rimanere entro lo spazio conosciuto tenendo da parte tutte le cose che si hanno e che si sanno, magari usandone solo una minima parte. Anche questa è una scelta sebbene qualcuno possa dire che è colpa della paura se i passi si fermano. E se vi ritrovate in questa categoria, pensate qualche volta ai combattenti di chi vuole ma non può, per comprendere parte del coraggio dell'andare, per usare ciò che siete, per valorizzare ciò che avete dentro, prima ancora di impiegare o considerare ciò che avete materialmente dalla vita. E non importa se vi fermate un turno, anche se la vita non è un gioco, purché poi possiate proseguire senza pentirvi per non aver voluto potendo. 

martedì 3 aprile 2012

Sbagliare non significa essere sbagliati

Accade a tutti di commettere degli errori, a qualcuno spesso, a qualcuno di rado, ma nessuno ne è immune, al di là di ciò che ciascuno crede di se stesso. Sbagliare è un verbo che indica un'azione, il che implica che ci sia un soggetto che la compie. Infatti l'errore è un'azione, nulla di più. E questa è la scarna definizione. Da qui si dipartono infinite sfumature di pensiero miste a paure di ogni tipo, a scuse, alibi, cecità varie, ammissioni e non, giudizi più o meno sinceri o più o meno duri nei confronti di se stessi o di altri. Ciò che crediamo come impalcatura mentale fa tutto il resto, fino a mescolare quello che si prova, compresi i sensi di colpa, all'errore commesso. Così, secondo me, nasce il sentirsi sbagliati, dopo aver sbagliato qualcosa. Talvolta si dice di sentirsi sbagliati ma si intende sentirsi inadeguati, in questo caso non c'è un errore alla base, c'è solo ciò che si sente dentro in confronto a quello che si vede esistere fuori, intorno a noi. Eppure, forse, l'argomento di questo post, pur volendo considerare quello che nasce da un comportamento che ha come ingrediente un errore che pesa tanto da svegliare il senso di colpa, potrebbe in qualche modo ricollegarsi al senso di inadeguatezza. Ciò che proviamo induce sempre una risposta dentro di noi e, che la si percepisca o meno chiaramente, essa c'è. E la sua presenza influisce a catena su ulteriori risposte, ossia come ci poniamo nei confronti di fatti o persone nell'ambito dell'esistenza. Se poi non ci si interroga mai su come ci sentiamo si può anche arrivare ad andare avanti senza rendersi conto di cosa ci stiamo portando dietro. E dire "dietro", in questo caso, è un'immagine metaforica azzeccata poiché ciò che sta dietro è ciò che non si vede. Quando si percepisce, anche solo vagamente, il senso di inadeguatezza ci si dovrebbe armare di pazienza, amore, volontà, e chiedersi come stiamo, senza accontentarsi di una semplice risposta vaga o superficiale, perché sentirsi sbagliati è, di per sé, sbagliato ma, soprattutto, scorretto poiché non vero. E' il malessere generale che induce a pensare di rendere totalitaria la definizione. Specialmente se si sta davvero male. Non credo ci sia errore al mondo che possa  far pensare davvero di essere noi stessi un errore, è tutto troppo semplicistico e nessuno è solo una cosa, o solo un pensiero, soprattutto perché nemmeno questo è vero. Ogni persona è unica per le sue sfumature e vibra di centinaia di pensieri e sensazioni contemporaneamente, e nessun errore può azzerare tutto in un istante tanto da definire sbagliato colui che lo commette. Ciò accade perché il dolore amplifica ogni cosa fino a far credere alla mente ciò che vuole. Quindi è il dolore l'elemento da ricercare per trovare la soluzione, se non altro per iniziare le trattative per un eventuale dialogo interiore. Purtroppo, il senso di colpa è strettamente legato alla fibra del cuore che percepisce chiaramente il dolore dato e ricevuto, così chi non riesce a rimanere in piedi, in presenza di questa percezione, si ritrova a piegare il proprio pensiero in una posizione diversa, che gli permetta di sorreggere tale peso. Ci sono persone che, credendosi sbagliate, cercano in qualche modo di espiare quello di cui si fanno carico sentendosi responsabili, ma non si rendono conto di aggiungere dolore invece di toglierlo. Forse è questione di sensibilità personale questo rendersi conto e, di conseguenza, lo scegliere una sorta di punizione da autoinfliggersi. Arrivare a pensare di essere sbagliati può anche derivare da questo meccanismo ma la realtà, che resta davanti agli occhi di chi non è coinvolto, è che un errore rimane un errore, anche se il coinvolgimento personale di ciascuno può arrivare ad essere totale. E' una azione e, giustamente, chi la compie deve prendere coscienza della sua responsabilità ma la persona coinvolta non è sbagliata. E se in questo dolore, dove già è presente lo sbaglio, si aggiunge la disperazione e la chiusura mentale di chi crede di essere sbagliato, non si intravedono vie di uscita per una seconda opportunità, per rimediare. Un ultimo appunto su di un argomento che mi è sempre stato a cuore, il rapporto genitori e figli. Se un figlio sentisse dire dal proprio genitore, anche solo velatamente, che averlo avuto è stato un errore, credo che questo figlio, dentro di sé, potrebbe maturare una risposta che non permette di acquisire una stima di se stesso tale da affrontare bene i passi della sua vita. Immagino nascere insicurezze e un tremendo senso di solitudine, sentendosi, poi, inadeguati in molte cose. Immagino un trattato intero di psicologia per elencare tutti i pensieri e le relative reazioni coscienti e inconsce riconducibili a questo. Poi penso a ciò che si può imparare osservando e chiedendo, sia a se stessi, sia rivolgendosi intorno, e trovo che, anche se il percorso può presentarsi complesso, la vera risposta, per ridimensionare alcuni pensieri, stia in quello che riusciamo ad ascoltare tramite la dolcezza della voce del cuore. Così, sentirsi sbagliati è solo un'illusione, nel senso che è solo un'immagine mentale, e ciò che ha bisogno di tutta la nostra attenzione e volontà è la comprensione dello sbaglio in se stesso, solo così si comprende il valore di ogni cosa accaduta e si distingue quale sia davvero la nostra forma. E ciò che siamo non è un pensiero o qualcosa che si crede, siamo soltanto esseri capaci di pensare o agire,  poiché non siamo le nostre azioni o i nostri pensieri. In questo caso si deve poter imparare a distinguere per riprendere in mano la propria vita.