sabato 13 agosto 2011

Tempo e denaro

Strana coppia, specialmente quando vengono nominati assieme all'interno di un discorso il cui argomento verte sull'efficienza lavorativa. L'uno immateriale per natura, eppure innegabile presenza che scandisce la vita, l'altro estremamente materiale con l'ardire di condizionare la vita umana che lo usa e lo gestisce, con tutti i pro e i contro del caso. Insieme ma, se si dovesse metterli realmente accanto l'uno all'altro, sarebbe impossibile, a meno che non si potesse, con la fantasia, creare una dimensione parallela in cui le cose impossibili divengono possibili. Il tempo può fare a meno del denaro perché non lo comprende, data la sua natura diversa da sé, mentre il denaro senza il tempo ha, credo, qualche difficoltà ad esprimersi. L'uomo, che ha inventato il denaro, deve avere tempo sia per accumularlo che per farlo circolare spendendolo. Il denaro è un essere capriccioso in virtù del capriccio di chi lo manipola, da solo è nulla, ed è nulla se non gli si attribuisce valore, al di là del fatto materiale che è stato creato per avere un valore. Qualche volta mi chiedo chi dei due abbia maggior valore, e per valore intendo un qualcosa che va un po' oltre il pensiero materiale. Ho sempre pensato che il valore di qualcosa, riferendomi ad oggetti materiali, sia determinato non solo dalla somma del denaro speso per ogni pezzo che la compone, il denaro speso per arrivare a produrre il dato oggetto, ma sia determinato anche dal tocco dell'anima dell'uomo o da suo cuore. Ecco perché secondo me hanno maggiore valore gli oggetti artigianali, perché posso sentirci ancora il riverbero del cuore, del pensiero, di chi li ha prodotti. Qualcuno lo potrebbe definire un valore aggiunto ma, per me, è l'unico valore, oltre all'abilità nel costruirli. Le cose prodotte in serie non hanno anima e non mi danno in cambio nulla mentre io dò del denaro per esse. Eppure questa è la regola che seguiamo per il vivere quotidiano. Un oggetto artigianale richiede tempo per essere prodotto e non richiama denaro quanto uno prodotto in serie da macchine che lavorano per questo, azionate talvolta da uomini che scambiano il loro tempo per un quantitativo di denaro che molto spesso, per certe categorie di lavoratori, non è commisurato all'entità del lavoro svolto. Qui tempo e denaro si sfiorano consapevoli l'uno dell'altro solo attraverso il sudore umano. 
C'è chi dice che "il tempo è denaro" intendendo che se si perde tempo si perde anche denaro. Nell'ottica del guadagnare è un'affermazione ovvia. Il tempo però è vita e non denaro. Ci sono casi nei quali si fanno delle scelte tra i due e, tali scelte, possono essere obbligate oppure consapevoli e in piena libertà. Le scelte obbligate quasi mai portano felicità, forse benessere materiale, ma vera felicità non mi sento di affermarlo, per il fatto che non c'è, sin dall'inizio, la libertà necessaria per operare la suddetta scelta. E la mancanza di questa libertà è come un fastidio di sottofondo che si pianta lì e ci resta. Però si dice a noi stessi che va bene così, nonostante tutto, e quanto realmente si riesca ad accettare la scelta di comodo fa la differenza per i decibel del rumore di fondo. Se invece si ha la fortuna di poter scegliere fra tempo e denaro in piena consapevolezza, se ne guadagna in serenità. Certe scelte sono coraggiose, soprattutto nel caso in cui non si abbia una sicurezza economica tale da guardare in faccia il denaro e dirgli lo stesso "mi dispiace per te, ma preferisco il tempo". Oggi mi sono concessa di pesare entrambi, tempo e denaro, e ho scelto il tempo, anche se spesso lui è il mio preferito, pur non avendo molto denaro. Un fatto è all'origine di questa piccola scelta. Sono stata a fare la spesa lontana da casa, ci sono andata con l'autobus. Ho comprato varie cose tra cui una confezione che mi è venuto voglia di aprire a metà strada, mentre stavo rincasando. La scatola conteneva cibo impacchettato singolarmente. Una confezione era aperta, altre erano sciupate, pur essendo state dentro una scatola sigillata. Se anche la scatola fosse stata rotta non l'avrei certamente presa. Sconforto, un po' di rabbia, ma poca in verità perché non mi piace, dubbio amletico se appena scesa dall'autobus avessi dovuto aspettarne un altro in direzione opposta per andare a reclamare. Mentre riflettevo ho messo insieme i vari fattori del problema. Sarei dovuta andare subito, perché non sarebbe stata la prima volta che, andando il giorno dopo, avrebbero fatto storie sulla responsabilità nella conservazione da parte mia dal momento dell'acquisto a quello del reclamo. Ebbene il peso che avevo con me, il caldo, un nuovo biglietto dell'autobus, la perdita completa del pomeriggio  dato che ad agosto i mezzi di trasporto passano di rado, tutto questo per pochi euro? Che sia una questione di principio, posso anche essere d'accordo, ma non lo è sempre, se il sacrifico affrontato è più incisivo sul benessere rispetto al guadagno che si potrebbe ricavare. La facoltà decisionale personale ce l'abbiamo in dotazione proprio per usufruirne con cervello ogni volta che riteniamo necessario farlo. Reagire sempre nello stesso modo solo perché ci si sente di dover essere fedeli ad una certa linea di principio che arbitrariamente abbiamo deciso di seguire non porta sempre un beneficio. E qualche volta la perdita è decisamente maggiore del guadagno. Mi secca per gli euro spesi e buttati via, perché la vita mi fa stare attenta a quel poco che ho, ma la prospettiva di gettare via anche le due ore che mi rimanevano mi ha illuminato la decisione di oggi. Sono dunque tornata a casa e il mio corpo ringrazia per il relax, così come lo fa la mia mente, mentre scrivo qui sul blog. R.B.Between

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