martedì 15 dicembre 2015

Riflesso condizionato

Per riflesso condizionato s'intende una reazione che sfugge al controllo della volontà. Il riflesso condizionato se ne sta "sotto pelle", pronto a ritornare fuori ogni volta che si ripete una situazione che abbiamo vissuto e viene innescato da uno stimolo esterno che impatta su un sentimento che ci portiamo dentro e che ancora non riusciamo a padroneggiare. Soprattutto, in questo gioco di specchi dell'anima, spesso la paura ha un ruolo fondamentale. E quando non c'è la paura è l'abitudine a favorire la risposta ripetitiva, sempre uguale. Essere vivi comporta ricordare di risplendere nel presente, ogni istante, ma non è così facile quando si è lì sul campo di battaglia, quando il vento dei sentimenti ti avvolge e ti rigira come vuole. Talvolta si perde l'orientamento e la memoria.
Per combattere adeguatamente un riflesso condizionato dell'anima si deve riuscire a riprendere in mano se stessi, smettere di essere scettici a oltranza, osservare ed ascoltare il presente perché a questo giro qualcosa potrebbe cambiare, anche se non ci crediamo poiché da sempre tutto si ripete con le stesse modalità. La disillusione crea un esercito di anime che per dolore non vogliono più credere che qualcosa di migliore possa esserci. La paura di soffrire impone di reagire in modo da difendersi anche a oltranza, se necessario. Così, prima ancora che un qualsiasi scenario si palesi, siamo pronti a rimuginare che nulla andrà bene, che le cose non andranno per il verso sperato, solo perché per un tot numero di volte, magari non poche, si è verificato il peggio, e il destino ha favorito altri o altro al posto della realizzazione del nostro desiderio.
Ecco un altro passo importante, sedersi accanto a questa gigantesca paura ammantata di disillusione e cominciare a guardarla negli occhi. Forse non si risolverà tutto subito, però ci sentiremo più forti e faremo qualcosa di speciale per noi stessi: ci salveremo dal sentirci degli idioti senza misura se, questa volta, il nostro sogno si avverasse mentre noi, invece, avessimo cambiato strada troppo presto per scansare il dolore che credevamo di incontrare di nuovo.
RBB

martedì 30 giugno 2015

Camminare nella luce del cuore

Il titolo di questo post ha un significato speciale. Sul social network Facebook ho incontrato una donna che parla col cuore, con la luce del suo cuore così simile alla luce del sole, lei si chiama Cammina Nel Sole, Maria Rosaria. Oggi ha pubblicato un post sul suo sito che mi ha colpito più di altri, anche se ciascuno dei suoi post andrebbe letto con attenzione, ma soprattutto ascoltato con tutto ciò che si è e non solo con la testa.Le sue parole mi hanno portato di nuovo qui, nel mio blog, a scrivere un po', per condividere quello che ho vissuto io stessa in questo periodo. Per lungo tempo ho vissuto i miei giorni con immenso dispiacere per aver ferito e, di conseguenza, perduto, una persona per me speciale. Sono trascorsi gli anni nel silenzio fino al giorno in cui ci siamo parlati di nuovo. Sono stata perdonata e non avrei mai creduto potesse accadere e la sensazione non è solo piacevole. Non c'è in essa solo felicità, sentimento raro, c'è anche responsabilità che nasce dalla consapevolezza di ricordare ogni istante tutti gli errori passati per curarli. Sono tornati tutti, con le onde di energia, ma questa volta non ho lasciato loro la possibilità di ripetersi e spero che sia così anche per il futuro qualora incontrassi simili situazioni passate. Non si deve mai abbassare la guardia ma nel fare ciò non si deve neppure irrigidirsi per paura che sfugga qualcosa. Ecco perché è tanto importante la luce del cuore, perché solo con essa si riesce a prendersi cura di tutto. Se qualcuno vi dice che non c'è sofferenza nel far ciò non credetegli perché pensare che la seconda occasione sia una passeggiata in piana è da sciocchi, semplicemente. Siamo amici e questo è ciò che conta di più, ma so anche che ogni giorno dovrò dimostrargli che mi merito di nuovo la sua fiducia e il suo affetto. Il dolore passato è passato o sta passando, con più o meno tempesta, talvolta con dolcezza, ma questo è così anche perché combatto per non lasciarlo attaccato a me neppure con l'eco lasciatami dentro. A volte mi meraviglio del presente, che ci sia la luce di una distensione e cerco di focalizzare l'attenzione su quello che ho di prezioso e non su quello che vorrei. Questa è una lezione affine all'esperienza avuta. Così cammino di nuovo e nella luce del cuore.
Rita Buccini Between

