mercoledì 27 luglio 2011

Riflessione sui caduti

Che si tratti di una missione di guerra o che sia definita di pace il risultato non cambia, come effetto di incisione della realtà, un caduto è qualcuno che da quel momento in poi non c'è più. I caduti sono tutti valorosi ma lasciano famiglie a piangere o a ricordare il loro impegno civile e militare nei confronti del popolo al quale appartengono. Rimane di loro il ricordo del valore, il contributo che hanno dato. Eppure non riesco a immaginare come si possa sopportare il dolore dell'aver perso un familiare in guerra o in missione di pace che sia. L'unica forma di combattimento che riesco a concepire è quello che insegna a confrontarsi con se stessi per andare a caccia di quegli errori che impediscono il fluire della vitalità. Oppure si combatte quotidianamente per arrivare degnamente al giorno successivo cercando di far stare bene chi amiamo, alzandosi la mattina anche doloranti per affrontare la giornata. Perdonatemi per l'accostamento ma credo che, anche in questo caso, si possa parlare di valorosi. Chi affronta la vita militare, senza parlare dei civili che accompagnano le varie missioni di pace, lo fa perché ci crede. Crede in ideali di pace. Ma la morte quando arriva è solo morte e non fa più distinzioni perché il risultato è la mancanza di colui che prima era in vita ed era amico, compagno, figlio, collega, amante, genitore, fratello. Ho coniugato al maschile ma vale anche per le donne. Trovo che ci sia una vaga ingiustizia nel tributo all'onore dei caduti perché noi che rimaniamo invece di mobilitare capi di stato dovremmo riflettere un momento in più se la guerra vada ancora assecondata e perché chi la decide, comunque, non la combatte quasi mai mandando altri al suo posto. Se non sai sulla tua pelle cosa significa cadere in missione non capisci neppure il valore di chi è caduto per essa né tanto meno puoi pensare di capire che è meglio far smettere il combattimento, l'odio, lo scontro, l'incomprensione che sono all'origine di tutto. La morte in missione costringe chi resta a piangere e l'unico modo per darsi pace, nello specifico, è credere che sia tutto giusto e abbia un significato più alto. Altrimenti sarebbe una morte inutile, purtroppo... Non ho familiari caduti ma ho una parte di me che ascoltando e vedendo quel che accade nel mondo si innesca e riflette. Immagino se avessi un padre o un marito o un fratello che sta via quasi sempre e andasse  nei luoghi caldi del pianeta magari in missione di pace, come aiuto alle popolazioni, e poi un giorno non tornasse più, ecco, se anche avessi fin lì creduto che si trattasse di una cosa giusta, potrei da quel momento in poi nutrire un dubbio che, so, si trasformerebbe in quella certezza che ho già adesso in me, che la morte è uguale sia per un militare sia per una persona che ogni giorno vive cercando di dare il meglio di se stessa per chi ama. E l'unico triste risultato sarebbero lacrime e un vuoto immenso senza appello. Ogni scontro, ogni odio, ogni guerra portano solo dolore a meno che non ci si svegli per gridare che basta, che non se ne può più e che c'è in noi abbastanza volontà da non cedere ad ulteriori scontri. Ma l'impegno dovrebbe essere costante e a tutti i livelli, in noi prima di tutto, e in tutte le gerarchie di chi decide il destino di esseri umani che credono davvero nella pace e donano se stessi per far 'sì che diventi una realtà di fatto, e per questo combattono a discapito di se stessi. Il vero valore di un caduto è il suo immenso amore anche se non credo sia davvero compreso da chi organizza Funerali di Stato.

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