domenica 11 settembre 2011

Desideri di una pietra sulla battigia

Oggi non so perché sono venute a galla, gonfie del mio pensiero, due paure. Mi sono svegliata e loro erano lì, la giornata allora prende un sapore diverso dal solito. Le vorresti ignorare ma non è possibile, puoi solo provare a raccogliere la forza d'animo per far loro attraversare la mente e sperare che, quando raggiungono le emozioni, ci sia abbastanza energia per non far diventare la paura un essere cieco e instabile che si attacca addosso e inizia a divorarti lentamente. E ogni volta che la sensazione mi investe mi sembra di essere una pietra sulla battigia, quella parte di terra che ritmicamente viene bagnata dall'andirivieni dell'onda. Sono abbastanza pesante per resistere al flusso che arriva ogni volta e non riesco a spostarmi. Non sono un ciottolo leggero che può scivolare via insieme al mare, sono inserita per metà nella sabbia che mi ancora a sé. Faccio parte della terra. E non posso esimermi dal guardare l'onda che mi viene addosso. Questo si ripete da talmente tanto tempo che ne ho perduta la memoria. Una pietra non dovrebbe pensare né stancarsi eppure oggi è così. Non sono del tutto una pietra, se in essa mi sto trasformando, né sono più solamente memoria d'Uomo. Una strana via di mezzo che mantiene vivo il centro di tutte le sue connessioni col mondo e ancora desidera, perché si ribella al suo destino di stare sempre inesorabilmente davanti all'onda. Ogni volta che questo impatto liquido arriva e mi consuma un po', anche se non riesco a rendermene conto dall'oggi al domani, forgio la domanda. Perché è sempre così che deve andare? Possibile mai che non ci sia soluzione? Sono una pietra viva, non riesco a scegliere di dimenticare l'onda appena passata in tempo prima che l'altra si ripresenti. Vorrei scansarmi per schivarla con destrezza, magari una piroetta e poi di nuovo al mio posto, se questo dovesse essere, per  decretato destino. Vorrei che le onde allora fossero gentili e mi carezzassero invece di schiaffeggiarmi come sanno fare certi eventi della vita. La pietra appena un po' più in là riceve solo a tratti degli spruzzi salmastri quando la potenza del mare si infrange su di me. Vorrei invidiarla ma so che non va bene, la mia stessa esistenza non avrebbe senso se scegliessi di invidiarla, ciascuno ha il suo libro della vita da leggere e comprendere. Allora ripiego su altri desideri, vorrei che ogni angolo, del quale perdo la forma aguzza, non mi facesse così male mentre si smussa. A volte la levigatura non è lenta e continua ma rapida e improvvisa, come le notizie che non vorresti mai udire. Forse sono qui per imparare a non fuggire per la paura dell'impatto, possibile. Sogno dunque che il mare, per un po', cambi direzione al suo incessante lambire, o che si ritragga di qualche metro, per darmi la possibilità di godermi anche la luce diretta del sole. Sono certa che dopo lungo tempo desidererei ancora il refrigerio dell'acqua fresca del mare, ma non l'impatto dell'onda. Così è la vita, quasi mai riusciamo ad apprezzare, o a vivere con la dignità dell'accettazione, ciò che abbiamo a disposizione, cerchiamo sempre altro. Forse è questo desiderio che ci mette le gambe e ci fa muovere, qualche volta scappare, qualche volta rimanere. Sono le gambe che forniscono la consapevolezza di avere la possibilità di fare l'una o l'altra cosa. Ogni porta sbattuta in faccia, ogni no, ogni errore commesso rendendosi conto, l'istante dopo, che si poteva evitare, sono un po' come le onde che ti arrivano addosso mentre sei immerso nella sabbia. E quando qualche situazione simile si ripresenta, sale a galla la paura, così chiudi gli occhi e pensi che adesso arriva e sei certo che l'impatto faccia male. Ogni volta che credi in qualcosa, che desideri che qualcosa accada ti esponi, così ogni delusione profonda porta con sé questa memoria inconscia che paralizza, talvolta, anche esili gambe appena spuntate e pronte a camminare. "Ecco, adesso succede di nuovo, conosco la storia, figurati se sarà diverso", a me capita di pensare così. Qualche volta purtroppo ho avuto ragione ed è questa conferma nel tempo che mi ha portata a pensare in questo modo, prima di riuscire anche soltanto a ipotizzare che le cose potrebbero andare diversamente. Con questa paura addosso di perdere qualcosa inattivo la capacità di pensare lucidamente e mi confondo, non so mai se mettermi lì ferma ad aspettare l'onda dolorosa o se creare una fessura ampia nella pietra per spaventare l'onda e illudermi che posso ingoiarla tutta insieme, come se quella che ho creato fosse una bocca. Il senso di ribellione alla paura mi indurrebbe a spalancare le fauci per farmi scorrere l'onda all'interno del corpo, ma so anche che inevitabilmente, se si verificasse di nuovo ciò che temo, l'onda successiva sarebbe peggiore di quella ingoiata perché scaturirebbe da me stessa. Potrebbero essere lacrime, potrebbe essere l'anima, non lo so, ma per una volta su tutte vorrei sconfiggere la paura. Vorrei fidarmi ogni volta, nonostante tutto ciò che temo, per vedere cosa c'è di là dal mio limite.

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