Il link al suo post è il seguente

http://camminanelsole.com/cosa-e-accaduto-questo-mese-al-nostro-cuore-e-tutto-ritorna-e-tutto-si-rivela/

giovedì 14 maggio 2015

Saper dosare

In ogni ricetta di cucina le dosi da rispettare sono importanti mentre nella vita non sono previste ricette precise per imparare a dosare se stessi, o meglio, per imparare a dosare quello che vogliamo dare. Sottolineo il "vogliamo dare" perché è diverso da ciò che diamo spontaneamente.
Quando percorriamo un sentiero nuovo, quando viviamo un nuovo approccio a qualcosa e non ci siamo abituati può capitare di sentirsi a disagio, così tendiamo talvolta a perdere la naturale capacità di dosare ciò che diamo, un po' come se perdessimo il ritmo del passo. Ecco dunque che entra in gioco un fattore importante per poter riprendere il passo e imparare a dosare: ciò che abbiamo nel cuore. Se non amiamo non mettiamo attenzione né anima in ciò che diamo. Dosare è ricordare costantemente che, anche se sbagliare è concesso, l'impegno dipende da quanto veramente e profondamente siamo consapevoli di dovere cura e attenzione.
Avete presente quando sperate con tutto il cuore di avere una seconda occasione e questa, un giorno, vi viene concessa? Tutto il mondo di sentimenti e memorie di errori commessi viene rilasciato, si allenta la tensione facendo vacillare il passo poiché non si vuole sbagliare di nuovo. In fondo, saper dosare, non è altro che mettere attenzione in ciò che si fa con intelligenza, buon senso e tanto cuore, come dicevo.  E tuttavia, non essendo la vita una ricetta di cucina, non basta individuare le dosi per poi riproporle ogni volta nella stessa situazione, bisogna imparare a comprendere che le dosi vanno adattate al presente, il continuo presente in cui dobbiamo risiedere per avere vera cura e attenzione. Se oggi le dosi sono andate bene non significa che sia lo stesso domani, quindi è importante adattarsi a comprendere e a tenere sempre sotto controllo quel subdolo sentire dell'ego che vorrebbe approfittarne per ripetere l'errore di un tempo. Però se amiamo davvero saremo in grado di imparare a dosare ciò che diciamo o ciò che facciamo perché questa volta riusciamo a vedere e ad ascoltare, è il cuore che ce lo suggerisce. La strada non è facile poiché se ci distraiamo possiamo facilmente scivolare nel passato e la distrazione è ascoltare se stessi più dell'altro, specialmente se parliamo di un rapporto tra due persone.
Saper dosare è imparare a non esagerare e, contemporaneamente, a dare di più se si percepisce che in quel momento quello è il da farsi. Sembra ovvio ma non lo è, specialmente se fino a quel momento abbiamo detto o fatto qualcosa senza osservarci, ma solo seguendo l'istinto. Va da sé che seguire l'istinto, o seguire se stessi, ci rende spontanei poiché siamo sinceri e questo non è da discutere, quello che dobbiamo imparare è imparare a mettere sotto pelle questa capacità di dosare  includendo l'ascolto e il rispetto altrui. Non nasciamo con tutta la conoscenza che ci servirà nel corso della vita, anzi, la vita serve per accumularne così all'inizio, ad ogni nuovo inizio, saremo incerti e barcollanti finché non ci prenderemo la mano e tutto diverrà spontaneo e parte di noi.
Una seconda occasione è un nuovo inizio, anche più importante del primo perché include in sé la memoria del vissuto passato quindi, in questo caso, imparare a dosare ciò che diamo agli altri è come imparare di nuovo a camminare quando i muscoli sono stati fermi troppo a lungo. Il movimento non è subito fluido, ci vuole tempo, serve pazienza e tanto, tantissimo infinito amore. Per tutto.
RBBetween

venerdì 1 maggio 2015

Cambiare o non cambiare se stessi?

