martedì 28 febbraio 2012

L'ingenuità di chi è innamorato

L'ingenuità è uno stato dell'essere dove, per definizione, manca qualsiasi malizia, ossia si pensa, si crede, si vive, insieme alla totalità dei battiti del proprio cuore. Non si fanno calcoli del tipo "se faccio questo tu poi fai quest'altro", direi che più esattamente, in verità, si dànno solo i numeri, senza fare troppi calcoli, quando si è innamorati. Si torna bambini nel senso che la gioia di un sorriso ci basta per affrontare la giornata, mentre una parola detta senza l'intonazione che ci si aspetta, sulla base dello sfarfallare del cuore e dello stomaco, ci incupisce. Si sperimenta con altre vesti, quelle di adulti che possono comunque comprendere le cose, la leggerezza multicolore della felicità che ci dà la vicinanza di chi amiamo. Le azioni poi, possono essere le più astruse, perché seguono ragionamenti complessi che passano ogni due per tre dal distretto del cuore. Ci si dimenticano le cose perché tutta, o quasi, l'attenzione si avviluppa alla persona che ci emoziona e da questo contatto non fisico traiamo nutrimento. Respiriamo aria e amore perché ciò che sentiamo emana da noi stessi quando siamo innamorati e riempie l'aria, formando una specie di aura che tende ad isolare rispetto al resto del mondo concreto. Entro questa bolla viviamo davvero e il benessere è innegabile. Va da sé che se veniamo feriti mentre siamo in questo stato, siamo ben più vulnerabili di quanto possiamo immaginare. Le scottature che nascono qui dentro sono le peggiori, di difficile guarigione. Tuttavia entro questo stato, se riuscissimo a vederlo, risplendiamo così tanto da illuminare anche la più oscura notte dell'anima. Forse l'ingenuità che ci accoglie dentro di sé sarà anche fatta di gesti stupidi, poco pragmatici, fiumi di parole, messaggi vari, desideri che fanno emergere o sottolineano insicurezze varie già presenti in noi, ma se non la si prova almeno una volta, credo si perda molto del sapore della vita, se non altro di una delle sue sfumature più piacevoli. In questa ingenuità si raccolgono momenti speciali che non dovrebbero comunque mai essere dimenticati anche se un giorno tutto si perde, lentamente o all'improvviso che sia. Quel benessere provato è la conferma che lo si può provare anche se la malinconia lega i ricordi alle persone e rende tutto più difficile.

