domenica 19 maggio 2013

Ritratto di una quarantenne

Eccoci, sono arrivata alla famigerata soglia degli "anta". Nessuna festa né grande né piccola. Solo un giorno come gli altri. E pace, mentre si cerca di mettere ordine negli anni passati. Lo specchio rimanda un'immagine che non riesco mai a vedere bene poiché vivo con quella mentale che ho di me, a partire dal sentirmi magra e bella. E qui, alla risata, viene concesso di entrare in scena. La verità non è mai facile da accettare perché, soffermandosi su ciò che racconta lo specchio, il tempo passato lo si vede eccome. Basta saper guardare. La linea della schiena, una certa pesantezza che incurva le spalle, un po' di pancia che si spera se ne vada via standosene a dieta, come perennemente dovrei fare soprattutto per mantenere la salute, ma che spesso resta lì, forse come monito per la volontà da esercitare ancora e ancora per non soccombere. Eppure il tempo è passato ma non lo trovo nelle rughe che ancora non ci sono, no, lo trovo distribuito equamente fuori e dentro in angoli che mi sono propri. E tutto questo fa di me ciò che sono nel presente e mi pone la domanda se ancora mi accorgo di come vanno le cose, se ancora le vedo senza travisarne nemmeno l'ombra e, nonostante tutto, se riesco ancora a combattere quando serve. E qui, sul combattere, si scopre il nervo. Quando combatti da una vita intera per tutto: da bambina per affermare che esisti pure tu e non sono gli adulti i soli a poter esprimere se stessi; da adolescente per ribadire il concetto dell'affermazione e per non sentirsi isolati se si comprende piano piano di essere qualcuno che non si uniforma al branco; da giovane adulta che intraprende strade inusuali all'inseguimento della conoscenza pura, alla ricerca di quel seme o di quella chiave che ti apre la porta di mondi oltre l'apparenza che non ti soddisfa; poi più in là incontro alla sofferenza altrui che ti lascia il segno e la morte che non vorresti mai vedere da giovane; ecco, quando combatti sempre sviluppi la corazza. E dunque, in tutto questo combattere, è stato messo su un arsenale appropriato fatto di volontà ferrea, talvolta tagliente più di una lama affilata, scudi perfettamente trasparenti adatti a qualsiasi occasione, fatti della prontezza di risposta agli eventi qualsiasi essi siano. I muscoli si sono irrigiditi nell'attesa del prossimo colpo ma nel tempo non ci si rende più conto di stare costantemente in allerta per tutto, così si sviluppa un adattamento cronico a qualsiasi cosa, e che sia bella o brutta diventa indifferente. Si finisce per non riconoscere più quando è il momento per mollare la presa per rilassarsi, soprattutto perché le volte in cui ci hai provato ti è arrivato un nuovo colpo. E' così che si diventa diffidenti e guardinghi come un segugio sempre pronto alla caccia. E, mentre sei impegnato in questo modo di esistere, non si avvicina nessuno e tu, in quell'angolo ancora libero da tutto questo rigore, desideri che ci sia qualcuno, anche uno solo, che se ne freghi delle tue spine e dei tuoi modi bruschi (che cerchi perennemente di equilibrare con tutta la dolcezza e gentilezza che riesci a trovare dentro di te) e ti cerchi, invece di allontanarti, che ti perdoni se sbagli, che abbia pazienza. Eppure non fai nulla per agevolare questo avvicinare. Sei talmente abituata a badare a te stessa che il costante e talvolta inconscio esame che fai agli altri non risulta mai superato. Salvo il caso dell'entrata in gioco del cuore. E anche qui, anzi soprattutto qui, vorresti ma non sai mai come fare e ti ritrovi con nulla. Poi hai paura, una stupida paura - che cerchi di esorcizzare con la filosofia - di stare vicino a qualcuno. E il tempo continua a passare. E per stare vicino a qualcuno non mi riferisco all'avere un compagno, mi riferisco agli affetti in genere. Ho visto negli occhi altrui, soprattutto di coloro che mi conoscono appena, una sorta di percezione che mantiene a distanza e non ci metto molto a comprendere quale sia la causa poiché la conosco. Perché mi vedo. La trascuratezza, talvolta voluta come maschera, talvolta per sola stanchezza di aggiungere gesti in più che portino ad una cura maggiore, sono la mia forma e colore per chi guarda. E in tutto questo, quando si è incentrati su se stessi per difendersi, non ci si rende conto della cosa più banale del mondo, che tanta difesa rifornisce di energia l'importanza personale in un modo subdolo. Si cerca approvazione negando se stessi affinché ci sia qualcuno che ci dia soddisfazione, acclamandoci in qualche modo, o ci consoli o ci venga a dire "poverino quanto soffre". E qui, serve una parentesi per escludere da questo discorso chi soffre veramente. Per quanto mi riguarda ho avuto le mie dosi di dolore, come dicevo prima, brutte da vedere e da vivere, ma dentro, in fondo, mettendomi col massimo della volontà a cercare, ho poi trovato la forza per uscirne e se, dentro, questa forza si riesce a trovarla, si smette di essere deboli e bisognosi. Se dopo aver trovato tale forza si continua inconsciamente a sentirsi bisognosi di una carezza altrui si mente a noi stessi poiché la carezza già siamo riusciti a farcela da soli. Ovvio che una carezza faccia sempre piacere, me ne rendo conto, ma per una come me, abituata a non averne, soprattutto metaforicamente parlando, tutto si trasforma in una questione di non sapersi difendere adeguatamente se si ammette di volerne, perché è ancora attiva l'ottica del guerriero. Eppure, il vero guerriero, non è colui, o colei, che sta perennemente pronto e in guardia con le armi spiegate e a portata di mano, è semplicemente un essere che sa riconoscere quando sia il tempo di combattere e quando sia il tempo di riposare deponendo qualsiasi arma. Il vero guerriero potrebbe rimanere senza armi o senza protezione e tuttavia sarebbe ugualmente capace di difendere se stesso e chi ama. Questi quarant'anni trascorsi in un soffio hanno visto molte cose, poche vissute in carne ed ossa ma moltissime, quasi infinite, quelle vissute con la mente e con il cuore. L'equilibrio tra le cose alle quali ho rinunciato si pareggia nella consapevolezza di non aver rimpianti per tali decisioni. Ho imparato, entro questa disciplina che mi ha forgiata, a masticare i bocconi che non riescono a scendere facilmente e mai a sputarli giusto per onorare la vita e ciò che offre così come ho imparato a vedere la bellezza nelle cose semplici e in posti in cui non si penserebbe mai di guardare o di trovarla. Se è vero, come si dice, che siamo ciò che mangiamo, posso comprendere la mia mancanza di avvenenza dovuta a bocconi amari di vario tipo mandati giù o ancora in fase di digestione. Non mi posso lamentare e neppure voglio farlo perchè ho molto, anche troppo ma non lo so gestire, e vivo sempre facendo a meno di tutto. Non spicco perché non voglio spiccare. Ho i miei sogni e disideri come tutti e molti li lascio nel cassetto, forse per paura o forse per non avere la scrivania vuota. Ho le mie tristezze e le mie commozioni come tutti. Sono in vita e devo, ogni giorno, imparare a rivedere come si vive, come si guida questa strana macchina che è ciò che siamo. RBBetween