La risposta è sia un sì che un no, a seconda di come vediamo il nostro cambiare. E non importa se si pensa di voler cambiare qualcosa o tutto, il nocciolo della questione è nel punto in cui si origina la spinta a farlo. Da dove nasce l'esigenza o da dove nasce il desiderio.
E mentre mi addentro nel pensiero che vorrei esporre sento l'intrico di rami che ostacolano il passo. Molte sono le distinzioni da fare, le sentite anche voi?

Sì, cambiare.
Cambiare qualcosa di noi, modificarla, significa accogliere l'evoluzione personale. Il livello nel quale si opera dipende dal punto di maturazione e consapevolezza in cui siamo ed è diverso per ciascuno. La vita ci offre delle occasioni per rivedere noi stessi e per vederci di nuovo, con occhi differenti, e in tali occasioni può nascere il desiderio di cambiare. Talvolta si può cambiare anche senza accorgersi di farlo perché è il naturale proseguimento della vita. Si va avanti e un giorno si scopre di essere cambiati in qualche modo. L'augurio è che il cambiamento sia sempre in positivo.
Ci sono poi gli errori commessi, punti strategici per l'inizio di un cambiamento. Rendersi conto che nello sbaglio ci sono ferite da curare e nuove visioni, anche di piccole cose quotidiane, innesca il cambiamento se il cuore è aperto e senza paura, ma c'è sempre del lavoro da fare poiché nulla viene da sé. Sostanzialmente la risposta dunque è sempre sì nel caso dell'evoluzione, per adeguarsi al movimento della vita stessa che insegna e cura nonostante il dolore che vediamo e che proviamo nell'affrontarla.

No, non cambiare.
Non si dovrebbe mai cambiare per paura, né poco né tanto. Non vi dovrebbero essere bugie né alibi a giustificare cambiamenti dentro e fuori a meno che non siano dettati dal lento incedere dell'evoluzione personale, e questo perché cambiamenti che avvengono su basi non solide sono destinati a far danno. Se non diamo fondamenta stabili alla costruzione di noi stessi, così come invece facciamo quando vengono costruiti palazzi e strade, un giorno ciò che abbiamo costruito cadrà facendoci del male o facendone ad altri. Il vero cambiamento, quello che porta evoluzione, nasce dal profondo così la sua radice può nutrire gli altri rami che verranno. E il vero cambiamento ha in sé un cuore di sincerità senza incertezze.

L'amore che permette il cambiamento.
Ecco, l'amore, quello che proviamo e quello che sentiamo avvolgerci ha un immenso potere. L'amore arriva nel profondo e parte dal profondo, opera a tutti i livelli e sa creare fondamenta stabili. L'amore cura ogni ferita vecchia e nuova, rivoluziona, scombina e mette a posto. Cambia tutto.
Se lo sentite, se vi sfiora, se vi invita, lasciatelo fare, lasciate che entri e irrori i tessuti e i pensieri e fidatevi di lui. Riconoscetelo per la sua luce in voi e negli altri, la testa si farà da parte e scoprirete come è fatto il battito del cuore del mondo, della vita, della rete degli esseri viventi.
RBBetween