lunedì 27 febbraio 2012

La bambina che voleva far uscire il ragno dalla tana

"C'era una volta una bambina dagli occhi verdi e dai capelli neri. Aveva la luce del sole negli occhi perché risaliva su direttamente dal suo cuore. Sapeva ridere e amava tutto ciò che splendeva come sanno fare i colori dell'arcobaleno. Conosceva l'allegria e c'era in lei una forza che la spingeva ad avvicinarsi con fiducia a qualsiasi essere vivente nel regno della natura. Da sempre amava gli animali che popolavano il bosco e parlava con loro in un modo molto speciale. Si capivano guardandosi negli occhi e subito si stabiliva una specie di legame quasi magico da cuore a cuore. Un giorno, passeggiando nel bosco, lungo un sentiero pieno di frasche di cespugli di more che pendevano dall'alto e arrivavano a terra fino ai suoi piedi, dovette chinarsi per staccare alcune spine che le si erano impigliate nei pantaloni. A poca distanza vide una ragnatela che era stata tesa tra un ramo di rovo, alcuni rametti secchi caduti a terra dall'albero sopra la sua testa, e una serie di sassi spigolosi che creavano una specie di imbocco di microscopica caverna. Liberatasi dalle spine che le bloccavano la gamba, si avvicinò maggiormente per osservare quel piccolo capolavoro di tessitura. I ragni non le facevano paura, ne era affascinata. Erano così particolari, silenziosi predatori, le sembravano un po' cupi e solitari. Fu così che si mise seduta sul sentiero, per aspettare che il ragno, che aveva visto vicino all'imboccatura della tana, uscisse fuori del tutto per poterlo osservare meglio. Era contenta di essere lì, era sicura che anche con lui sarebbe riuscita a comunicare in qualche modo. La bambina aveva dalla sua parte l'entusiasmo e il suo cuore sincero e credeva davvero di poter stabilire un contatto con il ragno che aveva incontrato. In verità non sapeva molto sulle abitudini dei ragni, sapeva che qualcuno poteva pinzarla e farle male con il suo veleno se l'avesse morsa, di altri sapeva che erano totalmente innocui. Non sapeva a quale categoria appartenesse questo ragno ma, non avendone paura, gli sorrise. L'entusiasmo le fece compiere una mossa per cercare di farlo uscire. Si ricordò che un ragno esce dalla tana se sente che la tela si muove perché questo indica che una preda ne è rimasta intrappolata. Prese una foglia piccolissima e la fece cadere sulla tela per ingannare il ragno. Lui uscì per controllare ma si ritrasse subito. La bambina ci rimase male perché non aveva fatto in tempo ad osservarlo. E adesso? Non sapeva come fare ma sapeva che lo voleva vedere perché voleva parlare con lui. Intanto il ragno entrò del tutto nella sua tana, l'unico luogo che aveva a disposizione per proteggersi da questa sconosciuta invadente. L'aveva osservata in quell'istante in cui era uscito a controllare che la tela fosse intatta, sapeva infatti che non si trattava di un insetto che vi era rimasto intrappolato, loro fanno vibrare la tela in modo diverso. Se si sporgeva un po' poteva vedere un essere vivente enorme e questo lo spaventava assai. Aveva il veleno come risorsa, lo sapeva, ma non gli andava di sprecarlo per un gigante simile. Si mise quieto, dunque, in attesa che lo strano essere là fuori se ne andasse, prima di rimettere anche solo la punta delle zampe sull'imbocco della tana. Il tempo passava e nulla accadeva. La bambina iniziò a guardarsi intorno per cercare un bastoncino da usare per cercare di convincere il ragno a uscire dal buco. La bambina non pensava che così facendo infastidiva il ragno, nel suo guizzo ingenuo di colori dell'animo, non riusciva a credere che ci fosse un animale del bosco che non volesse comunicare con lei. Avvicinò