mercoledì 17 agosto 2011

L'insostenibile pesantezza del prendersi troppo sul serio

Innanzi tutto una distinzione fondamentale, prendersi sul serio non equivale all'essere definito una persona seria. Spesso, quando sento dire di qualcuno che è una persona seria, ho subito, dentro di me, l'immagine di qualcuno che ha delle qualità di pregio, che non si lascia corrompere facilmente. In altre parole, di questa persona ti puoi fidare e questo fa sì che si sia sollevati, almeno in parte, dalla preoccupazione di un'eventuale pugnalata alle spalle. Una persona seria è dunque onesta e conosce il valore della responsabilità. Se ne ha un ritratto comunque positivo.
Prendersi troppo sul serio è legato all'importanza personale, a tutto ciò che percepiamo di noi in modo da credere che la forma che abbiamo, costituita dal carattere che ci riconosciamo e dai punti di riferimento che abbiamo imparato ad usare, è un qualcosa di fisso. Credere che questa forma di noi, come ci conosciamo fino a quel momento, è una cosa fissa è come cristallizzarla e la consistenza di un cristallo, in genere, è solida. Una cosa solida, difficilmente siamo portati a pensarla fluida, per definizione e, solitamente, un solido che occupa uno spazio definito ha una massa e un peso. Se anche noi siamo così, apprendere cose nuove può non avere in sé la forza sufficiente per farci tornare fluidi, come in realtà saremmo per natura. E tutto quello che riusciamo ad aggiungere al bagaglio di cose apprese, automaticamente, si cristallizza non appena entra dentro di noi quando ci prendiamo troppo sul serio. La rigidità dell'essere, sotto forma di eccessiva serietà nei confronti di se stessi, porta a rispondere a stimoli e provocazioni con maggiore veemenza del necessario. Di una sciocchezza si tende a fare un dramma. Si perde quel sorriso interiore che sa addolcire i colpi che ci vengono dati perché cancella, talvolta totalmente, la capacità di comprensione che avremmo se riuscissimo ad essere più morbidi. Ed essere "morbidi" interiormente non significa essere deboli, significa usare più pensieri, informazioni e sfumature varie per cercare una soluzione equilibrata, al posto dell'usare un solo pensiero, o convinzione, che taglia ogni cosa a seconda del suo punto di vista ristretto. Un bambino molto piccolo "vede" le cose, all'inizio, singolarmente, altrimenti non potrebbe comprenderle poi, crescendo, il suo sviluppo mentale permette di integrare le varie informazioni. La mancanza di integrazione delle varie informazioni a disposizione porta a continuare la formazione di se stessi sulla base di cose singole e talvolta, se si è troppo severi con se stessi, dunque si inizia anche a prendersi troppo sul serio, il risultato intuitivo, secondo me, è il cristallizzarsi eccessivamente in una data forma. Continuando nel ragionamento va da se che qualcosa di cristallizzato sia solidamente più materiale e ciò sottrae, a ciò che abbiamo dentro, l'abilità di essere morbidi, fluidi, capaci di adattamento. E adattarsi, in essenza, non è altro che riempire, senza lasciare spazi vuoti, luoghi di qualsiasi dimensione e forma. E riempire questi spazi in modo totale, indipendentemente dalla forma che hanno, suggerisce completezza. E la sensazione di completezza rende fluidi perché è così che ci si sente e, se mai vi è capitato di sentirvi completi, ricorderete sicuramente cosa si prova quando tutto in voi scorre bene e senza ostacoli né vuoti da scavalcare. Quello che ho descritto è solo uno degli aspetti, solo una delle sensazioni che concorrono a far sentire la morbidezza interiore di cui parlo, ricordando sempre, però, che ciascuno deve aggiungere del suo per completare il quadro della percezione e della consapevolezza. Siamo diversi gli uni dagli altri come infinite sfumature ma ciò che ci accomuna è la ricerca su di un terreno comune.
Se prendersi sul serio per qualcuno è di vitale importanza, ben poco si può fare per cercare di far vedere al soggetto in questione il suo essere da un punto di vista diverso. Sottolineo di far vedere, non dico di far cambiare. Nessuno cambia veramente e profondamente se non riesce a vedersi per come è davvero, e neppure se prosegue il suo percorso senza mai mettersi in discussione. La rigidità non permette facilmente l'accettare di mettersi in discussione e da qui discende la facile mossa del presentarsi dicendo che "sono così, non ci posso fare nulla". Mi si permetta una parentesi sull'argomento. Spesso ho sentito queste parole e ogni volta mi sono chiesta come mai, se tanto bene si percepisce se stessi da sapersi autodefinire "essere così", come mai dunque la frase seguente è poi una dichiarazione di impotenza ad operare su se stessi. Se riesci a vederti riesci anche a modificarti se scopri lati di te che non ti sembrano piacevoli o che, con il loro "vizio" di essere in tal modo, ti rendono la vita quotidiana come non vorresti che fosse. Se sai di essere perennemente scontroso, per esempio, chi o cosa ti impedisce di lavorare su te stesso per comprendere il motivo che ti porta ad essere, o a sentirti scontroso? Se non ci riesci da solo puoi parlarne con qualcuno, amico o terapeuta; perché preferisci rimanere così se ti rendi conto di essere in un modo che non ti fa stare in pace con te stesso? Sempre, ovviamente, che non si sia orgogliosi di essere dei tipi scontrosi, e si stia benissimo così. Ma se un velo di malessere cala sulle parole che stiamo dicendo la cosa cambia. Lo scopo nel curarsi di se stessi dovrebbe essere il cercare di sentirsi bene e, secondo me, la migliore sensazione di benessere si prova sperimentando "morbidezza" piuttosto che rigidità nell'animo. La rabbia, lo scaldarsi con un nonnulla di provocazione, il non accettare le cose, i tagli netti, l'offendersi immediatamente, il non perdonare e il non perdonarsi, sentirsi eccessivamente in colpa o eccessivamente responsabili di qualcosa, non attirano pace nella vita e discendono da un malessere che ha radici da esplorare per non far crescere eccessivamente il conseguente prendersi troppo sul serio. E tanto più la cosa è grave se questo prendersi troppo sul serio non è una naturale piega del carattere ma è stato indotto da un qualche evento traumatico che dorme nell'inconscio.  E, tutto questo, a me sembra sia un peso che, ad un certo punto della vita, diventi insostenibile, avendolo sempre sopportato fin quasi ad abituarsi ad esso. Tutto, comunque, sta nell'accorgersi di questo, sia da soli, sia per mezzo di qualcuno accanto a noi che ci apre almeno un po' gli occhi sull'argomento. La cura più adatta risiede nella comprensione del cuore, laddove all'interno dell'amore, tutto sa scorrere fluidamente e con completezza. Nel cuore non ci sono spigoli e la luce mai ne possederà.
RBBetween

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