mercoledì 8 aprile 2015

La rinascita umana

Della nascita conosciamo ciò che essa ci mostra di sé quando si manifesta: sappiamo che inizia ad esistere qualcosa che prima non c'era. Le nozioni scientifiche insegnano che nel regno animale e vegetale, salvo casi particolari, una nascita è conseguenza di un atto di fecondazione a sua volta seguito da un periodo di tempo in cui il nuovo prende forma. Nella maggior parte dei casi entra in gioco una struttura specifica che è l'uovo, che può essere contenitore oppure prima cellula di un nuovo vivente. Questa dunque l'osservazione della realtà e la premessa da cui facciamo nascere la metafora. 
Ognuno di noi nasce una prima volta nella realtà, in carne e ossa, ma può rinascere altre volte, dentro, se, nel corso della vita, il proprio guscio composto da pensieri obsoleti e paure, raggiunge lo stadio adatto per crollare. O meglio, se noi stessi maturiamo e la nostra luce interiore non è più in sintonia con l'abito che fino a quel momento gli abbiamo costruito. Tutti, più o meno consapevolmente, sentiamo chi siamo, sappiamo qual è la nostra impronta luminosa e, a seconda di come reagiamo a questa consapevolezza, la viviamo facendola emergere tramite la nostra forza vitale e lo sviluppo dei nostri talenti oppure ci spaventiamo e la neghiamo o ancora ci spaventiamo per ciò che gli altri potrebbero farci così ci proteggiamo. Che ci piaccia o meno, che la si veda o meno, la nostra luce esiste dentro di noi e di quando in quando accadono fatti per cui ciò che ci compone si rimescola per fornire nuova energia allo sviluppo ulteriore di ciò che siamo. La nostra crescita non smette mai perché come il mondo siamo in divenire continuo, che lo si noti o meno. Se ciò che sviluppiamo dentro questo involucro fatto di pensieri e di cose che crediamo vere o false incrementa il suo volume (diciamo così), la massa luminosa (diciamo ancora così) preme verso l'esterno per uscire e risplendere così come fa una stella che vuole solo essere se stessa emanando luce. L'involucro, se non è altrettanto luminoso, un giorno cederà. Questa però non è una tragedia, non è una morte, sebbene lo sembri, poiché ciò che si sente è perdere se stessi e ciò a cui si è legati. Si sente male solo se siamo ancora attaccati al guscio altrimenti si prova solo meraviglia perché è come iniziare a respirare. Così, se vi capitasse di percepire che il vostro guscio non vi serve più come vi serviva un tempo, saprete che incarnate il passo successivo poiché siete in un altro punto di voi, in un altro punto della vostra vita e del vostro sviluppo personale. Lasciate andare la paura che egoisticamente vi lega a sé, non datele peso né cibo, prendetevi per mano e siate curiosi di sbirciare quello che sta al di là del guscio che avete creato o con il quale siete nati e ci avete vissuto dentro nonostante tutto. Oltre il guscio non c'è l'ignoto poiché l'ignoto è solo una definizione, di là ci siete ancora voi perché se avete imparato a sentire e a comprendere il significato del presente, ovunque vi spostiate sarete il nuovo centro di voi stessi e la luce che risplende intorno a voi, quella che emanate vivendo, occuperà il nuovo spazio. Rita Buccini Between

sabato 17 gennaio 2015

Più punti di vista

Non sono la prima né l'unica a rammentare l'importanza del coltivare più punti di vista per vedere meglio il mondo che ci circonda.
Quando si lavora interiormente vedere diventa difficile perché la materia con la quale abbiamo a che fare è astratta, impalpabile. Non si possono usare le mani, non la si può annusare, però possiamo sfruttare la metafora che aiuta a collegare la materia che conosciamo con quella che vogliamo esplorare: questa è l'essenza del potersi rivedere come prismi di conoscenza.
Vedere; sentire, non propriamente udire, ma sentire come imparare a riconoscere una sensazione distinguendola da un'altra senza vederla e assaporare, sono verbi che possiamo usare metaforicamente. Riuscire quindi a usare anche concetti metaforici permette di creare dei punti di vista in più. Osservare là fuori come si muove il mondo, come si muovono gli altri, come si muovono i pensieri, come si manifesta la natura, come la materia spiega se stessa tramite le leggi chimiche fisiche e matematiche serve per rivedere il mondo dentro di noi. E questo è sapere, è conoscenza. Conoscenza alla portata di tutti.
Ma torniamo ai punti di vista multipli. Quasi sempre viviamo essendo abituati a portare avanti l'esistenza tramite un unico punto di vista: noi stessi. Il più grande e complesso punto di vista ma insufficiente e ingannevole se ci fidiamo ciecamente. Noi siamo esseri complessi e l'Ego è grande parte di noi, è il nostro occhio sul mondo e all'Ego non piace molto la compagnia perché significa distruggere la sua sovranità. I punti di vista servono a più livelli di consapevolezza e recano saggezza o, quanto meno, aiutano ad essere persone sicuramente più ragionevoli e più umane, più aperte ed elastiche mentalmente, tutte cose che aprono il canale della luce del cuore.
Vi faccio un esempio. Prendete un cubo e mettetevi in modo da vederne una faccia soltanto. Fatelo per un tempo tanto lungo da dimenticare che state guardando una figura geometrica a tre dimensioni, arriverete a credere che davanti a voi ci sia solo un quadrato, una figura geometrica piana. Ecco, l'importanza di ricercare più punti di vista sta nel rendere giustizia alla realtà senza che l'immagine che avete davanti vi fornisca di essa un'idea sbagliata. Se però vi spostate anche solo di qualche centimetro, in qualsiasi direzione vogliate, ecco che la realtà del cubo inizierà ad apparire per se stessa e non più per come la credevate. Magia? No, pura realtà, e questo vale per il mondo dentro e fuori di noi. Fare questo esercizio dentro di noi porterà l'Ego a sentirsi scomodo, ma se resisterete alle sue lamentele di bimbo capriccioso sono sicura che qualche raggio di luce in più riuscirete a distinguerlo all'interno della vostra foresta personale.
Rita Buccini Between