la punta del bastoncino al buco e dette un piccolo colpo per cercare di convincere il ragno a uscire. Si concentrò così tanto sull'azione che stava compiendo da dimenticare qualsiasi altra cosa compreso il fatto che stava distruggendo la tela. Va bene che tutti quegli strati di seta che formavano una tela abbastanza compatta erano fatti apposta per resistere anche ad urti piuttosto forti ma così non andava proprio. Possibile che quell'essere gigantesco fosse così stupido da non capire il danno che stava facendo? Fu allora che al ragno balenò in mente l'idea che quello là fuori potesse essere un predatore più potente di lui e che se così fosse stato per lui non ci sarebbe stato scampo.  La paura lo fece ritrarre ancor più in profondità. Fortuna che la tana era spaziosa e robusta e troppo piccola perché il gigante potesse entrare. Quel rametto era davvero fastidioso e se fosse riuscito anche soltanto a sfiorarlo il ragno avrebbe potuto lasciarci qualche zampa o perfino morire. Si trattava di un incubo. Là fuori la bambina insisteva con il bastoncino a dare dei colpetti alla cieca dentro la tana del ragno sempre con l'intento di farlo uscire fuori. Insisteva e insisteva fissa nella sua idea di scambiarci due parole. Non si rendeva conto della sofferenza del ragno. Finalmente smise e ritrasse la mano sedendosi sconsolata. Possibile che non riesca a convincerlo a uscire di lì? La mente della bambina era catturata nel proposito di farlo uscire per conversare con lei e ciò che si stava dimenticando, ai fini della comunicazione, era una mancanza grave. Ignara del suo errore lasciò stare il rametto e decise di usare se stessa, rischiando il tutto per tutto. Chiuse la mano e lasciò che il dito indice si infilasse nella tana. Aveva fiducia che così si accorgesse che le sue intenzioni non erano cattive, voleva fargli sentire che se il suo cuore lo accarezzava anche la sua mano poteva farlo. Era tutto ciò che riusciva a pensare per comunicare con lui. Dentro la tana, per un istante, il ragno si rilassò, non era lui quello che di solito aveva paura ma questa volta era diverso, non capiva cosa stava accadendo. Supponeva che si trattasse della solita legge della natura che permetteva a lui stesso di vivere. Tuttavia non voleva affatto essere mangiato, nossignore! Il rametto se ne era andato. Mentre cercava di ricomporre il filo dei suoi pensieri un po' sconvolti vide una specie di bastoncino di un colore diverso dal precedente, tozzo e dall'apparenza morbida. Sentì che emanava calore e capì che era un pezzo del gigante. Fu a quel punto che la goccia fece traboccare il vaso e il ragno decise di combattere per sopravvivere. Non importava se tutto il veleno che aveva a disposizione non sarebbe bastato per uccidere il gigante minaccioso, si accontentava di metterlo fuori uso in modo da insegnargli a non farsi mai più vedere. Era stufo di quel fastidio e voleva salvarsi per tornare il prima possibile a riparare la tela per tornare ad aspettare in pace il momento di mangiare, come aveva sempre fatto indisturbato. Fu così che non ci pensò due volte e morse con forza l'appendice morbida del gigante. La bambina strillò di dolore per quel morso che si era, in realtà, meritata. Si mise a piangere sperando che il dolore si placasse ma fu costretta ad alzarsi e correre via verso casa per disinfettare la ferita. Il ragno sentì che fuori era tornato il silenzio e poté finalmente respirare in pace. La bambina rimase con la cicatrice del morso e la comprensione di aver fatto del male al ragno perché sapeva che lui non l'avrebbe morsa se lei si fosse comportata con rispetto e comprensione per le sue abitudini e necessità." R.B.Between

