martedì 13 marzo 2012

Constatare pieni e vuoti

L'atto del constatare, come definisce il vocabolo, implica rendersi conto di qualcosa in modo diretto, quindi toccando con le proprie mani o vedendo con i propri occhi. Intimamente il messaggio arriva ma non sempre riesce comprensibile per la mente se non si è capaci di accettare ciò che si sta constatando. Altre volte accettare in toto ciò che si sta constatando porta a creare delle pareti entro le quali si può ristagnare. Quando un vuoto immenso, come una gigantesca ferita della quale sembra difficile riunire i lembi per ricucirli, vive in noi, per un periodo di tempo, lo si vive e si sta male, ma inizialmente non si sa definire esattamente questo vuoto. Con l'andare del tempo, rimanendo a contatto con tale vuoto, pur soffrendo sempre per mille motivi legati alla ragione che lo hanno originato, non solo per il vuoto stesso, si arriva, in certi casi, a constatare l'esistenza del vuoto e lo si vede bene, e questa chiarezza talvolta non è gradita. Non è gradita perché constatare il vuoto in questo modo lo rende una cosa ovvia e il primo pensiero di reazione è sentire il vuoto tanto incredibilmente reale da non vedere vie di uscita al dolore che il vuoto porta con sé. La strana paradossale caratteristica di un vuoto è quella di far soffocare come se si avesse un peso sul cuore. Un vuoto è anche pieno di noi e del nostro dolore, quel dolore che si prova per la causa del vuoto. Finché si rimane nella modalità nebulosa sembra di percepire un filo di speranza, che ci illudiamo sia nascosta da qualche parte fuori dalla nostra vista, e vogliamo credere che comunque ci sia. L'incertezza della definizione certa (scusate il bisticcio di parole) del vuoto permette ai confini del dolore di essere altrettanto nebulosi e questo, a sua volta, permette l'ipotesi di porte come uscite di sicurezza. La certezza, specialmente se enfatizzata come assoluta, distrugge la speranza. Quando si arriva a constatare si crea una certezza che, nel caso di un vuoto, aggiunge dolore, mentre nel caso di un pieno, così come si può definire tutto ciò che c'è ed è visibile e tangibile intorno a noi, inibisce la capacità di andare oltre l'apparenza e riduce la forza dei sogni. Tutta questa dose di realtà crea tanti piccoli tasselli trasparenti ma incredibilmente resistenti che, col tempo, la mente stanca di soffrire, o di sognare, utilizza per fare delle pareti, spesso involontarie, entro le quali ci sistemiamo senza accorgercene. Prima di pensare ad una qualsiasi soluzione per tornare a stare meno male serve arrivare a constatare, ossia a rendersi conto, cosa vediamo e sentiamo. E' un passaggio nel percorso evolutivo della comprensione. Quindi accettare il vuoto, se il cuore lo rifiuta, è un lavoro laborioso, lungo, che fa stare male ad ogni boccone ingoiato, fa piangere e più ci si sforza per cercare di accettare più si piange. Inutile dire il contrario o dire che va tutto bene, qui l'assenza di sincerità aggiunge peso al groppo in gola e sul cuore. Ok, vuoto, ti vedo, ma non pretendere che riesca subito a guardarti negli occhi. Servirà del tempo, così com'è per tutti, più che abituarsi, imparare a convivere con un qualsiasi vuoto personale, come un no assoluto, una presenza che non c'è più, una qualsiasi sofferenza che la vita disegna. E adattarsi non significa gettare la spugna come fossimo sconfitti, specialmente nel caso di gravi vuoti nella vita, semplicemente è riprendere in mano la gestione mentale dei confini, che ci sono apparsi lucidi e senza fessure, per disegnare con amore e pazienza una porta o una finestra a seconda delle proprie inclinazioni personali. Per non lasciare alla forza della constatazione di farsi ovvietà e di rubarci la possibilità di sperare ancora. Solo nel caso di no assoluti, laddove si constati non esserci davvero speranza per ricucire un qualsiasi dialogo, si provi a rilassare il respiro cercando di non affogare nelle lacrime che potrebbero scorrere copiose, ci si dia un contegno che per il momento non si ha, costringendo un qualsiasi muscolo del volto che ricordi come si sorride, a sorridere, in attesa che il tempo scorra ancora. Poi si provi a usare per il meglio la caratteristica del constatare i pieni, ciò che c'è, ma solo quel tanto che permetta ancora di vedere i confini della realtà che comprende i sogni. L'eccesso di constatazione dei pieni può aiutare a sostenersi dopo aver constatato un vuoto ma, raggiungendo l'altro estremo, in qualche modo, si ottiene un dolore di tipo diverso, ma pur sempre un dolore. Il dolore del vedere solo ciò che si presenta agli occhi senza andare oltre, dimenticando la fantasia, i colori, le possibilità che fanno respirare l'anima, dimenticando di credere nelle potenzialità che ciascuno custodisce sempre più in profondità fin quasi a rendere il tutto irraggiungibile.

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