martedì 12 luglio 2011

L'impronta di chi non c'è più

Sediamoci comodi, anche se l'animo sta scomodo in prossimità di questo argomento. Serve tempo, come da raccomandazioni, per "elaborare" la perdita. Spesso si dice "elaborare", applicato a questo concetto, come se si dovesse masticare un boccone che non riesce ad andare giù. E questo soltanto perché un boccone del genere non va giù, mai. Semmai c'è bisogno di una valida alternativa per imparare a convivere con la nuova realtà. Potrebbe capitare che tale boccone, non volendo andare da nessuna parte, se ne stia lì a farsi masticare di continuo, in tandem con i pensieri che nella mente riportano al ricordo di quando quella persona era presente. La memoria stessa, in questi casi, fa tornare in superficie quella che io chiamo l'impronta di chi non c'è più. E anche se stiamo lì, sempre lì, dove abbiamo lasciato parte del cuore, e ci ritorniamo, talvolta sfuggendo abilmente a noi stessi, lo facciamo perché abbiamo una disperata paura di dimenticare la presenza che adesso ci manca tanto. Abbiamo paura, come bambini, che con il passare del tempo quel volto, la voce, i movimenti e le abitudini, diventino sempre più evanescenti. E allora vorremmo gridare e graffiare il tempo per far 'sì che si accorga della nostra presenza di qua, da questa parte del mondo, per distoglierlo dal suo incessante cammino, per chiedergli infine che con la sua potenza si accartocci su se stesso per un attimo almeno, per riportarci la persona cara che non è più qui, ma di là, dall'altra parte della cortina che separa la realtà dal luogo (?) dove si dice vadano a stare i più. L'impronta lasciataci è come una pellicola impressionata che possiamo passare e ripassare nella mente, è ogni istantanea di attimi che ricordiamo e che diventano più vividi ogni volta che li riguardiamo. Tale è la magia di questa pellicola speciale che, al contrario di qualsiasi oggetto materiale umano, non si consuma ogni volta che viene usata, così da poter rivedere e rivivere le scene con gli occhi della mente tutte le volte che si desidera. Nell'impronta di chi non c'è più c'è ancora qualcosa che vibra perché è legato a noi, a come sentiamo ciò che sentiamo, e dipende, ogni onda, da quanto profondo era il legame. Un tuffo in quel punto, dove rivediamo la scena, e possiamo sentire maggiormente l'impronta composta da tutti i nostri singoli ricordi, che adesso si riuniscono insieme per ricreare l'immagine. C'è paura, tanta paura di lasciare sfuggire anche uno solo di questi ricordi, perché sappiano che senza di esso, anche se infinitesimo, l'immagine ricostruita sarebbe mancante di un qualcosa di essenziale, paradossalmente. E' l'urlo del cuore che soffre e prende in prestito le lacrime agli occhi, anzi, qualche volta le ruba, le strappa con violenza, perché non riesce ad arrendersi alla perdita. E il boccone che si raccomanda di buttare giù sta ancora lì. Provare a bere le lacrime potrebbe essere un tentativo di soluzione, nella speranza che qualcosa si sciolga e che la gola collabori, per favore! Ma... coloro che raccomandano di inghiottire per poter continuare a vivere sanno cosa si prova? E' pur vero che a qualcuno il lavoro sporco, di evitare che tutti vadano allo sbando per intenso dolore, deve toccare, però... io stessa una volta ho compiuto questo sporco lavoro cacciando giù a forza il boccone in me per prima e a chi mi stava vicino poi, per non morire una volta di più. Quando ho rivisto una scena simile in un contesto differente mi sono resa conto che il boccone, in realtà, era sceso solo di un millimetro, ingannandomi, perché il destino di questi bocconi non è scendere giù come fossero cibo, il loro destino è diverso. Per tutto il resto delle cose che fanno parte della vita e dell'imparare è concesso masticare anche con la mente per elaborare e nutrirsi dei risultati, ma qui