giovedì 28 giugno 2012

La folle pretesa di voler essere compresi

Normalmente alla base di ogni dialogo, o di una situazione che prevede comunicazione in genere, la comprensione reciproca è basilare. Se non c'è, viene meno il senso del dialogo. In amicizia il valore della comprensione viene sottinteso, nel senso che lo si dà per scontato al momento dell'instaurarsi della  simpatia. Si sa che ci si può contare quasi al cento per cento in ogni occasione così non ci si preoccupa se davvero si riesce a comprendersi reciprocamente in modo corretto. Qualche volta è vero che basta intendersi anche non troppo profondamente, magari scegliendo di rimandare la comprensione profonda ad occasione più calma o più propizia. In amicizia questo si può fare perché fa parte del pacchetto la consapevolezza che domani ci si rivedrà. Qualche volta però, in quella piccolissima percentuale che sottrae qualcosa alla totalità, c'è un mondo altrettanto completo. A volte si crede che l'altro riesca a comprenderci veramente, se ne ha l'illusione perché nessuno dei due manifesta dubbi in proposito. Si tace, si sorvola, si rimanda concentrando l'attenzione su questioni diverse che al momento vengono giudicate più importanti, così la percezione sottile che ci sia incomprensione in germe si placa nel silenzio mentre si va avanti. I giorni passano, non si può pretendere che si fermi il tempo per dare la possibilità di chiarimenti eventuali, soprattutto se ancora non si capisce bene se la comprensione è in pericolo di vita. Ma chi dei due non comprende bene l'altro? Ciascuno avrà il suo punto di vista da difendere. La sensazione di non essere compresi appieno è spiacevole specialmente se l'incomprensione punta il dito sui sentimenti o su qualcosa che ci tocca profondamente. Se vediamo che l'altra persona non ci ha trattato come ci aspettavamo che facesse, scatta dentro l'amarezza. Amarezza che viene alimentata dal ripetersi della mancata comprensione. Se poi vediamo che non c'è proprio verso che l'altro accetti di smuovere qualcosa nel suo processo mentale ci arrabbiamo. E ci arrabbiamo con un'intensità direttamente proporzionale ai sentimenti in gioco. Se ci si fermasse qui si otterrebbe solo dolore. E il dolore non produce mai pace se non viene accompagnato dalla comprensione di qualcosa che sta nel passo successivo. Buttare giù il boccone assai indigesto del non essere compresi è difficile perché in realtà questo boccone ferisce l'orgoglio, null'altro che quello. Ciò che proviamo non viene intaccato né modificato in alcun modo dall'incomprensione altrui. C'è quasi da meravigliarsi di non essere capaci di capirlo subito, specialmente se ci si ritiene delle persone che non guardano al giudizio altrui in nessun campo di applicazione materiale. Estendere questa consapevolezza al campo di ciò che custodiamo dentro dovrebbe essere ben più facile da mettere in pratica ma, come accade spesso, paradossalmente non è così. Il passo successivo, dopo la reazione di generazione della rabbia è quello di accettare di non fermare tutto chiudendo le vie di accesso alla comunicazione residua, perché residua sembrerà. Ultimamente, in preda a questo dolore, ho lasciato che rabbia e amarezza si mescolassero fino al punto di voler cancellare tutto quello che mi faceva soffrire, isolandomi verbalmente e cercando di farlo fisicamente. Le circostanze della vita, però, mi hanno richiesto quella presenza che non volevo più dover esercitare. Desideravo fortemente potermi allontanare almeno per un po'. Un amico mi ha suggerito di ritrovare la serenità prima di prendere una qualsiasi decisione. Saggiamente, prima di fare un danno irreparabile del quale ci si potrebbe pentire provando un dolore maggiore dell'essere incompresi, si dovrebbe magari scegliere il silenzio ma non con brutalità, bensì con dolcezza, per il tempo necessario a rivedere le cose sotto una luce diversa. Le cose costruite insieme nel tempo hanno un valore che non può essere spazzato via dall'impuntarsi dell'orgoglio che vuole soddisfazione. Se si accetta che nel mondo esistiamo per come siamo e ci esprimiamo dovremmo accettare il fatto che possono esserci delle zone di ombra dove la comprensione non riesce ad arrivare. E non è che smettiamo di provare ciò che proviamo solo perché qualcuno non ci capisce, non è mai davvero sufficiente un altro essere umano a cancellare le cose nelle quali crediamo o che sentiamo anche se siamo spesso indotti a pensare il contrario. E' solo un po' più difficile convivere con le lamentele dell'ego. Incontrare qualcuno che riesce a comprenderci davvero, senza storpiare nulla di ciò che gli diciamo, o confidiamo, solo perché non crede alle nostre parole, è un dono del quale non dovremmo andare alla ricerca, specialmente se non abbiamo la pretesa di essere compresi. Un giorno qualcuno potrebbe capirci perfettamente ma, nell'attesa, si dovrebbe provare ad esercitarsi nell'accettare il non essere compresi. Io mi sto esercitando.

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