Dove sta la felicità?

Leggendo qua e là fra i post e le risposte sui social network ho trovato qualcuno che sosteneva che la felicità è sempre dentro di noi e, se non ho capito male, intendeva dire che la felicità è lì nascosta da qualche parte in noi, come un qualcosa di vero che esiste anche se noi non ce ne rendiamo conto momentaneamente. Mi piace pensare, in base a questo spunto, che la felicità sia un seme che abbiamo in dotazione fin dalla nascita e che, durante il corso della vita, capiti qualcosa che lo fa germogliare e crescere in modo che la sua luce ci nutra dall'interno. Ecco, a questo punto il mondo si dividerà: chi dirà che la felicità si trova là fuori da qualche parte, magari con le sembianze di qualcuno o sotto forma di sogni realizzati, mentre qualcun altro dirà che la felicità dipende da come ci sentiamo dentro e che se si sta bene dentro, specialmente sostenendo di amare se stessi, si sta bene col resto del mondo. Ebbene, non mi riesce di schierarmi in assoluto da nessuna di queste due parti poiché entrambe portano delle verità su cui riflettere. E se vogliamo vedere la felicità come un seme interiore in attesa di manifestarsi e crescere, direi che tutto ciò che accade, sia dentro che fuori di noi, ha la sua influenza.
La felicità, se dovessi provare a definirla, in base a ciò che ho provato nel corso della mia vita, direi che è uno stato di armonia interiore in cui tutto vibra con amore. Eppure credo che ogni persona a questo mondo potrebbe descriverla in modo diverso forse legandola a ciò di cui dicevo prima, persone, desideri realizzati, benessere di vario genere, materiale o spirituale che sia. Così come si definisce l'infelicità in base al malessere e al dolore che si prova.
La chiave di tutto è il legame che stabiliamo col pensiero, la forma pensiero che si fa catena e che inganna. L'inganno, se così lo vogliamo chiamare per il momento, è credere che lo stimolo, al quale reagiamo provando sentimenti positivi o negativi, sia la felicità o l'infelicità che proviamo. Lo stimolo dunque, come dicevo prima, può essere un fattore esterno, come un affetto o la realizzazione di un progetto, oppure un fattore interiore di ricerca spirituale appagante o di lotta interna che ingarbuglia l'anima. Se guardate bene, queste cose sono solo elementi i quali, però, possono nutrire o far seccare la parte del cuore laddove sta il seme della felicità. Per comprendere meglio e far chiarezza, dove possiamo, dovremmo provare a non identificarci con le cose: siamo esseri ben capaci di camminare con le proprie gambe e la consapevolezza rafforza i muscoli di queste gambe. Quindi la felicità, è vero, è già dentro di noi, latente, in attesa di essere scoperta assieme alla scoperta del cuore, della pace. Ciò che incontriamo durante il percorso serve a far vibrare le corde in modo da suonare poi una melodìa armonica. E non importa che tale melodia sia perfetta in sé, perché è impossibile che lo sia, dato che siamo tutti diversi, seppur simili. La felicità è una melodìa personale e saperla riconoscere e capire come fare a coltivarla è anch'esso un fattore che contribuisce alla sua manifestazione.
Rita Buccini Between

mercoledì 14 gennaio 2015

"Se desideri come puoi definire un desiderio giusto o sbagliato?"

