lunedì 27 febbraio 2012

Qualcosa di me e un fiore

C'è chi dice di me che penso troppo. E' vero. In questo pensare percorro sentieri presenti e passati alla ricerca di quelle parti di me che non ho ancora compreso fino in fondo, per rileggerle alla luce del giorno che sto vivendo. Altre volte sfoglio questo album mentale dove so esattamente cosa c'è e, anche se ho compreso ciò che sto guardando, indugio in quel pensiero o in quella immagine per puro piacere. Talvolta è così, ho imparato a conoscere la mia natura osservandomi mentre osservavo altro. E ogni volta che faccio questi tuffi, come se stessi recuperando oggetti dalle mie profondità, mi accorgo che non finirò mai di rinnovare la chiarezza con la quale osservo me o ciò che mi circonda. Come leggere dieci o venti volte lo stesso libro, ogni volta si capisce qualcosa in più, sebbene le parole con cui è stato scritto non mutino. E' il lettore che muta se stesso e ogni volta ha, quindi, la possibilità di capire, con gradi di profondità diversi, il tema. Il pensiero di oggi è complesso perché si lega alle mie emozioni e nasce abbastanza indietro nel passato. Ricordo gli anni della scuola elementare. Ricordo che già allora mi stavano stretti i compiti e lo studiare cose che non mi interessavano in quel momento, quello che mi piaceva davvero era scrivere e mi riusciva abbastanza bene. Il momento del tema era il mio preferito, cento volte di più del momento dell'interrogazione. Da sempre, sono costretta a riconoscere, preferisco scrivere invece di parlare, oggi come allora. Questa è la mia predisposizione. Allora era un semino che vibrava dentro di me e non sapevo ancora che mi avrebbe aiutata in un momento di profondo sconvolgimento. Sono passati gli anni e quando guardo indietro non posso non riconoscere che quando mi sono trovata persa mi sono tuffata in questo fiume di parole. E non l'ho fatto una sola volta, ho ripetuto il tuffo in un secondo momento di crisi e dolore. Il risultato del secondo tuffo è sotto i vostri occhi, è il mio blog. Ma faccio di nuovo un passo indietro. Era il tempo dell'adolescenza e si sa che gli ormoni non aiutano nessuno a stare in pace con le emozione che si provano, anzi, si amplifica ogni cosa, anche la più sciocca. Ma quando accade, tutto ciò che vivi con intensità, non ti sembra mai sciocco, ti sembra serio. E qualche volta forse lo è, ma lo si scopre molto tempo dopo, sfogliando l'album dei ricordi. Ho sempre pensato che il cuore non ha età e che si può provare qualcosa di speciale e sconvolgente come l'amore anche da ragazzini, specialmente se scopri da adulto che quello che provavi allora lo provi ancora, anche se in modo diverso, con la sua evoluzione di sensazioni e sfumature che allora non conoscevi perché non sapevi dargli un nome per riconoscerle. Allora il cuore iniziò a battere con la forza che ha la primavera quando si impone sull'inverno ma... l'onda s'infranse sullo scoglio e si spezzò in milioni di spruzzi. Ogni goccia divenne solida e si trasformò in pezzi di cuore sparsi. Fu dolore e nessuno se ne accorse. In quell'immenso vuoto fecero capolino delle parole, tante parole, così tante che la mia mente voleva usarle solo per tamponare lo squarcio che si era creato dentro. Ma una ferita sanguinante, se viene occlusa, si gonfia, sotto quella che si vorrebbe fosse la crosta, fino a scoppiare. Non mi è mai riuscito bene rinchiudere la sofferenza da qualche parte così presi carta e penna e iniziai a trasferire i miei sentimenti altrove per alleggerire il peso che avevo dentro. Iniziai a scrivere. Scrivevo poesie, scrivevo racconti e, col passare del tempo, il dolore si diluì lasciando sulla carta anche parole meno intrise di lacrime. Imparai da un dolore ma allora non potevo dire quello che sto dicendo adesso perché lo stavo vivendo. Forse, la predisposizione allo scrivere fu il mio salvagente. Adesso, riflettendo su questo concetto, vedo che quando si sta male per un qualsiasi motivo che ci coinvolge fin nel profondo, si aprono delle strade che siamo spinti ad imboccare per continuare ad andare avanti. La natura di queste strade che ci troviamo ad imboccare discende dalla nostra scelta personale e da come siamo fatti. Possiamo scegliere di costruire o possiamo scegliere di distruggere noi stessi. Il dolore che si prova, qualsiasi sia la circostanza che lo genera, è il nostro demone privato, che possiamo scegliere di combattere o di assecondare. C'è sempre un bivio davanti al quale ci ritroviamo. Quando si vuole colmare un vuoto immenso che si crede infinito possiamo scegliere di costruirci qualcosa, accettando di andare avanti anche sotto una costante pioggia di lacrime dove nessuna previsione meteorologica ne saprà dire il termine, oppure aggiungere vuoto al vuoto facendo del male a se stessi consumandosi nel dolore che si prova. E cercare di stordirsi per dimenticare non aiuta mai veramente... Quando soffriamo vediamo meno bene le cose intorno a noi che possono darci una mano a non precipitare maggiormente nel vuoto che sentiamo. Però, qualche volta, qualcosa di positivo affiora in questi momenti e sta a noi avere il coraggio di afferrarlo come fosse una boa di salvataggio e fidarsi. Mi fidai del mio fiume di parole che mi offrì un luogo dove far sviluppare in modo sano la ribellione al dolore stesso. Non era un conforto ma solo una valvola di sfogo inizialmente. Quello che è venuto dopo è nato dal mio cuore che ha preferito rimanere a galla per non smettere mai di vedere il sole ed il cielo azzurro. E' così che può nascere un fiore dentro l'anima. Nasce ogni volta che si riesce a combattere per rimanere vivi senza cedere alle pieghe che il dolore suggerisce come anestetico, come il cinismo. Oggi, guardo il fiore che ho coltivato nonostante tutto, anche se non sempre ho amato associare la soddisfazione dello scrivere alla sua origine perché mi ricordo di ciò che ho provato. Fare pace con questo tipo di cose è un mestiere che impegna per la vita e ripaga soltanto quando si comprende profondamente. Il mio scrivere attuale nasce da un serbatoio di cose da dire in generale che si è trovato sulla strada un desiderio immenso di comunicare interrotto malamente e anche qui il cuore c'entra. Da questo strano corto circuito ho fatto nascere una compensazione per rimanere viva di nuovo. E' stato più facile stavolta perché questa particolare fasciatura la sapevo già fare, l'inconscio mi è venuto incontro, anche se non subito. Tutto ciò però l'ho capito in seguito, quando ho messo insieme tutte le cose, tutti i pensieri e i sentimenti e ho trovato le somiglianze con il passato. La potrei chiamare l'eredità positiva che il dolore mi ha lasciato e mentre scrivo, quando desidero condividere pensieri, mi impongo di vedere il fiore con i suoi colori e il suo profumo. Sta a ciascuno, poi, coltivare il seme che darà origine al fiore che testimonia la sopravvivenza. Quello che non smetterò mai di credere è che ci sia una scelta sempre né smetterò di dirlo, consapevole del fatto che, per vedere la presenza di questa possibilità di scelta, sia necessario ricordarsi di se stessi.

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