domenica 4 gennaio 2015

L'esperienza che cambia la visione delle cose

Per sintetizzare al massimo potremmo dire che ciò che incontriamo nella vita durante il percorso, ciò che lo personalizza, sono le esperienze. Ogni esperienza, sempre volendo sintetizzare, serve per confermare o per confutare ciò che pensiamo. L'esperienza insegna, come si dice, e forgia ciò che siamo. Il nocciolo della questione però non è l'esperienza in sé, è la visione che custodiamo in noi. L'esperienza è lo strumento con cui lavorare su noi stessi, consapevolmente o in parte inconsapevolmente tramite le reazioni immediate, quelle di pancia, che eludono il controllo mentale. Ciò che vediamo dunque è ciò che ci definisce poiché attingiamo a quello per portare avanti il nostro discorso di vita.
Quando le cose vanno bene, l'esperienza vissuta, arricchisce positivamente la visione del mondo che abbiamo. Se, al contrario, le cose vanno male diciamo che l'esperienza è stata negativa, vestendola così con un'opinione. Io dico che per andare un passo oltre, per affrancarsi dal mantello del giudizio, che talvolta svia dal vedere con chiarezza l'esperienza stessa, si dovrebbe avere la forza di guardare l'accaduto senza giudicarlo, come se fosse un insieme di componenti meccanici, o l'insieme di ingredienti di una ricetta. Nulla di più. Non che sia facile farlo, poiché l'esperienza si lega a noi e noi siamo ad essa legati tramite le sensazioni e i sentimenti.
Ma noi non siamo i pensieri o i sentimenti, noi produciamo pensieri e vibriamo di sentimenti. E la differenza c'è.
Tutto questo per dire che se ci lasciamo cambiare dall'esperienza, che questo cambiamento sia operato col cuore, con la sincerità, con il riconoscere la cosa giusta e la giusta correzione dei propri errori, non per rabbia, paura, scottature varie specialmente se si parla di esperienze a due.
Nell'esperienza a due, che si parli di coppia o di rapporto di amicizia, molti fattori delicati entrano in gioco perché fanno riferimento al cuore e lì, si sa, tutto si sente con maggiore sensibilità. Gli equilibri sono delicati solo se la radice non è forte, se le fronde dell'albero che ne nasce, con le sue luci, si spaventa del passaggio di un solo refolo di vento.
Nell'esperienza a due è facile ingannarsi e definirla negativa poiché siamo stati feriti, per esempio, così da dipingere la prossima persona con gli stessi colori della precedente. In questo caso, se si riesce a vedere più in profondità, l'esperienza vissuta dovrebbe farci vedere che è solo un tempo vissuto e che non è legata al carattere dell'altra persona anche se esse formano un insieme con cui abbiamo avuto a che fare. Come reagiamo, cosa vediamo, ciò che pensiamo, non è colpa né merito dell'altro se non in minima parte.
Tutti siamo come una sorta di strumenti che risuonano accanto alle vibrazioni altrui ma passiamo la maggior parte del tempo a credere che questo vibrare sia davvero parte di noi, se non, addirittura, noi stessi. Quindi allontanarsi può servire a comprendersi reciprocamente o anche a comprendere noi stessi più in profondità, purché, come dico sempre, si sia sinceri.
Dunque l'esperienza può cambiare la visione delle cose o può rafforzarla, tutto dipende da come comprendiamo, da quanto siamo pronti a riconoscere di noi o dell'altro, da quanto peso diamo alle colpe o se le riusciamo a vedere e a guarire, tutto questo però che non accada passivamente, che non si sia sbrigativi perché comunque l'esperienza ha sempre bisogno che la si guardi in faccia anche quando non ci piace, nei casi più difficili. Ciò che otteniamo, che la nostra visione per il futuro cambi o meno, deve passare dal cuore per essere realmente efficace. L'unica cosa inutile e controproducente è proiettare il giudizio o il sapore o il colore dell'esperienza nel futuro perché così facendo, al di là della positività o negatività, l'esperienza futura ne sarebbe "inquinata". E questo vale sia che ne abbiamo ottenuto meraviglia sia dolore.
Rita Buccini Between

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