Questa è una domanda che mi è stata posta da un'amica nell'ambito di un discorso sui desideri e sul desiderare. E ancora, mi ha fatto l'esempio "se sono una bambina affamata e desidero una mela perché dovrebbe essere sbagliato il mio desiderio?"
Proviamo a rispondere. Se la bambina avesse davvero fame e volesse una mela e quella non fosse una metafora non ci sarebbe al mondo desiderio più giusto. Questo è facile da comprendere perché siamo nella realtà e gli elementi sono i mattoni di base. Quando si va oltre, nel mondo dell'astratto le cose si complicano perché i confini diventano meno netti e reali. Confini mentali fortissimi e confini invisibili, confini effimeri, confini costruiti dalla mente che ragiona e ne ha bisogno per potersi sostenere durante il processo, si mescolano fra loro. O nessun confine.
Dire che il desiderio della bambina è impeccabile nella realtà è il mio punto di partenza e di riconoscimento del potere della realtà materiale. Nessuno può discutere il desiderare in base alla fame, che è uno stimolo a continuare a vivere, né il gusto della bambina che sceglie la mela per nutrire se stessa. Se volessimo trasportare questo concetto nell'astratto esso sarebbe la chiave per giustificare ogni pulsione, anche quelle che vibrano un gradino più su dell'ambito fisico, ma non lo ritengo del tutto valido poiché più su c'è dell'altro da integrare. E qui comincio a metterci il mio pensiero, poiché credo che se seguiamo la regola dell'evolversi, guardando con la coda dell'occhio l'essenza dei passaggi di stato della materia, più su si va, vibrando più velocemente, purificandosi, trasparentizzandosi, se così si può dire, più l'ego che desidera si deve piegare alla saggezza della comprensione del cuore specialmente se ci sono più anime in gioco. Questo, perché? Perché se la mela è una persona e noi la desideriamo non possiamo accontentarci di ricercare di gratificare noi stessi e basta in base alla fame che abbiamo. Le persone non sono il cibo che ci nutre ed è per questo che spesso è doloroso separarsi perché ci accorgiamo di quanto dipendiamo dagli altri, dalla loro presenza, dai loro favori, dalle loro parole. Riuscire a crescere abbastanza da capire la differenza tra il desiderio di base di un bambino e il desiderio ricco di sfumature di un adulto in cui la coscienza dialoga col cuore, è essere adulti con saggezza. Le persone, come anche noi siamo, sono cuori che pulsano indipendentemente da tutto il resto fatto di credenze e colori o agiatezze o meno. Siamo solo cuori. Se ci ritroviamo a desiderare un cuore non possiamo trattarlo come tratteremmo una mela che desideriamo per sfamarci, un cuore implica più consapevolezza ed elevazione interiore, non propriamente spirituale, piuttosto, consapevolezza di delicatezza necessaria per maneggiare tale "frutto". Il bambino dunque se non ha la mela piange perché ha fame e non sa come andare avanti senza ciò che desidera. Chi ama non può fare così. E scoprirlo a spese proprie fa male. Se il bambino metaforico, non reale, riesce a starsene un po' a digiuno, cercando di non logorarsi sulla mela, può scoprire che dentro di sé ha la forza che non credeva di avere, quella che se ne sta come riserva nascosta per i tempi duri, quella che lo fa evolvere e gli fa capire che lui stesso non si può identificare con il suo desiderio. Che non è il desiderio ad essere giusto o sbagliato perché in fin dei conti il desiderio è solo una espressione di sé, di ciò che c'è dentro, ciò che rende qualcosa giusta o sbagliata è la visione che abbiamo, ciò che pensiamo e come usiamo quello che pensiamo. Così andrebbe da sé definire sbagliato un desiderio che porta chi lo brama a fare qualcosa di non corretto, se egli stesso non lo sa domare, non gli sa resistere, non lo sa comprendere e trasformare. Io insisto sempre sulle sfumature perché spesso la chiave di volta sta proprio lì. Non si deve definire sbagliato o giusto un desiderio poiché un desiderio è solo se stesso: un desiderio. Il giusto o lo sbagliato sono ciò che facciamo per ottenere ciò che desideriamo e lì, in quello spazio infinito di possibilità a nostra disposizione per agire e ottenere, sta la crescita personale e la direzione che gli vogliamo dare, se verso la luce o verso l'ombra.
Rita Buccini Between

