mercoledì 20 luglio 2011

Rammendare

Quando ero piccola, se una cosa si rompeva o si sciupava, non si gettava via subito per sostituirla con una nuova. Ovviamente dipendeva dal danno ma se la sua entità non comprometteva il rinnovato utilizzo, si procedeva a rammendare, nel caso di un capo di abbigliamento, o accomodare in caso di altro oggetto. Oggi invece facciamo parte non di una società consumistica, anche se può sembrare, ma di un pensiero volto al non recupero e alla sostituzione. E' il pensiero che detta il comportamento della società poiché tutti poi si ritrovano ad adeguarsi. "Usa e getta" così si ha sempre tra le mani qualcosa di nuovo, pulito, non usurato, senza curarsi troppo di dove va a finire quel qualcosa di vecchio, logoro e vissuto. Il gesto fin troppo spesso è quello di gettare alle spalle ciò che giudichiamo non servirci più. Generalizzare in questo caso non è facile perché mi vengono in mente migliaia di situazioni differenti, ciascuna con la sua soluzione o adattamento specifico ma passatemi questa riflessione a volo d'uccello. Il mio ricordo è legato a ciò che ho vissuto e imparato da bambina, a casa dei nonni. Ricordo bene quando si forava un calzino e subito la nonna prendeva "l'uovo" di legno o di metallo, lo metteva dentro al calzino da rammendare e, con ago e filo, riproduceva la trama consumata. Il resto del calzino era perfetto e ancora utilizzabile, perché disfarsene solo per un forellino? Ricordo la sensazione provata mentre la nonna ricuciva le cose sciupate e mi insegnava a fare altrettanto. Mi sembrava che fosse importante avere cura, in quel modo, delle cose. Mi sembrava che si valorizzassero e che fossero state sottratte ad una pessima fine senza gloria né significato. Ecco, tutto ciò, solo oggi, da adulta, posso definirlo con queste parole, allora era solo una sensazione che se ne stava lì, consapevole di non volermela dimenticare. Oggi guardo il mondo e penso che forse solo chi non ha abbastanza denaro per comprarsi un nuovo paio di calzini li rammenda, ma non lo so con sicurezza. Mi aspetto solo una grassa risata in chi mi legge. Perché faticare quando si può velocemente sostituire? Non so quali siano le risposte altrui, la mia è che voglio cercare dove possibile di ricordarmi del valore delle cose, del fatto che ecologicamente parlando, se si riducono i consumi riducibili, la Terra ringrazia, e che l'atto stesso di rammendare mi apre la porta verso la consapevolezza che si può cambiare qualcosa. Si può salvare una parte che credevamo perduta e ridargli nuova vita anche se non sarà come prima, anche se non tornerà nuova come quando è stata fatta. Ma se ancora può dare qualcosa, l'oggetto rammendato sviluppa in me una sensazione di benessere. Compiere l'atto del rammendo... forse lego questo alla sensazione che si prova a recuperare una cosa perduta, al desiderio di poterlo fare...
Saper rammendare può tornare utile anche se potremmo passare tutta la vita senza mai metterlo in pratica, dipende molto da come trattiamo le cose che ci appartengono, se siamo portati a curarle o a distruggerle. Magari anche una cosa consumata per il lungo utilizzo ha il suo valore, perché guardarla con gli occhi di un critico esteta? Solitamente ciò che sta sotto la superficie fornisce più informazioni di ciò che si mostra.
Molto cambia nel nostro pensare a seconda di come guardiamo le cose e rendersene conto è spostare il proprio punto di vista, come una messa a fuoco dell'occhio interiore. Un rammendo, per gli occhi che vogliono indagare il mondo sotto la sua superficie di apparenza, è molto di più di un'abile lavoro di cucito, si va dalla metafora all'utilizzo dell'atto del rammendare come trampolino di lancio per la comprensione che in quel momento stiamo interrogando. Se guardiamo le cose più semplici, cercando di andare oltre la loro forma di presentazione, possiamo avere delle risposte in più che normalmente tendiamo a ignorare. La preziosità dell'essenza del semplice atto del rammendare, per me, è la possibilità; è il pensiero che non tutto è perduto, una sorta di ramo attivo della speranza che sfocia nella realtà quotidiana, nella materia, e rende le cose nuovamente vive.

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