serve altro, serve una dolcezza infinita per prendersi cura del groviglio che si forma. Tutto il corpo vorrebbe digerirlo come ha imparato a fare per alleviare il prima possibile il dolore che provoca a contatto con il cuore. Qualcuno dice che serva del tempo, vero, ma le cose da sole non accadono a meno che non si collabori mettendoci del nostro, per agevolare il loro compimento o la loro evoluzione comunque naturale. Ho dunque cercato una risposta a tutto ciò. Ho ascoltato all'infinito l'impronta nei ricordi ed ho iniziato ad amarla con tutta me stessa facendomi una domanda, più che dandomi una risposta. Mi sono chiesta perché avrei dovuto vivere il resto della vita rifiutando di aprire la porta al ricordo o ai vari flashback in qualsiasi momento si fossero presentati. Non importa se bussano sommessamente o se battono violentemente e insistentemente, nel mio cuore e nelle mia mente c'è spazio a volontà per tutto e per tutti, vivi e morti. Il cuore o la mente non sono un luogo limitato, sono uno spazio infinito dove nulla sgomita per avere il posto e l'attenzione della quale c'è bisogno in quel momento, a meno che non si sia noi stessi a limitarci credendo a ciò che raccomandano gli altri che non sanno. Spetta a ciascuno capire quanto spazio c'è in noi, e non è certo standard per tutti, ognuno avrà il suo, con la sua forma e la sua dimensione, fino al momento in cui si sente che tale spazio è davvero infinito. All'inizio, per il tempo che servirà, la convivenza con l'impronta di chi non c'è più sarà sicuramente piena di dolore, e di rifiuto, dato dal desiderio di far tornare tutto come prima, ma i sentimenti non devono essere repressi, specialmente se sono forti, perché un giorno potrebbe scoppiare tutto. Se c'è dolore che si gridi pure fino a scuotere le rocce più distanti. In questi casi stare zitti o fermi è devastante. Il silenzio esterno può solo sperare di creare l'ambiente più adatto per il grido che abbiamo dentro, non altro. E' permesso solo un silenzio di attesa finché non arriva l'onda da dentro che fa uscire il boccone che tenevamo in bocca a forza. Il posto del boccone è là fuori, ma prima di posarlo da qualche parte deve essere raccolto tra le mani e osservato. Va raccolto con delicatezza e presentato al cuore dall'esterno, perché anch'esso è vivo, e questa è una rivelazione. Non sorprendetevi se vedete che pulsa come il cuore stesso anche se il battito sarà scomposto, è così perché è stato il cuore a produrlo, ma porta dentro di sé anche tutte le lacrime di dolore, l'impatto vissuto e il vuoto enorme. Di questo boccone non ci si libera in modo convenzionale come se si trattasse di un rifiuto perché già dentro di noi enorme è il sentimento di rifiuto per l'accaduto. Serve compassione, serve pazienza, serve cura nonostante si abbia a che fare con qualcosa che ci fa stare male. Non ha colpe il boccone così come nessuno ne ha, dato che facile è pensarlo per poter scaricare tutto quello che c'è tra la mente e il cuore, intriso di pensieri. Il boccone doloroso ha solo bisogno, adesso che non è più in noi, di ritrovare il suo percorso per potersi trasformare in modo da non premere più su di noi. E questo può accadere solo se accettiamo di fermare la mano che vorrebbe graffiare il tempo per far tornare tutto indietro, quando l'impronta di chi non c'è più era invece la reale presenza della persona amata. Dunque inizia un nuovo ritmo nel passo, magari più lento, meno baldanzoso, dove lo sguardo, invece, di proiettarsi solo distante nel futuro, rimane più vicino al presente e, quando si sente in grado di farlo, si sposta per un po' nel passato, ma con la consapevolezza che il passo rimane nella realtà, per non perdere di vista la posizione del dolore residuo rispetto alle cose buone che si incontrano strada facendo. E se capitasse di sentirsi felici cercate di non averne