domenica 10 luglio 2011

L'anello di congiunzione tra la teoria e la pratica

Fin da piccoli siamo immersi nella consapevolezza di dover imparare le cose, questo ci viene detto. Imparare per poi riproporre il modello imparato è per molti la sintesi del saper stare al mondo. Ci viene insegnato di tutto, come mangiare o cosa, come vestirsi, come parlare, come muoversi, come relazionarsi, e a scuola si leggono pagine intere sul come e perché o dove il genere umano si è evoluto. Si impara a far di conto, si impara a scrivere, si fanno dettati, si fanno riassunti per imparare la sintesi dei concetti, si legge e tutto questo parte dalla teoria, ossia quello che qualcuno ha codificato e definito prima che arrivassimo noi ad attingere a questo sapere. La teoria discende dall'osservazione e anche dalla pratica così, in fin dei conti, si potrebbe dire che tra teoria e pratica non c'è poi tanta differenza. Il primo teorico nella notte dei tempi deve aver raccolto le informazioni necessarie a dare delle definizioni che poi qualcuno ha sperimentato in pratica e per far questo deve avere avuto delle fonti di ispirazione non solamente "teoriche", scusate il bisticcio. E' come un serpente che si morde la coda, eppure teoria e pratica, secondo me, sono separate tra loro da un solco come un fossato attorno ad un castello. Se mi si chiedesse di immaginare la teoria direi che la vedo come un contenitore la cui dimensione varia a seconda della quantità del contenuto, e dove la forma del contenitore non ha assolutamente importanza ai fini del ragionamento. Dentro questo contenitore si vanno accumulando nel tempo una serie di informazioni che raccogliamo lungo il percorso, ciò che impariamo a credere come reale perché lo riconosciamo come tale, e tutto ciò che ci viene dato come informazione impacchettata e sigillata con suggerimento di crederci senza verificarla. Pur tuttavia non è ancora "pratica", l'informazione riconosciuta come realtà, che sia stata dedotta o sperimentata, è ancora "teoria", secondo me. E' teoria perché è sempre custodita dentro quel contenitore di cui ho detto prima. La pratica prevede invece l'azione totale e lo svolgimento del concetto, una sorta di traduzione delle informazioni in maniera tridimensionale, materiale, se così vogliamo metterla. La pratica è continuità di azione che attinge alla teoria, sì, ma resta pur sempre se stessa in virtù della differenza tra la teoria e la pratica. Vedo così la teoria come la parte trasparente eppure "reale" e la pratica il corpo che le permette di manifestarsi e rivedersi nella materialità. Un po' come l'anima, per chi ci crede, e il corpo, in ogni essere umano. Come il dire, di sensazione immateriale, e il fare che entra in contatto con la materia. Come si fa allora a superare questo fossato? Eppure la teoria e la pratica comunicano fra di loro costantemente poiché l'una attinge dall'altra per alimentarsi. L'una senza l'altra sarebbero incomplete e ci lascerebbero nell'ignoranza di molti concetti importanti. La teoria custodisce i dati necessari alla pratica perché essa ci porti un passo più avanti di dove eravamo ieri. Il loro integrarsi passa attraverso ciò che siamo, e noi siamo l'anello che le congiunge, perché quando lasciamo agire il nostro potere decisionale usiamo le informazioni e diamo il comando di azione. E' il nostro scegliere che fa la differenza e arricchisce la teoria che abbiamo imparato dagli altri. Quando ci facciamo una nostra teoria in qualche modo ci emancipiamo dal resto del calderone di pensieri preconfezionati ai quali siamo stato esposti per tutta la vita, finché non ci svegliamo e comprendiamo che è nelle nostre mani la possibilità di elaborare i dati acquisiti. E' vero, all'inizio, siamo costretti dalla circostanza dell'essere bambini, a cibarci delle informazioni e dei pensieri che ci vengono dati perché ne abbiamo bisogno per crescere forti e robusti come rampicanti, abbiamo bisogno del sostegno su cui iniziare il nostro specifico percorso. Dopo, spetta a noi singolarmente, con le nostre forze, prendere la teoria preconfezionata e rivederla attraverso la pratica, per verificare se funziona oppure no, per noi, nello specifico. Che senso ha seguire gli schemi altrui se si riesce a comprendere che siamo capaci di svilupparne di nostri? La nostra teoria nascerà sempre da quella altrui, come il passaggio del testimone, ma ad essa dobbiamo, come alla nostra vita, la possibilità di rivedersi da un punto di vista differente, cioè passando attraverso ciò che siamo noi, ciò che è il, e nel, nostro cuore, prima che nella nostra mente o nelle nostre mani. Il nostro contributo alla teoria comune è il nostro punto di vista specifico, con la consapevolezza annessa che è solo il nostro punto di vista e non è universale, è solo uno spunto per chi verrà dopo di noi, e vorrà dei dati in più per la sua elaborazione personale. R.B.Between

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