domenica 4 gennaio 2015

L'esperienza che cambia la visione delle cose

Per sintetizzare al massimo potremmo dire che ciò che incontriamo nella vita durante il percorso, ciò che lo personalizza, sono le esperienze. Ogni esperienza, sempre volendo sintetizzare, serve per confermare o per confutare ciò che pensiamo. L'esperienza insegna, come si dice, e forgia ciò che siamo. Il nocciolo della questione però non è l'esperienza in sé, è la visione che custodiamo in noi. L'esperienza è lo strumento con cui lavorare su noi stessi, consapevolmente o in parte inconsapevolmente tramite le reazioni immediate, quelle di pancia, che eludono il controllo mentale. Ciò che vediamo dunque è ciò che ci definisce poiché attingiamo a quello per portare avanti il nostro discorso di vita.
Quando le cose vanno bene, l'esperienza vissuta, arricchisce positivamente la visione del mondo che abbiamo. Se, al contrario, le cose vanno male diciamo che l'esperienza è stata negativa, vestendola così con un'opinione. Io dico che per andare un passo oltre, per affrancarsi dal mantello del giudizio, che talvolta svia dal vedere con chiarezza l'esperienza stessa, si dovrebbe avere la forza di guardare l'accaduto senza giudicarlo, come se fosse un insieme di componenti meccanici, o l'insieme di ingredienti di una ricetta. Nulla di più. Non che sia facile farlo, poiché l'esperienza si lega a noi e noi siamo ad essa legati tramite le sensazioni e i sentimenti.
Ma noi non siamo i pensieri o i sentimenti, noi produciamo pensieri e vibriamo di sentimenti. E la differenza c'è.
Tutto questo per dire che se ci lasciamo cambiare dall'esperienza, che questo cambiamento sia operato col cuore, con la sincerità, con il riconoscere la cosa giusta e la giusta correzione dei propri errori, non per rabbia, paura, scottature varie specialmente se si parla di esperienze a due.
Nell'esperienza a due, che si parli di coppia o di rapporto di amicizia, molti fattori delicati entrano in gioco perché fanno riferimento al cuore e lì, si sa, tutto si sente con maggiore sensibilità. Gli equilibri sono delicati solo se la radice non è forte, se le fronde dell'albero che ne nasce, con le sue luci, si spaventa del passaggio di un solo refolo di vento.
Nell'esperienza a due è facile ingannarsi e definirla negativa poiché siamo stati feriti, per esempio, così da dipingere la prossima persona con gli stessi colori della precedente. In questo caso, se si riesce a vedere più in profondità, l'esperienza vissuta dovrebbe farci vedere che è solo un tempo vissuto e che non è legata al carattere dell'altra persona anche se esse formano un insieme con cui abbiamo avuto a che fare. Come reagiamo, cosa vediamo, ciò che pensiamo, non è colpa né merito dell'altro se non in minima parte.
Tutti siamo come una sorta di strumenti che risuonano accanto alle vibrazioni altrui ma passiamo la maggior parte del tempo a credere che questo vibrare sia davvero parte di noi, se non, addirittura, noi stessi. Quindi allontanarsi può servire a comprendersi reciprocamente o anche a comprendere noi stessi più in profondità, purché, come dico sempre, si sia sinceri.
Dunque l'esperienza può cambiare la visione delle cose o può rafforzarla, tutto dipende da come comprendiamo, da quanto siamo pronti a riconoscere di noi o dell'altro, da quanto peso diamo alle colpe o se le riusciamo a vedere e a guarire, tutto questo però che non accada passivamente, che non si sia sbrigativi perché comunque l'esperienza ha sempre bisogno che la si guardi in faccia anche quando non ci piace, nei casi più difficili. Ciò che otteniamo, che la nostra visione per il futuro cambi o meno, deve passare dal cuore per essere realmente efficace. L'unica cosa inutile e controproducente è proiettare il giudizio o il sapore o il colore dell'esperienza nel futuro perché così facendo, al di là della positività o negatività, l'esperienza futura ne sarebbe "inquinata". E questo vale sia che ne abbiamo ottenuto meraviglia sia dolore.
Rita Buccini Between