Qualcosa di me e un fiore

C'è chi dice di me che penso troppo. E' vero. In questo pensare percorro sentieri presenti e passati alla ricerca di quelle parti di me che non ho ancora compreso fino in fondo, per rileggerle alla luce del giorno che sto vivendo. Altre volte sfoglio questo album mentale dove so esattamente cosa c'è e, anche se ho compreso ciò che sto guardando, indugio in quel pensiero o in quella immagine per puro piacere. Talvolta è così, ho imparato a conoscere la mia natura osservandomi mentre osservavo altro. E ogni volta che faccio questi tuffi, come se stessi recuperando oggetti dalle mie profondità, mi accorgo che non finirò mai di rinnovare la chiarezza con la quale osservo me o ciò che mi circonda. Come leggere dieci o venti volte lo stesso libro, ogni volta si capisce qualcosa in più, sebbene le parole con cui è stato scritto non mutino. E' il lettore che muta se stesso e ogni volta ha, quindi, la possibilità di capire, con gradi di profondità diversi, il tema. Il pensiero di oggi è complesso perché si lega alle mie emozioni e nasce abbastanza indietro nel passato. Ricordo gli anni della scuola elementare. Ricordo che già allora mi stavano stretti i compiti e lo studiare cose che non mi interessavano in quel momento, quello che mi piaceva davvero era scrivere e mi riusciva abbastanza bene. Il momento del tema era il mio preferito, cento volte di più del momento dell'interrogazione. Da sempre, sono costretta a riconoscere, preferisco scrivere invece di parlare, oggi come allora. Questa è la mia predisposizione. Allora era un semino che vibrava dentro di me e non sapevo ancora che mi avrebbe aiutata in un momento di profondo sconvolgimento. Sono passati gli anni e quando guardo indietro non posso non riconoscere che quando mi sono trovata persa mi sono tuffata in questo fiume di parole. E non l'ho fatto una sola volta, ho ripetuto il tuffo in un secondo momento di crisi e dolore. Il risultato del secondo tuffo è sotto i vostri occhi, è il mio blog. Ma faccio di nuovo un passo indietro. Era il tempo dell'adolescenza e si sa che gli ormoni non aiutano nessuno a stare in pace con le emozione che si provano, anzi, si amplifica ogni cosa, anche la più sciocca. Ma quando accade, tutto ciò che vivi con intensità, non ti sembra mai sciocco, ti sembra serio. E qualche volta forse lo è, ma lo si scopre molto tempo dopo, sfogliando l'album dei ricordi. Ho sempre pensato che il cuore non ha età e che si può provare qualcosa di speciale e sconvolgente come l'amore anche da ragazzini, specialmente se scopri da adulto che quello che provavi allora lo provi ancora, anche se in modo diverso, con la sua evoluzione di sensazioni e sfumature che allora non conoscevi perché non sapevi dargli un nome per riconoscerle. Allora il cuore iniziò a battere con la forza che ha la primavera quando si impone sull'inverno ma... l'onda s'infranse sullo scoglio e si spezzò in milioni di spruzzi. Ogni goccia divenne solida e si trasformò in pezzi di cuore sparsi. Fu dolore e nessuno se ne accorse. In quell'immenso vuoto fecero capolino delle parole, tante parole, così tante che la mia mente voleva usarle solo per tamponare lo squarcio che si era creato dentro. Ma una ferita sanguinante, se viene occlusa, si gonfia, sotto quella che si vorrebbe fosse la crosta, fino a scoppiare. Non mi è mai riuscito bene rinchiudere la sofferenza da qualche parte così presi carta e penna e iniziai a trasferire i miei sentimenti altrove per alleggerire il peso che avevo dentro. Iniziai a scrivere. Scrivevo poesie, scrivevo racconti e, col passare del tempo, il dolore si diluì lasciando sulla carta anche parole meno intrise di lacrime. Imparai da un dolore ma allora non potevo dire quello che sto dicendo adesso perché lo stavo vivendo. Forse, la predisposizione allo scrivere fu il mio salvagente. Adesso, riflettendo su questo concetto, vedo che quando si sta male per un qualsiasi motivo che ci coinvolge fin nel profondo, si aprono delle strade che siamo spinti ad imboccare per continuare ad andare avanti. La natura di queste strade che ci troviamo ad imboccare discende dalla nostra scelta personale e da come siamo fatti. Possiamo scegliere di costruire o possiamo scegliere di distruggere noi stessi. Il dolore che si prova, qualsiasi sia la circostanza che lo genera, è il nostro demone privato, che possiamo scegliere di combattere o di assecondare. C'è sempre un bivio davanti al quale ci ritroviamo. Quando si vuole colmare un vuoto immenso che si crede infinito possiamo scegliere di costruirci qualcosa, accettando di andare avanti anche sotto una costante pioggia di lacrime dove nessuna previsione meteorologica ne saprà dire il termine, oppure aggiungere vuoto al vuoto facendo del male a se stessi consumandosi nel dolore che si prova. E cercare di stordirsi per dimenticare non aiuta mai veramente... Quando soffriamo vediamo meno bene le cose intorno a noi che possono darci una mano a non precipitare maggiormente nel vuoto che sentiamo. Però, qualche volta, qualcosa di positivo affiora in questi momenti e sta a noi avere il coraggio di afferrarlo come fosse una boa di salvataggio e fidarsi. Mi fidai del mio fiume di parole che mi offrì un luogo dove far sviluppare in modo sano la ribellione al dolore stesso. Non era un conforto ma solo una valvola di sfogo inizialmente. Quello che è venuto dopo è nato dal mio cuore che ha preferito rimanere a galla per non smettere mai di vedere il sole ed il cielo azzurro. E' così che può nascere un fiore dentro l'anima. Nasce ogni volta che si riesce a combattere per rimanere vivi senza cedere alle pieghe che il dolore suggerisce come anestetico, come il cinismo. Oggi, guardo il fiore che ho coltivato nonostante tutto, anche se non sempre ho amato associare la soddisfazione dello scrivere alla sua origine perché mi ricordo di ciò che ho provato. Fare pace con questo tipo di cose è un mestiere che impegna per la vita e ripaga soltanto quando si comprende profondamente. Il mio scrivere attuale nasce da un serbatoio di cose da dire in generale che si è trovato sulla strada un desiderio immenso di comunicare interrotto malamente e anche qui il cuore c'entra. Da questo strano corto circuito ho fatto nascere una compensazione per rimanere viva di nuovo. E' stato più facile stavolta perché questa particolare fasciatura la sapevo già fare, l'inconscio mi è venuto incontro, anche se non subito. Tutto ciò però l'ho capito in seguito, quando ho messo insieme tutte le cose, tutti i pensieri e i sentimenti e ho trovato le somiglianze con il passato. La potrei chiamare l'eredità positiva che il dolore mi ha lasciato e mentre scrivo, quando desidero condividere pensieri, mi impongo di vedere il fiore con i suoi colori e il suo profumo. Sta a ciascuno, poi, coltivare il seme che darà origine al fiore che testimonia la sopravvivenza. Quello che non smetterò mai di credere è che ci sia una scelta sempre né smetterò di dirlo, consapevole del fatto che, per vedere la presenza di questa possibilità di scelta, sia necessario ricordarsi di se stessi.

