domenica 27 novembre 2011

Voce perduta e suoni ritrovati

Anche l'anno scorso ho perduto completamente la voce. Oggi non riesco a produrre suoni se non con grande sforzo. L'anno scorso avevo dentro un massiccio groviglio di sentimenti e dispiacere, che il giorno in cui ho perduto la voce mi sono messa a scrivere. Ho prodotto un lungo scritto denso di tutto quello che avevo dentro, e che non potevo esprimere, perché mi sembrava di aver perduto non soltanto la voce prodotta dalle corde vocali ma anche la voce dell'anima. Era un periodo così, uno di quelli che, quando ne parli, non puoi fare altro che allargare le braccia arrendendoti a ciò che c'è. Oggi che la voce manca di nuovo ho ripensato a quel che scrissi allora, a quanto dolore c'era e a quanto dolore c'è ancora ma diluito con tanta pazienza dal desiderio di comprendere e non soccombere. Sono ancora metaforicamente senza voce per certi motivi e spiegarlo alla mia testardaggine non è diventato più facile ma si procede. In più, rispetto all'anno scorso, ho un oggetto che mi permette di ascoltare la musica come non la riuscivo ad ascoltare da tempo. Prego, cercate di non mettervi subito a ridere, ma dopo tanti anni di ascolto di musica con gli auricolari mi sono regalata delle cuffie quasi professionali e devo ammettere che il cambio non ha paragoni. Chi mi conosce sa che anni fa ho avuto dei problemi con l'udito e sa che per molto tempo non ho potuto ascoltare musica con auricolari o cuffie che fossero, poi piano piano mi sono riadattata con i semplici auricolari, fino ad oggi. Sentendoci meno si perdono tantissime sfumature di suoni, ma fino a stasera non mi ero resa conto che una cuffia, che ti permette una più ampia gamma di sensibilità, si rivela un valido aiuto per chi ha il mio problema. Così eccomi qui, muta, con in cuffia la mia musica preferita mentre scrivo sul blog. Una forma di relax, anche se per i colpi ricevuti resto sempre vigile sotto pelle. La musica aiuta a distendere la tensione dei ricordi legati alla metaforica perdita di voce. Ho scelto di scrivere questo post perché comunque, sapendolo notare, per le piccole cose, quelle che si potrebbero definire di poco conto, che, in certe occasioni, saremmo portati a vederle più grandi di come sono realmente, c'è quasi sempre una sorta di equilibrio, di pareggio, per cui l'adattamento del destino tra la perdita e l'acquisto o il recupero si equivalgono in peso. Non ho voce ma ho suoni che non apprezzavo da tempo. Questo è un piccolo equilibrio se non vi sono pretese. La voce tornerà finita l'influenza, questo dovrebbe essere non un atto di fiducia ma la consapevolezza dell'evolversi di un evento che si  conosce. L'anno scorso, in queste stesse condizioni, ho imboccato un diverso sentiero nei pensieri e, seguendolo, mi sono trovata immersa nel racconto che ho creato. Mi sembrava che tutto quello che avevo dentro premesse così tanto da mescolare la realtà semplice di un calo di voce con la percezione di una perdita immensa, quella del non poter più parlare con qualcuno. In quel sottilissimo spazio che è il confine tra la realtà dei fatti e quello che abbiamo dentro è facile scivolare in sacche di pensiero nel quale, nel mio caso, quel giorno nacque la metaforica storia di colei che perde la voce pur essendo sana e deve convivere con questa perdita. Non potendo parlare scrivo, come del resto faccio sempre, anche avendo a disposizione lo strumento voce; ho imparato a farlo. Quello che ho perduto, invece, parte dell'udito, parte del cuore, sono sempre presenti come mancanza, come vuoto dove nessuna tessera sostitutiva riesce ad adattarsi alla forma che trova. Mi resta la musica da ascoltare, moderando il volume per non sovraccaricare i timpani, e la musica che viene da dentro di me, quella che il cuore emette ancora, pur nella consapevolezza che la realtà di un dolore può rimanere tale per un tempo più lungo di quel che si vorrebbe.

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