timore o che non vi sembri di stare facendo un torto a tutto ciò che avete nella memoria. Se vi sentite bene, per qualche momento o anche per più tempo, prendetelo come un dono prezioso, che vi insegna ad avere più energia per gestire tutto ciò che c'è in voi, che dilata un po' i limiti che credete di avere, entro i quali pensate non possa essere possibile vivere in armonia con tutte le cose, le emozioni, le esperienze o i ricordi felici e quelli dolorosi. La sofferenza provata non dovrebbe mai essere intesa come espiazione dei sensi di colpa e, credetemi, qualche volta accade che ci si senta così, magari un po' più inconsciamente di quanto vorremmo che fosse. E il livello inconscio, quello strato sotto pelle, è sfuggente se non ci si mette di impegno con volontà e cuore e pazienza ad ascoltarlo nei suoi incessanti discorsi. Se pensiamo di meritarci il dolore perché ci siamo sentiti responsabili in qualche modo di una qualche mancanza che riteniamo fondamentale staremo in eterno a masticare il boccone senza riuscire a farlo andare verso il suo destino, verso l'amalgamarsi con il tutto per potersi sciogliere per darci sollievo. Trasformarsi non è scomparire è solo cambiare forma e una forma diversa può avere caratteristiche meno nocive. In parte questo è il significato che attribuisco al convivere con i pensieri più scomodi o ai ricordi dolorosi. Ricorderemo sempre la loro origine, perché la memoria registra fedelmente ogni particolare e noi, a meno che non ci vogliamo illudere credendo tutt'altro, avremo sempre la consapevolezza di come sono state le cose accadute. Però quello che possiamo fare, ed è questa la cosa importante, è riconoscere che si può andare oltre, che si possono cavare le gambe dal pantano della sofferenza per il solo fatto di ricordarsi che le gambe sono attaccate a noi e non al pantano. Le gambe ci appartengono, sono parte del nostro corpo, non sono il pantano, nel pantano ci sono soltanto immerse. Sembra banale ma è essenziale ricordarsi di una cosa così semplice. A nessuno viene chiesto di fare l'eroe specialmente quando si è feriti, e l'orgoglio da difendere non c'entra in questo caso, quando si sta male, si sta male e basta. E' negare questa condizione che distorce il resto dell'andare confondendo sempre più le cose fino a farci perdere nel pantano. Se il ritmo della vita impone performance elevate mandatelo da qualche parte senza nome, per un po', e riprendete le vostre gambe con tutto l'amore che potete generare e se c'è accanto a voi qualcuno che vi tende una mano, non fate gli orgogliosi, prendetela e uscite da lì. La vera difficoltà in tutta questa situazione di perdita grave non è andare avanti senza barcollare è sapersi fermare e accettare, per poi ripartire con rinnovata consapevolezza e pace. Quello che ho vissuto l'ho vissuto da sola praticamente sempre e avevo solo me, il mio cuore e la mia volontà di non arrendermi e scavando sotto pelle ho trovato quello che mi ha fatto parlare oggi. Nessuno ha tutte le risposte ma abbiamo qualcosa di più prezioso, abbiamo la capacità di andarle a cercare osservando tutto senza escludere nulla, finché non troviamo i pezzi che combaciano e allora sapremo, dentro, di aver trovato una risposta, o parte di essa. E' a questo punto che avere tempo per intraprendere questo percorso ha valore. Mettere a frutto anche pochi istanti, invece di usarli per dire che tanto non c'è soluzione, è positivo anche per la propria autostima. E accanto a noi l'impronta di chi non c'è più smette di essere un'ombra di tristezza, anzi ci dà la forza per ritrovare noi stessi. La meta è l'armonia tra tutte le cose, buone e meno belle, che fanno parte di noi e delle nostra vita. Convivenza con consapevolezza che permette di essere liberi anche quando si crede di non esserlo. R.B.Between

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