martedì 21 febbraio 2012

Pensando ad una donna dalla voce bellissima... Whitney Houston

Prima di essere una cantante era una donna come tante altre, solo con un dono speciale. Ho ascoltato recentemente dei dibattiti dove gli intervenuti si interrogavano sul motivo per cui delle star così splendenti  se ne vanno prima di quel tempo che la vita concederebbe loro se non facessero abuso di sostanze intossicanti. Accade e quando accade si riesce a polemizzare giudicando sulla base di quello che si vede, di informazioni che arrivano da lontano, che per questo possono anche non essere perfettamente corrispondenti alla realtà. Noi non eravamo lì con loro, con le star che stavano vivendo incubi o sofferenze o pensieri malsani dovuti o meno a droghe o antidepressivi o altro. Noi non sappiamo nulla della loro vita privata finché non accade quello che accade. Corre voce, si dice, sembra che, ma la realtà se ne va insieme alla persona che veniva denominata star. Dolore, errori, pensieri che non si riescono a placare né a fermare, cuori infranti, vite strizzate da altri che pensano solo al guadagno da ricavare, sfruttamento di se stessi per non dire di no quando si è stanchi davvero, vite tirate come elastici che si crede mai si possano spezzare, tutte cose che portano a camminare su di un sentiero pericoloso specialmente se una qualche debolezza non permette di affrontarlo con la sobrietà che serve. Dipendenza da qualsiasi cosa materiale o su di un livello vibratorio diverso, può accadere e accade, come il risultato certo della fine di una vita. E se si potesse chiedere a coloro che sono appena volati oltre, forse, nella maggior parte dei casi di queste star, ci sentiremmo dire che non avevano pensato che potesse accadere, perché la loro mente e il loro cuore vagavano altrove, magari persi nel punto centrale del malessere che stavano provando, senza sapere quale nome dargli. E in questo punto di loro stessi erano solo uomini e donne straordinari ma inconsapevoli. Quello che queste persone lasciano con il loro lavoro, a noi anonimi, sono ancora cose che possiamo amare e che questo sia la loro eredità indimenticabile è cosa bella da pensare, piuttosto del farci sopra una sterile polemica solo per intrattenere alla tv un pubblico stanco di sentire parole senza sentimento alcuno.

