giovedì 2 giugno 2011

Un anno fa...

In questi trecentosessantacinque giorni, e una manciata di minuti, ho camminato per chilometri, ma non li ho contati. Ho distillato acqua dagli occhi per il dolore dei miei errori in una quantità pari a qualche litro, ma non ho misurato esattamente nemmeno questo, molti fazzoletti ne sono però stati testimoni. Con la consistenza della consapevolezza ho cercato di tessere un po' di filo per ricucire uno strappo profondo, almeno così è stato per me, ma non è stato sufficiente né il filo né altro. Ho ristagnato nelle mie paludi per un tempo più lungo di quello che avrei voluto, ma, si sa, a volte ci sono cose che esulano dalla volontà guidata dalla mente, che dovrebbe ricordarsi come si fa a salvarsi da soli dal fango che noi stessi creiamo in certe circostanze. Poi sono uscita a fatica dal pantano freddo e grigio e ho cercato di adattarmi, non sempre con brillante successo, alla realtà dei fatti. Lo stomaco ha incassato il pugno duro e rabbioso ricevuto e, nel silenzio successivo, la digestione si è fermata per un po'. Ho zoppicato, poi ho continuato a camminare, eppure si nota la lieve modifica della disinvoltura. Facciamo finta che sia solo colpa dell'età. Ho sbagliato le mosse in più punti perché ho seguito dettami interni che pendevano dai rami di un ego un po' troppo accentuato. Il fogliame rigoglioso -orgoglioso?- faceva ombra al buon senso e a quella parte che si rende conto delle necessità altrui prima delle proprie. Come è risaputo all'ombra le cose si vedono meno bene. Quando certi sentimenti si aggrovigliano ti ritrovi, tuo malgrado, prigioniero in spire che stringono tanto tenacemente quanto più forte è ciò che provi nel tuo cuore. Il rischio di emorragia è consistente, ma nessun medico può fare qualcosa. Hai a disposizione solo te stesso e la capacità di fermarti in tempo, prima di combinare un disastro, che però in quel momento non riesci a trovare. Cerchi affannosamente, getti tutto alla rinfusa, diventi disattento, ti cade di mano ogni cosa, anche il tuo cuore, e non ti rendi conto che stai scivolando. Vorresti solo che qualcuno ascoltasse il tuo grido di dolore e che ti potesse capire in quel preciso momento. Dolore, perché ogni fatto negativo, che sfiora il sentimento che nasce nel cuore, si centuplica. E questo vale sempre quando si ha a che fare col cuore. Un anno fa c'è stata una festa, ma il mio cocktail finale aveva troppi cubetti di ghiaccio dentro... Gli altri bicchieri, e quelli degli altri, erano equilibrati... Il mattino dopo non ho saputo fermare l'onda che montava dentro di me... Mi sono concentrata troppo su di un unico punto e sono esplosa. Eppure in tutti questi trecentosessantacinque giorni ho visto me stessa riflessa in più specchi di diversa natura e qualcosa che non mi è piaciuto ho provato a modificarlo. Meccanismo paradossalmente difficile nella sua semplicità. Non avrei mai creduto di arrivare a sentire ancora un nodo dentro nel giorno di questo stupido anniversario, che fa ancora emergere striature di malinconico dispiacere per il mancato rammendo. Eppure il mio stesso corpo mi ha fatto sentire il ricordo. Non volevo cedere alle lacrime di nuovo, così ho guadagnato tempo ingannando il pensiero, sorreggendomi a qualche appiglio per non scivolare. Quando ci si innamora non si capisce più nulla, è una verità, ma gli eccessi si potrebbero evitare almeno in parte. Da innamorati si vedono le cose in modo amplificato, le buone e le cattive quasi senza distinzione, ecco perché si può scivolare con così tanta facilità. Solo che in questo caso non c'era la mano comprensiva dell'altro a sorreggerti. E questo solo perché il mio cuore ha battuto sempre da solo. Le onde concentriche di questo mio strano cuore innamorato, simili a quelle generate dalle gocce d'acqua sulla superficie di un lago calmo, si sono infrante sullo scoglio rigido e, pur spezzate e increspanti lo specchio d'acqua, hanno mantenuto tutto il loro essere, la memoria della provenienza. A volte non lo capisco nemmeno io tutto ciò... In questo anno la rabbia si è rivoltata dentro, scomoda nella posizione di quiete che volevo imporgli, rabbia da impotenza a cambiare l'accaduto, rabbia per tante altre cose. Poi so bene da sempre che la rabbia non conduce in alcun luogo produttivo. La rabbia annienta tutto, quando non lo polverizza con l'eccesso di calore, e allora anche tu ne risenti inaridendoti. E se esplodi per l'impotenza di fare qualcosa, in realtà cosa hai ottenuto? Altro dolore... Implodere  e affogare in te stesso sono altre vie che ti si parano davanti se ti lasci scivolare. Ma in nessuna di queste vie c'è l'equilibrio che stai cercando, hai sbagliato clamorosamente l'indirizzo. Quando tutto turbina intorno a te ti fermi un attimo, respiri, individui la radice più robusta che ti connette alla terra, alle necessità di base, e fai l'unica cosa che puoi fare, malconcio come sei, accetti di diventare paziente, se non lo sei, oppure ti eserciti in quest'arte. Sai che il tempo passa, anche se non smetti mai di sperare che uno spiraglio di luce, accompagnato da un sorriso, ti sfiori quando meno te lo aspetti. E questo anche se sai che forse non accadrà mai...

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