lunedì 2 maggio 2011

La paura di compiere un passo

Oggi salgo abitualmente per mezzo delle scale mobili, ma quando ero bambina ne avevo paura. Ricordo molto bene il giorno nel quale decisi di affrontarle. Ero all'interno di un grande magazzino di abbigliamento. C'erano anche le altre scale, ma non volevo usarle. Ricordo che me ne stavo lì a fissare il loro movimento continuo e mentre le guardavo sentivo dentro qualcosa di fastidioso. Come se la volontà si fosse aggrovigliata, ma continuasse lo stesso a voler dare il comando alle gambe per muoversi, per montare sul primo scalino e, tuttavia, trovasse un ostacolo, dato che la mente ascoltava la paura impedendomi l'azione. Stavo lì ferma, senza andare avanti. Ricordo che quelle scale mobili non erano affatto silenziose, e il rumore contribuiva ad alimentare la paura di montare sullo scalino che incessantemente si ripresentava. Ricordo che ci fu un momento nel quale riuscii a fermare quel litigio interiore tra la volontà di andare e la paura che mi frenava. In quel momento, ricordo adesso, più in profondità c'era una volontà maggiore, che nasceva dal rifiuto di avere così tanta paura. Fu questa volontà, con la sua forza, a permettermi di salire finalmente sulla scala mobile. Scoprii così che era anche divertente farsi trasportare al piano superiore in quel modo, senza parlare della comodità.
Quando un bimbo impara a camminare è una conquista, è la sua prima volta, è il suo passo successivo dopo avere tanto gattonato. E' un passo compiuto, in più di un senso. Eppure non credo che un bimbo abbia paura a compiere un passo dopo l'altro, mentre fa conoscenza con la sua capacità di deambulare. Desidera muoversi camminando, anche se a livello inconsapevole, vuole mettere un piede dopo l'altro per andare da qualche parte. Crescendo, poi, si aggiunge consapevolezza ad ogni nostro gesto e inevitabilmente, qualche volta, non riusciamo più a stare al passo con la sensazione dell'incessante movimento della vita. E qui nasce la paura di proseguire, vuoi perché la percezione dello scorrere del tempo ci fa sentire vulnerabili come non vorremmo essere, vuoi perché percependo il peso della responsabilità inneschiamo questa paura, che blocca la capacità di decidere con disinvoltura come condurre il passo successivo, la questione da affrontare. Da adulti le scelte che ci coinvolgono profondamente, in virtù della loro potenzialità di sconvolgerci l'esistenza, o meno drasticamente e ben più semplicemente, di cambiarla comunque un po', sono passi da compiere. La paura è un componente naturale in questi casi. Una proposta di lavoro in una città diversa ti chiede di guardare pro e contro e di decidere secondo il cuore o secondo la necessità. Quando poi si sfiora la sfera dell'amore tra due persone, la paura di compiere un passo si amplifica. Questo non significa che le persone non si amino davvero, a volte, però, si tacciono sentimenti e si fa dietrofront perché si pensa di non saper gestire le conseguenze di ciò che potrebbe accadere, perché comunque la vita cambia. Si fanno ipotesi, è normale farne, per potersi organizzare la mente, per darle una pista sulla quale evolversi o solo camminare. Come sarà quando ci troveremo lì, in quel tempo, con quelle circostanze? Poiché sentiamo che la questione è importante diventiamo pieni di incertezze che rallentano il passo. Sembra quasi più vitale pensare al dopo piuttosto che vivere il presente e credere in esso tanto da nutrirsi di ogni certezza che vi troviamo. Se c'è sentimento, e si sta bene, perché, per esempio, pensiamo che potrebbe finire? Siamo d'accordo che potrebbe essere possibile, ma per quale motivo non pensare invece di impegnarsi a mantenere vivo il presente? Perché occupiamo la mente con l'ipotesi della sofferenza invece della