lunedì 20 febbraio 2012

Come fare una crema pasticcera senza grumi

Sapete che la crema può impazzire? La si definisce impazzita quando si formano dei grumi di farina e ciò impedisce alla crema di essere perfettamente liscia, vellutata. Ho raccolto alcune ricette per fare la crema pasticcera, in alcune variano le proporzioni tra gli ingredienti, in altre si descrivono procedimenti leggermente differenti ma, negli anni, ho elaborato la mia ricetta personale e questa risulta bene. In cucina mi è sempre piaciuto sperimentare ma, soprattutto, dare il meglio con ciò che ho a disposizione, il che comprende non essere sempre maniacalmente precisa nelle dosi. Trovo che fare così sia più soddisfacente perché richiede maggiore presenza e attenzione e perché quello che si ottiene è unico. Di volta in volta sarà molto simile ma mai esattamente lo stesso. In cucina, credo sia importante metterci molto di noi per rendere ciò che cuciniamo riconoscibile come nostro. La nostra firma è la passione che ci mettiamo, e la passione che ci mettiamo è, oltre al fatto che ci piace, anche la conoscenza del comportamento dei singoli ingredienti. Ciò che amiamo sapere concorre a completare il ricettario. Vi scrivo la mia ricetta per la crema: in un tegame capiente di acciaio, o antiaderente, sbatto le uova con lo zucchero e pochi granelli di sale fine. Per un litro di latte e 125 ml di panna fresca, quella liquida non quella a lunga conservazione (va bene anche 250 ml), sbatto 3 uova intere grandi (4 se sono piccole) e metto un cucchiaio colmo di zucchero semolato per ogni uovo perché non mi piace che sia troppo dolce. Se volete aumentare lo zucchero potete farlo, ma spero senza esagerare :-)
Con la frusta manuale, dunque, lavoro le uova con lo zucchero, infatti più si sbattono e più si scioglie lo zucchero poiché l'attrito del metallo della frusta con le pareti del tegame di metallo genera calore che aiuta la prima "alchimia" che state elaborando. Ovviamente se usate un tegame antiaderente per non rovinarlo dovete usare una frusta che non sia di metallo. Il calore del movimento mentre lavorate le uova con lo zucchero più o meno è lo stesso. Passiamo all'aggiunta della farina, l'ingrediente che dà il corpo alla crema. A seconda dei gusti o delle necessità si possono usare mix di farine o solo farina di frumento tipo 00. Io uso solo farina 00, raramente uso fecola di patate o amido di mais o farina di riso, ingredienti questi ultimi che hanno il potere di addensare la crema o una qualche salsa. L'esperienza mi ha insegnato a osservare che la quantità di farina da aggiungere dipende dalla quantità di uova con lo zucchero e non dalla quantità di latte. Dopo aver sbattuto le uova con lo zucchero si aggiunge la farina setacciata (è irrinunciabile setacciarla poiché questo procedimento aiuta molto a mescolare senza far aggrumare) e si procede per gradi, cucchiaio dopo cucchiaio finché non si raggiunge la consistenza che riteniamo adatta. Questa consistenza adatta dipende dal nostro gusto o dalla necessità di avere una crema più o meno consistente. In alcune ricette si deve fare una crema che poi viene messa in forno a cuocere come ripieno per esempio, in questo caso la crema risulta meglio meno morbida. La consistenza dell'impasto di uova zucchero e farina dovrebbe essere più o meno un fluido colloso e la consistenza di questo impasto sarà esattamente quella che avrà la crema dopo la cottura. Dovreste provare a non avere paura di sbagliare e fidarvi della sensazione, dell'occhio, e se non riesce questa volta riuscirà la prossima quando, ricordando i passi fatti, saprete correggervi a seconda del vostro gusto. Questo è cucinare mettendo parte di ciò che siete in ciò che fate. A parte, dopo aver mescolato uova zucchero e farina, metto sul fuoco il latte con la panna e la vaniglia, solitamente una parte della bacca con i suoi semi o, se non metto la vaniglia, la scorza di limone che non abbia la buccia trattata con prodotti chimici che lo rendono lucido. I limoni non trattati si riconoscono di solito, se chi li vende è onesto, dalle foglie e dalla buccia irregolare. Ci avviciniamo alla parte un po' più difficile, riconoscere quando è tempo di unire il latte al composto di uova e farina, ricordando che è meglio aggiungere la parte liquida a quella che lo è meno e non viceversa, perché facendo così si riduce di molto il rischio che si formino i famosi grumi, e per lo stesso motivo non faccio mai bollire il latte perché la temperatura di ebollizione fa formare i grumi quando unisco la parte calda e la parte fredda della ricetta. Tengo d'occhio il tegame con il latte e la panna e quando vedo che si forma in superficie la tipica pellicola so che devo iniziare, togliendo le bucce o la vaniglia. Prelevo allora qualche cucchiaiata di latte caldo e la aggiungo all'altro impasto mescolando il tutto per amalgamarlo un po'. L'eccessivo calore infatti coagula velocemente l'uovo. Piano piano aggiungo il latte caldissimo ma non bollente continuando a mescolare, io mi trovo bene con la frusta poiché il cucchiaio di legno non permette un movimento ampio a sufficienza per tenere sotto controllo il tutto. Da allora, mai smettendo di mescolare, mi trasferisco sul fuoco basso e lascio che si addensi la crema, cosa che accade entro breve, a seconda di quanto caldo era il latte, quindi da quando sembra bollire conto di tenerla sul fuoco massimo una decina di minuti, sempre mescolando costantemente. Così non impazzisce mai a meno che quel giorno non sia io stessa tanto nervosa da comunicare alla povera crema le vibrazioni sbagliate :-) A parte tutto, ho voluto parlare della crema perché l'applicarmi in ciò mi fa riflettere. Un giorno, mentre stavo pensando a quanto sia facile far virare una cosa positiva in una negativa, mi è venuto in mente il latte. Basta un secondo di distrazione e lo ritroviamo tutto fuori dal tegame. Un disastro bruciaticcio e appiccicato difficile da pulire, senza contare che di latte te ne rimane la metà, se va bene. A questo pensiero ci ho trovato legato quello della formazione dei grumi nella crema. Anche in questo caso la non attenta valutazione della temperatura del latte, secondo il procedimento che di solito seguo per fare la crema, crea un qualcosa che non è ciò che si vorrebbe. Da ciò ne deduco ancora una volta l'importanza dell'attenzione e delle presenza in me mentre lavoro a qualcosa e il fatto che se non amo ciò che faccio non posso dare il meglio di me. Diciamo che per me è così. In cucina, come in ogni altro campo di applicazione, se non siamo lì con costanza e applicazione perdiamo qualcosa di importante e la consapevolezza, che di norma dovrebbe insegnare quello che passa solitamente inosservato, rimane ferma ai box. La stessa curiosità che mettiamo nell'esplorare le cose che facciamo per la prima volta custodisce la forza che pervade l'attenzione che permette di richiamare noi stessi dentro di noi per essere più presenti in ciò che facciamo. L'augurio è quello di non perdere mai la curiosità da dirigere nel campo di applicazione di ciascuno per divertirsi e per imparare sempre senza stancarsi mai perché si sia golosi, non solo di crema, ma anche della conoscenza che serve per farla. E questo vale un po' per tutte le cose. 

