giovedì 11 agosto 2011

Un inizio diverso

Ci sono volte nelle quali non si ha nessun desiderio di fare o di muoversi. Sono giorni ristagnanti. E qualche volta tali giorni possono essere mesi o anni. Solo che standoci in mezzo non ci si rende conto che sono così. Diventa difficile allora iniziare una qualsiasi attività. Magari la si inizia lo stesso ma non siamo così presenti per essere efficienti o goderne. Si può tranquillamente dire che si tira avanti. E, per certi versi, anche vivere alla giornata, è una forma del "tirare avanti". Si va. Si va immersi nell'onda che va, ma non siamo noi ad andare, è l'onda che va. Si arriva a sera e spesso non ci si cura del domani se non per il fatto che oggi abbiamo lasciato un lavoro a metà e ci serve il domani per completarlo. Questa mattina mi sono svegliata con il pensiero di rimettermi a dormire perché la prospettiva di avere una mole di cose da fare mi faceva sentire stanca nella mente. Che non so più riposarmi davvero l'ho già detto in precedenza. Poi, però, sono riuscita a incuneare un pensiero diverso, se per me stessa non riesco ad alzarmi volentieri, posso farlo per la persona che vive con me. E' un inizio diverso ed è pur sempre un inizio. Uno stratagemma. Un modo per avviare un motore stanco, in attesa di rimetterlo a posto, avendo la necessità vitale di continuare a farlo funzionare. E' ben vero che non si dovrebbero fare le cose per gli altri, soprattutto se queste cose sono di nostra esclusiva pertinenza, e qui non c'entra l'attitudine all'altruismo. Tutte quelle cose basilari per la propria esistenza, come mangiare, alzarsi da letto, camminare, esistere in genere, non si dovrebbero compiere per qualcun altro ma solo per noi ed è innegabile che tutte queste azioni siano vitali per noi e non per l'altro, fatta esclusione per una madre in attesa o con un bimbo appena nato. Ma ci sono momenti nei quali diventa possibile agire in modo diverso ed è permesso o, meglio, possiamo permetterlo a noi stessi, se sappiamo che è un atto temporaneo che duri il tempo per riconciliarsi con la monotonia della propria esistenza, qualora non dipendesse da noi modificarla per il momento. Non è facile accettare di avere poco o di essere obbligati a svolgere una determinato lavoro che magari non ci piace, ma è ciò che si ha e non lo si può perdere poiché null'altro lo sostituirebbe. Tutto questo porta a stare dentro l'onda che va senza che noi possiamo determinarne l'andare. Dipende poi da noi, in ogni caso, la durata di questo galleggiamento nell'onda. La mia abituale fretta ha incontrato, un giorno, un suggerimento, mi è stato rammentato che tutte le cose si fanno a tappe, specialmente quelle grandi e impegnative, così qualche volta, quando me ne rendo conto, vado a caccia, o trovo fortuitamente, uno stratagemma utile a proseguire il cammino, che riesca almeno per un po' ad affrancarmi dall'onda che va, nella quale sono immersa comunque. Un inizio diverso qualche volta è necessario ma è anche vero, per buon senso, che se, tra le varie opzioni ve ne fossero alcune che non ci fossero proprie, o andassero contro il nostro cuore, ma fossero immediate soluzioni facili, si dovrebbe avere il coraggio di passare la mano e dire "no grazie, tiro ancora avanti per un po', anche se farmi portare dall'onda non mi piace più e, anche se sono stanco e demotivato, porterò pazienza". Al di là comunque di ogni discorso, che sono soltanto parole e non fatti concreti, la soluzione che troviamo deve essere adatta a noi, ce la dobbiamo sentire calzare addosso come un guanto della misura giusta. Il mio guanto, quest'oggi, è stato mettere da parte il mio piacere personale, e provare a percorrere una pista diversa, e non mi sono trovata male nel far ciò. Non potrei farlo sempre, perché sarebbe esattamente la stessa cosa che fare tutto e sempre guardando prima noi stessi ma, qualche volta, credo sia un buon modo per equilibrare i due estremi antagonisti, il mettere sempre avanti prima se stessi e il mettere sempre avanti prima qualcun altro. La via di mezzo produce equilibrio.

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