gioia, dell'allegria? Io metto sempre in conto anche le cose brutte, le difficoltà, il dolore, lo faccio perché riconosco che queste cose sono parte delle manifestazioni della vita, ma se amo so che in questo sentimento troverò tutto ciò di cui ho bisogno per affrontare le vicende che mi si presenteranno. Un viaggio insieme diventa più   scorrevole solo se non diamo niente per scontato, se non ci adagiamo, il resto è ciò che fa parte del viaggio stesso con le sue luci e le sue ombre, né più né meno. Ecco che, se si parla di convivere o di sposarsi, questo passo sembra visto come la materializzazione di una corda che si stringe sempre più, fino a soffocare la libertà, o come una catena che limita i movimenti. Se si vede l'unione tra due persone in questo modo è perché, ipotizzo, si generano un cumulo di ipotesi su ciò che si potrebbe incontrare, magari avendo preso ad esempio altre coppie. Io credo che ciascuno faccia la sua storia e che solo marginalmente ci possano essere dei punti simili su come si manda avanti la vita, o su come si manifesta, e in ogni caso, non si può né si dovrebbe guardare gli altri per imparare a condurre i propri passi, non in questo caso. L'imitazione e la temporanea suggestione sono permessi soltanto ai bambini che devono imparare. I due componenti di una coppia dovrebbero riuscire a vedersi ed ascoltarsi, menti e cuori complici, per condurre i loro passi insieme, per creare la loro storia, la loro avventura nel mondo. Che importano le chiacchiere, i divieti, le discordanze altrui, stare insieme, anzi, scegliere di stare insieme, che ci si sposi o meno con un qualsiasi rito civile o religioso, è affare esclusivo dei due componenti della coppia. Io ho sempre pensato, e ci credo ancora, che se si ama veramente qualcuno, certe cose si mostrano poi con la loro vera natura di elementi insignificanti, inglobando il tutto in un'ottica più ampia.  Ho l'esempio dei miei genitori che, quando si sono sposati, non avevano nulla, pochissimo denaro, e poco da riceverne dai parenti, ma avevano l'uno nel cuore dell'altra e tanta voglia di andare avanti, seppure consapevoli di incontrare difficoltà materiali anche pesanti. Ma con questa volontà, loro ce l'hanno fatta, ed io sono qui con tutto ciò che ho, e con ciò che sono, ed ho potuto imparare. Magari anche loro avevano paura ad andare avanti, ma non si sono fermati, sono riusciti a vedere nella giusta ottica, e a distinguere tra le sciocchezze e le cose più gravi. Se si fossero lasciati fermare dalla paura del passo da compiere io non sarei qui. Sì, è vero, non conosciamo cosa ci aspetta, non sappiamo come sarà l'istante presente dopo la scelta, dopo il passo, sicuramente sarà ugualmente un presente, seppure diverso, poiché ci spostiamo nel tempo. Il susseguirsi di istanti simili non fa, automaticamente,  permanere le cose staticamente identiche nel tempo, né nello spazio. Tutto è sempre in continuo divenire, in continuo movimento, è la vita che lo permette e lo richiede. E se accettiamo di vivere, come possiamo non accettare di amare altrettanto pienamente? I dubbi che possono sorgere sono sollevati da questioni quotidiane e dunque in qualche modo risolvibili. La paura di compiere un passo dipende da come giudichiamo il passo stesso. Se crediamo che sia grande potremmo ritenerci troppo piccoli per affrontarlo. Se crediamo che sia difficile potremmo sentirci impreparati. Amare dovrebbe consegnarci le chiavi per inquadrare nella giusta ottica ogni questione da prendere in considerazione, così potremmo continuare ad andare avanti, nonostante tutto, con la forza per sostenere la consapevolezza che ogni passo compiuto, anche intriso di difficoltà, sia la vera ricchezza che ci accompagnerà sempre. R.B.Between

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