lunedì 13 febbraio 2012

La nuda verità

Qualche giorno fa mi sono fermata davanti alla vetrina di una farmacia. All'interno della vetrina c'erano un paio di pannelli pubblicitari e delle speciali calze da donna. Uno dei due pannelli aveva l'immagine di un corpo di donna che stava indossando un body dalle caratteristiche quasi magiche. L'altro pannello reclamizzava una crema antirughe. Ma torniamo al body. L'elenco delle caratteristiche così diceva: sostiene il seno, snellisce il punto vita, contiene la pancia e solleva i glutei. Ottimo! Peccato che poi, tolto il body, il corpo, finalmente libero di esprimersi, racconti una verità diversa dall'apparenza poco prima mostrata. Inutile dire che questo body mai sarà indossato da donne che non ne hanno bisogno quindi, inevitabilmente, il risultato finale, ossia ciò che resta dopo aver tolto tale magico indumento, è la nuda verità fatta da un seno non così tonico come si vorrebbe, un punto vita che non è un punto, una pancia non piatta e dei glutei stanchi, per non parlare della presenza della cellulite, qualora ce ne fosse. Mi sono vista la scena e mi sono messa a ridere tra me e me. Ecco, se credessi davvero nel valore di un simile capo, immaginando la scena sopra descritta mi si rizzerebbero i capelli in testa per il terrore di mostrarmi così naturale a qualcuno e subito dopo correrei di volata a cercare una versione da notte per non smettere mai di apparire in modo perfetto. Mancandomi i mezzi per ricorrere alla chirurgia e non piacendomi le anestesie punterei tutto sul body. Invece mi sono messa a ridere, ulteriore conferma che sono senza speranza dal punto di vista del look. Intendiamoci, non è che non vorrei essere bella davvero fisicamente,  compatibilmente con quello che il DNA mi ha fornito, ma c'è un gancio invisibile tra me e la natura che non mi va di offendere, anche se potrei impegnarmi di più nel curare la mia immagine. In breve, cerco di accettarmi per come sono, rughe, cellulite, glutei inesistenti, seno imperfetto e capelli d'argento che ho da quando avevo vent'anni. Ho visto il tempo passare sul mio corpo e spero sempre di trovare qualcuno che la pensi come me sull'argomento, laddove con serenità si sappia guardare alla confezione d'insieme che esiste nel presente poiché il passato, fatto di tono ed elasticità, non c'è più. E se il tono e l'elasticità scarseggiano per varie ragioni nel mio corpo cerco di mantenerli invece ben presenti e in quantità nella mia regione interiore, in quell'altro corpo più sottile fatto di incredibili sfumature e colori che tutti abbiamo a disposizione. Per una donna, come credo per un uomo, quando si guardano allo specchio senza vestiti, la propria nuda verità ricorda talvolta senza pietà le fattezze umane che abbiamo e non è da tutti poterle cambiare tramite l'abile lavoro di un chirurgo estetico per soddisfare le richieste del mondo delle apparenze. Dopo aver smesso di ridere avendo immaginato, su me stessa, l'effetto dello spogliarmi di quel body, tornando seria, vorrei solo augurare a tutti una cosa, che coincide con quello in cui credo, che possiate sempre avere accanto almeno una persona che vi ami così tanto, no da non vedere i vostri difetti fisici o interiori ma che, pur vedendoli, li ami altrettanto perché fanno parte di voi, e lo spazio che resta sia riempito dalla confidenza e dalla complicità e dal sapersi prendere in giro nonostante tutto, sempre a qualsiasi età.

