domenica 17 aprile 2011

Un ricordo di tanto tempo fa

Oggi è una splendida giornata di sole, qui. Sfogliando un vecchio raccoglitore, cosa che sto facendo già da qualche tempo, ho la possibilità di rileggere cose che ho scritto nel 2008. Oggi vorrei condividere questo breve racconto di un ricordo.

I.n°7.
Avevo più o meno sei anni, forse sette. Dalle fotografie deduco che fosse estate. Indossavo una camicettina di cotone a mezze maniche e una gonna di jeans. Se mi lascio assorbire dall'immagine, riesco ad agganciarmi alla memoria di quel momento. Scivolo appesa ad ogni sensazione, che rivivo sulla mia pelle. Ci sento il calore del sole. Ogni tanto un alito di vento fresco dona sollievo dalla canicola. Siamo in alto, quasi montagna. Ho i capelli corti nerissimi, dello stesso colore delle more che sto raccogliendo. Anche senza guardare la foto ricordo i movimenti. Mi allungo più che posso, sistemando il piede in un anfratto del terreno secco, in salita, e mi slancio veloce per prendere quelle belle bacche mature che pendono da un ramo alto, ma sporgente. Perché accontentarsi delle more polverose troppo vicine alla strada? Una sbucciatura al ginocchio non mi può certo fermare. E' un tempo sereno, da passare insieme ai miei genitori, che pazientemente raccolgono more con me, mentre badano che non mi faccia male in questa piccola avventura. Per ogni manciata raccolta, almeno un paio di quei dolci frutti mi finiscono in bocca. Ho le guance rigonfie. E labbra e mani macchiate di nero violaceo. Golosità e libertà. Non passano tante macchine lungo la strada. Quel ciglio ricco di prelibatezze è solo nostro... almeno fino all'arrivo di altri villeggianti golosi come noi!
A casa, poi, la mamma faceva la marmellata. E' così che mi ricordo il sapore di una cosa genuina, perché fatta con sentimento. Quella marmellata non sapeva solo di more, portava con sé altri sapori; quello del sole caldo di quel giorno; quello dello sforzo dei muscoli che si tendono per raccogliere i frutti; quello dei piccoli graffi sulla pelle a testimoniare la protesta dei rovi depredati; quello del peso trasportato fino a casa, attrezzandosi per proteggere il sacchetto con il suo contenuto dalle scosse, mentre lo si trasporta nel bagagliaio dell'auto; quello dell'attenzione messa nel controllare che in pentola non ci vadano anche le foglie o le more sciupate, o qualche insetto che prima non avevamo visto; quello del tempo necessario a far cuocere le more con lo zucchero, mescolando spesso perché non si attacchi al fondo del pentolone, o quello del tempo in più impiegato per passare al setaccio, con tanta pazienza, la marmellata ormai cotta, per renderla liscia al palato, senza semini. Quanti sapori c'erano. Mi piace ricordarli in punta di lingua perché avevano il gusto di un tempo più umano, ritmo naturale, dove aveva un senso fare qualcosa con le proprie mani. Non ci si annoiava. Oggi, solo un sapore non mi basta. Non ho faticato nemmeno un po' per avere il vasetto di marmellata che ho comprato al supermercato. Dov'è il sapore del rispetto che devo a quei frutti, ai loro semi e alla loro potenzialità di riprodursi? La battaglia deve essere leale. Mi mancano un po' quei graffi, in fondo leggeri, come lotta tra me e il rovo per la conquista, non solo delle bacche succose, ma anche per l'insegnamento. Semplice osservazione. Da un intricato groviglio spinoso e resistente alle intemperie può nascere qualcosa di dolce e delicato, a dispetto dell'apparenza. 

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