Emanciparsi dai propri genitori

Quando si viene alla luce, il primo atto materiale che viene compiuto nei confronti del neonato, in genere, è il taglio del cordone ombelicale. Un diverso e più elaborato taglio dalla dipendenza nei confronti dei genitori avviene in seguito. Questo secondo taglio più sottile richiede un tempo lungo per quanto riguarda la vita umana, salvo casi particolari. E non mi riferisco soltanto al fatto che, raggiunta la maggiore età, ci si possa allontanare da casa o si pensi di metter su una famiglia propria, intendo qui il complesso lavoro mentale ed emozionale che porta all'elaborazione della propria personalità in consapevolezza. E questa consapevolezza di chi siamo davvero ce la portiamo ovunque, sia che abitiamo ancora nella stessa casa che ci ha visto nascere sia che un intero oceano ci separi dai nostri genitori, qualsiasi età abbiamo. Il punto non è in tutto ciò che abbiamo di uguale o diverso dai nostri genitori materialmente parlando. Non sono le case, non è il denaro, non è l'istruzione, queste sono tutte cose che non determinano ciò che siamo, sono solo elementi descrittivi temporanei. Cerco di spiegarmi meglio. Sebbene il pensiero comune riconosca in tutte queste cose ciò che siamo io, non trovandomi concorde, guardo più in profondità, dove vedo che ciò che conta sono le cose che stanno appena sotto la superficie ed emergono da essa tramite le reazioni, le quali determinano in modo più sincero chi siamo veramente offrendo un terreno per comprensioni profonde e durature di noi. E' in questo spazio che troviamo le vere somiglianze con i nostri genitori ed è ugualmente lì che possiamo scegliere se ciò che stiamo osservando ci va bene o meno per definire noi stessi. Accettare dei difetti che vediamo anche nei nostri genitori fa parte del passo che ci permette di riconoscere che siamo i loro figli, è un processo piuttosto ovvio e naturale ma al tempo stesso si crea un punto particolare. In questo speciale punto di osservazione, come in ogni altro punto dove c'è consapevolezza, siamo presenti come non mai ed è così che si crea un'opportunità di scelta che permette crescita interiore. Ogni volta che la scelta si palesa si ha libertà e la crescita interiore permette di continuare a nutrire questa libertà. Ciò che viene offerto per la scelta è quello che vediamo far parte dei nostri genitori, quelli che sono i loro pensieri, i loro difetti, le loro manie, poiché riusciamo a vederne alcuni anche dentro di noi mentre l'altra cosa che vediamo sono le cose che sono noi in quanto elaborate e conquistate con le nostre specifiche forze o quelle solo volute senza averle vendute o barattate per avere un accomodamento che non ci appartiene veramente. Il secondo cordone ombelicale invisibile è fatto dei "vizi" che non ci appartengono ma che ci rimangono addosso anche per tutta la vita se non ce ne accorgiamo e se non distinguiamo cosa è noi e cosa non lo è. Qualche volta questi "vizi" sono abilità positive che possono aiutarci a camminare nella vita o a trovare un posto che ci sia congeniale ma sono e restano pur sempre cose che non abbiamo scelto o riscelto una volta che ne siamo divenuti consapevoli. Possiamo anche usare questi stampi che i nostri genitori ci donano insieme alla vita ma un giorno, se vogliamo conoscere davvero noi stessi, dobbiamo affrancarcene comprendendoli, imparando come sono fatti, prima di restituirli ringraziando. E' così che il secondo cordone ombelicale mentale viene reciso, auspicabilmente con la dolcezza che una lenta ma consapevole elaborazione dei pensieri che non ci appartengono porta con sé.